venerdì 25 giugno 2004

«L'amore per la mamma è una droga»

Repubblica 25.6.04
Su "Science" il lavoro di due ricercatrici del Cnr: i topolini privi di "oppiacei endogeni" perdono l'attaccamento materno
L'amore per la mamma è una droga dalle cavie nuova scoperta shock
Lo studio potrà essere usato come indicazione sperimentale per capire meglio anche l'autismo
La sostanza che crea il legame con la madre viene prodotta pure per alleviare lo stress
di CLAUDIA DI GIORGIO


ROMA - L´amore per la mamma è un po´ come una droga? È quel che si potrebbe dedurre dall´esperimento effettuato da due ricercatrici italiane del Cnr e una del Cnrs francese, pubblicato sul numero di oggi della rivista americana "Science". Al centro dello studio c´è il legame di attaccamento tra madre e neonato, il cosiddetto "bonding", forse il più profondo dei vincoli biologici. Il meccanismo di formazione del bonding affascina gli scienziati da tempo (basti citare i famosi esperimenti di Konrad Lorentz con gli anatroccoli), ma da qualche anno alle classiche ricerche comportamentali si sono affiancati studi che vanno a caccia delle sostanze che determinano l´instaurarsi del legame.
Studiando un gruppo di topolini mutanti, Anna Moles e Francesca D´Amato, dell´Istituto di neuroscienze e psicobiologia del Cnr a Roma, in collaborazione con Brigitte Kieffer, hanno scoperto che tra queste sostanze giocano un ruolo di primissimo piano i cosiddetti oppiacei endogeni, molecole come le endorfine, che vengono prodotte naturalmente dal nostro organismo e che sono parenti strette di derivati dell´oppio come morfina o eroina. Il nostro corpo le produce come analgesici naturali e per alleviare lo stress, ma soprattutto per "premiare", associandoli a sensazioni di piacere, i comportamenti che hanno un valore adattativo, vale a dire che migliorano le capacità di sopravvivere e trasmettere i propri geni. E quale comportamento è più essenziale per un neonato dell´attaccamento alla madre, che nutre, protegge e rassicura?
Moles e D´Amato hanno messo alla prova l´importanza degli oppiacei nel bonding usando topi geneticamente modificati in modo tale da essere privi dei recettori "mu", le molecole con cui si legano sia le endorfine che la morfina. In pratica, sono topi che non reagiscono agli oppiacei. E, di conseguenza, nemmeno alla separazione dalla madre. Quando questa viene allontanata, normali topolini di 8 giorni squittiscono a lungo e disperatamente. I topolini mutanti della stessa età, al contrario, manifestano indifferenza, strillando poco o nulla. Inoltre, posti di fronte alla scelta tra un nido con l´odore della propria mamma e l´altro di un´estranea, ben due terzi dei topolini mutanti sono andati nel secondo.
La scoperta è un´importante indicazione sperimentale che «il cattivo funzionamento del sistema degli oppiacei naturali sia implicato nell´indifferenza sociale dei bambini autistici».

«America the beautiful»

Repubblica 25.6.04
Sbarcano in Europa i missionari del Silver Ring: predicano l'astinenza ai teen-ager
Dall'America l'anello della castità

La compagnia del "Silver Ring" ha convinto all´astinenza ben 22 mila giovani americani. Oggi sbarcano a Londra, ma l'accoglienza sembra fredda
I missionari dell'anello di castità
Dopo i proseliti in Usa, ora sfidano gli esuberanti teen-ager inglesi
L'iniziativa è di un sacerdote protestante L´obiettivo, evitare gravidanze minorili
di ENRICO FRANCESCHINI


UNA fede d'argento al dito di un adolescente, negli Stati Uniti, equivale a una cintura di castità: è una dichiarazione di astinenza dai rapporti sessuali. La moda del "Silver Ring" è nata qualche anno fa in America per combattere il fenomeno della gravidanza minorile: convincere i giovani che il modo più sicuro per non cadere in tentazione è un orgoglioso atto di rinuncia, la promessa di arrivare vergini al matrimonio. Lanciata da un sacerdote protestante, l'iniziativa ha avuto un certo successo nel profondo sud degli Usa, la regione più animata dal fervore dell'integralismo cristiano.
Ora però il movimento sbarca in Europa: a partire da oggi, una ventina di zelanti "missionari della fede argentata" cominciano una tournèe a Londra per convincere gli adolescenti d´Inghilterra a imitarli. Sono in programma conferenze, dibattiti, volantinaggi. Ma le aspettative sono piuttosto basse: i media britannici hanno ignorato o ridicolizzato l´idea, psicologi e assistenti sociali la criticano, i sondaggi indicano che le ragazze e i ragazzi d´oggi, nel Regno Unito, non si lasceranno persuadere dalla crociata per l´astinenza sessuale.
Gli Usa sono il paese sviluppato con il più alto tasso di gravidanza tra le donne al di sotto dei vent´anni: il 22 per cento. In Europa, la media è molto più bassa, intorno al 4-5 per cento, con la vistosa eccezione della Gran Bretagna, dove è del 13 per cento. Era dunque logico che il movimento per la castità, dopo avere conquistato l´America, provasse a fare altrettanto con il Regno Unito. Lo scetticismo con cui viene accolto ha sorpreso il fondatore del "Silver Ring", il reverendo statunitense Denny Pattyn: «Non capisco come sia possibile che un paese con un problema così serio non sia interessato a un metodo nuovo e promettente per risolverlo». A Londra, tuttavia, giornali ed esperti citano varie ragioni per spiegare il disinteresse. La prima è che la Gran Bretagna, a differenza degli Stati Uniti, è diventata negli ultimi decenni una nazione largamente secolarista, dove la religiosità è caratteristica di un´esigua minoranza: senza una forte convinzione religiosa è difficile farsi prendere dal fascino della castità. Un´altra è che la rivoluzione sessuale degli anni '60 ha definitivamente spazzato via ogni residuo del puritanesimo che caratterizzava l´era Vittoriana. Una terza ragione è che altri metodi per combattere la gravidanza minorile e il pericolo di malattie contratte sessualmente stanno avendo miglior esito: come l´educazione sessuale nelle scuole, la contraccezione, i consultori pubblici. «Far cambiare atteggiamento ai giovani è possibile, come dimostrano i progressi che abbiamo ottenuto nella lotta al fumo e all´ubriachezza al volante», osserva John Tripp, sociologo della Exeter University, «ma occorrono motivazioni valide».
Del resto anche negli Usa il successo del "Silver Ring" è relativo: ventimila giovani con l´anello dell´astinenza al dito sono poca cosa rispetto a una promiscuità sessuale dilagante. Recentemente il New York Times ha segnalato addirittura che nelle scuole medie superiori americane sta cadendo in disuso l´abitudine a corteggiarsi per avere il "boyfriend" o la "girlfriend", considerati poco "cool", cioè sorpassati, mentre è più di moda avere rapporti sessuali casuali senza alcun legame affettivo.

Repubblica 25.6.04
GLI ESPERTI
La verginità è un valore "di nicchia", ma i ragazzi preferiscono comunque aspettare
"Italiani, prima volta senza fretta"
Qui i missionari non avrebbero successo, ma sarebbe utile più informazione: nel 2002 le baby mamme sono state diecimila
di VERA SCHIAVAZZI


ROMA - Invitare i giovani italiani alla castità? Non serve, grazie. In molti casi ci pensano da soli, rinviando il momento del primo rapporto sessuale (oggi, in media, collocato in Italia tra i 17 e i 18 anni per i maschi e tra i 18 e i 19 per le ragazze) e, comunque, affrontando il sesso in modo assai più rilassato delle generazioni che li hanno preceduti. Castità e verginità sono invece per i ventenni italiani un valore «di nicchia», collegato a particolari comunità o appartenenze, magari anche al desiderio di andare controcorrente. Un impulso rispettabile, ma non più così attuale visto che, sul fronte opposto, si è allentata in tutta Europa quella pressione sociale che fino a cinque, dieci anni fa faceva sentire profondamente a disagio soprattutto le giovani donne che a 18 o vent´anni non avevano ancora provato un rapporto sessuale completo.
Lo spiega Franco Garelli, il sociologo torinese che da sempre si occupa di adolescenti e di giovani, e lo confermano numerose ricerche, a cominciare da quella, condotta da lui stesso, «I giovani, il sesso e l´amore». «Dal nostro campione di interviste, realizzate soprattutto a Napoli, Bologna e Torino, è emerso che soltanto il 5 per cento non ha ancora avuto rapporti tra i 20 e i 24 anni - spiega il docente - circa la metà del gruppo ha perso la verginità tra i 17 e i 19 anni, con una differenza di un anno tra maschi e femmine: le ragazze in genere aspettano un po´ di più». Ma che cosa hanno detto gli intervistati giudicando dopo mesi o anni quel primo approccio col sesso? «Soprattutto le ragazze, pur non dichiarandosi "pentite" e non attribuendo un particolare valore alla verginità perduta hanno espresso sovente un po´ di rammarico perché l´esperienza non era stata poi così bella». Ed è proprio questo effetto-ripensamento che spinge molti giovani non tanto a restare vergini a lungo, quanto a lasciar passare un periodo non breve prima di ricominciare.
Più dei missionari di "Silver Ring Thing", comunque, ai ragazzi e soprattutto alle ragazze italiane gioverebbe maggiore informazione: nel 2002, i bambini nati da minorenni sono stati poco meno di diecimila, mentre le interruzioni di gravidanza prima dei 18 anni autorizzate dai Tribunali sono state 4 mila, cioè più del 7 per cento del totale secondo i dati diffusi da «Sos Donna». Commenta Tilde Gianni Gallino, docente di Psicologia dell´età evolutiva: «Non stupisce che un movimento in favore della castità si sviluppi in America, dove è molto forte l´influenza della collettività sui singoli e dove, d´altro canto, le quattordicenni diventano spesso drop out in seguito ad una gravidanza precoce e rappresentano un serio problema sociale. Ma in Italia è molto diverso: da un lato i rapporti non sono così precoci, dall´altro i ragazzi ci arrivano dopo esperienze sessuali mediate, in qualche modo "contrattate" dalle ragazze che oggi hanno più consapevolezza e più potere di un tempo».
Repubblica 24.6.04 segnalato da Licia Pastore

TRASTEVERE
E a piazza San Cosimato comincia il restyling


Tra due mesi, il via ai lavori per riqualificare lo slargo
Piazza San Cosimato, tra due mesi iniziano i lavori di riqualificazione. Il Comune ha infatti appena pubblicato l´avviso di gara d´appalto, che verrà aggiudicata il prossimo 21 luglio. Poi un mese per le verifiche dei requisiti, infine il cantiere, che rimarrà aperto per un anno. Durante gli interventi, i banchi verranno trasferiti in un´area vicina, probabilmente via dei Veneziani, che dunque sarà chiusa alle auto in orario di mercato dalle 8 alle 14.
«Si tratta di un intervento importante - ricorda l´assessore alle Attività produttive Daniela Valentini, che ha lavorato al progetto insieme all´assessore al Territorio Roberto Morassut - La riqualificazione mette insieme il rispetto per una zona storica di pregio e le esigenze della vita quotidiana».
A vincere il concorso per la progettazione definitiva ed esecutiva della piazza sono stati gli architetti Lorenzo Pignatti Morano e Federica Ottone, che l´hanno spuntata su 76 gruppi di partecipanti. Ora, gli interventi restituiranno a Trastevere una piazza rinnovata, in gran parte pedonale, libera e fruibile di pomeriggio grazie ai banchi mobili, 20 su 28 complessivi, tutti ripensati con un diverso design, in legno lamellare, montati su una pedana sempre di legno.
Il mercato resterà nella parte nord della piazza, mentre al centro, intorno al grande platano, verranno allestiti verde, panchine e zone d´ombra, per permettere la chiacchiera e il riposo. Un nuovo spazio giochi completerà l´opera, insieme ad una migliore illuminazione e al ripristino dell´accesso al cortile della chiesa di san Cosimato, dove si trovano il centro anziani e un giardino.
Il progetto di sistemazione della piazza è stato fortemente voluto dal presidente del primo municipio Giuseppe Lobefaro e dai residenti, che hanno espresso suggerimenti e segnalazioni attraverso le associazioni del rione.
(ce.ge)

un caso:
l’ultimo «matto» di Collegno

LA STAMPA 25 Giugno 2004
GENOVESE, LAUREATO IN FILOSOFIA, QUANDO LA LEGGE CANCELLÒ GLI OSPEDALI PSICHIATRICI RIFIUTÒ UNA CASA ALLOGGIO
Addio all’ultimo «matto» di Collegno
Morto a 69 anni: non ha mai voluto lasciare il manicomio
di Marco Neirotti


Io me ne andrò di qui soltanto quando mi avrete restituito i vent’anni di vita che mi avete preso». Insieme con la sofferenza c’è una cascata di dignità nella disfida di C.R. Viveva da vent’anni nel manicomio di Collegno quando - 1994 - si arrivò alle ultime dimissioni dei malati psichiatrici, verso casa, verso parenti, verso comunità e case famiglia. Lui li guardava partire, come si sconta un addio e si augura una speranza. E, intanto, si aggrappava al suo nido: «Non ho chiesto io di venirci, mi ci avete portato e adesso voglio rimanerci. Cambiare idea e metterci fuori è troppo comodo».
Se n’è andato tre giorni fa. Sdraiato in una bara, distrutto dalle 80 sigarette al giorno che gli hanno fatto compagnia di giorno e di notte. L’ultimo superstite di una stagione finita da tempo, da quando la legge 180 promossa da Franco Basaglia trovò applicazione definitiva: signori, si chiude. C.R. - forte e debole - quel «si chiude» non lo voleva sentire. Gli fecero vedere un minialloggio curato e pulito in Grugliasco. Rispose no. La soluzione trovata da uno psicologo che gli voleva bene fu un angolo dell’appartamento che un tempo occupava il prete dell’ospedale. Si rintanò lì con i suoi libri: da San Tommaso a Kant, da Shopenhauer agli utopisti (Campanella, Moro, Bacone), da Freud a Jung. E poi poesia, narrativa, storia.
Questo paladino - suo malgrado - della vecchia istituzione manicomiale nasce nel 1935 a Genova, ultimo di cinque figli. A sei anni assiste ai lamenti dell’agonia della madre. Affronta crisi di panico e poi, perso in sue nebbie, forse per esorcizzare quel dolore, decide che sua madre a tutti gli effetti è la sorella quindicenne. Frequenta il liceo classico, si laurea in filosofia, è un ottimo insegnante. Ha una cattedra in un liceo. Ma all’inizio degli anni ‘70 accade qualcosa.
Si parla di bombe atomiche, fine del mondo. Lui si rifugia in una casa di campagna, si nasconde tra il materasso e la rete per evitare le radiazioni. Rimane lì immobile per giorni, senza mangiare e bere, in attesa dell’Evento. Finché non lo trovano. E’ il primo ricovero coatto. In ospedale incontra il dottor Annibale Crosignani. Insieme discutono del concetto di tempo, che lui filtra attraverso Bergson, Claudel. E’ una bella sfida fra persone di cultura. Tanto da far sì che possa tornare a casa. Si circonda di libri. Un altro delirio lo assale: l’avvelenemanto. E’ il tormento che lo assilla giorno dopo giorno. «Arrivammo a nutrirlo per flebo, perché era ossessionato dal veleno».
A Collegno ci sono in quel periodo duemila malati e lui va e viene per i reparti, incontra i parenti dei ricoverati, dà consigli, scrive lettere a casa per conto terzi, «addirittura faceva i compiti per i figli degli infermieri», ricorda Crosignani. Quest’uomo gentile, in alternanza fra delirio e realtà, sfida l’istituzione: «Voglio vedere la mia cartella clinica, è mio diritto». Trent’anni prima del consenso informato. Perché? «Perché voi medici scrivete solo antitifo, quattro vaccini e via. La voglio completa per quando la troveranno, così come forse si troverà quella di Nietzsche». Controlla ed è rasserenato. Ha voglia di fare. Gli affidano la biblioteca dell’ospedale: «Fu straordinario - dice Crosignani - ci ritrovammo con tutto catalogato, ordinato. Ci telefonava a casa: lei, dottore, ha preso un dizionario di psicologia che appartiene all’istituzione». C.R. è uguale e opposto al Frank Drummer dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, che all’ingorgo di sentimenti che non riesce a esprimere reagisce studiando a memoria l’Enciclopedia Britannica. Per lui, invece, il libro viene prima, viene prima della schizofrenia paranoide.
«Di qui me ne vado quando mi restituite quegli anni». L’altro matto, più «matto» di lui, cioé il professor Crosignani, ha una bella pensata: deve tenere un corso agli infermieri sugli effetti collaterali degli psicofarmaci e presenta il professor C.R., gli lascia la parola. Ascoltano, prendono appunti, lui è preciso, dettagliato, quasi commosso. Nessuno specialista in neuropsicofarmacologia può dissertare con tanta dovizia di particolari. Tanto che quando il malato chiede un certificato per la pensione, lo psichiatra replica: «Scrivilo tu. Se è corretto lo firmo». Firma arrivata. «Mi obbligava a ragionare», dice oggi Crosignani.
Ci crederanno in pochi che era un paziente a parlare agli studenti. Ma quel paziente teme la solitudine, guarda l’enorme Certosa svuotarsi. Quando la legge 180 apre i cancelli, Crosignani va sul territorio, fino al primariato alle Molinette. Lui, il filosofo dolce e disponibile che ha paura di essere avvelenato, si sente tradito: «Lei se n’è andato, mi ha lasciato solo». E’ il lavoro, gli spiega, è la legge. «Non ho chiesto io di venire qui. Per vent’anni mi avete cercato i segreti, mi avete scavato le perle nel cuore e poi addio».
E rimane lì, con la sua tenacia, con lo sguardo cupo verso il cibo. Finché un male del corpo e non della mente se lo porta via, il tenente Drogo che vola dal Deserto dei tartari di Buzzati alle «antiche scale» di Tobino, guardiano paziente, memoria di una rivoluzione psichiatrica.
Al camposanto erano pochi: lo psichiatra Crosignasni e un altro specialista, uno psicologo, la sorella, due infermiere, un altro malato, forse lo stesso che gli teneva in ordine la stanza. Uscendo, Crosignani ha detto: «A volte gli domandavo: secondo te che dovrei fare? Ci aiutava a sfuggire alla logica dello specialista, del tapis roulant delle cure. Per noi lui è stato un paziente, un amico, un maestro».

Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin (1870 - 1924)

Corriere della Sera 25.6.04
Per un medico israeliano il leader comunista avrebbe contratto la sifilide prima della rivoluzione
Il mal d’amore, ultima ipotesi su Lenin
di St. B.


Sifilide: sarebbe solo questa la diagnosi da scrivere sulla cartella clinica di Lenin. Diagnosi che continua a sembrare scomoda per il padre della rivoluzione bolscevica, ancora più scomoda se si pensa che (all’epoca) il governo sovietico si era impegnato in «un’intensa campagna» per rimuovere quella che nella Russia degli zar era stata a lungo considerata una vera e propria piaga. L’ipotesi formulata da un’équipe di medici israeliani (poi rimbalzata sull’European Journal of Medicine e sul New York Times) non è, comunque, nuova: ma quello realizzato da Vladimir Lerner, capo del dipartimento di psichiatria del Bèer Sheva Mental Health Center è con tutta probabilità «lo studio più completo e convincente» mai realizzato sull’argomento. A supporto della propria tesi, Lerner cita (tra l’altro) il fatto che Lenin (1870-1924) fosse stato curato con il salvarsan, farmaco che al tempo veniva utilizzato in pratica esclusivamente per combattere la sifilide. E a confermare la sua ipotesi arriva il commento di Deborah Hayden, storica della medicina (e della sifilide in particolare) che ricorda come «alcuni biografi di Lenin avessero riferito che i suoi medici curanti già sospettassero questa patologia, anche se nessuno aveva mai messo insieme tutte le informazioni sul caso».
Ma quando Lenin avrebbe contratto la sifilide? Secondo i medici israeliani, con tutta probabilità, il contagio sarebbe avvenuto nell’Europa degli anni precedenti alla Rivoluzione d’ottobre e tutto sarebbe nato da un rapporto sessuale. Lenin avrebbe combattuto a lungo con gli effetti di una malattia allora considerata incurabile e che con l’andar del tempo avrebbe manifestato sintomi sempre più «devastanti e dolorosi». Anche dal punto di vista politico visto che, secondo Lerner, sarebbe stata sempre colpa della sifilide (che presenta anche complicazione cerebrali) se Lenin sarebbe stato incapace di esprimere una posizione coerente e una guida forte proprio «nel periodo in cui Stalin complottava per prendere il controllo del Partito comunista».
Ma non tutti sono così sicuri come Lerner e la sua équipe. Innanzitutto sembra mancare proprio quella prova certa che potrebbe venire solamente nel caso in cui fosse concessa «la possibilità di accedere» al cervello di Lenin, attualmente tagliato a fettine e gelosamente conservato in un istituto scientifico di Mosca. Possibilità remotissima (se non da escludere in modo assoluto) visto che le autorità locali hanno già fatto sapere «di non avere alcuna intenzione di svolgere test ed esami del Dna sulla materia cerebrale di Lenin».
Eppure i medici israeliani restano sicurissimi: «Se si prende l’intero caso Lenin - arrivano a dire -, si cancella il suo nome dalla cartella clinica e la si mostra ad un neurologo, questo parlerà subito di sifilide». Caso mai, si potrà utilizzare uno dei tanti eufemismi (come «malattia del marinaio») che hanno da sempre mascherato un «male» tanto irrispettoso da colpire persino Lenin.