Chiudere il baule dei ricordi
per rimuovere sofferenza e dolore
di Roberta Giommi
Per molte persone il lavoro della psicoterapia è rappresentato dalla memoria, dall’affiorare dei ricordi dolorosi e nascosti, dallo svelamento del trauma che era stato cancellato per difendersi dal dolore o dall’orrore, e che da questo luogo lontano, ha prodotto segretamente patologia.
Attualmente il lavoro di ricerca delle risposte e delle soluzioni può invece essere rappresentato dalla capacità di chiudere luoghi e pensieri che danneggiano la capacità di essere sereni e di vivere il futuro. Si procede nella prima seduta attraverso un ascolto neutro che permette alle persone di raccontare la loro storia come è ora organizzata dentro la testa, invitando a raccontare a modo proprio, senza essere preoccupati da verità oggettive.
La prima narrazione rappresenta il personale punto di vista, le evidenziazioni che ogni persona sente come importanti, lo stile ed il tono emotivo dei rapporti raccontati. Solo dopo questa fase si cerca insieme di ricostruire la storia, di evidenziare anche altri momenti, di costruire dei nuovi organizzatori della narrazione, che permettano di modificare la prospettiva.
In fase successiva si cerca di creare un disancoraggio tra la memoria opprimente del dolore e dei torti e la costruzione di pensieri nuovi. La visita della memoria serve a collocare in senso cronologico i tempi dove il malessere si è prodotto ed è in questa seconda fase che inizia la costruzione dei nuovi progetti. Il tuffo nel passato viene usato come modo per distanziarlo dal presente, per renderlo definitivamente alle spalle, per capire che la vita è andata avanti, che ci sono handicap che hanno trovato una soluzione, che spesso il dolore e la malattia psicologica hanno prodotto risorse. C’è un momento della terapia in cui si ordinano i contenuti della memoria, si ristruttura la loro importanza e si chiude il baule dei ricordi.
Simbolicamente i ricordi non saranno autorizzati a condizionare il presente: separarsi dalle memorie dolorose, capire che è lecito dimenticare e guardare avanti, è una fase fondamentale della guarigione. Non si può lasciare la nostra vita nelle mani del persecutore, delle persone e degli eventi che hanno costruito le tracce del nostro dolore. C’è un momento della terapia in cui si aprono le mani e si lasciano cadere i pensieri e le persone che ci imprigionano al nostro passato. Un momento in cui si libera il cuore dalla pesantezza di presenze che lo hanno occupato senza regalare salute.
* Istituto internazionale di Sessuologia, Firenze
(www.irfsessuologia.org)
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 3 luglio 2003
SAD
La Repubblica Salute 3.7.03
Il "disturbo affettivo stagionale" colpisce d’inverno
ruolo della luce
Una grigia giornata di dicembre può provocare in tutti un po’ di malinconia, ma per alcune persone l’arrivo dell’inverno segna l’appuntamento con la depressione. I sintomi iniziano con l’autunno, quando le giornate cominciano ad accorciarsi, raggiungono l’apice in gennaio e febbraio per poi scomparire con la primavera. E’ il disturbo affettivo stagionale (SAD). Colpisce soprattutto le donne ed è caratterizzato da sintomi depressivi atipici: aumento dell’appetito e del peso, stanchezza cronica e tante ore passate a dormire. In molti casi il disagio è tale da limitare le normali attività sociali e professionali.
Le cause non sono conosciute, ma si ritiene che il disturbo affettivo stagionale possa essere favorito dalla conseguenze sulla biochimica cerebrale della minore esposizione alla luce solare nei mesi invernali. La terapia consiste nell’esposizione alla luce (fototerapia).
Il "disturbo affettivo stagionale" colpisce d’inverno
ruolo della luce
Una grigia giornata di dicembre può provocare in tutti un po’ di malinconia, ma per alcune persone l’arrivo dell’inverno segna l’appuntamento con la depressione. I sintomi iniziano con l’autunno, quando le giornate cominciano ad accorciarsi, raggiungono l’apice in gennaio e febbraio per poi scomparire con la primavera. E’ il disturbo affettivo stagionale (SAD). Colpisce soprattutto le donne ed è caratterizzato da sintomi depressivi atipici: aumento dell’appetito e del peso, stanchezza cronica e tante ore passate a dormire. In molti casi il disagio è tale da limitare le normali attività sociali e professionali.
Le cause non sono conosciute, ma si ritiene che il disturbo affettivo stagionale possa essere favorito dalla conseguenze sulla biochimica cerebrale della minore esposizione alla luce solare nei mesi invernali. La terapia consiste nell’esposizione alla luce (fototerapia).
bulimia
Il Corriere della Sera 3.7.03
Bulimia, nascono gli «Overeaters Anonimo»
La notizia è di pochi giorni fa: in Messico, un club vacanze esclusivo, ha rivoluzionato gli arredi per accogliere la sempre più numerosa clientela oversize: sedie e letti rinforzati, porte più ampie, vasche su misura. Ma un conto sono le persone che la natura ha voluto corpulente, un conto è il preoccupante aumento di obesità patologica. Le persone che non hanno un rapporto equilibrato con il cibo vivono un vero dramma che annienta tutto: la quotidianità, il piacere della vita, le relazioni con gli altri. Chi vive questa condizione non aspira a una poltrona più comoda, ma a una vita tranquilla. Il cibo diventa come il vino per l’alcolista: l'amico-nemico, cercato ma odiato. La dipendenza è simile, come simile è la distruzione che crea. Per questo è nato, sul modello degli Alcolisti Anonimi, «Overeater Anonimous» (via Vignoli 35, tel. 02.40.78.803), gruppo di aiuto per le persone con problemi compulsivi verso il cibo (non solo oversize quindi, ma anche anoressici e bulimici). «Il programma si basa su dodici passi - racconta Stefania, responsabile dei rapporti con l’esterno di OA - da seguire poco per volta, fino ad arrivare all’astinenza. Non dal cibo in generale, è ovvio, ma da quegli alimenti che vengono individuati come staffette di partenza del meccanismo dell'abbuffata. Poi si passa al recupero. La frequenza agli incontri settimanali - precisa - non esclude la psicoterapia o le visite specialistiche, che incoraggiamo quando ne vediamo la necessità». Il lavoro di gruppo è, comunque, terapeutico e dà risultati, tanto da aver attirato l’anno scorso, a Roma e a Milano dove ci sono più gruppi, l'attenzione di medici e psicologi che dopo aver frequentato alcune riunioni hanno espresso parere favorevole. (Marta Ghezzi)
Bulimia, nascono gli «Overeaters Anonimo»
La notizia è di pochi giorni fa: in Messico, un club vacanze esclusivo, ha rivoluzionato gli arredi per accogliere la sempre più numerosa clientela oversize: sedie e letti rinforzati, porte più ampie, vasche su misura. Ma un conto sono le persone che la natura ha voluto corpulente, un conto è il preoccupante aumento di obesità patologica. Le persone che non hanno un rapporto equilibrato con il cibo vivono un vero dramma che annienta tutto: la quotidianità, il piacere della vita, le relazioni con gli altri. Chi vive questa condizione non aspira a una poltrona più comoda, ma a una vita tranquilla. Il cibo diventa come il vino per l’alcolista: l'amico-nemico, cercato ma odiato. La dipendenza è simile, come simile è la distruzione che crea. Per questo è nato, sul modello degli Alcolisti Anonimi, «Overeater Anonimous» (via Vignoli 35, tel. 02.40.78.803), gruppo di aiuto per le persone con problemi compulsivi verso il cibo (non solo oversize quindi, ma anche anoressici e bulimici). «Il programma si basa su dodici passi - racconta Stefania, responsabile dei rapporti con l’esterno di OA - da seguire poco per volta, fino ad arrivare all’astinenza. Non dal cibo in generale, è ovvio, ma da quegli alimenti che vengono individuati come staffette di partenza del meccanismo dell'abbuffata. Poi si passa al recupero. La frequenza agli incontri settimanali - precisa - non esclude la psicoterapia o le visite specialistiche, che incoraggiamo quando ne vediamo la necessità». Il lavoro di gruppo è, comunque, terapeutico e dà risultati, tanto da aver attirato l’anno scorso, a Roma e a Milano dove ci sono più gruppi, l'attenzione di medici e psicologi che dopo aver frequentato alcune riunioni hanno espresso parere favorevole. (Marta Ghezzi)
depressione post partum
La Repubblica Salute 3.7.03
E dopo il parto arriva molto spesso il "baby blues"
Crisi di pianto, irritabilità, malinconia, stanchezza, ansia nei confronti del bambino: è il "baby blues". Insorge pochi giorni dopo il parto e ne soffre oltre il 70% delle mamme e scompare spontaneamente nell’arco di poche settimane.
Per alcune donne, invece, al parto segue un grave episodio depressivo. L’insorgenza è in genere brusca (nelle prime quattro settimane dopo il parto) ma può anche avvenire più tardivamente (entro un anno dalla nascita). Ansia, attacchi di panico, insonnia, irritabilità, disturbi dell’appetito, pensieri negativi di malattia e di morte, comportamenti ossessivi, confusione mentale, sono i sintomi più comuni. La mamma, spesso molto giovane o piuttosto attempata, tende a chiudersi in se stessa, prova ostilità per il partner e vive con angoscia il rapporto con il proprio bambino. Raramente diventa una psicosi con disorientamento, agitazione, rallentamento psicomotorio e impulsi infanticidi.
E dopo il parto arriva molto spesso il "baby blues"
Crisi di pianto, irritabilità, malinconia, stanchezza, ansia nei confronti del bambino: è il "baby blues". Insorge pochi giorni dopo il parto e ne soffre oltre il 70% delle mamme e scompare spontaneamente nell’arco di poche settimane.
Per alcune donne, invece, al parto segue un grave episodio depressivo. L’insorgenza è in genere brusca (nelle prime quattro settimane dopo il parto) ma può anche avvenire più tardivamente (entro un anno dalla nascita). Ansia, attacchi di panico, insonnia, irritabilità, disturbi dell’appetito, pensieri negativi di malattia e di morte, comportamenti ossessivi, confusione mentale, sono i sintomi più comuni. La mamma, spesso molto giovane o piuttosto attempata, tende a chiudersi in se stessa, prova ostilità per il partner e vive con angoscia il rapporto con il proprio bambino. Raramente diventa una psicosi con disorientamento, agitazione, rallentamento psicomotorio e impulsi infanticidi.
180
La Repubblica Salute, 3.7.03
Non usate i "matti" come arma politica
di Guglielmo Pepe
Può un delitto far tornare indietro il paese di trent’anni? Perché ogni volta che avviene una dolorosa tragedia, con protagonista una persona mentalmente squilibrata, riemergono atteggiamenti forcaioli? Per rispondere a queste domande, bisognerebbe scavare a fondo su alcuni lati oscuri della società e della cultura italiana, quelli dove non esistono parole come perdono, riscatto, riabilitazione, bensì punizione, repressione, costrizione. Luoghi nei quali non esiste politica e cultura dell’accoglienza, ma rifiuto della diversità, della malattia, ghettizzazione.
Così, periodicamente, rileggiamo provocazioni del tipo "ritorniamo a legare i matti" (credendo che in tal modo scomparirebbero le ansie, le paure, i problemi delle famiglie dei mentalmente disturbati). Oppure si mettono sotto accusa le Asl, psicologi e psichiatri che vi lavorano, che "abbandonano" i pazienti, che non li seguono, che li lasciano al loro destino. O, ancora, si spara a zero contro la legge 180, quella voluta da un uomo di valore, Franco Basaglia, e che ha segnato una svolta radicale nella gestione dei disturbi psichiatrici, eliminando per sempre i manicomi.
L’esperienza applicata grazie alla legge, racconta invece che il mondo del malato di mente ha avuto una incredibile trasformazione. E racconta altresì che migliaia e migliaia di persone sono tornate a vivere, grazie alla possibilità di confrontarsi con gli altri, di affrontare la comunità, di misurarsi con le difficoltà che presenta (anche per chi è "sano") la società moderna. Ciò non toglie nulla alle giuste rimostranze dei parenti che devono farsi carico di chi ha problemi gravissimi. Per le famiglie è "un inferno" e il loro grido di dolore merita di essere ascoltato con attenzione e riguardo. Ciò che disturba è il tentativo di strumentalizzazione politica delle tragedie famigliari: avviene con i "drogati", avviene con i "matti".
A noi comunque piace il confronto delle idee, la verifica delle situazioni, i cambiamenti. Perciò potete leggere (alle pagine 28 e 29) una "zoomata" sulla 180 e il dibattito che l’accompagna, con l’opinione di chi vorrebbe riformare la legge e il racconto di un’esperienza milanese che sicuramente piacerebbe a Basaglia.
Non usate i "matti" come arma politica
di Guglielmo Pepe
Può un delitto far tornare indietro il paese di trent’anni? Perché ogni volta che avviene una dolorosa tragedia, con protagonista una persona mentalmente squilibrata, riemergono atteggiamenti forcaioli? Per rispondere a queste domande, bisognerebbe scavare a fondo su alcuni lati oscuri della società e della cultura italiana, quelli dove non esistono parole come perdono, riscatto, riabilitazione, bensì punizione, repressione, costrizione. Luoghi nei quali non esiste politica e cultura dell’accoglienza, ma rifiuto della diversità, della malattia, ghettizzazione.
Così, periodicamente, rileggiamo provocazioni del tipo "ritorniamo a legare i matti" (credendo che in tal modo scomparirebbero le ansie, le paure, i problemi delle famiglie dei mentalmente disturbati). Oppure si mettono sotto accusa le Asl, psicologi e psichiatri che vi lavorano, che "abbandonano" i pazienti, che non li seguono, che li lasciano al loro destino. O, ancora, si spara a zero contro la legge 180, quella voluta da un uomo di valore, Franco Basaglia, e che ha segnato una svolta radicale nella gestione dei disturbi psichiatrici, eliminando per sempre i manicomi.
L’esperienza applicata grazie alla legge, racconta invece che il mondo del malato di mente ha avuto una incredibile trasformazione. E racconta altresì che migliaia e migliaia di persone sono tornate a vivere, grazie alla possibilità di confrontarsi con gli altri, di affrontare la comunità, di misurarsi con le difficoltà che presenta (anche per chi è "sano") la società moderna. Ciò non toglie nulla alle giuste rimostranze dei parenti che devono farsi carico di chi ha problemi gravissimi. Per le famiglie è "un inferno" e il loro grido di dolore merita di essere ascoltato con attenzione e riguardo. Ciò che disturba è il tentativo di strumentalizzazione politica delle tragedie famigliari: avviene con i "drogati", avviene con i "matti".
A noi comunque piace il confronto delle idee, la verifica delle situazioni, i cambiamenti. Perciò potete leggere (alle pagine 28 e 29) una "zoomata" sulla 180 e il dibattito che l’accompagna, con l’opinione di chi vorrebbe riformare la legge e il racconto di un’esperienza milanese che sicuramente piacerebbe a Basaglia.
psicofarmaci, "una società senza emozioni"
Il Gazzettino di Venezia Giovedì, 3 Luglio 2003
Arriva sugli schermi una pellicola ambientata in una società dove i sentimenti sono annullati da un medicinale
"Equilibrium", il futuro senza emozioni
Lo psichiatra: «Somiglia molto alla realtà. 12 milioni di italiani prendono psicofarmaci»
Roma. Una società senza dolore, senza né alti né bassi emotivi e dove tutta l'umanità è, grazie a un farmaco, in perfetta anodina calma. È "Equilibrium", il thriller di Kurt Wimmer (sceneggiatore di "La regola del sospetto") ambientato nel futuro.
Solo futuro? C'è chi dice, come lo psichiatra Raffaele Morelli: «attenzione è quello che già accade oggi».
Ecco la trama del film intepretato da Christian Bale, Emily Watson e Taye Diggs e che sarà nelle sale l'11 luglio distribuito da Buena Vista: nella nazione chiamata Libria, regna la più rassicurante pace fra gli uomini. Le regole del sistema libriano sono semplici: chi è felice, verrà arrestato, ma anche chi piange è perseguibile dalla legge come chi legge un libro o contempla un dipinto. A Libria tutto questo è possibile perché i cittadini assumono una dose quotidiana di un potente medicinale che blocca completamente i loro sentimenti e che dà a tutti lo stesso, fittizio, equilibrio.
Chi non obbedisce viene eliminato. Ma quando al funzionario governativo John Preston (Christian Bale) accade di "saltare" la sua dose quotidiana e scoprire all'improvviso un nuovo mondo di sensazioni sconosciute non sarà più possibile mantenere l'ordine e sarà l'inizio della lotta per una nuova libertà.
«Assomiglia molto al mondo di oggi - sottolinea ancora Morelli - dove 12 milioni di italiani prendono psicofarmaci e 4 sono totalmente dipendenti da questi. Siamo una cultura drogata dai farmaci - continua il direttore di "Psicosomatica" - stiamo diventando tutti atarassici anche perché ognuno cerca di diventare una fotocopia dell'altro». Non va meglio per Morelli sul fronte dell'estetica: «700 donne all'anno si sottopongono al lifting e tutto nel segno dell'uniformità per la voglia di apparire».
Per lo psichiatra, infine, «non sappiamo più stare con noi stessi, ci stordiamo continuamente, mentre, al contrario, le emozioni vanno vissute fino in fondo per maturare e crescere. Ora si parla - conclude Morelli - anche di farmaci capaci di alleviare le pene d'amore o dal fatto di essere stati abbandonati: sarebbe la fine, un modo per diventare davvero tutti zombi».
Arriva sugli schermi una pellicola ambientata in una società dove i sentimenti sono annullati da un medicinale
"Equilibrium", il futuro senza emozioni
Lo psichiatra: «Somiglia molto alla realtà. 12 milioni di italiani prendono psicofarmaci»
Roma. Una società senza dolore, senza né alti né bassi emotivi e dove tutta l'umanità è, grazie a un farmaco, in perfetta anodina calma. È "Equilibrium", il thriller di Kurt Wimmer (sceneggiatore di "La regola del sospetto") ambientato nel futuro.
Solo futuro? C'è chi dice, come lo psichiatra Raffaele Morelli: «attenzione è quello che già accade oggi».
Ecco la trama del film intepretato da Christian Bale, Emily Watson e Taye Diggs e che sarà nelle sale l'11 luglio distribuito da Buena Vista: nella nazione chiamata Libria, regna la più rassicurante pace fra gli uomini. Le regole del sistema libriano sono semplici: chi è felice, verrà arrestato, ma anche chi piange è perseguibile dalla legge come chi legge un libro o contempla un dipinto. A Libria tutto questo è possibile perché i cittadini assumono una dose quotidiana di un potente medicinale che blocca completamente i loro sentimenti e che dà a tutti lo stesso, fittizio, equilibrio.
Chi non obbedisce viene eliminato. Ma quando al funzionario governativo John Preston (Christian Bale) accade di "saltare" la sua dose quotidiana e scoprire all'improvviso un nuovo mondo di sensazioni sconosciute non sarà più possibile mantenere l'ordine e sarà l'inizio della lotta per una nuova libertà.
«Assomiglia molto al mondo di oggi - sottolinea ancora Morelli - dove 12 milioni di italiani prendono psicofarmaci e 4 sono totalmente dipendenti da questi. Siamo una cultura drogata dai farmaci - continua il direttore di "Psicosomatica" - stiamo diventando tutti atarassici anche perché ognuno cerca di diventare una fotocopia dell'altro». Non va meglio per Morelli sul fronte dell'estetica: «700 donne all'anno si sottopongono al lifting e tutto nel segno dell'uniformità per la voglia di apparire».
Per lo psichiatra, infine, «non sappiamo più stare con noi stessi, ci stordiamo continuamente, mentre, al contrario, le emozioni vanno vissute fino in fondo per maturare e crescere. Ora si parla - conclude Morelli - anche di farmaci capaci di alleviare le pene d'amore o dal fatto di essere stati abbandonati: sarebbe la fine, un modo per diventare davvero tutti zombi».
psichiatria: l'OMS sulla situazione in Italia
La Repubblica Salute 3.7.03
PSICHIATRA , IL NODO DELLA RIFORMA RIMANE IL RIFIUTO DEL SOSTEGNO MEDICO
"Rapporto Oms molto duro sull’assistenza"
di Tonino Cantelmi*
L’ultimo Rapporto sulla Salute Mentale nel Mondo elaborato dall’OMS è davvero duro verso l’Italia. Eppure sembra che nessuno se ne sia accorto. (…) Di fatto, benché la maggior parte dei Paesi occidentali abbia cambiato negli ultimi anni la legislazione che regola l’assistenza psichiatrica, nessuno ha imitato tout court i nostri modelli. Ma cosa dice il Rapporto 2001 dell’OMS a proposito dell’Italia? Dice testualmente: «I pochi dati di cui si dispone sembrano indicare che sulle famiglie ricade il peso di una serie di cure che prima erano a carico delle strutture psichiatriche ospedaliere». Ecco il punto, negato da pervasive ideologie: alle famiglie, secondo l’OMS, è stato assegnato un carico insostenibile (…).
L’OMS però sostiene, a proposito dell’Italia, molte altre cose, che una certa veteropsichiatria finge di ignorare: «Inchieste recenti hanno mostrato che, nonostante l’introduzione di nuovi servizi, i malati difficilmente ricevono una farmacoterapia ottimale e che le terapie psicosociali scientificamente convalidate non sono ripartite equamente tra i servizi per la sanità mentale» (…). In altri termini dovrebbe finire la stagione dell’improvvisazione spacciata per creatività: è necessario adeguare la prassi terapeutica agli straordinari progressi delle neuroscienze e adeguare gli interventi a standard verificabili. «Nei casi di schizofrenia», prosegue il rapporto, «solo 1’8% delle famiglie beneficia di interventi psicoeducativi, nonostante questi ultimi siano considerati fondamentali per il trattamento della patologia in questione». Sorprendente! Solo 8 famiglie su cento ricevono un trattamento adeguato (…).
E’ assolutamente ineludibile la necessità di promuovere un reale miglioramento delle prestazioni erogate dai servizi attraverso forme di intervento che siano sottoposte a valutazioni di processo (cioè come vengono fatti gli interventi) e di esito (cioè quali risultati danno). Insomma i "malati" (come giustamente li chiama l’OMS, mentre in Italia abilmente cerchiamo eufemismi confusivi) (…) e le loro famiglie hanno il diritto di accedere non a cure "creative" ma a cure che corrispondano ai progressi ed alle conoscenze attuali. Infine nel Rapporto leggiamo una affermazione davvero gravissima per l’Italia: «I benefici ed i vantaggi per i malati che hanno seguito questo nuovo sistema sembrano potersi attribuire più alle cure delle famiglie che alle offerte dei servizi». E’ una dichiarazione che scardina ogni posizione conservatrice: i benefici ed i vantaggi eventualmente conseguiti dai malati non sono da attribuirsi alle offerte dei servizi ma alle cure delle famiglie! Da più parti è stato detto che il Rapporto promuove l’Italia. E’ l’ennesima falsificazione. (…) «Una legge che prevede una riforma non dovrà solamente stabilire degli orientamenti (come per l’Italia), ma dovrà essere normativa, vale a dire definire dei criteri minimi di assistenza, realizzare dei sistemi stabili di monitoraggio..., creare dei meccanismi centrali di verifica, controllo e comparazione della qualità dei servizi». Il Parlamento italiano sarà chiamato ad esprimersi su questi temi (…).
*Psichiatra, Univ. Gregoriana, Roma; Pres. Ass. It. Psicologi e Psichiatri Cattolici; Dir. Sc. Spec. Psicoterapia Cognitiva Interpersonale
La Repubblica Salute 3.7.03
QUATTRO PROPOSTE
Una "legge di assistenza psichiatrica ideale", secondo l’Oms, la nostra amataodiata 180, denominata Basaglia dallo psichiatra triestino che più di altri la volle: a 25 anni dall’approvazione è al centro di 4 proposte di revisione (BuraniProcaccini, testo base, Cè, Cento, Moroni). Polemiche mai sopite e ora legate al concetto di "obbligatorietà della cura", che ha a che fare con i diritti della persona e con i drammi familiari legati al rifiuto del malato a proseguire le terapie dopo il previsto "Trattamento d’urgenza" (Tso). Il testo Burani, rielaborato ad aprile, permette cure "a chi non sia in grado di rendersi conto anche temporaneamente del suo stato di malattia", ospedalizzazione e interventi su richiesta di familiari (accertata da specialisti). Tutto fermo da novembre, in Commissione parlamentare. E l’Arap, l’associazione che dall’’81 vuole la riforma, ha proposto a Roma un confronto europeo sui "trattamenti coercitivi del trattamento psichiatrico". Risultato: nuova legge e lotta allo stigma in Gran Bretagna, dibattito in Francia (drastico taglio di letti per i ricoveri), disomogeneità dei servizi nei lander tedeschi, questione dei diritti con la nuova Costituzione in Finlandia. E se il ministro della Salute Girolamo Sirchia, nel suo intervento, ha parlato di "battaglia ideologica che fa perdere di vista l’oggettività" e del bisogno di investire (ma dove trovare i soldi? ndr.), Luisa Zardini, presidente Arap, ha chiesto "strutture" e "assistenza alle famiglie". Mentre sul trionfalismo pro180 con "bollo" Oms s’è abbattuto il "provocatorio" intervento del professor Tonino Cantelmi (qui sopra).
Né è passato inosservato il saluto dell’associazione triestina dei familiari, a sottolineare che nella patria di Basaglia le cose non funzionano. Proprio lì dove le esperienze, sotto la guida di Giuseppe Dell’Acqua, sono più avanzate e aperte al dialogo con i familiari in chiave anticustodialista. Ultimo sforzo il "Manuale per i familiari" (Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia; Editori Riuniti). Muri, più che steccati ideologici.
(maurizio paganelli)
PSICHIATRA , IL NODO DELLA RIFORMA RIMANE IL RIFIUTO DEL SOSTEGNO MEDICO
"Rapporto Oms molto duro sull’assistenza"
di Tonino Cantelmi*
L’ultimo Rapporto sulla Salute Mentale nel Mondo elaborato dall’OMS è davvero duro verso l’Italia. Eppure sembra che nessuno se ne sia accorto. (…) Di fatto, benché la maggior parte dei Paesi occidentali abbia cambiato negli ultimi anni la legislazione che regola l’assistenza psichiatrica, nessuno ha imitato tout court i nostri modelli. Ma cosa dice il Rapporto 2001 dell’OMS a proposito dell’Italia? Dice testualmente: «I pochi dati di cui si dispone sembrano indicare che sulle famiglie ricade il peso di una serie di cure che prima erano a carico delle strutture psichiatriche ospedaliere». Ecco il punto, negato da pervasive ideologie: alle famiglie, secondo l’OMS, è stato assegnato un carico insostenibile (…).
L’OMS però sostiene, a proposito dell’Italia, molte altre cose, che una certa veteropsichiatria finge di ignorare: «Inchieste recenti hanno mostrato che, nonostante l’introduzione di nuovi servizi, i malati difficilmente ricevono una farmacoterapia ottimale e che le terapie psicosociali scientificamente convalidate non sono ripartite equamente tra i servizi per la sanità mentale» (…). In altri termini dovrebbe finire la stagione dell’improvvisazione spacciata per creatività: è necessario adeguare la prassi terapeutica agli straordinari progressi delle neuroscienze e adeguare gli interventi a standard verificabili. «Nei casi di schizofrenia», prosegue il rapporto, «solo 1’8% delle famiglie beneficia di interventi psicoeducativi, nonostante questi ultimi siano considerati fondamentali per il trattamento della patologia in questione». Sorprendente! Solo 8 famiglie su cento ricevono un trattamento adeguato (…).
E’ assolutamente ineludibile la necessità di promuovere un reale miglioramento delle prestazioni erogate dai servizi attraverso forme di intervento che siano sottoposte a valutazioni di processo (cioè come vengono fatti gli interventi) e di esito (cioè quali risultati danno). Insomma i "malati" (come giustamente li chiama l’OMS, mentre in Italia abilmente cerchiamo eufemismi confusivi) (…) e le loro famiglie hanno il diritto di accedere non a cure "creative" ma a cure che corrispondano ai progressi ed alle conoscenze attuali. Infine nel Rapporto leggiamo una affermazione davvero gravissima per l’Italia: «I benefici ed i vantaggi per i malati che hanno seguito questo nuovo sistema sembrano potersi attribuire più alle cure delle famiglie che alle offerte dei servizi». E’ una dichiarazione che scardina ogni posizione conservatrice: i benefici ed i vantaggi eventualmente conseguiti dai malati non sono da attribuirsi alle offerte dei servizi ma alle cure delle famiglie! Da più parti è stato detto che il Rapporto promuove l’Italia. E’ l’ennesima falsificazione. (…) «Una legge che prevede una riforma non dovrà solamente stabilire degli orientamenti (come per l’Italia), ma dovrà essere normativa, vale a dire definire dei criteri minimi di assistenza, realizzare dei sistemi stabili di monitoraggio..., creare dei meccanismi centrali di verifica, controllo e comparazione della qualità dei servizi». Il Parlamento italiano sarà chiamato ad esprimersi su questi temi (…).
*Psichiatra, Univ. Gregoriana, Roma; Pres. Ass. It. Psicologi e Psichiatri Cattolici; Dir. Sc. Spec. Psicoterapia Cognitiva Interpersonale
La Repubblica Salute 3.7.03
QUATTRO PROPOSTE
Una "legge di assistenza psichiatrica ideale", secondo l’Oms, la nostra amataodiata 180, denominata Basaglia dallo psichiatra triestino che più di altri la volle: a 25 anni dall’approvazione è al centro di 4 proposte di revisione (BuraniProcaccini, testo base, Cè, Cento, Moroni). Polemiche mai sopite e ora legate al concetto di "obbligatorietà della cura", che ha a che fare con i diritti della persona e con i drammi familiari legati al rifiuto del malato a proseguire le terapie dopo il previsto "Trattamento d’urgenza" (Tso). Il testo Burani, rielaborato ad aprile, permette cure "a chi non sia in grado di rendersi conto anche temporaneamente del suo stato di malattia", ospedalizzazione e interventi su richiesta di familiari (accertata da specialisti). Tutto fermo da novembre, in Commissione parlamentare. E l’Arap, l’associazione che dall’’81 vuole la riforma, ha proposto a Roma un confronto europeo sui "trattamenti coercitivi del trattamento psichiatrico". Risultato: nuova legge e lotta allo stigma in Gran Bretagna, dibattito in Francia (drastico taglio di letti per i ricoveri), disomogeneità dei servizi nei lander tedeschi, questione dei diritti con la nuova Costituzione in Finlandia. E se il ministro della Salute Girolamo Sirchia, nel suo intervento, ha parlato di "battaglia ideologica che fa perdere di vista l’oggettività" e del bisogno di investire (ma dove trovare i soldi? ndr.), Luisa Zardini, presidente Arap, ha chiesto "strutture" e "assistenza alle famiglie". Mentre sul trionfalismo pro180 con "bollo" Oms s’è abbattuto il "provocatorio" intervento del professor Tonino Cantelmi (qui sopra).
Né è passato inosservato il saluto dell’associazione triestina dei familiari, a sottolineare che nella patria di Basaglia le cose non funzionano. Proprio lì dove le esperienze, sotto la guida di Giuseppe Dell’Acqua, sono più avanzate e aperte al dialogo con i familiari in chiave anticustodialista. Ultimo sforzo il "Manuale per i familiari" (Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia; Editori Riuniti). Muri, più che steccati ideologici.
(maurizio paganelli)
depressione
La Repubblica Salute 3.7.03
DEPRESSIONE
Il difficile compito del camice bianco: capire di quale forma si tratta e trovare la cura appropriata
di Claudia Felici*
La paziente è tornata in studio anche oggi. Nell’ultimo mese è venuta spesso, lamentando stanchezza, dolori muscolari, mal di testa e una certa difficoltà a dormire. Tutti gli esami effettuati sono risultati nella norma, e apparentemente la signora non ha patologie. «Non sto bene per niente, non riesco a dormire e la mattina non vorrei mai alzarmi. A dire la verità non ho voglia di fare niente, anche le cose che di solito faccio volentieri mi sembrano faticosissime. Tutti mi dicono che devo reagire, ma io non ne sono capace»!
Molte persone soffrono di disturbi dell’umore e di depressione. Non tutti, però, si rivolgono al medico, sentendosi in colpa per i sentimenti che provano o temendo di essere etichettati come "malati di mente". Altri invece presentano una serie di disturbi vaghi e mal definibili, (astenia, dolori muscolari, disturbi addominali o respiratori, cefalea…) che costringono il medico ad avviare lunghe indagini cliniche per escludere malattie organiche.
Nell’incontro con il paziente si percepisce una grande sofferenza: l’atteggiamento è dimesso, sconsolato, il tono della voce monocorde, la mimica facciale ridotta, il pianto improvviso. L’umore è depresso, il morale a terra. Domina l’infelicità, la malinconia, il senso di colpa. Non ci sono progetti per il futuro e la vita di tutti giorni appare troppo pesante per essere vissuta. Il paziente ha perso l’energia vitale, non prova più piacere nel fare le cose che un tempo lo gratificavano, è sempre più isolato, distante dal partner, dai familiari e dagli amici. Si sente stanco senza motivo, già dal primo mattino, tanto che il letto è visto come un miraggio per tutta la giornata. Il sonno, però, è molto disturbato e il risveglio è precoce e accompagnato da pensieri dolorosi. Non è raro che il paziente riferisca di pensare spesso alla morte, a volte invocandola come unico rimedio alla propria sofferenza.
E’ molto importante che il medico ascolti attentamente e con tranquillità il paziente, cercando di favorire la comunicazione e indagando, con delicatezza, su eventuali propositi di suicidio. La consapevolezza di essere compreso aiuta il paziente ad aprirsi ed è il primo passo per accettare la diagnosi di depressione, senza viverla come sinonimo di follia o come una colpa.
Le cause della depressione non sono ancora del tutto conosciute. Sono molti i fattori che concorrono nel determinarla: predisposizione genetica, modificazioni chimiche della neurotrasmissione, fattori socioambientali, vissuti psicologici.
Le donne si ammalano più facilmente degli uomini (circa tre volte più frequentemente), probabilmente a causa di una complessa interazione tra fattori ormonali, psichici e sociali.
Anche negli anziani la depressione è un evento molto frequente (15% degli ultra 65enni), ma difficile da diagnosticare, per la difficoltà e il pudore a riferire sintomi di disagio affettivo e psichico. La depressione non fa parte del normale processo di invecchiamento e la sua insorgenza provoca un notevole peggioramento della qualità della vita e delle altre patologie concomitanti. Quando viene diagnosticata va tempestivamente trattata con dosi adeguate di farmaci, anche in presenza di gravi malattie croniche.
Il trattamento delle depressione si basa fondamentalmente sull’utilizzo di farmaci antidepressivi e sulla psicoterapia.
La terapia farmacologia non è indispensabile in tutte le circostanze. Depressione e ansia sono reazioni fisiologiche di adattamento che, se mantenute entro limiti accettabili di intensità e durata, non risultano dannose. In molte situazioni, quindi, risulta più utile e corretto aiutare il paziente a portare alla luce i motivi del suo malessere e a parlarne liberamente.
* Medico di base, Asl E, Roma
I tipi più diffusi?
Reattiva, maggiore e "pessimismo"
La patologia è una questione di intensità dei sintomi
Come in tutte le malattie che riguardano la mente e l’affettività, non è sempre possibile distinguere tra normalità e patologia, e nell’ambito della stessa condizione si possono presentare diversi livelli di gravità. Il medico di famiglia e lo psichiatra, attraverso gli strumenti di cui dispongono, devono comunque cercare di raggiungere una diagnosi il più possibile precisa, per poter instaurare una conseguente terapia appropriata.
Il disturbo depressivo maggiore consiste in uno o più periodi caratterizzati dalla contemporanea presenza, durante un arco di almeno due settimane, di umore depresso o perdita di interesse e di capacità di provare piacere, insieme con una significativa perdita di peso, aumento o diminuzione dell’appetito, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, sentimenti di colpa eccessivi o inappropriati, ridotta capacità di concentrazione, pensieri ricorrenti di morte. Il trattamento consiste sia nella terapia farmacologica che nella psicoterapia
Il disturbo depressivo maggiore deve essere accuratamente distinto dai disturbi depressivi bipolari (maniacale, ipomaniacale, ciclotimico) nei quali alle fasi depressive si alternano periodi di innalzamento abnorme dell’umore. I segnali caratteristici sono iperattività, disinibizione, perdita delle capacità critiche, con gravi conseguenze anche sul piano sociale. Queste forme particolari (a volte causate anche da malattie organiche o da farmaci e droghe), richiedono un trattamento complesso e specialistico. Anche in questo caso la distinzione con le oscillazioni dell’umore a cui tutti andiamo soggetti non passa attraverso una linea netta e precisa ma è solo una questione di intensità dei comportamenti.
La distimia invece è caratterizzata dal perdurare della sintomatologia depressiva, in forma lieve, continuativamente da almeno due anni, senza che si sia verificato un vero o proprio episodio depressivo maggiore. E’ un quadro di minore gravità ma caratterizzato da maggiore cronicità rispetto al disturbo depressivo maggiore. Spesso si manifesta già durante l’infanzia e l’adolescenza e molte persone non si rivolgono mai al medico, perché non sanno che il loro cattivo umore, il pessimismo, la tristezza di cui soffrono sono causati da una malattia curabile.
Una condizione comune è costituita dal disturbo dell’adattamento con umore depresso. E’ un episodio depressivo di entità lieve o moderata, conseguente ad un evento scatenante (licenziamento, pensionamento, separazione, o un sovraccarico di lavoro). La reazione depressiva può essere di breve durata ed estinguersi nel giro di pochi mesi oppure può evolvere verso una forma cronica, che deve essere trattata farmacologicamente o con la psicoterapia.
Il lutto non complicato, invece, è una comune reazione alla perdita di una persona cara. Una intensa fase depressiva è presente frequentemente, ma il paziente la vive come un evento normale, rivolgendosi la medico solitamente per alleviare i disturbi associati all’insonnia, alla diminuzione dell’appetito. Normalmente non dura più di due mesi e non necessita di terapia, ma anche in questo caso, il quadro può evolvere verso una forma depressiva più importante.
La depressione può essere associata ad altre malattie del sistema nervoso. La si riscontra frequentemente nel morbo di Parkinson e nella malattia di Alzheimer. A volte il sintomo depressivo precede, anche di anni, la comparsa del quadro caratteristico di queste malattie. Molte malattie sistemiche possono causare depressione: neoplasie (cerebrali e del pancreas), le infezioni del sistema nervoso centrale, la sclerosi multipla, le malattie della tiroide (sia ipotiroidismo che ipertiroidismo), le malattie delle ghiandole surrenaliche, il diabete. Queste condizioni devono essere sempre sospettate, soprattutto quando la depressione insorge improvvisamente, nei soggetti non più giovani. Non va dimenticato che il disturbo depressivo può essere dovuto, soprattutto nei pazienti più giovani, ad abuso di alcol o di droghe. Anche molti farmaci, quali i cortisonici, alcuni diuretici, antiipertensivi e preparati ormonali possono provocare episodi depressivi.
DEPRESSIONE
Il difficile compito del camice bianco: capire di quale forma si tratta e trovare la cura appropriata
di Claudia Felici*
La paziente è tornata in studio anche oggi. Nell’ultimo mese è venuta spesso, lamentando stanchezza, dolori muscolari, mal di testa e una certa difficoltà a dormire. Tutti gli esami effettuati sono risultati nella norma, e apparentemente la signora non ha patologie. «Non sto bene per niente, non riesco a dormire e la mattina non vorrei mai alzarmi. A dire la verità non ho voglia di fare niente, anche le cose che di solito faccio volentieri mi sembrano faticosissime. Tutti mi dicono che devo reagire, ma io non ne sono capace»!
Molte persone soffrono di disturbi dell’umore e di depressione. Non tutti, però, si rivolgono al medico, sentendosi in colpa per i sentimenti che provano o temendo di essere etichettati come "malati di mente". Altri invece presentano una serie di disturbi vaghi e mal definibili, (astenia, dolori muscolari, disturbi addominali o respiratori, cefalea…) che costringono il medico ad avviare lunghe indagini cliniche per escludere malattie organiche.
Nell’incontro con il paziente si percepisce una grande sofferenza: l’atteggiamento è dimesso, sconsolato, il tono della voce monocorde, la mimica facciale ridotta, il pianto improvviso. L’umore è depresso, il morale a terra. Domina l’infelicità, la malinconia, il senso di colpa. Non ci sono progetti per il futuro e la vita di tutti giorni appare troppo pesante per essere vissuta. Il paziente ha perso l’energia vitale, non prova più piacere nel fare le cose che un tempo lo gratificavano, è sempre più isolato, distante dal partner, dai familiari e dagli amici. Si sente stanco senza motivo, già dal primo mattino, tanto che il letto è visto come un miraggio per tutta la giornata. Il sonno, però, è molto disturbato e il risveglio è precoce e accompagnato da pensieri dolorosi. Non è raro che il paziente riferisca di pensare spesso alla morte, a volte invocandola come unico rimedio alla propria sofferenza.
E’ molto importante che il medico ascolti attentamente e con tranquillità il paziente, cercando di favorire la comunicazione e indagando, con delicatezza, su eventuali propositi di suicidio. La consapevolezza di essere compreso aiuta il paziente ad aprirsi ed è il primo passo per accettare la diagnosi di depressione, senza viverla come sinonimo di follia o come una colpa.
Le cause della depressione non sono ancora del tutto conosciute. Sono molti i fattori che concorrono nel determinarla: predisposizione genetica, modificazioni chimiche della neurotrasmissione, fattori socioambientali, vissuti psicologici.
Le donne si ammalano più facilmente degli uomini (circa tre volte più frequentemente), probabilmente a causa di una complessa interazione tra fattori ormonali, psichici e sociali.
Anche negli anziani la depressione è un evento molto frequente (15% degli ultra 65enni), ma difficile da diagnosticare, per la difficoltà e il pudore a riferire sintomi di disagio affettivo e psichico. La depressione non fa parte del normale processo di invecchiamento e la sua insorgenza provoca un notevole peggioramento della qualità della vita e delle altre patologie concomitanti. Quando viene diagnosticata va tempestivamente trattata con dosi adeguate di farmaci, anche in presenza di gravi malattie croniche.
Il trattamento delle depressione si basa fondamentalmente sull’utilizzo di farmaci antidepressivi e sulla psicoterapia.
La terapia farmacologia non è indispensabile in tutte le circostanze. Depressione e ansia sono reazioni fisiologiche di adattamento che, se mantenute entro limiti accettabili di intensità e durata, non risultano dannose. In molte situazioni, quindi, risulta più utile e corretto aiutare il paziente a portare alla luce i motivi del suo malessere e a parlarne liberamente.
* Medico di base, Asl E, Roma
I tipi più diffusi?
Reattiva, maggiore e "pessimismo"
La patologia è una questione di intensità dei sintomi
Come in tutte le malattie che riguardano la mente e l’affettività, non è sempre possibile distinguere tra normalità e patologia, e nell’ambito della stessa condizione si possono presentare diversi livelli di gravità. Il medico di famiglia e lo psichiatra, attraverso gli strumenti di cui dispongono, devono comunque cercare di raggiungere una diagnosi il più possibile precisa, per poter instaurare una conseguente terapia appropriata.
Il disturbo depressivo maggiore consiste in uno o più periodi caratterizzati dalla contemporanea presenza, durante un arco di almeno due settimane, di umore depresso o perdita di interesse e di capacità di provare piacere, insieme con una significativa perdita di peso, aumento o diminuzione dell’appetito, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, sentimenti di colpa eccessivi o inappropriati, ridotta capacità di concentrazione, pensieri ricorrenti di morte. Il trattamento consiste sia nella terapia farmacologica che nella psicoterapia
Il disturbo depressivo maggiore deve essere accuratamente distinto dai disturbi depressivi bipolari (maniacale, ipomaniacale, ciclotimico) nei quali alle fasi depressive si alternano periodi di innalzamento abnorme dell’umore. I segnali caratteristici sono iperattività, disinibizione, perdita delle capacità critiche, con gravi conseguenze anche sul piano sociale. Queste forme particolari (a volte causate anche da malattie organiche o da farmaci e droghe), richiedono un trattamento complesso e specialistico. Anche in questo caso la distinzione con le oscillazioni dell’umore a cui tutti andiamo soggetti non passa attraverso una linea netta e precisa ma è solo una questione di intensità dei comportamenti.
La distimia invece è caratterizzata dal perdurare della sintomatologia depressiva, in forma lieve, continuativamente da almeno due anni, senza che si sia verificato un vero o proprio episodio depressivo maggiore. E’ un quadro di minore gravità ma caratterizzato da maggiore cronicità rispetto al disturbo depressivo maggiore. Spesso si manifesta già durante l’infanzia e l’adolescenza e molte persone non si rivolgono mai al medico, perché non sanno che il loro cattivo umore, il pessimismo, la tristezza di cui soffrono sono causati da una malattia curabile.
Una condizione comune è costituita dal disturbo dell’adattamento con umore depresso. E’ un episodio depressivo di entità lieve o moderata, conseguente ad un evento scatenante (licenziamento, pensionamento, separazione, o un sovraccarico di lavoro). La reazione depressiva può essere di breve durata ed estinguersi nel giro di pochi mesi oppure può evolvere verso una forma cronica, che deve essere trattata farmacologicamente o con la psicoterapia.
Il lutto non complicato, invece, è una comune reazione alla perdita di una persona cara. Una intensa fase depressiva è presente frequentemente, ma il paziente la vive come un evento normale, rivolgendosi la medico solitamente per alleviare i disturbi associati all’insonnia, alla diminuzione dell’appetito. Normalmente non dura più di due mesi e non necessita di terapia, ma anche in questo caso, il quadro può evolvere verso una forma depressiva più importante.
La depressione può essere associata ad altre malattie del sistema nervoso. La si riscontra frequentemente nel morbo di Parkinson e nella malattia di Alzheimer. A volte il sintomo depressivo precede, anche di anni, la comparsa del quadro caratteristico di queste malattie. Molte malattie sistemiche possono causare depressione: neoplasie (cerebrali e del pancreas), le infezioni del sistema nervoso centrale, la sclerosi multipla, le malattie della tiroide (sia ipotiroidismo che ipertiroidismo), le malattie delle ghiandole surrenaliche, il diabete. Queste condizioni devono essere sempre sospettate, soprattutto quando la depressione insorge improvvisamente, nei soggetti non più giovani. Non va dimenticato che il disturbo depressivo può essere dovuto, soprattutto nei pazienti più giovani, ad abuso di alcol o di droghe. Anche molti farmaci, quali i cortisonici, alcuni diuretici, antiipertensivi e preparati ormonali possono provocare episodi depressivi.
Joseph Ratzinger
Corriere della Sera 3.7.03
CULTURA
SCENARI Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede illustra le prospettive della Chiesa nei suoi rapporti con le civiltà
Figli di Abramo, non dell’Europa
di Dario Fertili
E venne il tempo del cristianesimo globale. Benché non usi esplicitamente questo termine, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, avvia di fatto una fase nuova nella vita della Chiesa, quasi una svolta sotto il segno dell’universalismo. Il tutto con l’uscita di un libro che certo verrà molto discusso: Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo . Il saggio propone un’interpretazione fortemente evolutiva del ruolo della Chiesa; non è difficile rendersene conto, del resto, quando ci si accosta al capitolo centrale che qui anticipiamo. La novità è presente già nella domanda fortemente evocativa scelta come titolo del brano: «Il cristianesimo è una religione europea?». Qui infatti si ritrova il punto chiave, l’argomentazione intorno alla quale il cardinale non si stanca d’insistere: che cioè il cristianesimo non finisce con l’Europa e tanto meno (è la logica conseguenza) con la battaglia per la nuova carta costituzionale, ancora in corso all’interno dell’Unione. Certo, si può ed è giusto battersi per ottenere un riconoscimento politico del ruolo esercitato da Chiesa e cultura religiosa nel gettare le fondamenta e determinare l’unità del continente. Ratzinger però guarda oltre, in direzione del terzo millennio e delle sfide globali che il cristianesimo inevitabilmente sarà chiamato ad affrontare. Individuare le sue origini nell’Asia Minore, nel punto d’incrocio dei tre continenti che coincisero con il mondo antico, significa riconoscerlo fin d’ora come una religione superiore non solo alle varie etnie e lingue, ma alla stessa civiltà occidentale.
Questo è dunque il punto di vista del prefetto della Congregazione, cioè il custode dell’ortodossia cattolica (erede moderno del Sant’Uffizio o, se si guarda al passato lontano, di quella che fu l’Inquisizione). Essenziale, in questo quadro, la definizione del messaggio cristiano come rottura e choc culturale: nessuno nasce cristiano - afferma il cardinale Ratzinger - nemmeno in un mondo cristiano e da genitori cristiani. La fede dunque «viene da fuori» e determina sempre una frattura. Non si potrebbe immaginare un distacco più netto dalle filosofie laiche, progressiste o conservatrici, che dominano oggi l’Occidente; ma anche dalle religioni concorrenti che in altri continenti contendono a palmo a palmo e spesso ricorrendo alla repressione e alla violenza, il terreno delle coscienze alle chiese cristiane. Qui sta il valore dell’annuncio sfida di Ratzinger: nella rivendicazione di un’irriducibile diversità, condizione indispensabile per affrontare l’età globale con una speranza di successo.
CULTURA
SCENARI Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede illustra le prospettive della Chiesa nei suoi rapporti con le civiltà
Figli di Abramo, non dell’Europa
di Dario Fertili
E venne il tempo del cristianesimo globale. Benché non usi esplicitamente questo termine, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, avvia di fatto una fase nuova nella vita della Chiesa, quasi una svolta sotto il segno dell’universalismo. Il tutto con l’uscita di un libro che certo verrà molto discusso: Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo . Il saggio propone un’interpretazione fortemente evolutiva del ruolo della Chiesa; non è difficile rendersene conto, del resto, quando ci si accosta al capitolo centrale che qui anticipiamo. La novità è presente già nella domanda fortemente evocativa scelta come titolo del brano: «Il cristianesimo è una religione europea?». Qui infatti si ritrova il punto chiave, l’argomentazione intorno alla quale il cardinale non si stanca d’insistere: che cioè il cristianesimo non finisce con l’Europa e tanto meno (è la logica conseguenza) con la battaglia per la nuova carta costituzionale, ancora in corso all’interno dell’Unione. Certo, si può ed è giusto battersi per ottenere un riconoscimento politico del ruolo esercitato da Chiesa e cultura religiosa nel gettare le fondamenta e determinare l’unità del continente. Ratzinger però guarda oltre, in direzione del terzo millennio e delle sfide globali che il cristianesimo inevitabilmente sarà chiamato ad affrontare. Individuare le sue origini nell’Asia Minore, nel punto d’incrocio dei tre continenti che coincisero con il mondo antico, significa riconoscerlo fin d’ora come una religione superiore non solo alle varie etnie e lingue, ma alla stessa civiltà occidentale.
Questo è dunque il punto di vista del prefetto della Congregazione, cioè il custode dell’ortodossia cattolica (erede moderno del Sant’Uffizio o, se si guarda al passato lontano, di quella che fu l’Inquisizione). Essenziale, in questo quadro, la definizione del messaggio cristiano come rottura e choc culturale: nessuno nasce cristiano - afferma il cardinale Ratzinger - nemmeno in un mondo cristiano e da genitori cristiani. La fede dunque «viene da fuori» e determina sempre una frattura. Non si potrebbe immaginare un distacco più netto dalle filosofie laiche, progressiste o conservatrici, che dominano oggi l’Occidente; ma anche dalle religioni concorrenti che in altri continenti contendono a palmo a palmo e spesso ricorrendo alla repressione e alla violenza, il terreno delle coscienze alle chiese cristiane. Qui sta il valore dell’annuncio sfida di Ratzinger: nella rivendicazione di un’irriducibile diversità, condizione indispensabile per affrontare l’età globale con una speranza di successo.
Grecia: la culla del pensiero
La Gazzetta di Parma 3.7.03
Torna in libreria «Paideia», capolavoro filosofico-filologico di Werner Jaeger (Bompiani)
La culla del pensiero
E dalla Grecia nacquero l'Europa e l'Occidente
di Giuseppe Marchetti
Le recenti polemiche sulla formulazione della Costituzione Europea, hanno fatto riemergere una delle più antiche e illustri discussioni circa la formazione umana, culturale, religiosa e politica del continente. Giscard d'Estaing, Jean-Luc Dehaene e Giuliano Amato hanno concepito e scritto un testo che, pur tenendo conto delle molteplici derivazioni dell'uomo europeo, non contemplerebbe - a detta del Vaticano e dei cattolici - cenni precisi e cospicui circa le radici cristiane del continente nel suo sviluppo storico e culturale. Giscard d'Estaing, Dehaene, Amato e gli altri costituenti avrebbero sottovalutato e sottaciuto l'apporto determinante della religione cristiana per indicare, invece, nelle idee dell'Illuminismo, di pretta marca francese, una delle componenti basilari del pensiero europeo.
Ha voluto il caso che, proprio nei giorni medesimi di questa polemica - che non si è ancora placata e che chissà per quanto tempo ancora durerà sempre alimentata dai contrasti che s'annidano fra idee laiche e idee religiose - arrivasse in libreria la ristampa di un'opera fondamentale della filosofia e filologia moderne, Paideia. La formazione dell'uomo greco di Werner Jaeger, edita da Bompiani nella ormai celebre collana «Il Pensiero occidentale» diretta da Giovanni Reale, che ha anche ampiamente introdotto questo testo smisurato tradotto da Luigi Emery e Alessandro Setti con indici curati da Alberto Bellanti.
Paideia - sulle pagine della quale si sono fermate nella seconda metà del Novecento intere generazioni di studiosi - apparve per la prima volta alla fine della seconda grande guerra a Berlino e poi a New York, e subito fu salutato e valutato come uno dei più vasti e decisivi contributi della filosofia e della storia contemporanea. Werner Jaeger, che era nato in Romani nel 1888 e che morì a Boston nel 1961, ha speso in quest'opera dalle vastissime dimensioni un tesoro di idee, proposte, interrogazioni, deduzioni, osservazioni, analisi e ipotesi di lettura e d'interpretazione, arrivando così a costruire una storia dell'uomo greco che risponde pienamente alla vocazione europea del vecchio continente e che _ per quanto si riferisce all'attuale Costituzione giscardiana _ smentisce in buona parte sia chi vorrebbe attribuire al cristianesimo le radici del pensiero europeo, sia chi, invece, le vede tutte inserite e vivificate nelle idee dell'illuminismo soltanto (che ebbe, come si sa, diversissime facce, e che perciò fu si francese in origine, ma anche milanese, napoletano, berlinese e russo).
Scrive senza tema di smentita Jaeger: «Un posto speciale spetta alla grecità. I Greci, considerati dal presente, rappresentano rispetto ai grandi popoli storici dell'Oriente un progresso radicale, un nuovo grado in tutto ciò che concerne la vita dell'uomo nella comunità. Questa è impostata presso i Greci, su fondamenti affatto nuovi. Per quanto altamente si apprezzi l'importanza artistica, religiosa e politica dei popoli anteriori, la storia di ciò che possiamo chiamare cultura, nel nostro senso consapevole, non comincia che coi Greci».
Parole chiare e semplici, sicure e meditate, che derivano da questa lettura totale e in profondità di un universo che comprende Omero e Esiodo, Solone, Teognide e Pindaro, i grandi tragici, Aristofane, Socrate, Platone, Senofonte, Aristotele, Isocrate e Demostene. Però, anche fatto questo elenco, non s'è detto ancora nulla o ben poco della bellezza e intensità narrativa di queste pagine che in qualche modo proseguono il loro itinerario in un'altra grande opera di Jaeger, Cristianesimo primitivo e paideia greca (1961) nella quale lo studioso tedesco immetteva l'analisi e i riscontri da lui fatti circa l'influenza di Platone e Aristotele sui grandi padri della Chiesa d'Occidente. Influenza che - scriveva Jaeger - «ha provocato una specie di neoclassicismo cristiano, che è più di un fatto puramente formale».
S'andava completando così quel progetto culturale del «terzo umanesimo» che in Germania in pieno Novecento ha fatto pensare ad una forte componente ideologica e politica. «Ma in verità - osserva Reale - il terzo umanesimo di Jaeger non ha nulla a che vedere con l'ideologia. Esso si colloca molto al di sopra dell'ideologia, almeno nel senso in cui oggi viene intesa in modo radicalmente riduttivistico, in ottica di genesi marxista». C'è molto, infatti, di più e di meglio, in Paideia; c'è lo sforzo pienamente riuscito di recuperare la dimensione del pensiero nel suo farsi, nel suo essere e nel suo manifestarsi. Con una lingua piana, precisa, mai falsamente dotta, Jaeger racconta e documenta il palpito del pensiero che come lo spirito spira dove e come vuole. Reale racconta: «A chi gli chiedeva perché dipingesse così lentamente, Zeusi rispose: Perché dipingo l'eterno».
Anche Jaeger cerca di rimeditare l'immenso influsso dell'uomo greco, del suo pensiero, della sua cultura e della sua politica sull'intero mondo occidentale: influsso dal quale derivarono poi, come sappiamo, un'infinità di circostanze ora qui lentamente ma pervicacemente seguite, descritte, analizzate e vissute le une dentro le altre lungo un corso di secoli e millenni che pare l'eternità stessa con il proprio imperscrutabile alternarsi di chiarezze e di torbidità di suggestioni e di contraddizioni, di glorie e di meschinità.
Da Sparta e Atene in pace e in guerra e dai personaggi che popolano questa dimensione dell'umanesimo classico, Jaeger trasse, come scrive Reale «una forza educativa che ha caratterizzato l'Occidente a partire dai Romani», e poi «più volte rinata con continue trasformazioni e col sorgere di nuove culture».
Dunque, qui stanno le radici di quella Costituzione europea che oggi si tenta di scrivere e che verrà firmata a Roma l'anno prossimo.
Torna in libreria «Paideia», capolavoro filosofico-filologico di Werner Jaeger (Bompiani)
La culla del pensiero
E dalla Grecia nacquero l'Europa e l'Occidente
di Giuseppe Marchetti
Le recenti polemiche sulla formulazione della Costituzione Europea, hanno fatto riemergere una delle più antiche e illustri discussioni circa la formazione umana, culturale, religiosa e politica del continente. Giscard d'Estaing, Jean-Luc Dehaene e Giuliano Amato hanno concepito e scritto un testo che, pur tenendo conto delle molteplici derivazioni dell'uomo europeo, non contemplerebbe - a detta del Vaticano e dei cattolici - cenni precisi e cospicui circa le radici cristiane del continente nel suo sviluppo storico e culturale. Giscard d'Estaing, Dehaene, Amato e gli altri costituenti avrebbero sottovalutato e sottaciuto l'apporto determinante della religione cristiana per indicare, invece, nelle idee dell'Illuminismo, di pretta marca francese, una delle componenti basilari del pensiero europeo.
Ha voluto il caso che, proprio nei giorni medesimi di questa polemica - che non si è ancora placata e che chissà per quanto tempo ancora durerà sempre alimentata dai contrasti che s'annidano fra idee laiche e idee religiose - arrivasse in libreria la ristampa di un'opera fondamentale della filosofia e filologia moderne, Paideia. La formazione dell'uomo greco di Werner Jaeger, edita da Bompiani nella ormai celebre collana «Il Pensiero occidentale» diretta da Giovanni Reale, che ha anche ampiamente introdotto questo testo smisurato tradotto da Luigi Emery e Alessandro Setti con indici curati da Alberto Bellanti.
Paideia - sulle pagine della quale si sono fermate nella seconda metà del Novecento intere generazioni di studiosi - apparve per la prima volta alla fine della seconda grande guerra a Berlino e poi a New York, e subito fu salutato e valutato come uno dei più vasti e decisivi contributi della filosofia e della storia contemporanea. Werner Jaeger, che era nato in Romani nel 1888 e che morì a Boston nel 1961, ha speso in quest'opera dalle vastissime dimensioni un tesoro di idee, proposte, interrogazioni, deduzioni, osservazioni, analisi e ipotesi di lettura e d'interpretazione, arrivando così a costruire una storia dell'uomo greco che risponde pienamente alla vocazione europea del vecchio continente e che _ per quanto si riferisce all'attuale Costituzione giscardiana _ smentisce in buona parte sia chi vorrebbe attribuire al cristianesimo le radici del pensiero europeo, sia chi, invece, le vede tutte inserite e vivificate nelle idee dell'illuminismo soltanto (che ebbe, come si sa, diversissime facce, e che perciò fu si francese in origine, ma anche milanese, napoletano, berlinese e russo).
Scrive senza tema di smentita Jaeger: «Un posto speciale spetta alla grecità. I Greci, considerati dal presente, rappresentano rispetto ai grandi popoli storici dell'Oriente un progresso radicale, un nuovo grado in tutto ciò che concerne la vita dell'uomo nella comunità. Questa è impostata presso i Greci, su fondamenti affatto nuovi. Per quanto altamente si apprezzi l'importanza artistica, religiosa e politica dei popoli anteriori, la storia di ciò che possiamo chiamare cultura, nel nostro senso consapevole, non comincia che coi Greci».
Parole chiare e semplici, sicure e meditate, che derivano da questa lettura totale e in profondità di un universo che comprende Omero e Esiodo, Solone, Teognide e Pindaro, i grandi tragici, Aristofane, Socrate, Platone, Senofonte, Aristotele, Isocrate e Demostene. Però, anche fatto questo elenco, non s'è detto ancora nulla o ben poco della bellezza e intensità narrativa di queste pagine che in qualche modo proseguono il loro itinerario in un'altra grande opera di Jaeger, Cristianesimo primitivo e paideia greca (1961) nella quale lo studioso tedesco immetteva l'analisi e i riscontri da lui fatti circa l'influenza di Platone e Aristotele sui grandi padri della Chiesa d'Occidente. Influenza che - scriveva Jaeger - «ha provocato una specie di neoclassicismo cristiano, che è più di un fatto puramente formale».
S'andava completando così quel progetto culturale del «terzo umanesimo» che in Germania in pieno Novecento ha fatto pensare ad una forte componente ideologica e politica. «Ma in verità - osserva Reale - il terzo umanesimo di Jaeger non ha nulla a che vedere con l'ideologia. Esso si colloca molto al di sopra dell'ideologia, almeno nel senso in cui oggi viene intesa in modo radicalmente riduttivistico, in ottica di genesi marxista». C'è molto, infatti, di più e di meglio, in Paideia; c'è lo sforzo pienamente riuscito di recuperare la dimensione del pensiero nel suo farsi, nel suo essere e nel suo manifestarsi. Con una lingua piana, precisa, mai falsamente dotta, Jaeger racconta e documenta il palpito del pensiero che come lo spirito spira dove e come vuole. Reale racconta: «A chi gli chiedeva perché dipingesse così lentamente, Zeusi rispose: Perché dipingo l'eterno».
Anche Jaeger cerca di rimeditare l'immenso influsso dell'uomo greco, del suo pensiero, della sua cultura e della sua politica sull'intero mondo occidentale: influsso dal quale derivarono poi, come sappiamo, un'infinità di circostanze ora qui lentamente ma pervicacemente seguite, descritte, analizzate e vissute le une dentro le altre lungo un corso di secoli e millenni che pare l'eternità stessa con il proprio imperscrutabile alternarsi di chiarezze e di torbidità di suggestioni e di contraddizioni, di glorie e di meschinità.
Da Sparta e Atene in pace e in guerra e dai personaggi che popolano questa dimensione dell'umanesimo classico, Jaeger trasse, come scrive Reale «una forza educativa che ha caratterizzato l'Occidente a partire dai Romani», e poi «più volte rinata con continue trasformazioni e col sorgere di nuove culture».
Dunque, qui stanno le radici di quella Costituzione europea che oggi si tenta di scrivere e che verrà firmata a Roma l'anno prossimo.
Emanuele Severino
L'Eco di Bergamo 3.7.03
Fede e ragione, prove tecniche di dialogo
EMANUELE SEVERINO
La sua opera intende mettere in questione la fede nel divenire entro cui l'Occidente si muove. Nato a Brescia nel 1929, Severino si è laureato a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini, grazie a una tesi su «Heidegger e la metafisica». Docente in Filosofia teoretica e Filosofia morale, dal 1970 ha insegnato a Venezia, e oggi è docente all'Università del San Raffaele. Tra le sue opere più note, «Il destino della tecnica», «Essenza del nichilismo», «La gloria»
di Giulio Brotti.
MILANO È andato in scena uno spettacolo inusuale martedì sera a Palazzo Isimbardi, a Milano, nell'ambito della rassegna culturale «La Milanesiana»: Giovanni Reale, docente di storia della filosofia antica all'Università Cattolica, ed Emanuele Severino, docente di filosofia all'Università San Raffaele, hanno preso parte a un vero botta e risposta sul tema «Con Dio, senza Dio», moderato da Armando Torno, in cui sono tornate alla ribalta - contro la moda «minimalistica» oggi imperante - due grandi protagoniste della storia dell'Occidente, la «fede» e la «ragione» (necessariamente tra virgolette, viste le stratificazioni semantiche, i rapporti ora di prossimità e ora di feroce inimicizia che queste due dimensioni hanno assunto nel corso dei secoli).
Severino, certamente uno dei pensatori più originali nel panorama contemporaneo, ha ripresentato le sue tesi più note: ad esempio, che quella tra la fede cristiana e l'ateismo resterebbe una falsa antinomia, tra due posizioni apparentemente diverse, e in realtà comunque prigioniere del più grande «errore» della cultura occidentale. Questa concepisce il mondo nella sua totalità «come uno sporgere provvisoriamente dal nulla», ritiene che le cose che lo popolano (esseri umani inclusi) si originino dal niente e al niente poi sarebbero destinate a tornare (prospettiva catastrofica, madre di tutte le paure, contro la quale la fede in una provvidenza divina o nel potere salvifico della tecnica avrebbe un potere di rassicurazione oggigiorno sempre più scarso). Non dalla «fede», comunque intesa, ma dalla conoscenza filosofica verrebbe allora l'unica possibilità di salvezza: con la conversione tutta intellettuale all'evidenza originaria per cui il nulla «non è proprio nulla», semplicemente non è, e dunque la «nascita» e la «morte» delle cose rappresenterebbero solo due estremi di un'orbita, un gioco di apparizioni e nascondimenti che non comporterebbe la distruzione di alcunché.
Da posizioni evidentemente diverse, Giovanni Reale ha letto il testo di un suo saggio inedito, Senza Dio non si comprende il valore assoluto dell'uomo come persona : idea di fondo, che il concetto della «sacralità» di ogni essere umano sia di origine biblica e, particolarmente, un portato del cristianesimo, per cui l'«io» di ogni uomo sarebbe da sempre destinatario dell'amore di un «Tu» divino. «Proprio su questo punto - ha proseguito Reale - si dà una differenza abissale tra la fede e le elaborazioni anche più grandiose della semplice ragione umana
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Fede e ragione, prove tecniche di dialogo
EMANUELE SEVERINO
La sua opera intende mettere in questione la fede nel divenire entro cui l'Occidente si muove. Nato a Brescia nel 1929, Severino si è laureato a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini, grazie a una tesi su «Heidegger e la metafisica». Docente in Filosofia teoretica e Filosofia morale, dal 1970 ha insegnato a Venezia, e oggi è docente all'Università del San Raffaele. Tra le sue opere più note, «Il destino della tecnica», «Essenza del nichilismo», «La gloria»
di Giulio Brotti.
MILANO È andato in scena uno spettacolo inusuale martedì sera a Palazzo Isimbardi, a Milano, nell'ambito della rassegna culturale «La Milanesiana»: Giovanni Reale, docente di storia della filosofia antica all'Università Cattolica, ed Emanuele Severino, docente di filosofia all'Università San Raffaele, hanno preso parte a un vero botta e risposta sul tema «Con Dio, senza Dio», moderato da Armando Torno, in cui sono tornate alla ribalta - contro la moda «minimalistica» oggi imperante - due grandi protagoniste della storia dell'Occidente, la «fede» e la «ragione» (necessariamente tra virgolette, viste le stratificazioni semantiche, i rapporti ora di prossimità e ora di feroce inimicizia che queste due dimensioni hanno assunto nel corso dei secoli).
Severino, certamente uno dei pensatori più originali nel panorama contemporaneo, ha ripresentato le sue tesi più note: ad esempio, che quella tra la fede cristiana e l'ateismo resterebbe una falsa antinomia, tra due posizioni apparentemente diverse, e in realtà comunque prigioniere del più grande «errore» della cultura occidentale. Questa concepisce il mondo nella sua totalità «come uno sporgere provvisoriamente dal nulla», ritiene che le cose che lo popolano (esseri umani inclusi) si originino dal niente e al niente poi sarebbero destinate a tornare (prospettiva catastrofica, madre di tutte le paure, contro la quale la fede in una provvidenza divina o nel potere salvifico della tecnica avrebbe un potere di rassicurazione oggigiorno sempre più scarso). Non dalla «fede», comunque intesa, ma dalla conoscenza filosofica verrebbe allora l'unica possibilità di salvezza: con la conversione tutta intellettuale all'evidenza originaria per cui il nulla «non è proprio nulla», semplicemente non è, e dunque la «nascita» e la «morte» delle cose rappresenterebbero solo due estremi di un'orbita, un gioco di apparizioni e nascondimenti che non comporterebbe la distruzione di alcunché.
Da posizioni evidentemente diverse, Giovanni Reale ha letto il testo di un suo saggio inedito, Senza Dio non si comprende il valore assoluto dell'uomo come persona : idea di fondo, che il concetto della «sacralità» di ogni essere umano sia di origine biblica e, particolarmente, un portato del cristianesimo, per cui l'«io» di ogni uomo sarebbe da sempre destinatario dell'amore di un «Tu» divino. «Proprio su questo punto - ha proseguito Reale - si dà una differenza abissale tra la fede e le elaborazioni anche più grandiose della semplice ragione umana
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