venerdì 4 luglio 2003

elettroshock a Napoli (8) e Schopenhauer

La Repubblica Napoli 4.7.03
PSICHIATRIA
Elettroshock, la condanna dei medici

«Negli ultimi 20 anni nei servizi di salute mentale dell´Asl Na 1 non è stata mai prescritta e tantomeno direttamente praticata ad alcun paziente la Tec, la terapia elettroconvulsivante». E´ quanto è emerso da una riunione di tutti i direttori delle 10 unità operative di salute mentale del dipartimento Asl. «Una pratica - si legge in una nota - considerata di fatto desueta, poco compatibile con la riforma del '78».
Oggi, dopo le polemiche sull´elettrochock dei giorni scorsi, assemblea pubblica, alle 10 nell´Aula Magna del Nuovo Policlinico. Modera Armido Rubino. Interventi di Giovanni Muscettola, Sergio Piro, Enrico de Notaris.

Il Giornale di Vicenza 4.3.03
Saggio curato da Volpi
L’Io e il mondo Ecco i "segreti" di Schopenhauer
L’arte di conoscere se stessi
di Alfonso Cariolato

Forse "conoscere se stessi" è possibile soltanto attraverso un qualche disprezzo nei confronti del divenire o, meglio, della dispersione che ad esso può accompagnarsi. Così Eraclito poteva dire: "Ho indagato me stesso", mostrando come il fluire perenne delle cose non sia che "vuoto, ingannevole e piatto" (come scriveva il giovane Nietzsche), se non sorretto dalla saggezza che ne sa comprendere il logos profondo. Chi si accinge a conoscere se stesso, allora, è animato da un'acuta consapevolezza della missione di cui si sente investito, per la quale è disposto anche a sacrificare ciò che per gli altri uomini appare irrinunciabile. Con un movimento paradossale, il saggio va contro la natura e il mondo per offrire le proprie forze "al servizio dell'umanità", che pure per "cinque sesti" non è (a suo avviso) che da disprezzare. Ma per far questo deve costantemente rivolgersi "a se stesso" ( eis heautón , riprendendo Marco Aurelio) più che per conoscersi, per confermarsi nella giustezza della sua condotta e trovare nei pensieri e nelle citazioni da altri libri fors'anche una sorta di consolazione mirante a rafforzare, in ultima analisi, le proprie verità.
L'arte di conoscere se stessi di Arthur Schopenhauer (a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano, 2003) è un esempio di tale libro "privato", scritto per se stesso da un pensatore che, al modo di Platone, fa della separazione tra eternità e temporalità e fra "coscienza migliore" e "coscienza empirica" la chiave per comprendere l'esistenza. Un filosofo che, riprendendo Kant, fa sua la distinzione tra fenomeno e cosa in sé, reinterpretandola in maniera decisamente radicale. Diversamente da Platone e Kant, infatti, Schopenhauer pone come principio del mondo la pulsione cieca ed irrazionale della volontà, alla quale ci si deve sottrarre mediante la noluntas , vale a dire l'annichilimento della stessa volontà che ci costituisce: «Non più volontà, non più rappresentazione, non più mondo». È a partire da se stesso, dunque, da questo "tesoro" che serba in sé e che si tratta soltanto di "portare alla luce", che Schopenhauer legge la propria esistenza, il suo isolamento, la sua misantropia, l'ambivalenza nei confronti del matrimonio, il suo non essere compreso dai "bipedes" (com'egli chiama gli altri uomini), la sua esigenza di disporre di tempo libero e il suo disprezzo verso la "società comune".
«Non appena ho cominciato a pensare, mi sono sentito diviso dal mondo» scrive Schopenhauer in maniera particolarmente incisiva, ribadendo come la filosofia sia per lui conoscenza di ciò che è profondo e che per questo non può che distinguersi dal sapere del mondo. E questa divisione diventa una specie di marchio di autenticità che giustifica la rinuncia ad una vita come le altre e, nello stesso tempo, assicura alla propria saggezza una sorta di immortalità. Ma forse questo continuo insistere e ritornare su questa esigenza e lo stesso tono perentorio e secco attraverso cui viene negato ogni ripensamento circa la possibilità di un commercio meno aspro con il mondo, lasciano trasparire qualcosa. In fondo, q uesti fogli scritti a partire dal 1821 avrebbero dovuto essere distrutti, secondo la volontà dell'autore, dopo la sua morte. O almeno così dichiarò Wilhelm von Gwinner, l'esecutore testamentario, che poi li copiò senza citarli nella sua biografia di Schopenhauer da dove furono recuperati attraverso un paziente lavoro filologico volto a separare ciò che era di von Gwinner da ciò che era di Schopenhauer.
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