sabato 25 settembre 2004

una ricerca sui nuovi casi di psicosi

L'Arena di Verona Sabato 25 Settembre 2004
Il progetto scientifico sarà condotto dal dipartimento di Psichiatria del professor Tansella e patrocinato dalla Regione
Il dramma della psicosi passato ai raggi x
Per un anno medici e ricercatori raccoglieranno dati sugli episodi e le diagnosi
di Giorgia Cozzolino

Si chiama Picos (Psychosis incident cohort outcome study) ed è il primo studio multicentrico italiano, uno dei pochi al mondo, sull'esito dei nuovi casi di psicosi. E' stato presentato ieri da Michele Tansella, docente di psichiatria dell'Università di Verona, che ha illustrato quella che ha definito «una importante sfida e un progetto ambizioso». Per un anno saranno infatti raccolti dati medici e scientifici grazie all'arruolamento dei Dipartimenti di salute mentale del Veneto che coprono un territorio di riferimento dove vivono quasi quattro milioni di abitanti e costituiscono perciò oltre l'85 per cento della regione stessa. Una ricerca molto ampia, patrocinata dalla Regione, che punta a chiarire il ruolo che fattori di tipo clinico, sociale, genetico e morfo-funzionale, hanno nell'insorgenza di psicosi e le possibilità di predire l'esito di tali malattie mentali.
«Vogliamo portare la ricerca a livello internazionale», ha spiegato il professor Tansella, «si tratta infatti di una raccolta di dati estremamente complessa che può dimostrarsi uno strumento davvero importante nella diagnosi e nella cura di psicosi». A congratularsi con lo staff del progetto, il vice presidente del consiglio della Regione Veneto, Angelo Fiorin, che ha parlato dell'importanza dell'iniziativa nell'ottica del modello socio-sanitario veneto. Dello stesso parere anche Valerio Alberti, direttore generale dell'Azienda ospedaliera, che ha evidenziato la necessità di muoversi nell'ambito della salute mentale, vista l'incidenza massiccia sulla popolazione e i suoi «pesanti contraccolpi nella società»; mentre il preside della facoltà di Medicina, Francesco Osculati, ha parlato dell'importanza dell'integrazione tra azienda sanitaria e università.
Anche Angelo De Cristan, responsabile dei Servizi sociali dell'Ulss 20, ha dato il benvenuto all'iniziativa mentre Tali Corona Mattioli, presidente dell'associazione italiana salute mentale (Aitsam), ha sottolineato l'importanza delle risorse umane nell'ambito della sanità mentale e infine Giampietro Rupolo, dell'ufficio programmazione sanitaria della Regione, ha illustrato gli sforzi istituzionali in tali ambiti.

l'epilogo della ribellione dell'esistenzialismo...
in morte di Françoise Sagan

Repubblica 25.9.04
Aveva 69 anni. Il suo primo romanzo "Buongiorno Tristezza"
suscitò subito scandalo, ma venne osannato dalla critica
E' morta Francoise Sagan
la ribelle che rapì la Francia
Droga, alcol, gioco d'azzardo, la sua fu una vita a 100 all'ora
Amica di Mitterrand venne coinvolta nello scandalo della Edf
Francoise Sagan

PARIGI - Francoise Sagan, la ragazza che nel '54 rapì e scandalizzò la Francia con Buongiorno tristezza è morta. Se n'è andata a 69 anni, nonostante continuasse a dire che aveva "voglia di vivere e di scrivere". Se n'è andata all'ospedale di Honfleur, romantico porto della Normandia, la regione dove era vissuta negli ultimi anni, facendo della sua casa il suo eremo. L'ha stroncata un'embolia polmonare. Era malata da tempo, viveva ritirata, senza più gli amici della giovinezza, quella dei tavoli ai bistrot di Saint-Germain- des-Pres consumati fino al mattino con Sartre, Juliette Greco e gli altri. Né le erano accanto più gli amici degli anni del potere e della gloria. La Sagan fu grande amica di Mitterrand.
Una vita spericolata la sua, sopra le righe, droga, alcol, spericolate corse in auto, debiti, sempre con una sigraretta che le pendeva dalle labbra. Il maggio '68 la vide sfrecciare da un angolo all'altro di Parigi senza mai un cedimento alla banalità. Come quando, in un'infuocata assemblea all'Odeon, uno studente inferocito prese il megafono per contestarla: "Madame Sagan è venuta in Ferrari ad applaudire la rivoluzione dei suoi compagni!". La risposta che bruciò sul posto quel ragazzo amava raccontarla lei stessa: "chiesi il megafono, c'era tanta gente che ci mise due minuti per arrivare. Pensavo a una replica dura, non la trovai. Così mi alzai e urlai serissima: è falso: è una Maserati!".
Schierata politicamente a sinistra, vicina a Mitterrand, venne arrestata e processata per droga, nel 2001, poi coinvolta nello scandalo delle tangenti della società petrolifera Elf. Un processo per evasione fiscale: non aveva pagato le tasse per una consulenza.
Il suo vero nome era Francoise Quoirez. Era nata a Cajarc, nel 1935. La Sagan conobbe il successo giovanissima, dopo una carriera scolastica disastrosa. Si chiuse in casa per qualche settimana e scrisse il libro che l'avrebbe resa celebre. Osannato dalla critica e premiato dal pubblico, Buongiorno tristezza destò uno scandalo enorme: è la storia di una ragazza sensibile ma amorale, che provoca indirettamente ma volontariamente la morte dell'amante del padre, della quale è gelosa. Quattro anni dopo il regista Otto Preminger ne fece un film, con Deborah Kerr, David Niven, Juliette Greco e Walter Chiari.
Nel romanzo c'è tutta Francoise Sagan e il mondo che farà da sfondo alla sua attività: i salotti, la Costa Azzurra, il whisky, la leggerezza delle emozioni. Non si fermò davanti a nulla, l'irrefrenabile Francoise Quoirez, diventata Sagan in omaggio a un personaggio di Proust: velocità pazzesche in automobile, alcol e cocaina senza freni, gioco d'azzardo, amicizie pericolose, debiti. Sempre tutto d'un fiato, senza pensarci due volte. "Sì - ammetteva con piena coscienza - sono futile. Ma la futilità consiste nell'occuparsi di cose interessanti". Una cinquantina i suoi libri.
"La gloria e il successo mi hanno privato prestissimo dei miei sogni di gloria e di successo", amava ripetere provocatoriamente. Il padre, ricco industriale, non l'aveva scoraggiata dal vivere la vita a 100 all'ora. Di vita familiare, la Sagan ne ha fatta poca: divorziò dopo pochissimo tempo sia dall'editore Guy Schoeller, sia dall'americano Robert Westhoff, il quale le diede un figlio, Denis.
La società ricca, agiata, ma anche pigra e snob che conosceva bene fu lo sfondo dei suoi romanzi più celebri, da Un certo sorriso a Amate Brahms?. Scrisse anche per il teatro. Nel 1984, in piena era Mitterrand, con la gauche al potere, pubblicò Avec mon meilleur souvenir, libro di ricordi che molti considerarono una specie di testamento spirituale. Ma bisognerà attendere il 1998 per leggere il libro che è rimasto il suo ultimo lavoro, Derriere l'epaulè, dietro la spalla, uno sguardo per la prima volta critico e severo sulla propria carriera.
La Francia intera le ha reso omaggio. "Con lei - ha affermato Chirac in un comunicato - la Francia perde uno degli autori più brillanti e sensibili". Per Jack Lang, ex ministro della Cultura socialista e grande amico della scrittrice, è scomparso "un talento vivo e ardente", che ha "contrassegnato la letteratura contemporanea e per tanto tempo".

Corriere della Sera 25.9.04
DAL NOSTRO CORRISPONDE

PARIGI - «Bonjour paresse», buongiorno pigrizia, è un best seller in questi giorni in Francia. L'ha scritto un'impiegata dell'EDF, l'azienda di stato dell'elettricità ed è una divertente esaltazione di come lavorare poco, adattarsi al compromesso, sfuggire responsabilità, diffidare delle carriere, evitare lo stress. Il furbo richiamo al celebre romanzo della Sagan racconta indirettamente la distanza siderale con la Francia di ieri, con il comune sentire di una generazione che si era identificata con la malinconica ribellione di una fragile ragazza di buona famiglia.
Perché l'«eterna bambina», con il caschetto di capelli biondi che sembravano sempre agitati dal vento, aveva sconvolto i bempensanti dell'epoca, fatto vibrare la gioventù del primo dopoguerra, infranto le regole, inventato un genere letterario che poi divenne cinema, teatro, modo di vivere.
Negli anni Cinquanta, Françoise Sagan rappresentò nell'immaginario dei francesi quello che fu James Dean per gli americani. Quel «vivere per vivere» banalizzato nei film di Lelouche, quel vivere di corsa, senza sapere dove andare, lasciandosi fermare soltanto dalla malinconia di un tramonto, dalla fragilità di un amore, dall'inconsistenza dei rapporti istituzionali e familiari. James Dean correva nelle praterie con il rock di Elvis Presley a tutto volume, Françoise Sagan correva sulla costiera di Saint Tropez, ascoltando la Gréco e Montand, e finendo anche lei per schiantarsi con una Jaguar. Rimase quasi un anno semiparalizzata e poi disse: «Ci vietano di fumare, ci ordinano di allacciare le cinture, ma nessuno fa niente contro la noia. E questo non va bene». I suoi antidoti erano sigarette, whisky, case da gioco che anno dopo anno divennero però i suoi pochi compagni nel viaggio della vita. «Non sono sicura di essere mai uscita completamente dalla mia infanzia», ha detto in un'intervista.
Quando uscì Bonjour tristesse , nel 1954, la Sagan aveva meno di vent'anni. Fu un successo strepitoso, ma anche uno scandalo. Parte della critica definì «amorale» la storia di una ragazzina che detesta l'amante del padre. Ma vende un milione di copie in pochi mesi. Traduzione in venti lingue. Arriva la fama in America che, per la giovane scrittrice significò l'incontro e l'amicizia con Truman Capote e Tennessee Williams. La Francia era traumatizzata dalla sconfitta in Indocina, sentiva avvicinarsi gli spettri della guerra d'Algeria, avvertiva senza prenderne completamente coscienza (a volte non lo fa nemmeno adesso) che un grande passato imperiale e coloniale era agli sgoccioli. E si ripiegò, commuovendosi ed esaltandosi, nella figura di Cécile, la protagonista del romanzo, che toccava le corde dei rapporti famigliari difficili, dei sogni d'amore e del bisogno di sognarli. Del «privato» si direbbe oggi. La Sagan, che aveva preso questo pseudonimo dalle pagine di Proust e che ha sempre scritto a mano, divenne un fenomeno letterario, un capitolo considerato fondamentale della moderna letteratura francese, per il vocabolario secco, conciso con cui sapeva indagare i labirinti del cuore e le sfumature degli stati d'animo.
La grande apparizione, nelle librerie e nei caffè di Parigi, non aveva la forza teorica di Sartre né l'impatto politico di Camus né la funambolica fantasia di Cocteau. Eppure l'«eterna bambina», la «charmant petit mostre», come la chiamava Mauriac, venne immediatamente adottata da un contesto culturale in cui sarebbero maturate negli anni successivi la contestazione studentesca, la liberazione sessuale, la crescita della società civile. Conflitto e festa, emancipazione della donna e star system: la bambina prodigio della letteratura vi restava in bilico, come lo era la borghesia francese dell'epoca. Ha scritto: «Siamo pochi a pensare troppo e troppi a pensare poco». I romanzi e le opere che seguirono, da Un certo sorriso a Le piace Brahms? ebbero meno impatto e meno successo, ma confermarono le tematiche e il personaggio cui François Sagan rimase sempre fedele fino alla fine. La sua non era una sfida alla vita, ma una disperata voglia di vivere e di essere amata, eludendo le regole della vita stessa, da quelle sociali a quelle ancora più inesorabili del tempo. Negli ultimi anni, viveva in solitudine, quasi dimenticata dal grande pubblico, malaticcia e perseguita dai debiti come un personaggio di Hugo, una "Violetta" della nostra epoca che, ricordando il passato, disse: «Camuffare il suicidio da incidente è il massimo della delicatezza».
La Francia l'ha amata, compatita, persino protetta e tollerata, con il suo insopprimibile amore - tutto francese - per la trasgressione, l'andare sopra le righe, la libertà e la creatività degli artisti. Non le risparmiò l'arresto, perché a tutto c'è un limite e la Sagan, negli ultimi anni della sua vita, aveva passato anche questo: la droga, i guai con il fisco, i debiti erano diventati la faccia sporca e patetica di una vecchia signora malaticcia che avrebbe voluto continuare a stupire.
Ad un critico, dettò il suo epitaffio: «Fece la sua apparizione nel 1954 e fu uno scandalo mondiale, la sua morte è stata uno scandalo solo per lei».

Il Gazzettino di Venezia 25.9.04

Quel piccolo romanzo nel ’54 era diventato un caso letterario
La giovane musa dell'esistenzialismo
di ROLANDO DAMIANI

Per intendere il favore suscitato dal romanzo d'esordio di Françoise Sagan, "Buongiorno, tristezza", il cui titolo era tratto da un verso di Paul Eluard, basta rileggere, in un volume di Alexandre Kojéve da poco stampato, la recensione che gli dedicò in un fascicolo della prestigiosa "Critique". Il grande studioso di Hegel elogiò, pur con un tono a tratti scherzoso, la ragazza diciottenne che a Parigi, occupandosi di flirt e dei piccoli nulla che riempivano la vita dei suoi coetanei e forse di tutti, aveva scoperto un "mondo nuovo", dove tramontavano i princìpi di autorità, le antiche saggezze, e il passatempo piacevole diveniva uno scopo primario. Kojève forse si divertiva a essere provocatorio, commentando la fortuna di quel piccolo romanzo che nel 1954 era diventato un caso letterario e un best seller. L'anno dopo uscì "Un certo sorriso", che rilanciò la fama della Sagan, confermandola come una giovane musa dell'esistenzialismo in voga e anche della voglia di vivere e di amare, senza troppi intralci morali, che apparteneva a quel periodo, in cui erano ancora accesi i ricordi della guerra. Del clima anche psicologico di quel decennio la Sagan è stata un'interprete sensibile, divenendo a un certo punto prigioniera della cornice in cui la sua immagine era stata sin dal primo momento collocata. I suoi romanzi si susseguirono ancora negli anni Cinquanta, e in particolare "Le piace Brahms?" del 1959 ottenne un grande successo, poi confermato dalla celebre versione cinematografica, con Ingrid Bergman, che ne fu ricavata. La Sagan aveva un suo tocco, una facilità narrativa che poteva manifestarsi negli intrecci amorosi; era una scrittrice a suo agio con argomenti leggeri, vissuti profondamente come se il colore di uno smalto fosse una questione capitale. Quando la moda culturale si irrigidì nelle sue proposte ideologiche, e si richiese più pensiero, anche sociale, agli scrittori in voga, la Sagan cominciò a emarginarsi, a provare altre strade, dalla commedia alla satira di costume. Continuò a scrivere alacremente, benché il vasto pubblico si dimenticasse un po' alla volta dell'enorme notorietà di cui aveva goduto nei suoi straordinari inizi. Aveva raccontato con una poeticità quasi istintiva il bene incosciente della giovinezza: non le fu facile poi inoltrarsi nella vecchiaia, e le cronache a lungo ci riportarono i suoi disagi, le crisi depressive, le fughe. Sopravviveva come autrice in un tempo che non era più suo, ma poteva comunque vantare di essere stata un'icona d'epoca, un nome e un volto che restano per sempre associati a un particolare momento.

Il Messaggero Sabato 25 Settembre 2004
E’ morta la scrittrice che a 18 anni, nel 1954, colpì il mondo con “Bonjour, tristesse”
Françoise Sagan, addio scandalosa ragazza
di COSTANZO COSTANTINI

AVEVA rappresentato, sotto certi aspetti e entro certi limiti, il punto di riferimento, il modello, il simbolo di una generazione, se non di un’epoca: il simbolo di quella gioventù inquieta, ribelle, vagamente nichilista, che in America era passata alla cronaca sotto l’etichetta di «gioventù bruciata», in Inghilterra sotto quella di «gioventù arrabbiata», in Francia sotto quella di «gioventù esistenzialista», con le sue varianti denominate «tricheurs» o «blousons noirs». I profeti di questi giovani erano romanzieri, poeti, cineasti, pittori, commediografi, filosofi: in America Jack Kerouac o Allen Ginsberg, in Inghilterra John Osborne, in Francia Jean-Paul Sartre, Marcel Carnè, Roger Vadim, etc. La «gioventù bruciata» aveva trovato il suo eroe in James Dean, l’attore che nel ’55 interpretava il film omonimo e che verso la fine dello stesso anno periva a Paso Robles, in California, appena ventiquattrenne, in un incidente automobilistico.
Nata nel 1935 a Cajarc, nel Lot, da una famiglia borghese, Françoise Sagan (il suo vero nome era Françoise Quoirez) era assurta alla ribalta letteraria fulmineamente, a soli diciotto anni, con Bonjour, tristesse, il romanzo accolto con un successo strepitoso: un successo che ne cambia la vita, condiziona il futuro, segna il destino. Da un giorno all’altro si ritrova celebre, ricca, contesa, al centro dell’attenzione generale, oggetto di ricerca specialmente da parte del bel mondo, della «gioventù dorata» francese, europea e cosmopolita. Abbandona la casa paterna in Avenue Malesherbes per vivere in un proprio appartamento in Rue Grenelle. Dà sfogo alle sue passioni per il whisky e per le vetture da corsa. Acquista dapprima una Jaguar, poi una Gordini, poi una Aston Martin, inaugurando la moda della guida a piedi nudi, che Brigitte Bardot lancerà in Francia e in Europa. Continua a scrivere, ma alterna alle soste al tavolo da lavoro frenetiche corse in macchina e «notti brave». Non si perde nessuna occasione, non manca mai nei ritrovi mondani, entra a far parte con ruolo da protagonista della «troupe divina» che d’estate folleggia a Saint Tropez. E’ un personaggio, un personaggio del jet-set, ma insignito del carisma derivante dalla celebrità letteraria.
E’ forse bene ricordare le circostanze o le cause che resero possibile il clamoroso successo di Bonjour, tristesse: oltre la giovanissima età dell’autrice e l’abile lancio pubblicitario che ne fu fatto, il tema del romanzo, l’attribuzione del «Grand Prix des critiques» e l’intervento di François Mauriac.
Il tema del romanzo – la storia della giovane Cecilia che, divenuta orfana di madre, sventa con l’aiuto dell’amante il secondo matrimonio del padre con Anna, una donna di rigidi costumi che per la delusione si uccide simulando un incidente automobilistico – rispondeva in pieno agli umori del momento. Bonjour, tristesse aveva tutti gli ingredienti per destare la massima curiosità: tendenza alla ribellione o alla trasgressività, malizia e cinismo precoci, bisogno smodato di libertà, etc. Esso presentava inoltre quella commistione tra vita reale e letteratura che è un dato comune della produzione letteraria giovanile di quegli anni.
Ma il successo del romanzo fu dovuto soprattutto all’attribuzione del «Grand Prix des critiques» e alla polemica che ne seguì. Per l’occasione scese in campo un nome prestigioso come quello di François Mauriac. Il celebre scrittore non esitò a bollare i giurati del «Grand Prix», che erano in gran parte accademici o critici militanti, di sconcertante incoerenza: avevano attribuito al libro l’ambito riconoscimento dopo averlo stroncato sui giornali o sulle riviste per i quali scrivevano. Ma la polemica non ottenne altro effetto che di incrementare le vendite del romanzo
A Bonjour, tristesse fecero seguito, nel giro di tre anni, altri due romanzi: Un certain sourire ( Un certo sorriso ) e Dans un mois, dans un an ( Tra un mese, tra un anno ). Anche in questi casi, il successo commerciale fu di gran lunga superiore al successo critico, ma in favore della Sagan intervenne André Maurois, che non esitava a paragonarla a George Sand, a de Musset, addirittura a Proust. Scriveva fra l’altro il celebre romanziere e biografo: «Un vago profumo del nulla fluttua in Tra un mese, tra un anno come nei due romanzi precedenti. E costituisce un fascino della Sagan come lo ha costituito di Proust».
L’uscita di Tra un mese, tra un anno fu preceduta da un incidente spettacolare e drammatico, quasi a conferma della commistione fra vita reale e letteratura che si riscontrava nella Sagan come in altri scrittori di quel momento. Nell’aprile del 1957, mentre si dirigeva a gran velocità sulla sua Aston Martin a Milly-la-Fôret, dove aveva trasformato in una fastosa magione di campagna il mulino acquistato da Christian Dior, la scrittrice incorse in un pauroso incidente. Dalla vettura capovolta e ridotta ad un ammasso di ferri contorti, venne tratta in coma, con una frattura alla base cranica e ferite varie. Tra i rottami fu trovato il manoscritto di Tra un mese, tra un anno, ma più d’uno pensò che si trattasse d’uno spregiudicato stratagemma pubblicitario.
Come che fosse, quell’incidente ebbe conseguenze molteplici sulla vita della Sagan. La prima fu il matrimonio con Guy Schoeller, il quarantaduenne editore miliardario che la corteggiava da un pezzo ma che riuscì a conquistarla solo grazie all’amorosa assistenza che le prestò durante la degenza in ospedale. La seconda fu una sorta di crisi di coscienza, che la indusse a rivedere la propria vita ed a prospettarsi l’avvenire in maniera meno sregolata e avventurosa. Dichiarava all’uscita dall’ospedale: «Sono cambiata. Prima credevo di essere invulnerabile, ora ho scoperto che sono vulnerabile. Prima vivevo di notte, ora debbo vivere di giorno». Fors’anche perché ora viveva di giorno, s’impegnò in un lavoro imponente: incominciò il quarto romanzo (Aimez-vous Brahms?), ridusse per il cinema Tra un mese, tra un anno (Bonjour, tristesse era stato trasformato in film da Otto Preminger), buttò giù con Alexander Astruc un soggetto dal titolo La piaga e il coltello e iniziò la stesura della sua prima pièce (Il castello di Svezia).
Ma il suo destino era ormai segnato. Volente o nolente, Françoise Sagan era prigioniera di se stessa, o della sua nevrosi. Già nel luglio del ’60, a meno di due anni dal matrimonio, divorziava da Guy Schoeller. Nel gennaio del ’62 si univa in seconde nozze con l’ex indossatore e ceramista americano Bob Westhoff, dal quale attendeva un bambino, ma nel dicembre dello stesso anno divorziava anche da lui, per poi continuare a vederlo come amante. Continuava sempre a scrivere, romanzi e commedie, provandosi anche nella regia teatrale, ma il successo che otteneva non le bastava più, non riusciva più a mettere ordine nella sua vita. Cadeva sempre più spesso in preda a crisi nervose, si indebitava, incorreva in accuse di plagio letterario. Ma quali che fossero le difficoltà in cui si cacciava o che le si abbattevano addosso, non rinunciava mai ad essere presente sulla ribalta della notorietà internazionale, ad inscrivere il personaggio che incarnava e il suo nome nella «Fiera della vanità».

Brescia oggi Sabato 25 Settembre 2004
L’autrice di «Bonjour, tristesse», il romanzo che segnò un’intera generazione, aveva 69 anni e da tempo era malata. Figlia di una ricca famiglia borghese, visse un’esistenza all’insegna della trasgressione e dell’anticonformismo
Morta Françoise Sagan
di Michelangelo Bellinetti

Parigi. E’ deceduta ieri, per embolia polmonare, all’ospedale di Honfleur, in Normandia, la scrittrice Françoise Sagan. Aveva 69 anni. Da tempo era malata.
Ormai da qualche anno era soltanto l’icona della scrittrice che era stata.
Giovanissima, figlia d’una ricca famiglia della buona borghesia di Cajarc, Françoise scrisse quel romanzo destinato a divenire l’atto testimoniale di una generazione, «Bonjour, tristesse». Aveva 18 anni ed era il 1954.
La Francia mostrava ancora le ferite dell’Indocina e stava affrontando la questione algerina. L’esistenzialismo s’era spento per consunzione naturale: Boris Vian aveva finito di èpater la buona borghesia così come Jean Paul Sartre non incantava più i giovani della nuova generazione. C’era nell’aria, soprattutto nell’aria respirata dalla nuova gioventù, una sorta di stanchezza, di noia le cui ragioni si perdevano tra le nuvole di sogni indefiniti.
La Francia però, ovvero Parigi, continuava a credere d’essere il crocevia d’ogni processo culturale come se dai ruggenti anni Trenta non fosse successo nulla. Tra i Deux Magots e la Rotonde gli intellettuali della rive gauche si misuravano nel vecchio gioco del dispetto e della maldicenza piegando sovente il ginocchio davanti ai nuovi proconsoli del Comintern.
La nuova generazione, quella che non conosceva nè Cocteau nè Sartre e che se ne infischiava degli odii e dei rimpianti, viveva nell’egoismo della propria condizione anagrafica.
«Bonjour, tristesse» fu una frustata in faccia ai benpensanti d’ogni categoria, una sveglia terribile per i «maestri» della rive gauche, una sorpresa per tutti gli altri. L’autrice firmò il libro con un nome preso in prestito dalle pagine di Proust: non Françoise Quoirez ma Françoise Sagan. Mauriac, scrivendone su Le Figaro, la definì «un incantevole mostro di 18 anni».
Cosa racconta questo breve romanzo?
E’ la storia di una ragazza sensibile ma completamente priva d’ogni senso morale che provoca indirettamente ma volontariamente la morte dell’amante del padre, di cui era gelosa.
Nel libro è rappresentato seccamente, senza alcuna dolcezza, tutto il mondo di Françoise Sagan: la solitudine, il malessere d’un’età indefinita, la noia, la Costa Azzurra, i salotti, l’whisky, i flirt asciutti, le relazioni trasgressive. Osannato dalla critica e premiato dai lettori, quattro anni più tardi il romanzo divenne un film di successo, interpretato - sotto la direzione di Otto Preminger - da Deborah Kerr, David Niven, Walter Chiari.
Insomma, in quegli ultimi anni del Cinquanta, «Bonjour, tristesse» rappresentò l’autoritratto spietato di una gioventù che non riconosceva alcun ideale, che rifiutava consapevolezze e responsabilità nel nome di un egoismo solitario, unica risposta alle ambiguità del mondo degli adulti.
Due anni più tardi, nel 1956, Françoise Sagan ripetè il successo con «Un certo sorriso». Nel ’57 fu la volta di «Tra un mese, tra un anno» e, nel 1959, «Le piace Brahms?» un romanzo, questo, che ebbe fortuna anche nella sua trasposizione cinematografica per l’interpretazione di Ingrid Bergman, di Yves Montand e di Anthony Perkins. La regia era di Anatole Litwak. Françoise Sagan si misurò pure con il teatro scrivendo alcune commedie come «Castello in Svezia» che fu rappresentato nel 1960. Nel 1974 pubblicò «Un profilo perduto» e nel 1981 «Ricordiamoli con affetto».
L’elemento costante di tutti i romanzi, di tutte le pièces teatrali, perfino della saggistica nella quale Françoise Sagan si è cimentata di rado, resta sempre la solitudine. Una solitudine irriducibile, interrotta, solamente a volte, da un incontro che dà per un attimo l’illusione - solo l’illusione - di una felicità. Forse anche la sua esistenza fu segnata dalla solitudine nonostante l’intensa vita mondana che portò Françoise Sagan ad essere una delle protagoniste della Parigi più trasgressiva e della Costa Azzurra più spericolata. Amava la velocità, guidava la Ferrari a piedi nudi, sfidava la sorte ai tavoli verdi, eccedeva con alcool e con droghe. Rimase coinvolta in gravi incidenti stradali e fu processata per cocaina nel 1990 e nel 1995. L’ultimo scandalo, però, non riguardava nè la droga nè l’alcool. Aveva avuto da un gruppo petrolifero forti somme di denaro in un gioco poco chiaro. Alla fine se la cavò soltanto con un anno di carcere per evasione fiscale.
Politicamente - non ne fece mai un mistero - fu sempre di Sinistra, sostenitrice di Mitterand, di cui era amica dichiarata.
Negli ultimi anni incominciò a pagare per tutti gli eccessi vissuti bravamente fin dai tempi della giovinezza. In quei giorni lontani aveva sperperato non soltanto ricchezze e denari ma soprattutto tante energie.
Ieri se n’è andata, in un giorno di primo autunno, quasi come la protagonista di una delle sue tante storie. In solitudine.
Aveva 69 anni e da tempo non scriveva più.

Il Mattino 25.9.04
Un talento come una fiammata

Titti Marrone

Se n’è andata ieri a 69 anni Françoise Sagan, la scrittrice francese che fu la ragazzina-scrittrice più chiacchierata di Francia, detestata e invidiata dai grandi nomi dell’Académie quando nel 1954, a soli 18 anni, esplose come caso letterario senza precedenti con il profetico romanzo Bonjour, tristesse, che anticipava temi e inquietudini giovanili di là da venire. La scrittrice era malata da molti anni ed è morta per un’embolia polmonare all’ospedale di Honfleur, ma la Francia aveva dimenticato già da molto tempo quell’eterna imbarazzante rompiscatole dalla fortuna troppo rapida, troppo grande al suo esordio. Dopo di allora Sagan aveva scritto una cinquantina di romanzi, il migliore dei quali fu Le piace Brahms?, l’ultimo, stroncato da più di un critico, La guardia del cuore, pubblicato in Italia nel 2003 da Sellerio, ma nessuno seppe essere all’altezza del primo.
Via via che il tempo passava, la rompiscatole Sagan era presente più nelle cronache mondane e giudiziarie che in quelle letterarie: nel 1990 e 1995 si tornò a parlare di lei, e i giornali memori della ragazzina di successo che era stata le dedicarono pagine e pagine per un affare di cocaina in cui si trovò invischiata con altri personaggi del jet set parigino. Nel 1990 fu condannata a sei mesi per uso, detenzione e trasporto di droga, poi su di lei calò di nuovo il sipario, con la sola eccezione di un ritorno d’interesse di quelli che si destinano a chi ha imboccato inesorabilmente il viale del tramonto: una petizione alle autorità firmata due anni fa da vari intellettuali francesi della gauche, lanciata per sostenere la Sagan nei suoi molti guai giudiziari con le banche, dal titolo patetico «non, Sagan, t'es pas toute seule». Il che scandiva invece ancor di più tutta la sua solitudine.
Ormai sembrava da tempo del tutto svaporato quello che era apparso come un talento prodigioso, divampato come una fiammata con quel romanzetto esiguo ma clamoroso che metteva in piazza senza tabù la libertà sfrontata con cui vivevano un padre, vedovo e viveur, e una figlia ragazzina, immersi in una tacita complicità amorale che suonò come insulto alla pruderie degli anni Cinquanta e già annunciava una voglia di rompere gli schemi delle famiglie borghesi esplosa molti anni dopo nel Maggio francese. Per firmare quel romanzo, per il quale scelse il titolo di una poesia di Paul Eluard, Bonjour, tristesse, lei ragazza con i capelli tagliati alla maschietta, che si chiamava in realtà François Quoirez, s’inventò lo pseudonimo di «Sagan» ispirandosi alla Principessa della «Recherche» di Proust. Uno scrittore tradizionale come François Mauriac la definì a denti stretti «incantevole mostro di 18 anni», e certo lei mai avrebbe immaginato il gran successo poi piovutole addosso, che incluse anche un film a firma di Otto Preminger con Deborah Kerr, David Niven e Walter Chiari. In quel primo romanzo c’era quello che sarebbe sempre stato il mondo di Sagan, con il malessere, la noia, i libri, i musei, i salotti, la Costa Azzurra, il whisky e la leggerezza delle emozioni. Seguirono poi romanzi tra cui Un certo sorriso del 1956, Tra un mese, tra un anno (1957), Le piace Brahms? (1959), di cui fu realizzata nel 1961 da Anatole Litwak, anche una versione cinematografica con Ingrid Bergman e Yves Montand, La disfatta (1956) e Un profilo perduto nel 1974.
Il successo iniziale le aveva impresso una gran foga di scrittura, e allora negli anni Cinquanta Françoise Sagan pubblicò a valanga e visse allo stesso modo, ricalcando lo stereotipo del «genio e sregolatezza». Divorziò quasi subito dopo le nozze sia dall’editore Guy Schoeller sia dall’americano Robert Westhoff, da cui ebbe un figlio. Quando rimase vittima di un incidente stradale nel 1957, ne trasse ispirazione per una sorta di diario, intitolato Toxiques. La Sagan fu parte attiva della gauche francese, fino a diventare presenza fissa dell’iconografia degli anni Sessanta con Sartre, Simone De Beauvoir, Juliette Gréco. Amatissima da Mitterrand, negli anni successivi si trovò a essere riguardata anche dalla sinistra come una figura via via più imbarazzante per le intemperanze di una vita attraversata da droga, alcol e gioco d’azzardo. Nel 1981 fu condannata per plagio per il romanzo Il cane che dorme, con l’accusa di aver copiato una novella di Jean Houngron. Nel 1995 venne nuovamente processata per uso e cessione di stupefacenti con il popolare comico francese Pierre Palmade, ma disertò l’udienza. Venne poi implicata, nel febbraio del 2001, nello scandalo delle tangenti Elf, un processo per evasione fiscale. Di lì scaturì una condanna dal tribunale di Parigi a un anno di carcere con la condizionale per frode fiscale. A quel punto la scrittrice era già malata, aveva perso la voglia di scrivere e forse anche di opporsi alla banalità della vita.

Avvenimenti n°37 ora in edicola
con la seconda parte del dossier
contro la legge 40

Avvenimenti 24.9.04
Il ritorno delle mammane
Intervista alla senatrice Franco : “Sirchia vorrebbe riportarci all’aborto clandestino”
di Simona Maggiorelli

Fondatrice del comitato contro la legge 40, sulla fecondazione assistita, la senatrice ds Vittoria Franco ha trascorso i giorni del rush ai banchetti della raccolta firme. “Un’esperienza molto faticosa – dice – in questa corsa contro il tempo, ma importante. La gente firmava senza problemi. Bastava un minimo di informazione”. A lei, esperta di bioetica e filosofa, ricercatrice della Scuola Normale di Pisa, abbiamo chiesto di aiutarci ad approfondire ancora i temi di questa discussa legge.
Senatrice Franco cosa significa dare all’embrione gli stessi diritti della madre? E poi chi eserciterebbe i diritti dell’embrione?
E’ un obbrobrio giuridico oltreché etico. Si riconoscono diritti a un’entità non nata e che non si sa neanche se riuscirà a nascere. Non c’è neanche parità; l’embrione fagocita i diritti della madre. Lo fa l’articolo 1 che poi dà tutta l’ossatura alla legge.
E la legge sull’aborto come entra in questo dibattito?
Si crea apertamente un conflitto, la legge 40 lo stabilisce apertamente con una famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1975 che metteva al primo punto il diritto alla salute e al benessere psicofisico della madre. Una situazione giuridica rischiosa. Abbiamo due leggi che sull’embrione dicono cose diverse.
Il ministro Sirchia non nasconde una volontà di revisione della 194. Ha proposto di far pagare una tassa a chi abortisce.
Gli uomini, specie quelli più conservatori, non sanno di cosa parlano quando affrontano questi temi. Con argomentazioni infondate come quella che in Italia l’aborto sarebbe usato dalle donne come “anticoncezionali”, Sirchia vorrebbe riportarci indietro all’aborto clandestino.
Nel vietare la fecondazione eterologa, in cui i gameti vengono da donatori, la legge sottintende un pensiero razzista? Ovvero che l’identità umana sia determinata dal dna?
La fecondazione eterologa si può giustificare con una semplice constatazione: se una coppia accetta questa tecnica che consente di far nascere un figlio che non ha in sé il patrimonio genetico della madre se le è stato donato un ovocita o del padre se c’è stato un donatore di seme, perché impedirlo? Bisogna tener conto che il desiderio di maternità e di paternità appartengono all’umano, non è un fatto dettato dai geni. E che l’identità del bambino si sviluppa nel rapporto umano.
La legge 40 vieta la diagnosi genetica e obbliga a impiantare nell’utero tre embrioni, anche se malati. C’è chi accusa che questa sia una legge per “fabbricare” handicappati.
Qui c’è davvero un punto di atrocità. Per il modo in cui la legge congegna e prescrive tutto il percorso si ha davvero la sensazione che sia così. Fra i miei colleghi cattolici ho sentito espressioni irripetibili come “i figli non si comprano al mercato”, “non si possono scegliere, vanno accolti come sono”. Forse si sarebbe potuto dire quando le tecniche non erano sviluppate. Quando per la donna la maternità era un destino, non una scelta. Oggi è inaccettabile come senso comune. Visti i progressi della medicina, perché costringere dei bambini alla sofferenza di malattie, spesso terribili come la talassemia, o perché farli ammalare di aids se, per esempio, i genitori si sono infettati? La medicina ha fatto progressi, allora perché far nascere bambini malati, con malattie anche terribili, che comportano per lui una sofferenza continua e non solo per i genitori? Solo per un senso del divino?
Dicono che non sarebbe naturale intervenire...
La naturalità non è un principio valido eticamente, altrimenti non ci dovremmo neanche curare dai tumori. Anche il tumore è una prolificazione naturale di cellule malate. Lo stato che ha fra i suoi impegni la sanità non può proibire le cure. Oltretutto sarebbe stupido. Creerebbe un problema sociale.
La bioetica, di forte attualità, cosa dice?
La bioetica si occupa dell’etica applicata all’umano, al biologico, si occupa della vita e della morte. Dunque non può avere un fondamento ontologico. Non avrebbe senso un’etica metafisica, che riguarda il volere del divino e che teorizza la sofferenza come espiazione. Il richiamo principale della bioetica riguarda il principio della responsabilità. Nella responsabilità c’è la libertà, ma anche il senso del limite. Perché bisogna rispondere alla comunità a cui si appartiene, mantenendo una libertà che è insopprimibile. Temi e principi che, per esempio, la cattolicissima Spagna ha saputo esprimere con chiarezza in una legge sulla fecondazione assistita davvero avanzata.
I sondaggi, soprattutto quello dell’Eurispes, dicono che buona parte dei cattolici non sono d’accordo con l’impostazione di questa legge.
Ne ho avuto una prova diretta raccogliendo le firme. Sono tanti i cattolici che hanno firmato. Un cattolico che abbia esperienza di vita e di relazioni affettive, sa che questa legge colpisce i sentimenti, le relazioni familiari. Sottoporsi a tecniche di fecondazione assistita significa mettere in gioco tutte se stesse, c’è la speranza, la fatica, la delusione. Ogni volta bisogna rinegoziare le scelte di coppia. Lo Stato non può introdursi così pesantemente nelle scelte che riguardano la vita affettiva. Di certo non ha senso farlo con una legge che è un concentrato di divieti assurdi.
Fra gli altri paesi di cultura cattolica o che si rifanno a altre religioni nessuno ha leggi così crudeli e atroci, così sprezzanti della salute e del corpo della donna.
Si sta discutendo anche molto negli Usa.
Il figlio di Reagan, repubblicano doc, ha preso la parola alla convention americana di Kerry dicendo che Bush sta sbagliando a non finanziare la ricerca sulle cellule embrionali, perché lì risiede la possibilità di trovare una cura di malattie degenerative come il Parkinson e l’Alzheimer, purtroppo in aumento con l’allungarsi della vita media. E va anche detto che negli Usa non c’è un vero e proprio divieto. Il problema è politico: come Stato, la finanziamo o no?
In Italia la legge 40 sta portando alla luce una spaccatura fra chi siede in parlamento e il paese reale?
Una spaccatura che si evince anche dai modi in cui la legge è stata fatta passare. Quando è passata in seconda lettera al Senato, il presidente di Forza Italia della commissione, che è un ginecologo, ha avviato una lunga serie di audizioni di scienziati che venivano anche da altri paesi. Il 99 per cento di loro ha espresso un parere negativo sui contenuti della legge. Si stava avviando un processo per cambiarla, ma c’è stato uno stop da parte del governo. Sembra chiaro ormai che questa legge è frutto di un patto di scambio fra gerarchie ecclesiastiche e governo.

andiamo subito a firmare per i referendum
contro la legge sulla fecondazione assistita

Simona Maggiorelli scrive:

mancano ancora parecchie firme...
E' stata quasi sfiorata la quota 500mila firme, ma molte non sono valide perché non c'è il tempo per verificarle nei cumuni di residenza.
La raccolta firme continua ancora fino a domenica, ma solo se si firma nei comuni di residenza dove è automatica la validazione. Sarebbe un vero peccato non farcela per un soffio.