martedì 28 giugno 2005

Spagna
la radicalità paga

In Spagna il partito socialista di Zapatero ha vinto le elezioni in Galizia, da sempre feudo del partito popolare e della destra post-franchista

storia
i Celti

Corriere della Sera 28.6.05
Il segreto dei Celti, popolo misterioso
Non ebbero mai un vero regno e vissero divisi in clan. Eppure sconfissero Roma La religione impediva loro di scrivere: la loro storia fu tramandata solo oralmente


Ci sono cose che arrivano sino a noi percorrendo il passato con la stessa energia con cui s’imprimono nella nostra immaginazione. Sappiamo anche che ci sopravvivranno, dimostrando di possedere un segreto talmente potente da superare la barriera millenaria degli anni. I Celti sono una di queste cose. Il popolo più antico nel quale gli europei possano rispecchiarsi appare una definizione quanto mai attuale in tempi d’Europa unita. Il loro nome deriva da Keltoi , accezione greca della parola celtica che significa «popolo segreto» e appare per la prima volta negli scritti del geografo Ecateo, verso il 500 a.C. Poiché per volontà religiosa la scrittura era proibita, buona parte della loro storia è stata tramandata oralmente e rimane per molti versi misteriosa. Capitolarono nel 51 d.C., con la resa di Caratacos all’imperatore Claudio. Questa la versione storica; quella popolare più romantica coincide con la morte di Re Artù sull’isola di Avalon.
A differenza di Egizi, Greci e Romani, i Keltoi non ebbero mai un regno, coabitando per migliaia d’anni accomunati da usi, costumi e incantesimi simili tra i vari clan, o tùath , o tribù. Quest’etnia di probabile matrice indoeuropea, si espanse dalla Scozia alle coste di Cartagine, dalla Galizia spagnola all’Ungheria, dalla Bretagna francese alla Galazia turca. Tutto ciò quando Roma era ancora un’accozzaglia di capanne di poveri pastori. Quella stessa Roma imperiale che i Celti conquistarono nel 390 a.C., all’epoca del massimo splendore militare, nell’episodio più clamoroso della loro storia. In una disputa tra nobili etruschi, venne assoldato un esercito di Celti capitanato da tale Brennos per espugnare Chiusi, a soli tre giorni di marcia da Roma. Con un simile pericolo alle porte vennero inviati quattromila uomini al comando di Quinto Sulpicio per respingere i Celti. Brennos lasciò perdere Chiusi e mosse incontro al nuovo nemico battendolo sull’Allia, un torrente a undici miglia dalla città. Roma era in preda al panico. I suoi occupanti si trincerarono sulla collina del Campidoglio mentre Brennos e il suo esercito avanzavano per le vie sino al Foro, dando inizio al saccheggio per il bottino di guerra. La rocca con i romani asserragliati aveva un punto debole: un accesso segreto che Brennos scoprì assaltandolo nel modo più silenzioso possibile. Fu allora che i difensori non si fecero sorprendere grazie allo starnazzare delle famose oche sacre del tempio che diedero l’allarme a differenza dei cani da guardia. L’assedio si prolungò per sei mesi, poi vennero aperti i negoziati: Roma avrebbe pagato l’equivalente di mille libbre d’oro. Nella contestazione che ne seguì per il prezzo esorbitante, fu Brennos a gettare sulla bilancia la propria pesante spada declamando la famosa frase citata da Livio: «Vae Victis! Guai ai vinti!».
Oltre a non scrivere niente, avevano parecchie altre brutte abitudini. Platone nelle Leggi li dipinge come razza avvinazzata e attaccabrighe e, dopo il saccheggio di Delfi, li descrive in atti di barbara ferocia. Poiché nella testa albergava l’anima, la mozzavano volentieri ai nemici per assimilarne il coraggio, esibendola in battaglia appesa al morso dei cavalli. Tenevano in gran conto l’ardimento incaricando i druidi di ogni villaggio di preparare beveraggi corroboranti che stimolassero un cieco furore in battaglia; chi non rammenta la magica pozione del fumettistico Panoramix? Un banale errore nella gerarchia dei posti alla tavola dei guerrieri andava lavato nel sangue, col risultato che spesso ne falcidiava più la spada per simili duelli che non le già frequenti battaglie fra clan o le malattie epidemiche. Superstiziosi e smargiassi, gran bevitori amanti delle abbuffate e delle sfide di forza, vennero persino accusati di praticare sacrifici umani.
Per contro Eforo ne traccia un ritratto poetico e lo storico Ellanico di Mitilene li definisce «popolo giusto e retto». Il coraggio li rendeva guerrieri di prim’ordine, con una fama apprezzata da Etruschi, Cartaginesi e persino faraoni tolemaici che li schierarono fra le file dei propri eserciti come mercenari. L’onore imponeva loro di darsi la morte piuttosto che accettare la sconfitta; i Romani stessi tributarono a questa fermezza la nota statua del Galata morente , oggi conservata nei Musei capitolini. Credevano nella reincarnazione dopo un periodo di canti e duelli, fuochi ruggenti e idromele a fiumi nell’Aldilà ultraterreno. Contemplavano il divorzio e la donna godeva di pari diritti dell’uomo: se meritevole poteva condurre un intero clan, come fu per la regina degli Iceni, Boudicca, immortalata su un cocchio marmoreo a Londra. Amanti della musica di arpa e flauto, lira, corni e tamburi, erano abili poeti e cantori di fatti e leggende con poemi composti dai bardi. La loro astronomia contiene intuizioni che stupiscono ancor oggi mentre cromlech megalitici come la celebrata Stonehenge restano un inno alle capacità costruttive dell’uomo di allora.
Rinomati artigiani di tessitura e tintura nonché pregevoli orafi, la recente mostra di Palazzo Grassi a Venezia ha contribuito a riscoprirli come popolo sensibile e creativo che ha loro valso l’appellativo di «nobili selvaggi» dediti all’arte e al culto della natura. Halloween, Calendimaggio, Ferragosto e la Candelora sono solo esempi del retaggio celtico che ci coinvolge ancora oggi. Nelle vicende di casa nostra dobbiamo a un nobile dei Galli Biturigi la fondazione di Milano al centro del territorio degli Insubri; Mediolano significa infatti «al centro della pianura» e - secondo la leggenda - il celta vi sarebbe giunto al seguito d’una scrofa semilanuta , ossia una femmina di cinghiale ancora oggi visibile in un bassorilievo sul Palazzo della Ragione in piazza Mercanti.
Combattendo disuniti, vennero sconfitti dall’efficiente macchina da guerra romana. A quel punto iniziò l’oblìo della magia e dei riti dei druidi: a grandi passi s’avvicinava l’Era Cristiana. Rispetto ai loro parenti continentali, i ceppi isolani britannici ed irlandesi sono oggi i principali custodi di miti e leggende, idiomi e tradizioni celtiche poiché non subirono influenze culturali pressanti. È a costoro che va chiesto perché i Celti siano stati riscoperti così ampiamente. Vi risponderanno che hanno percorso tutto il cammino della storia recando un messaggio naturalistico e spirituale profondamente positivo. Che possano incedere ancora per molto tempo.

psichiatri americani
depressione e insonnia

Le Scienze 28.06.2005
Il legame fra depressione e insonnia
Il sonno potrebbe rivelarsi un potenziale trattamento per alcuni disturbi psichici

Due studi di Michael Perlis dell’Università di Rochester e colleghi hanno rivelato che l’insonnia, ben lungi da essere un semplice sintomo o effetto collaterale della depressione, potrebbe invece precederla e rendere alcuni pazienti più suscettibili ad ammalarsi mentalmente. Una delle due ricerche è stata presentata al 19esimo convegno annuale dell’Association of Professional Sleep Societies (APSS) a Denver, l’altra verrà pubblicata sulla rivista “Journal of Behavioral Sleep Medicine”.
Recentemente i ricercatori hanno determinato che l’insonnia e la depressione sono collegate, ma non avevano ancora capito quale delle due condizioni venisse prima. Molti esperti ritenevano che la depressione causasse l’insonnia, fino a quando non sono stati sviluppati farmaci che migliorano i casi di depressione ma non l’insonnia. L’ipotesi che quest’ultima possa contribuire o addirittura preannunciare la depressione ha così guadagnato credito.
Lo studio presentato all’APSS è il primo a mostrare che l’insonnia prolunga i periodi di tristezza, disperazione e perdita di interesse nelle attività quotidiane che caratterizzano la depressione, rendendo più difficile la guarigione ai pazienti. In particolare, lo studio ha rivelato che i pazienti depressi che soffrivano di insonnia avevano 11 volte più probabilità di essere ancora depressi dopo sei mesi rispetto ai pazienti che invece dormivano regolarmente, e 17 volte più probabilità di essere ancora malati dopo un anno. I dati sono stati tratti dal progetto IMPACT, uno studio sulla depressione in tarda età.
Nella seconda ricerca, Perlis e colleghi hanno scoperto che i pazienti con insonnia (e nessun caso precedente di depressione) hanno sei volte più probabilità di sperimentare un primo episodio di depressione rispetto agli individui che non soffrono di insonnia. Il rischio risulta particolarmente elevato per le donne anziane.

© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A.

Brasile e lotta contro l'AIDS

inviato da Francesco Troccoli

aboutpharma.it

"Il Brasile minaccia di violare il brevetto dei farmaci anti-AIDS"
(Il Sole 24 Ore: pag. 6, Corriere della Sera: pag. 18, Il Messaggero: pag.
17, la Repubblica: pag. 22 - 26 giugno 2005)


Il Governo brasiliano minaccia di violare il brevetto di Kaletra, farmaco
anti AIDS, se la casa produttrice Abbott non accetterà di abbassare il
prezzo. Il Brasile realizzarà quindi il medicinale, entro un anno, nel
laboratorio statale Farmanguinhos della Fondazione Oswaldo Cruz di Rio de Janerio. Il farmaco costerà quasi la metà: 68 centesimi di dollaro, rispetto a 1,17 dollari. Trattative analaghe sono previste anche per efavirenz (Merck Sharp & Dohme) e tenofovir (Gilead). Le due società americane, a differenza di Abbott, sembrano propense a cedere alla proposta del Governo brasiliano.
http://www.aboutpharma.it/notizia.asp?id=8727
http://www.aboutpharma.it/notizia.asp?id=8727

cattolici ladri
con la complicità del governo

una segnalazione di Claudia Calesini

L'Unità 26 Giugno 2005
L’8 per mille «poco caritatevole» della Chiesa
Alla Cei per il 2004 sono andati 960 milioni di euro, grazie all’«astensione» degli italiani
Solo il 20% va ad opere di bene. L’introito cresciuto di 160 milioni tra il 2001 e il 2002
di Fabio Amato / Roma

PIÙ DI 960 MILIONI DI EURO È il montepremi che la Chiesa ha incassato nel 2004 grazie al meccanismo di ripartizione dell’otto per mille. Un montepremi in costante aumento, ma che dedica agli interventi caritativi una quota inferiore al 20%. Una cifra che rappresenta il risultato delle scelte di quel 65% di italiani che ogni anno lascia in bianco la casella dell’otto per mille. La «scelta non espressa» infatti, non implica la destinazione diretta all’erario della quota Irpef, come sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato laico. Al contrario, questi soldi finiscono in massima parte alla chiesa cattolica. Come questo sia possibile è la legge 222/85 a stabilirlo, all’articolo 47. «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti - recita il testo - la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Una specie di sistema elettorale proporzionale con un lauto premio di maggioranza, in cui la preferenza di tre votanti su dieci - la quota di astensione è salita in dieci anni dal 55 al 64% - decide anche per gli altri sette. Così facendo nell’anno 2000 (redditi ‘99), ultimo di cui si conosce l’esatta ripartizione percentuale dei fondi dato il ritardo nella produzione dei dati, la chiesa cattolica ottenne l’87% del totale: un assegno da 755 milioni di euro. A tutti gli altri, tranne lo Stato che partecipò alla torta per un marginale ma sostanzioso 10%, andarono solo le briciole, anche in virtù degli accordi successivi alla legge che escludono le congregazioni minori dalla ripartizione delle preferenze inespresse. Ma questa non fu l’esatta volontà dei cittadini contribuenti. Non proprio almeno: solo il 38% di essi mise la propria firma nel riquadro, e ciò significa che solo il 33% dell’universo dei contribuenti Irpef scelse di devolvere i propri soldi alla Chiesa. Questa, a rigor di logica, avrebbe perciò dovuto ottenere ‘solo’ 287 milioni di euro. Gli altri 500 milioni sono il premio di maggioranza di due misere righe di testo di legge, la cui conoscenza meglio dovrebbe essere garantita.
Al contrario, a fronte delle 56 pagine di istruzioni per il solo modello 730, per ritrovare l’argomento «ripartizione» bisogna cercare una riga e mezza del secondo capoverso di pagina otto, senza peraltro che dal modello alle istruzioni ci sia alcuna nota che segnala l’inghippo. A completare l’universo fiscale sopracitato ci sono poi i lavoratori dipendenti, che godono di un bonus di scomodità nel far valere la propria intenzione. Questi, infatti, hanno sì la possibilità di esprimere la preferenza sull’otto per mille, ma per renderla valida devono compilare e spedire l’apposito tagliando contenuto nel Cud.
A beneficiare della complicazione sarà perciò sempre e comunque chi può contare sulla guida di una fede che muova la penna, cioè la Chiesa. A guardare la tendenza, infatti, si scopre che i 755 milioni stanziati nell’anno 2000 sono diventati 908 nel 2002, un miliardo di euro nel 2003, 936 milioni nel 2004, e quest’anno - resoconto dell’assemblea generale della Cei alla mano - la quota dovrebbe avvicinare nuovamente la soglia del miliardo di euro. Cifre a cui, in realtà, corrispondono spostamenti nelle scelte dell’ordine di uno o due punti percentuali, come ha sottolineato Paolo Naso, della Tavola Valdese, ricordando anche la differenza di trattamento per cui «la chiesa cattolica viene informata ogni anno della quota percepita, mentre a noi dicono adesso quello che ci spettava nel 2000». Una vera e propria miniera d’oro, quella gestita dai vescovi, che ha portato le casse della conferenza episcopale italiana a vantare un ‘residuo’ di 79 milioni di euro nell’esercizio 2003 e un totale di 936 milioni di euro del bilancio 2004, di cui solo 180 milioni però, destinati alle opere di carità. Niente di male, sia chiaro, nel sostenere la chiesa cattolica, ma, a voler entrare nello specifico, l’incremento dei fondi è a dir poco singolare. È l’opinione dei Radicali, che più volte hanno parlato di «sistema truffaldino». In particolare, è il passaggio fra il 2001 e il 2002 a destare l’attenzione maggiore, con un aumento dei fondi stanziati da 762 a 908 milioni di euro. Una maggiorazione vicina al 20% in un solo anno, difficilmente spiegabile, anche volendo sommare l’aumento del gettito fiscale all’effetto prodotto dalla riduzione delle firme.
Difficile avere conferma della posizione ufficiale, rappresentata dalla segretaria della commissione per l’otto per mille, la dottoressa Anna Nardini, secondo la quale «l’incremento si deve all’aumentato gettito Irpef», poichè i documenti amministrativi prodotti da questa commissione non sono pubblici. Dal marzo 2004 giace infatti inevasa una domanda di accesso presentata dai Radicali italiani, tuttora bloccata in attesa di sentenza del Tar di fronte al diniego del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Scettici sulla conclusione gli stessi Radicali, per voce di Marco Staderini, secondo il quale è «l’Avvocatura dello Stato ha ricevuto forti pressioni perchè lavorasse ad un esito favorevole».
La soluzione migliore resta allora quella di prendere la calcolatrice e cercare di verificare se la concomitante diminuzione delle quote espresse e l’aumento tra queste delle preferenze alla chiesa cattolica sia un motivo sufficiente a giustificare gli aumenti. Ammesso che sia possibile riuscirci, per garantire la trasparenza del sistema sarebbe sufficiente apporre una firma.

a Roma: cento anni di cinema cinesegrazie a Marco Muller

Adnkronos 28.6.05
MOSTRE: ROMA, I CENTO ANNI DEL CINEMA CINESE AL VITTORIANO
ESPOSTI MANIFESTI CHE RACCONTANO VICENDE ARTISTICHE E SOCIALI

Roma, 28 giu. (Adnkronos Cultura) - In occasione dei festeggiamenti per il centenario del cinema cinese, il Complesso del Vittoriano di Roma ospita la mostra “Cento anni di cinema cinese 1905 – 2005. Ombre Elettriche”, a cura di Marco Müller, direttore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, e Alessandro Nicosia, presidente di Comunicare Organizzando. La storia del cinema orientale è narrata attraverso gli oltre 250 manifesti pubblicitari originali provenienti dall’archivio Nazionale del Cinema di Pechino e dallo “Shangay Film Group” di Shangay, che potranno essere ammirati da domani al 24 luglio, tutti i giorni, dalle ore 10 alle 19.

“Siamo molto orgogliosi di ospitare questa originale mostra al Complesso del Vittoriano – ha dichiarato Alessandro Nicosia, nel corso della conferenza stampa tenutasi oggi presso il Complesso del Vittoriano – per la quale abbiamo scelto il linguaggio del manifesto pubblicitario, con tutto il suo valore storico e sociale. Manifesti estremamente vitali questi del cinema cinese, che ben rispondono all’intento portato avanti dal Vittoriano: diffondere un messaggio culturale di alto valore artistico, ma sempre popolare”.

Cento anni di cinema cinese, dunque: una storia che inizia nel 1902, quando il cinematografo arriva a Pechino, e nel 1905, quando viene creata, nella stessa città, la prima sala cinematografica stabile, il Daguan Iou. Nel 1919, a Shangay viene costruito il primo teatro di posa che garantisce un ritmo regolare alla produzione, attingendo alle fonti della letteratura fantastica, dei romanzi cavallereschi, dei libretti di cantastorie e di teatro. La prima major è del 1922, la Mingxing, attraverso la quale la produzione si indirizza verso il rifacimento dei successi hollywoodiani, di derivazione letteraria o ispirati al teatro borghese. Nasce il film cinese “di cappa e spada”, o “dei cavalieri erranti”, come lo definisce Müller. Tra 1928 e 1931 esplode il genere “arti marziali”, un ibrido tra western, film del mistero, commedia sentimentale. Alla fine del 1932 si costituisce alla Mingxing un comitato di sviluppo delle sceneggiature che rispecchia la volontà del “gruppo cinema” del Partito Comunista, deciso ad impadronirsi di quella che veniva considerata “l’arma ideologica più acuminata”.

I film che si realizzano in questo periodo sono opere d’impianto naturalistico, che raccontano le contraddizioni degli strati più poveri della società cinese, sia in città che nelle campagne. L’occupazione militare nipponica, iniziata a Shangay nel 1937, genera invece film che fanno appello alla mobilitazione antigiapponese: film bellici o polizieschi che raccomandano la vigilanza contro spie e collaborazionisti. Con la Repubblica Popolare Cinese (1949 – 1965), uno dei primi gesti del nuovo governo in materia di politica cinematografica è quello di chiedere a produttori e registi un nuovo finale, teso verso un futuro radioso e ottimistico: il cinema deve assolvere ad una funzione pedagogica, tipica dell’arte di regime, illustrare il senso delle campagne politiche e mostrare alle nuove generazioni gli orrori degli anni della schiavitù. Il dettato maoista è imperativo. È negli anni Ottanta che i classici vengono riadattati e nasce la mitologia “kung-fu nazional-rivoluzionaria”, fino ad arrivare agli esperimenti delle ultime due generazioni di registi, le cosiddette “Quinta Generazione” e “Sesta generazione”.

Questa appassionante storia, e il suo intrecciarsi con le vicende culturali e politiche del paese e con il mutamento della società cinese, viene ricostruita attraverso i manifesti che tracciano le tappe fondamentali del cinema e dei suoi vari generi: dai film popolari ai film di guerra e di avventure partigiane, dai musical ai film di propaganda. Il manifesto, infatti, come prima forma di messaggio pubblicitario, assolve a diverse funzioni, permettendo di contestualizzare, attraverso immagini, colori e segni linguistici, momenti ed epoche precise. I manifesti, scelti personalmente da Marco Müller, colpiscono per la loro ricchezza pittorica, per la forza dei colori e quella interpretativa, mentre gli elementi estetici offrono uno straordinario quadro d’insieme che traccia i cento anni della storia che accompagna il cinema cinese, consentendo la lettura dei mutamenti recenti e contemporanei. “L’Italia è stata al centro della riscoperta del cinema cinese – ha dichiarato Marco Müller - a partire dalla grande retrospettiva torinese ‘Ombre elettriche’ del 1981 fino ad arrivare a oggi, con questo evento organizzato per festeggiare il centenario del cinema cinese. Il legame tra Italia e Cina, che sta dando risultati fruttuosi nel restauro della Grande Muraglia e della Città Proibita, prosegue idealmente nell’opera della Biennale di Venezia e della Mostra del Cinema che si stanno occupando del restauro di dodici capolavori della cinematografia cinese.”

Contemporaneamente alla mostra, il Nuovo Cinema Olimpia di Roma organizza la rassegna cinematografica che prevede la proiezione di film classici e recenti del cinema cinese. La rassegna cinematografica vedrà la proiezione di una ventina di film tra i capolavori più o meno noti della cinematografia cinese: si inizia domani con “Li Shizhen” di Shen Fu e si concluderà l’8 luglio con “L’Oriente è rosso” di Wang Ping, con un programma che prevede quattro proiezioni al giorno, a partire dalle ore 16.30 e che passa attraverso opere quali “Sbocciano i gelsomini” di Shou Yong, “Il borgo dell’ibisco” di Xie Jin, “Diciassette anni” di Zhang Yuan. Di sei tra i film proiettati, l’Istituto Luce ha acquistato i diritti per immetterli nel mercato in un prestigioso cofanetto che li ripropone nella versione originale sottotitolata e masterizzata per dare una grande lezione di cinema.

con i cattolici non ci puoi parlare:
un pensiero diverso dalle loro credenze è a priori "falso"

Agi 28.6.05
CATECHISMO: L'INFORMAZIONE DEV'ESSERE AL SERVIZIO DEL BENE

(AGI) - CdV, 28 giu. - Un severo richiamo al "dovere verso la verità" è contenuto nel Compendio del Catechismo, il cui testo è stato coordinato dal card. Josef Ratzinger negli ultimi mesi del pontificato di Giovanni Paolo II e poi approvato dallo stesso Ratzinger appena eletto papa col nome di Benedetto XVI. Il capitolo dedicato all'ottavo comandamento ("non dire falsa testimonianza") è emblematico, in quanto in queste stesse righe si trova il "perchè" di questa iniziativa che è tanto cara al Pontefice: "Ognuno - recita infatti il testo - ha il dovere di cercare la verità e di aderirvi, ordinando tutta la propria vita secondo le esigenze della verità".
Per Benedetto XVI il nemico da battere è il relativismo, ed è a questa concezione, ritenuta molto pericolosa per il futuro stesso dell'uomo, che egli esorta a contrapporre le verità del Cristianesimo. Anche "l'informazione mediatica - si legge nel Compendio - deve essere al servizio del bene comune e nel suo contenuto deve essere sempre vera e, salve la giustizia e la carità, anche integra".
(...)

scienziati britannici: un piccolo elettroshock
un pacemaker al cervello

Reuters 27.6.05
Depressione, un pacemaker al cervello per curare casi gravi

LONDRA (Reuters) - I pazienti che soffrono di grave depressione e che non rispondono ad altre terapie potrebbero essere aiutati da una stimolazione elettrica, dicono i ricercatori.
Il trattamento, che è simile a un pacemaker per il cervello, utilizza elettrodi impiantati nel cervello per disattivare o interrompere circuiti elettrici legati alla depressione.
In quattro pazienti su sei sottoposti alla sperimentazione, la stimolazione ha attenuato la depressione.
"I pazienti sperimenterebbero un immediato calo dello stato negativo", ha detto in conferenza stampa la dottoressa Helen Mayberg, neurologa presso l'Emory University School of Medicine ad Atlanta, Georgia.
La tecnica è stata sviluppata per le persone affette dal morbo di Parkinson ma i ricercatori l'hanno adattata ai pazienti colpiti da depressione grave.
"E' l'ultimo sviluppo più eccitante in termini di cura della depressione in 10 anni", ha detto David Nutt, responsabile di psicofarmacologia alla Bristol University, in Inghilterra.
Utilizzando tecniche per visualizzare il cervello, gli scienziati hanno impiantato degli elettrodi nella zona del cervello legata alla depressione mentre i pazienti erano sotto anestesia locale.
Durante la stimolazione, ai pazienti, svegli, è stato chiesto di spiegare cosa provavano. Hanno descritto un senso di calma o di serenità. Secondo i ricercatori, non ci sono stati effetti collaterali.
Nei pazienti che hanno risposto alla terapia, un dispositivo simile a un pacemaker è stato impiantato per mantenere la stimolazione costante. Due anni dopo l'esperimento, i pazienti rispondono bene. "Questi sono i primi risultati estremamente incoraggianti", ha detto Mayberg.

depressione post parto

Yahoo! Salute 28.6.05
Depressione materna, può rilevarla il pediatra
Il Pensiero Scientifico Editore
Antonella Sagone

“Nelle ultime due settimane, sei stata depressa la maggior parte del tempo? Hai provato scarso interesse nel fare le cose?” Con queste semplici due domande, il pediatra può identificare efficacemente quelle madri che stanno attraversando un periodo di depressione. Uno studio sul Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics illustra uno screening effettuato in occasione delle visite di controllo del bambino.

Dopo il parto esiste la possibilità di depressioni transitorie, ma a volte la nascita di un bambino semplicemente porta a galla situazioni di depressione preesistenti ma sottovalutate. Le donne che hanno avuto un bambino però, nei primi anni in particolare, hanno un contatto con il loro pediatra che per frequenza e per occasioni di dialogo supera quello con il proprio medico curante: un canale da non sottovalutare, perché ha la potenzialità di offrire un punto di riferimento per fornire indicazioni importanti, nel caso che la donna attraversi un periodo di depressione. Inoltre per il pediatra la depressione materna ha una rilevanza diretta per la pratica, perché ha un impatto sulla salute del bambino che, secondo alcuni studi, può essere esposto a un rischio maggiore di problemi mentali nell’adolescenza.

I pediatri coinvolti nella ricerca, appartenenti a quattro centri sanitari territoriali, hanno sottoposto le madri a un breve questionario della durata di un minuto circa. Le domande erano espresse a voce oppure per iscritto. Le domande chiave indagavano la presenza di una prevalenza di stati depressivi o di mancanza di interesse nella settimana precedente alla visita. I pediatri, che avevano precedentemente seguito un training per far fronte ai casi positivi emersi dal questionario, hanno anche riferito dettagli sul colloquio, indicando gli eventuali ostacoli e le difficoltà o resistenze a effettuare lo screening.

Fra le 473 madri sottoposte allo studio, sono stati riscontrati casi di depressione nel 27 per cento dei casi. La maggiore affidabilità è stata ottenuta con il questionario scritto, mentre quello verbale ha fatto emergere soltanto il 5,7 per cento di casi; comunque entrambi gli approcci, con grande sorpresa dei medici di famiglia, sono stati più efficaci del semplice colloquio informale. I casi di depressione erano più frequenti nelle madri di bambini di età superiore all’anno.

I pediatri hanno fornito alle donne che manifestavano segni di depressione una serie di strumenti utili per fronteggiarla: un opuscolo di auto-aiuto, materiali informativi e riferimenti professionali. “Il pediatra può essere una fonte di aiuto per la mamma in difficoltà”, osserva Ardis Olson, a capo del gruppo di ricercatori. Anche se il tempo per approfondire certe tematiche è sempre scarso durante le visite, un questionario di questo tipo ne richiede veramente poco e può essere di grande utilità.

Fonte: Olson AL, Dietrich AJ, Prazar G et al. Two approaches to maternal depression screening during well child visits. J Dev Behav Pediatr. 2005;26(3):169-76.