domenica 12 dicembre 2004

il prof. Umberto Curi
un incontro sullo sguardo umano, a Siracusa

La Sicilia.it Siracusa 12.12.04
Riflessione di Epicarmo sullo sguardo umano
di GIUSEPPE VITALE

“La fonte dello sguardo. Lo sguardo umano”: argomento scelto dal centro culturale “Epicarmo” a motivo di riflessione da parte del pubblico numeroso nella solennità dell'aula di Palazzo del Senato. La presidente professoressa Lucia Arsì, nella prolusione, ha definito intanto lo sguardo “vedere l'altro dentro di noi”. C'è l'occhio positivo capace di “vedere” l'altro che sta dentro di noi e c'è l'occhio che vede senza farsi vedere, capace di dominare: dal singolo ai mass media. E che sarà domani della nostra privacy, della nostra libertà, della nostra esistenza? Quindi l'ospite prof. Umberto Curi* dell'università di Padova. Sguardo quale conoscenza e anche probabile incentivo di esercitare il potere; dalla Repubblica di Platone al ruolo della Medusa, al Caravaggio.
E nella corsa veloce dei tempi: dal romanzo di Browell al Panoptikom nell'immaginazione di Benthran. Se si avesse agio di ulteriori approfondimenti - ha evidenziato lo studioso ospite - si arriverebbe financo a indovinare addirittura nella forza dello sguardo un elemento di oppressione quale soglia inevitabile della tirannide. E ha concluso col suggerimento di Platone: “Se incontri un lupo devi guardarlo tu per primo; altrimenti esso sarà il primo a toglierti la parola”.
*il prof. Umberto Curi è titolare della cattedra di Storia della Filosofia all'Università di Padova.
Il suo libro più recente "La forza dello sguardo", edito da Bollati Boringhieri, Torino 2004, è stato recensito sul 52° numero (4/04) de Il sogno della farfalla, (pp.85-88) attualmente nelle librerie.

basagliani:
cosa dice oggi Agostino Pirella

Liberazione 12.12.04
«Liberiamo i reclusi dei nuovi manicomi»
Intervista ad Agostino Pirella,
compagno di Basaglia e tra i fondatori di Psichiatria Democratica

«Verifichiamo un fatto grave. Cioè che i giovani psichiatri che escono dalle università sono addestrati solo a fare diagnosi e a prescrivere psicofarmaci. Dobbiamo ridare la parola ai pazienti». Agostino Pirella, compagno di strada di Franco Basaglia fin dal primo manicomio liberato, tra i fondatori di Psichiatria democratica di cui è presidente onorario, spiega l'esigenza di fondare una scuola post-laurea. Proprio così: i basagliani, ieri riuniti a Roma, hanno lanciato la loro scuola di specializzazione, per dirla con Rocco Canosa, segretario nazionale di Pd: in linea con il rilancio delle iniziative di lotta contro l'esclusione del folle dalla società nel nome della sicurezza. Lotte che vedono l'impegno di Pd anche oltre i confini nazionali, l'obiettivo è abbattere i manicomi in tutta Europa.
Pirella cosa la preoccupa di più in questo momento?
Che i giovani che escono dall'università vengono addestrati ad usare un unico modello nell'approccio con il paziente, che taglia fuori ogni relazione, ogni analisi biografica, o storica e punta al binomio diagnosi e psicofarmaci. Da questo la necessità di riuscire a fare una scuola orientata da psichiatria democratica.
Torniamo a fare i conti con la segregazione della follia? Come si smaschera l'uso diverso del manicomio?
Se un servizio di diagnosi e cura, che è il primo avamposto che il paziente incontra durante la crisi, ha le porte chiuse, se usa la contenzione e chili di psicofarmaci non è differente dai vecchi manicomi. E' da questo avamposto che si riesce a capire un paziente grave, come si è costruita questa gravità, da che storia psichiatrica viene, che tipo di gestione psichiatrica ha avuto. Sostenendo il rifiuto assoluto della contenzione del paziente, il lavorare nei servizi di diagnosi e cura con le porte aperte, quindi con un rapporto paritario con il paziente, un rapporto anche di fiducia con il paziente. Invece nella stragrande maggioranza dei servizi di diagnosi e cura in Italia sono gestiti con modelli manicomiali. Tanto è vero che le stesse associazioni dei familiari dei pazienti hanno coniato il termine "minicomi" per indicare questi posti. C'è anche il problema di una modalità, chiamiamola sbagliata, di superamento dei manicomi che è stata quella di organizzare degli spazi in cui venti, quaranta, cinquanta pazienti sono rinchiusi in residenze, comunità, istituzioni varie ecc.
Tanti piccoli manicomi privati, spacciati per residenze di cura e accoglienza. Ma chi abita questi "minicomi"?
Queste residenze si sono gradualmente popolate di nuovi pazienti, di pazienti giovani che sono il frutto di un fallimento della gestione organizzativa e dello stile di lavoro degli operatori psichiatrici questi stessi che lavorano in prima linea nei servizi di diagnosi e cura. Purtroppo è così.
Chi sono questi nuovi reclusi?
C'è un certo numero di pazienti che in pisicofarmacologia vengono chiamati "non responde". Che non rispondono agli psicofarmaci, perché non sono curativi, ma sono in gran parte sedativi: diminuiscono l'attività di certi mediatori chimici che si ritiene siano responsabili delle malattie mentali. Ma tutto ciò è assolutamente da dimostrare. Così queste persone non sedate rimangono con le loro idee, i loro comportamenti e vengono rinchiuse.
Una segregazione prescritta?
Una segregazione vigente. Penso alle proposte di revisione della legge 180, penso all'ultima che porta il doppio nome Burani Procaccini, oppure alle revisioni di fatto che passano nei regolamenti regionali o nelle prassi: oggi si rinchiudono queste persone prima nelle case di cura poi nelle cosiddette residenze. Sempre più spesso abbiamo riscontrato l'uso di giudicarli queste persone incapaci di intendere e volere.
«I pazienti sono esseri umani come noi e come noi hanno bisogno di amore, di denaro e di una casa». Una citazione di Basaglia da lei stesso rilanciata. Ma questa come si traduce nella pratica dei servizi di salute mentale?
Tutto il movimento di psichiatria democratica da Basaglia in poi è stato proprio questo: riconoscimento del paziente, dialogo con il paziente, confronto con le sue idee. Perché noi possiamo anche considerare deliranti le idee di una persona, ma esse ci dicono qualcosa della sua visione del mondo. Nel delirio c'è una visione del mondo, un punto di vista con il quale confrontarsi. Tutte le nostre esperienze hanno dimostrato che è sempre possibile una via di accesso nel delirio, un momento di confronto con i pazienti. Ma non è ciò che oggi si risconta nei servizi di diagnosi e cura. Dove sempre più spesso si giudicano i pazienti come patologici, si incontrano familiari che non ne possono più, e la soluzione praticata è prima la pillola poi la reclusione. Nascono così i nuovi contenitori di follia, le case di cura, le comunità, le residenze protette.
Quali sono i pericoli di questo corto circuito?
E' esemplare la vicenda Ritalin. Perché è grave dare questo psicofarmaco ai bambini? Perché è una sostanza gravemente tossica che ha prodotto anche delle morti. Reca danni al cuore, ma crea anche assuefazione. Crea adolescenti dipendenti dal farmaco. Ma c'è un problema molto più grave ed è quello che prescrivendo il Ritalin noi precludiamo ogni esplorazione dei possibili motivi sociali, familiari e scolastici che creano quei comportamenti considerati fuori norma nel bambino. Ma è quanto accade anche con gli adulti.
Siamo alla follia di massa?
Fare una diagnosi significa inchiodare la persona ad un destino. Nella stragrande maggioranza dei casi quei comportamenti stigmatizzati sono legati ad un evento momentaneo, e penso ad esempio ai precari in cerca di un lavoro che non arriva. Ma anche agli immigrati, agli anziani. La nostra è una battaglia culturale e scientifica.

proprio a Chieti!!!
un convegno sulla "ricerca in psicoterapia"...

www.quaderniradicali.it 12.12.04
“La ricerca in psicoterapia: relazioni, emozioni e salute”
di Danilo Di Matteo

Sabato 11 e domenica 12 dicembre si è svolto a Chieti un convegno internazionale organizzato dall’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo intitolato “La ricerca in psicoterapia: relazioni, emozioni e salute – Guarigione e Qualità della Vita”.
Tanti gli spunti; tante le ipotesi e le proposte. Mi limito allora a qualche cenno.
La psicologa e psicoanalista Tiziana Bastianini ha sottolineato come lo psicoterapeuta, pur nel rigore del metodo e nella chiarezza e coerenza delle prospettive, possa avvalersi dei punti di vista di scuole e autori diversi, in una ricerca personale senza fine capace di conciliare posizioni in sé apparentemente incompatibili.
Ciò fa sì che le teorie non si trasformino in ideologie.
È di notevole interesse, poi, il confronto emerso negli ultimi anni fra psicoanalisi (e psicoterapia in genere) e neuroscienze: l’ambiente, riconoscono i neurobiologi, regola e modula l’espressione genica; il patrimonio genetico e quello culturale non sono fra loro estranei: anzi, “dialogano” sempre; per cui lo psicoterapeuta, al pari di altri fattori esterni, finisce per condizionare persino l’attività del DNA dei neuroni! E’ quella che si definisce la plasticità del sistema nervoso.
Il prof. Filippo Maria Ferro, ordinario di Psichiatria a Chieti, dopo aver evidenziato che la medicina, comprendendo anche la ricerca e l’uso di tecnologie avanzate (si pensi all’affascinante mondo delle “neuro-immagini”), non coincide con la clinica, ha però riproposto l’importanza e la centralità di quest’ultima.
A tal proposito lo psicologo e psicoterapeuta Claudio Merini si è rammaricato per il fatto che spesso chi fa ricerca, empirica e non, ha scarso contatto con i pazienti, e viceversa.
Quello dello psicoterapeuta, infatti, è soprattutto un “cercare” delle ipotesi; “fare ricerca” significa invece selezionarle. Il rischio della ricerca è quello di prendere in considerazione solo i risultati o le esperienze che avvalorano una determinata ipotesi.
Anche nel rapporto col paziente si rischia di cadere nell’ipocrisia: a differenza di ciò che si scrive negli articoli o si afferma nei convegni, infatti, spesso il terapeuta pensa di sapere già tutto di lui; ciò impedisce, naturalmente, quell’incontro dei due orizzonti, quello dello psicoterapeuta e quello del paziente, in cui dovrebbe consistere la psicoterapia.
Al di là delle tendenze e degli indirizzi, poi, l’obiettivo della psicoterapia dovrebbe essere quello di rendere il paziente adulto e maggiorenne, padre di se stesso anziché eternamente figlio; anche se, ovviamente, ognuno è adulto a suo modo.
Altri interventi hanno sottolineato l’urgenza di superare la concezione secondo la quale semplicemente “mens sana in corpore sano”, in quanto è vero anche che “corpus sanum in mente sana”, e hanno messo in guardia rispetto all’enfasi posta sul benessere: se è vero che ognuno ha diritto a cercare la propria felicità, è vero pure che la vita è fatta anche di sofferenza e dolore; anzi: è l’unica malattia che porta a morte sicura…

Giuliano Zincone:
i nonni ed il comunismo

Corriere della Sera 12.12.04
Luogo Comune
Lenin, Stalin e i «nonni buoni»: quegli eredi smentiti dalla Storia
di GIULIANO ZINCONE

Il nonno che avevi tanto amato è morto da un pezzo. E adesso tante lettere e tante testimonianze inoppugnabili ti rivelano che lui era un ubriacone manesco, un uomo egoista e crudele. Come reagisci? Forse ti disperi e vuoi dimenticarlo. O forse ti costringi a pensare che i documenti siano falsi. Poi dirai: «Era mio nonno, gli volevo bene e niente me lo strapperà dal cuore». Ciò è normale. Alessandra Mussolini, per esempio, è una «fascista di sinistra», ma guai a toccarle il nonno Benito. Malgrado le sue colpe, i suoi delitti e i suoi fallimenti, il Duce rimane un idolo, per lei e per i suoi seguaci che, votandola, rischieranno di consegnare la vittoria agli avversari nelle prossime elezioni regionali. Il culto dei nonni politici è diffuso in ogni schieramento, ma è clamoroso tra i comunisti variamente convertiti. Essi condannano i crimini del cosiddetto «socialismo reale», che attribuiscono esclusivamente allo «stalinismo». E continuano a credere che il boia Stalin tradì le generose direttive di Lenin. Il bisnonno che si chiama Comunismo, insomma, merita ancora devozione. Poi vennero due nonni. Uno buono (Lenin) e uno cattivo (Stalin). Davvero? Certo, Stalin scatenò contro il suo popolo persecuzioni micidiali, ma seguì alla lettera le teorie (gli ordini) di Lenin. Leggiamo quel che scriveva il «nonno buono».
«Abbiamo in ostaggio centinaia di socialisti-rivoluzionari di sinistra. È indispensabile schiacciare dappertutto senza pietà questi miserabili e isterici avventurieri. Siate dunque implacabili contro di loro» (telegramma di Lenin a Stalin, 1918). Poi passiamo alla strage dei kulaki (piccoli proprietari terrieri, in gran parte coltivatori diretti). «La lotta contro i kulaki è la lotta finale, decisiva. Guerra implacabile contro questi kulaki! A Morte! Odio e disprezzo per i partiti che li difendono: per i socialisti-rivoluzionari di destra, per i menscevichi e per gli attuali socialisti-rivoluzionari di sinistra» (1918). Si parla spesso del terrorismo di Stato. Eccone un esempio: «Instaurare subito il terrore di massa... Deportazione di massa dei menscevichi e degli elementi infidi» (telegramma di Lenin al Soviet di Nizni-Novgorod, 1918). «Occorre schiacciare implacabilmente i vampiri kulaki» (telegramma di Lenin al Comitato esecutivo di Zadonsk).
Di fronte a queste testimonianze, gli innamorati del «nonno buono» rispondono in due modi: a) «Lenin faceva la Rivoluzione, che non era un banchetto di gala, ma una dura battaglia». b) «Certo, ci furono eccessi, ma Lui non ne fu responsabile». Ma come? Nel 1918 la vittoria è già in cassaforte, e Lenin continua a impartire strategie crudeli. «La (nostra, ndr) dittatura è un potere che poggia direttamente sulla violenza e non è vincolato da alcuna legge». «Il terrore e la Ceka (feroce polizia segreta, ndr) sono cose assolutamente indispensabili» (VII Congresso dei Soviet, dicembre 1919). «Questa dittatura presuppone l’uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza... La fucilazione: ecco la giusta sorte dei vili in guerra» (1919). Ovviamente, Lenin non parla del conflitto mondiale, ma della guerra contro i suoi sudditi. E la giustizia? Ecco la ricetta leninista: «Il tribunale non deve eliminare il terrore... Bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi» (1922). Insomma: il «nonno cattivo» Stalin si limitò ad applicare (esagerando?) i comandamenti che gli consegnò il «nonno buono». Sarebbe ora che tutti gli eredi si rendessero conto che il Comunismo bisnonno fu un’immensa fontana di delitti e di umiliazioni collettive. Non c’è proprio niente da rifondare, caro Bertinotti. Anzi, sarebbe urgente togliere dalla bandiera del suo partito la falce&martello, odiosa quanto la svastica, per tanti popoli europei oppressi dai comunisti. No, compagni: tutti i nonni sono morti e non è giusto rimpiangerli. Pensiamo ai nostri nipoti, piuttosto.

sinistra
Fausto Bertinotti

Il Gazzettino Domenica, 12 Dicembre 2004
Bertinotti: «Una nuova frontiera è stata delineata»

Fausto Bertinotti parla di una «nuova frontiera delineata da Prodi». Il segretario di Rifondazione Comunista sottolinea alcune cose del discorso di Prodi: «Il rifuto che la democrazia possa essere esportata con la guerra, l'importanza dei giovani come spia della precarietà sociale, l'idea nuova di convivenza entro cui deve stare l'immigrazione italiana»

il Tempo 12.12.04
BERTINOTTI «Abbiamo fatto bene a tacere, non solo per una ragione deontologica, ma perché mette ...

... ancora più in evidenza l'autonomia della magistratura. Credo che avendo i magistrati formulato il loro giudizio, la politica debba non commentare, ma aprire un discorso su come si sia formata la cosiddetta nuova classe dirigente italiana».

L'Unità, 12.12.04 pag 9
(di Federica Fantozzi)

MILANO. «Certo, c'è un grave ritardo nella coereografia rispetto alla politica, la scena appare incompiuta. È uno scarto così evidente che non c'è bisogno di farlo notare: Prodi lo capisce da solo. Fausto Bertinotti è l'unico dei leader di partito del centr-sinistra che si attarda a lungo nel sottoscala mentre i 10mila «ulivisti» sciamanocontenti verso casa.
Non che il segretario di Rc non lo sia al termine del suo esordio sul palco insieme a Romano Prodi il bilancio è positivo. All'arrivo, il Professore ha conversato a lungo con lui (...). In sala sventolano le bandiere di Rc, e i 65 minuti prodiani gli sono piaciuti: «È stato un discorso da nuova frontiera, c'è l'idea chiara che non si possono ripetere le politiche del passato neanche nel centrosinistra».
Il punto cruciale è un altro: la coreografia, appunto. Dietro il palco blu lo sgogan del futuro [«il futuro ci unisce» Ndr]. Sopra, striscioni della lista Uniti nell'Ulivo. Il coro che accompagna l'ingresso di Prodi: «Ulivo! Ulivo!. E ne sottolinea la presa di microfono: «Ulivo! Ulivo!». Nessun logo della Grande Alleanza democratica, della Gad, dell'Alleanza, della Federazione. Nessun riferimento nel discorso del leader. Neanche un passaggio dedicato ai nuovi e travagliati assetti del centrosinistra, alle primarie, alle politica delle parole incomprensibili ai più. Aleggia l'Ulivo, l'«albero italiano» caro al Professore e agli altri, ma in cui Bertinotti non si riconosce [...]

Corriere della Sera 12.12.04
Bertinotti incalza il Professore:
ancora troppe bandiere uliviste

MILANO - Quando Prodi gli va incontro e lo abbraccia e lo bacia due volte, Bertinotti avvolge con lo sguardo i diecimila del Palalido. «Lo vedi, Romano? Avevo ragione io. È meraviglioso, dovevamo farla in piazza». Poi, con i complimenti per un discorso «che delinea una nuova frontiera», arrivano altri rimbrotti. È per via di tutte quelle bandiere verdi che sventolavano alle spalle del leader, troppe per il segretario di Rifondazione: «Una coreografia così ulivista non va per niente bene - alza il tono Bertinotti -. Oggi la coalizione va ben oltre i confini dell’Ulivo, l’impianto che stai dando all’alleanza è totalmente nuovo e aggrapparsi a un vecchio simbolo dà un sapore di nostalgia. Non possiamo ripetere le politiche del passato». Lo scambio è breve, ma animato. Prodi ascolta, ribatte, sfuma, («lo so, il problema esiste...») [...]

a Karl Marx un "premio Nobel" alla memoria

www.asca.it
FIRENZE/CULTURA: SONDAGGIO ONLINE, A MARX NOBEL ECONOMIA ALLA MEMORIA

(ASCA) - Firenze, 8 dic - Karl Marx non ha rivali: e' suo il premio Nobel alla Memoria per l'Economia. Lo hanno decretato le 1500 persone che hanno partecipato fino ad oggi al 'sondaggio' online organizzato dall''Istituto e Museo di Storia della Scienza' di Firenze in occasione della mostra 'Beautiful minds' dedicata ai premi Nobel. Se per il premio a Marx ormai e' cosa fatta, gli altri Nobel restano in bilico tra personaggi celebri: Dante e Shakespeare per la Letteratura, Leonardo e Galileo per la Fisica, Gesu' e San Francesco per la Pace. Leonardo, Galileo, Faraday, Omero, Paracelso, Darwin e Machiavelli sono stati candidati in varie discipline. Omero e' forse il caso piu' originale perche', oltre che per la Letteratura, e' candidato per la Pace con la motivazione che e' stato il primo a narrare l'inutilita' della guerra. I veri Premi Nobel 2004 saranno consegnati venerdi' 10 dicembre a Stoccolma, nel corso della tradizionale cerimonia con il Re di Svezia, Carlo Gustavo, e nella circostanza 'Beautiful Minds' proporra' un ingresso scontato alla mostra fiorentina.
afe/glr/alf

una mostra a Firenze
Domenico Fargnoli

una segnalazione di Mentore Riccio

Domenico Fargnoli ha presentato a Firenze il libro "Homo novus" e la brochure fotografica "Homo novus - Installazioni" realizzata presso i Magazzini del Sale (SI).

l'esposizione

"Homo novus, Novus homo - Psichiatria e arte 2004"
di Domenico Fargnoli
promossa dall'Associazione Culturale Senza Ragione,

presso la Galleria "Via Larga" in via Cavour 7/R Firenze

è rimasta aperta fino al 12 dicembre p.v.

INFO: www.senzaragione.it