martedì 7 dicembre 2004

citato al Lunedì
preti pedofili ed altre ignominie cattoliche

Repubblica 5.12.04
Ha patteggiato 100 milioni di dollari di risarcimento per 87 casi di abusi sessuali commessi su minori da sacerdoti e laici
Pedofilia, risarcimento record
per una diocesi californiana
[...]

LOS ANGELES - La diocesi cattolica della Contea di Orange (California) ha concordato un risarcimento di 100 milioni di dollari con le 87 vittime degli abusi commessi da sacerdoti e impiegati laici. Ne dà notizia l'edizione online del New York Times, precisando che si tratta della cifra più alta mai pagata dalla Chiesa in casi di risarcimento per abusi sessuali.
Il pagamento di 100 milioni supera infatti gli 85 milioni concordati l'anno scorso dall'arcidiocesi di Boston. In un comunicato, il vescovo di Orange Tod D. Brown, che ha partecipato ai lunghi negoziati che hanno preceduto l'accordo, raggiunto presso il tribunale civile di Los Angeles, ha detto che il patteggiamento, pur riconoscendo ciò che è giusto, non mette in ginocchio la Chiesa di Orange, che non viene pertanto costretta a chiudere nessuna delle sue scuole e delle sue parrocchie. Brown, si legge ancora nel giornale statunitense, ha assicurato che verrà chiesto il perdono a ogni vittima, con una lettera.
Il risarcimento da record, che supera la cifra di un milione di dollari per ogni persona coinvolta, potrebbe costituire un precedente per le altre arcidiocesi impegnate in analoghe battaglie legali. A cominciare dalla più grande degli Stati Uniti, quella di Los Angeles, che si trova ad affrontare 500 denunce di abusi sessuali.
[...]

Ndr: un caso misterioso: l'articolo sui preti pedofili sopra riportato per come appariva sul giornale domenica 5 dicembre, appare adesso, nell'Archivio elettronico di Repubblica, con il testo che segue, evidentemente dissimile:

Cento milioni di dollari alle vittime
Preti pedofili in Usa risarcimento record

NEW YORK - La diocesi cattolica di Orange County in California (Usa) ha raggiunto un accordo con le vittime di molestie sessuali da parte di preti pedofili e pagherà 100 milioni di dollari a 87 persone che hanno subito molestie da parte di religiosi o di laici al servizio della Chiesa. La cifra del risarcimento è da primato.
Finora il record dei risarcimenti per gli scandali sulla pedofilia apparteneva alla diocesi di Boston, condannata a pagare lo scorso anno 85 milioni di dollari a 552 vittime. «Rinnovo le scuse della diocesi e chiedo perdono», ha dichiarato il vescovo Tod Brown nel comunicato che ha annunciato l'intesa.


La Repubblica Cronaca di Roma 5.12.04
Nel palazzo apostolico un luogo per nulla sacro. Qui visse una corte esperta in veleni e intrighi
I SEGRETI DELLE STANZE PAPALI NEGLI AFFRESCHI DEL PINTURICCHIO
Le camere nascoste che ospitarono la corte di Alessandro III, in Vaticano, furono teatro di orge e assassini. Nei dipinti i loro identikit
di Claudio Rendina

Dire Musei Vaticani significa andare con la mente a un luogo che evoca un carattere sacro e artistico insieme e di fama mondiale. Così notoriamente è. Ma esiste al suo interno un ambiente che evoca a dir poco uno spirito profano, sia pure nel contesto dei capolavori artistici che accoglie. Si tratta del pimo piano del palazzo apostolico che costituiva l'appartamento di Alessandro VI. Il papa aveva qui la sua abitazione in una serie di sale, dette per questo "stanze segrete", dove risiedette anche Giulio II fino al 1507, quando si trasferì al piano superiore; non sopportava negli affreschi del Pinturicchio l'immagine di quel "marrano di cattiva e sciagurata memoria", come considerava appunto papa Borgia.
Sono stanze malfamate, che invitano alla rievocazione di un'epoca torbida della storia pontificia, nella quale rientrano, oltre ad Alessandro VI, direttamente o meno le sue donne, Vannozza Cattanei e Giulia Farnese, e i suoi figli, Cesare, Lucrezia, Juan e Jofrè, con tutto il relativo "entourage" di cortigiani, mercenari e sicari. Si tratta infatti di un appartamento che è stato teatro di corruzioni a vari livelli, orge e numerosi delitti, sui quali sono stati scritti diversi libri, con ovvie divagazioni fantastiche ovvero romanzate. Ma è un fatto storicamente accertato che qui si svolsero fatti licenziosi alla presenza del papa, come nelle feste per le nozze di Lucrezia. Dalle donne protese carponi nella gara a chi stringesse tra i seni nudi più confetti lanciati in terra all'orgia delle cinquanta cortigiane con gli uomini in gara a chi si congiungesse più volte. Peraltro era all'ordine del giorno predisporre volutamente la morte di qualcuno; tra alambicchi e storte si distillavano pozioni adatte a ogni avvelenamento, dalla cantarella, a base di arsenico e visceri putrefatti, al veleno con aceto e ingredienti misteriosi. Se non si ricorreva al coltello.
Vittime furono diversi cardinali per motivi politici, ma si ricordano anche un tale Perotto cameriere pontificio amante di Lucrezia e Alfonso d'Aragona, secondo marito di Lucrezia, pugnalato nel suo letto nella sala delle Sibille.
In queste sale possiamo vedere i ritratti dei protagonisti di tante malefatte affrescati dal Pinturicchio, ma chissà quanto aderenti alla verità. Il papa è inginocchiato e in abito pontificale nella lunetta della "Resurrezione" della Sala dei Misteri della Fede.
Dove peraltro convincono poco le altre identificazioni del lascivo Jofrè nel giovane malinconico con l'armatura infranta e nel diabolico Cesare nel personaggio inginocchiato. Vannozza dovrebbe essere invece "L'Annunziata", dalla quale è quanto mai arduo risalire alla donna di sensuale bellezza e d'incarnato scuro. Ma è anche difficile rivedere la bellezza strepitosa di Giulia Farnese nella Madonna col Bambino sopra la porta della Sala dei Santi, anche se il soggetto si adatta al soprannome "sposa di Cristo" che le era stato assegnato. Quest'ultima sala completa le immagini del gruppo di famiglia nella "Disputa di santa Caterina d'Alessandria coi filosofi", dove il giovane a cavallo vestito all'orientale dovrebbe essere Juan duca di Gandìa, amante di pittoreschi costumi, e la santa Lucrezia a quattordici anni.
Sono come gli identikit di un covo di assassini. Tanto che si parlò di asssassinio anche per Alessandro VI, che avrebbe bevuto per sbaglio un bicchiere di cantarella destinato al cardinale Castellesi. Ma poi si disse che era morto di malaria il 18 agosto 1503. Un mistero mai interamente chiarito.

sinistra
«vediamoci...»

Liberazione 7.12.04
Sinistra alternativa
Il "Manifesto" propone: vediamoci il 15 gennaio

"Un incontro pubblico e aperto, senza porre confini se non quelli determinati dal merito". E' la formula che Gabriele Polo, direttore del "Manifesto", sceglie per proporre un appuntamento - a Roma il prossimo 15 gennaio - del variegato fronte della sinistra alternativa, sulla scia della proposta avanzata, su quello stesso giornale, da Alberto Asor Rosa (proposta poi ripresa anche da "Liberazione"). La filosofia di quella proposta - scrive Polo - si basa sulla necessità di recuperare "una cultura politica autonoma in ciò che noi continuiamo a chiamare, magari per comodità, sinistra" sollecitata ancora oggi dal pessimo "esempio" offerto dal "mercante di armi", Ciampi, in Cina nei confronti del quale "la nostra sinistra non dice niente". Un processo di costruzione di una cultura comune, dunque, dopo gli sconvolgimenti dell'ultimo ventennio del secolo scorso, e da lì proporre a chi si candida a sconfiggere Berlusconci nelle urne gli spunti per un programma che metta in discussione il berlusconismo, l'autobiografia dell'Italia odierna: non solo una lista di (pessime) leggi da abrogare, ma una politica da reinventare.

in Spagna, contro Zapatero
il livore scomposto dei cattolici

Liberazione 7.12.04
Nel link della Conferenza Episcopale Spagnola fotomontaggi e insulti sessisti
Porno anti-Zapatero nel sito dei vescovi
di Laura Eduati

Una galleria di foto a colori, fotomontaggi che uniscono i visi delle otto ministre di Zapatero con altrettanti corpi di modelle del porno in pose esplicite. Semplice satira politica ai danni del governo socialista? Potrebbe esserlo, se non fosse che il sito su cui appaiono è legato alla Cope, la radio della Conferenza Episcopale Spagnola, presso la quale la direttrice generale degli Affari religiosi del governo, Mercedes Rico Gordoy, ha inviato una lettera di lamentele, dove chiede il ritiro «del fotomontaggio sessista e infamante per i membri del governo, un attentato ai valori costituzionali che senza dubbio condividiamo». Una satira di cattivo gusto, sottolinea Gordoy, che non può prodursi con la copertura implicita dei vescovi spagnoli.
L'incidente non fa altro che accrescere la tensione tra la gerarchia ecclesiastica iberica e l'esecutivo di Zapatero, colpevole, secondo il clero, di stravolgere la società attraverso riforme che mirano alla completa laicizzazione della Spagna: l'estensione della possibilità di aborto, il divorzio rapido, il matrimonio delle coppie omosessuali. La controffensiva vescovile vera e propria è iniziata un mese fa: il clero ha chiamato i fedeli a mobilitarsi contro il progetto di legge sull'eutanasia, nel cantiere dell'esecutivo socialista. Da quel giorno, migliaia di foglietti invitano a protestare e a sensibilizzare la società affinché non venga approvata la misura.
La scoperta del materiale satirico da parte della stampa nazionale è avvenuta domenica: eppure ieri, nel sito www. gruporisa. com (il nome fa il verso al Grupo Prisa, l'impero editoriale che ha in mano El Paìs, il quotidiano tradizionalmente affine al Psoe, ndr), era ancora possibile cliccare sulle foto incriminate. Oltre alle ministre che maliziosamente si offrono allo sguardo del navigatore, è possibile vedere un fotomontaggio in cui uno Zapatero dal corpo statuario si masturba pensando a bin Laden o al leader di Izquierda Unida (e alleato di governo) Gaspar Llamazares. Nell'arsenale umoristico anti-Zp è incluso inoltre un test di intelligenza per convincere gli elettori socialisti a cambiare idea. Humour a parte, colpiscono le feroci parodie di manifesti elettorali del Psoe. In uno di questi, accanto ad un treno in corsa, appare lo slogan: «Zp express: giusto in tempo!», un infelice riferimento all'attentato di Atocha dell'11 marzo: per gli avversari dei socialisti, la vittoria di Zapatero è il prodotto di quelle bombe. In un'altra sequenza, il volto sorridente del primo ministro viene associato a improbabili Casa Spagnola del Massaggio e al Club della professione più antica del mondo. Lo slogan qui è: «Questo disgraziato non è nostro figlio!». Come dire: anche le prostitute lo rinnegherebbero. Sotto accusa anche il ritiro delle truppe dall'Iraq. In un videogioco stilizzato, tanti Zapatero corrono nudi in un deserto dove troneggia una gigantografia di Saddam Hussein. Li rincorre una freccetta che spiega: «Questo è il vigliacco». Di fronte, un mirino mobile. Con un semplice clic del mouse, parte una palla di sabbia. Obiettivo: disintegrare Zapatero. Sotto, la didascalia esplicativa: «Abbattiamo il vigliacco che ci fece fare la figura da repubblica delle banane».
Insomma, una galleria satirica politicamente molto scorretta. Su questo punto, la lettera del governo ai vescovi sottolinea come non ci sia alcuna intenzione di limitare la libertà di espressione nei mezzi d'informazione, ma la volontà di correggere l'uso del corpo femminile come mezzo, economicissimo a livello intellettuale, di colpire la politica. Gli ideatori della pagina web non spiegano, infatti, come mai siano state unicamente le donne del presidente a finire in una sorta di book pornografico. Soprattutto, la satira non colpisce Zapatero sulle riforme che hanno messo in allarme i vescovi. «Quelle immagini offendono la buona coscienza morale e civica dei cattolici», scrive il governo. Per la chiesa spagnola, un vero e proprio autogol.

il manifesto 7.12.04
Foto «oscene», il governo protesta coi vescovi

La guerra che il Partido popular di Aznar e la gerarchia cattolica hanno dichiarato al primo ministro socialista José Luis Rodriguez Zapatero e al suo governo non guarda tantro per il sottile. Lunedì il governo, per la penna della direttrice generale per gli affari religiosi Mercedes Rico, ha inviato una secca lettera ufficiale di protesta al segretario e portavoce della Conferenza episcopale spagnola, mons. Juan Antonio Martinez Camino, per lamentare il contenuto «osceno e vessatorio» di un web in cui, tramite un fotomontaggio, i volti delle 8 ministre del governo compaiono sopra corpi nudi di donne in attitudini pronografiche, di quelle che si trovano in rete (oltre a una serie di altro fotomontaggio insultanti rispetto a Zapatero). Il fatto è che il web in questione è opera di un Grupo Risa che è vincolato alla Cope, l'emittente radio di cui l'episcopato è il maggior azionista. Ieri la storia si è arricchita di nuovi elementi: la pagina web in questione risulta essere stata registrata pochi giorni dopo la vittoria socialista del 14 marzo e fra i firmatari ci sono almeno un paio di giovani del Pp, militanti di «nuevas generaciones».

antidepressivi in GB

una segnalazione di Francesco Troccoli

First World
UK issues new guidelines for antidepressants, advises restricted use of Wyeth's Efexor
Candace Hoffmann

Il NICE (National Institute for Clinical Excellence), ossia l'agenzia
britannica equivalente alla FDA negli USA, ha prodotto nuove linee guida in cui si raccomanda maggiore cautela nell'impiego degli antidepressivi.
The UK's Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency said Monday that the overall benefits of most SSRI antidepressants outweigh their risks, but did issue stronger warnings on their use, BBC News and other news sources report. The agency did, however, single out Wyeth's Effexor, which will result in a new, interim label that states, in part, that Effexor be prescribed only by specialists and that it should not be given to patients with heart disease.
The agency's move for Effexor, sold in the UK as Efexor, "follows evidence that Efexor is involved in a higher rate of deaths from overdose than other SSRIs and that it may affect heart function," BBC News reports. Wyeth announced that the agency called for interim product labelling changes for both Efexor and Efexor XL in the UK, and in a filing with the US Securities and Exchange Commission said that it plans to challenge the agency's action, as reported in iWon. The company said it would be discussing the matters with regulators worldwide.
The MHRA's report follows its review of SSRIs after safety concerns arose over their use. The agency said that SSRI antidepressants should carry stronger warnings about the risk of withdrawal reactions once the treatment is stopped, and in most cases, only the lowest doses should be prescribed. Additionally, young adults should be monitored closely when prescribed antidepressants, as reported in MSNBC. The review also concluded "that a modest increase in the risk of suicidal thoughts and self-harm among adults taking SSRIs compared with placebo could not be ruled out," as reported in MSNBC. Moreover, no antidepressant was recommended for the initial treatment of mild depression.
The National Institute for Clinical Excellence also issued new guidelines for patients prescribed antidepressants, and emphasised the benefit of non-drug interventions for patients suffering from anxiety disorders. NICE also did not recommend the use of an antidepressant for initial treatment of mild depression, BBC News reports. Nonetheless, if antidepressants are used, NICE did recommend the use of SSRI antidepressants such as Eli Lilly's Prozac and GlaxoSmithKline's Seroxat, sold as Paxil in the US.
A Glaxo spokesman said that the new guidelines clarified the use of the newer antidepressants, reports BBC News.

depressione

una segnalazione di Ciro Lo Basso

L'espresso
Poca ansia siamo italiani

Soffriamo meno degli altri europei di depressioni e disagi. Registriamo meno suicidi e alcolismo. Grazie a famiglia e coesione sociale. E a una legge
di Nicola Nosengo

Gli italiani sono i meno depressi d'Europa. Non solo: soffrono meno degli altri europei (e molto meno degli americani) anche di ansia, attacchi di panico e della maggior parte degli altri disturbi psichici. È questa la fotografia che emerge dallo studio ESEMeD (European Study of the Epidemiology of Mental Disorders), che ha indagato la diffusione dei principali disturbi mentali in sei paesi europei, nell'ambito di uno studio comparativo a livello mondiale promosso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, il World Mental Health Survey Initiative. I dati dicono che l'11 per cento degli italiani in qualche momento della vita soffre di un qualche disturbo affettivo (quindi la depressione nelle sue varie forme), e un altro 11 di qualche disturbo d'ansia. Non che 11 persone su cento siano poche, certo. Ma sono meno delle 14 che soffrono di depressione e delle 16 con disturbi d'ansia rilevate come media europea. E il vantaggio appare addirittura abissale se si fa il confronto con gli Stati Uniti. I National Institutes of Health dicono che nel corso di un anno un americano su cinque soffre di un qualche disturbo mentale. E secondo una ricerca condotta dall'American College Health Association, più del 30 per cento degli universitari americani dichiarano di soffrire di ansia e depressione.
Secondo Giovanni de Girolamo, psichiatra presso il dipartimento di Salute Mentale dell'Asl di Bologna, e in quanto tale tra i responsabili dello studio, ci sono molti buoni motivi per fidarsi dei dati di ESEMeD. "È stato fatto secondo criteri statistici molto rigorosi, e il metodo d'intervista era convalidato dall'Oms", spiega: "Inoltre, altri studi condotti con metodologie in buona parte diverse hanno dato risultati quasi identici". De Girolamo si riferisce in particolare allo Studio di Sesto Fiorentino, pubblicato su 'Psychoterapy and Psychosomatics' lo scorso agosto. Nonostante l'uso di un metodo di intervista molto diverso e il campione limitato a una singola area geografica, i numeri sulle principali patologie psichiche sono sorprendentemente simili.
Ma ci sono anche prove indirette che la situazione sia migliore in Italia rispetto ad altri paesi, prosegue lo psichiatra: "L'Italia è tra i paesi europei in cui il tasso di suicidi è più basso, e il suicidio è nella grande maggioranza dei casi collegato a episodi di depressione. E siamo anche il paese in cui il consumo pro capite di alcol è calato di più nell'ultimo decennio". Un'ulteriore conferma arriva poi da un terzo studio, il Progetto Prisma, curato dall'Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Eugenio Medea di Bosisio Parini, Lecco. Che riguarda un problema in crescita, ma ancora poco indagato: i disturbi mentali in età evolutiva. Prisma era la prima grande indagine epidemiologica sulla salute mentale dei preadolescenti italiani, e ha riguardato un campione di oltre 5 mila ragazze e ragazzi tra i dieci e i 14 anni in 40 scuole di sette città italiane
I risultati dicono che nove preadolescenti italiani su cento soddisfano i criteri standard per la diagnosi di un disturbo psichico. È vero, il numero spaventa, ma sempre meno dei 20 ragazzi su cento di cui parlano i dati americani dell'American Academy of Child and Adolescent Psychiatry.
Insomma, in quanto a salute mentale stiamo davvero un po' meglio del resto del mondo occidentale. Ma perché? De Girolamo fa notare che i dati spagnoli sono paragonabili ai nostri, e che si può ipotizzare che i popoli mediterranei siano meno esposti ai disturbi affettivi e dell'umore, per un effetto protettivo delle relazioni familiari e della struttura sociale. "Ma si non ci sono studi che ci diano una spiegazione di quei dati, e azzardarne una è molto difficile".
Qualcuno però prova a farlo, tra gli operatori della salute mentale. Secondo Giuseppe dell'Acqua, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste e animatore del Forum Salute Mentale, che riunisce operatori del settore in tutta Italia, "quei dati sono anche il frutto di un modello di assistenza che rimane un caso praticamente unico nel mondo occidentale". Il riferimento è alla strada, intrapresa in Italia sin dal 1978, della chiusura dei manicomi e dell'assistenza psichiatrica portata sul territorio, nelle cliniche e nelle comunità terapeutiche, e al clima culturale che si è accompagnato a quel movimento, anche a prescindere dalle difficoltà che l'attuazione della legge ha comportato. "Da noi esiste un'accessibilità ai servizi di salute mentale che riesce ad attutire l'impatto del disagio. Senza dimenticare che la chiusura dei manicomi ha cambiato la percezione della malattia mentale, che a sua volta ne influenza in qualche modo la diffusione. Chi vive in un paese dove il disturbo mentale è meno stigmatizzato, è meno portato a vivere come patologica anche la depressione o l'angoscia passeggera".
Nessuno ha però troppa voglia di crogiolarsi in quei dati. Che saranno pure buoni rispetto ad altri Paesi, ma parlano comunque di milioni di persone che hanno bisogno, almeno in qualche momento della vita, di assistenza e terapie. E tra chi arriva effettivamente a rivolgersi ai servizi di salute mentale, molti sono casi gravi. Si veda per esempio una ricerca condotta recentemente presso il Centro Collaboratore dell'Oms di Ricerca sulla Salute Mentale, che ha sede presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Verona. Qui il 40 per cento dei pazienti psicotici in carico ai servizi risultano gravi secondo i criteri diagnostici standard, e si parla di almeno 332 pazienti psichiatrici gravi ogni 100 mila abitanti.
Su come assistere al meglio quei pazienti, in psichiatria continuano a scontrarsi scuole di pensiero molto diverse, divise soprattutto attorno alla domanda: quanto affidarsi ai farmaci? Ormai molte ricerche suggeriscono che i farmaci non possono essere che una parte della terapia psichiatrica: importante, fondamentale, ma a volte non la più importante. Come ha mostrato un altro studio condotto dal gruppo di Verona sull'esito a distanza di sei anni delle cure fornite dai servizi di salute mentale, per la qualità della vita dei pazienti psichiatrici gravi ci sono cose che contano più del controllo dei sintomi, cioè la funzione dei farmaci. Per chi deve convivere con patologie gravi come la schizofrenia, ridurre allucinazioni e deliri conta in realtà meno rispetto a trovare un lavoro, avere la possibilità di essere coinvolti in attività quotidiane organizzate, combattere la solitudine e lo stress. Cose che sempre più servizi di salute mentale in Italia si attrezzano per offrire ai propri assistiti. E anche da questo punto di vista, l'Italia rimane a livello internazionale una felice anomalia.

la biblioteca di Stalin

Il Corriere della Sera 5.12.04
Viaggio esclusivo nella biblioteca del dittatore
Dimenticata da 50 anni

I SEGRETI DELLA STALINKA
di Armando Torno

Stalin morì alle 21,50 del 5 marzo 1953 nella dacia di Kunzevo, dove dormiva ogni notte dopo la scomparsa della moglie, a una ventina di chilometri da Mosca; luogo che oggi è diventato un quartiere della città. L'ictus, l'agonia di alcuni giorni, l'isolamento. Questa, almeno, è la versione ufficiale con le inevitabili varianti sui tempi. Non cercheremo di scoprire la verità sulle cause, che si fanno sempre più misteriose, ci accontenteremo semplicemente di osservare che nella ricordata dacia - una delle sei di cui il «piccolo padre» poteva disporre - vi era la parte più consistente della sua biblioteca. O meglio, lì Stalin raccolse circa 25 mila volumi, molti dei quali avevano sue note, sottolineature, dediche, segni di appartenenza. Anche se il dittatore possedeva opere rarissime - persino manoscritti tardomedievali - non era un bibliofilo. Marx soleva ripetere: «I libri sono i miei schiavi»; Stalin applicò la battuta alla lettera e li lesse sempre con la matita in mano.
La nostra storia comincia con una inevitabile domanda: che fine ha fatto questa biblioteca? Il professor Boris Ilizarov, docente di archivistica nella capitale russa e membro dell'Accademia, autore del saggio La vita segreta di Stalin (Mosca 2004), ha accettato di accompagnare chi scrive tra i misteri di quel che è rimasto della raccolta, o meglio della Stalinka: di essa sono sopravvissuti circa 5 mila volumi. Diremo innanzitutto che ogni dacia aveva una sua biblioteca, ma non ci è pervenuto alcun catalogo e tutto fa supporre che ci fossero anche opere doppie, triple o quadrupie. Di certo, il corpus più ricco e significativo era, secondo le ricerche di Ilizarov, a Kunzevo; nello studio al Cremlino vi erano enciclopedie, dizionari, manuali e un grande mappamondo, anche se sul tavolo Stalin teneva dal 1949 un libro italiano (di questo parleremo più avanti).
Alla morte del dittatore la dacia rimase chiusa e inviolata. Quella raccolta di libri l'avevano vista in pochi, e l'unico capo diStato che la poté compulsare con calma fu Mao, ospite a Kunzevo dopo il 1949.
Con il XX Congresso del Partito comunista, nel 1956, è noto che cominciò - con calma - la destalinizzazione. Nel 1960 Kruscev decise di trasferire la biblioteca del predecessore a Mosca, destinandola a una stanza dell'attuale «Biblioteca di Stato russa per le scienze politiche e sociali», ex Comintern. Durante il trasloco non fu negato un «ricordo» a chi lo avesse desiderato: così, tra i tanti, lo storico Mikhail Gefter si servì con le opere complete di Bismarck, fatte tradurre in russo nel 1940 in onore agli alleati tedeschi (per l'Italia, invece, toccò a La scienza nuova di Vico). Una curiosità prima di riprendere il nostro racconto: a margine dell'introduzione agli scritti del cancelliere tedesco, dove si cita il famoso testamento in cui si raccomanda alla Germania di non fare la guerra contemporaneamente a Russia e Occidente, Stalin scrive con matita blu: «Mai fare paura a Hitler» (la traduzione di questa e delle altre notazioni è di Viktor Gajduk, professore di storia all'Università di Mosca, membro dell'Accademia).
Non è errato supporre che tra il 1960 e il collasso dell'Urss altri volumi sparirono dalla Stalinka, ma il vero problema arriva con l'avvento di Eltsin. Nell'euforia della privatizzazione dei primi Anni '90 si chiese al presidente di collocare all'ex Comintern una «Fondazione russo-ellenica», richiesta che fu esaudita in pochi giorni. E negli stessi riappare a Mosca tale Boris Gorelov, 37 anni, senza titolo di studio, condannato per spaccio di droga pesante, disoccupato. Costui, su suggerimento di amici o clienti, prende in subaffitto una stanza nel palazzo della costituenda Fondazione e comincia a frugare.
Sono sue parole: «Lunghi corridoi con porte verniciate di bianco, ognuna con una targa storica: Georgij Dimitrov, Maurice Thorez, Palmiro Togliatti... Tutte chiuse a chiave. Finalmente trovo una porta senza targa e con una serratura primitiva; l'apro facilmente con un temperino, rimango allibito. Di fronte a me un enorme deposito di libri, alcuni rilegati in cuoio prezioso...». Gorelov era nella Stalinka. Prende e cerca di vendere. Con sua sorpresa, si accorge che per un edizione de Il capitale di Marx ricava 5 mila dollari, per il manoscritto Trattato di Alì re dei santi, emiro dei fedeli anche di più. Chissa cosa riuscì a trafugare. Sappiamo che quando la polizia lo arresta, l'8 febbraio1996, è incriminato per il furto di 1.614 libri; tuttavia Boris si pente e aiuta gli agenti a recuperarne 1.997. Olga, la sua fidanzata, teneva l'edizione del 1585 de Les secrets des finance de France come centro tavola per appoggiarvi il samovar.
Colpo di scena, il professor Georgij Trapeznikov, ex custode della biblioteca di Stalin e del Comnintern, rivela in un'intervista all'Izvestia del 25 giugno 1996 che in realtà il ladro Corelov ha salvato la biblioteca. Perhé? Un piano ordito da personaggi vicini a llltsin, con la scusa dei restauri, aveva progettato di vendere tutti i libri in Occidente. Il grassatore, anche se aveva sottratto migliaia di volumi, salvò quelli che rimanevano. Si poteva perdonare quindi, tra le tante cose, anche il suo viaggio a Parigi, dove riuscirà a piazzare due prime edizioni di Fourié autografate. Gli ex-libris di Stalin li cancellava con l'essenza di aceto. Oggi del patrimonio restano, appunto, i ricordati 5 mila volumi, in cui si aggira guardingo il professor Ilizarov. Altri 391 li abbiamo trovati all'«Archivio di Stato russo» e sono quasi tutti autografati. C'è anche un Petrarca in 32°, rilegato in pelle e carta india, spedito nel 1949 a Stalin dal «compagno» torinese Ernesto Giordanino per il settantesimo del dittatore: è in italiano ed era sul tavolo del Cremlino. Perché lo tenesse lì, visto che non conosceva la nostra lingua, è spiegabile ricordando che il «piccolo padre» esordì con delle poesie romantiche sul quotidiano Iveria, allora il più importante della Georgia. Erano gli anni seguenti il suo debutto come cantore nella chiesa della natia Gori, dove la gente accorreva per la sua bella voce. Ma all'Archivio c'è anche altro. Il direttore, Kirill Anderson, mostra una busta con l'edizione de Il nuovo corso di Trotzkij del 1924. Ha una dedica dell'autore a Stalin e le note dello stesso: a pagina 24, dopo aver sottolineato una frase sulla burocrazia del partito, scrive: «vzdor», ovvero: «stronzata».
Poi si è presi dalla febbre. Con Ilizarov corriamo di nuovo ai resti della Stalinka. Ecco I miserabili di Hugo, ecco i classici del socialismo, ecco I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Di questo romanzo Stalin salta completamente le pagine con la leggenda del Grande Inquisitore, ma si moltiplicano le sottolineature quando si parla dei rapporti tra Chiesa e Stato, dei miracoli, dei tormenti dell'omicida. Di più: sottolinea sempre le parole del monaco e le parti su Dio. Si può continuare con i saggi di Anatole France I dialoghi sotto la rosa (edizione 1925). Qui, altre sottolineature forti con quattro righe verticali al passo: «Credere o non credere in Dio, fa poca differenza: quelli che credono in Dio non riescono a capirlo, dicendo che Dio è tutto. Ma essere tutto equivale a essere nulla». E infine Stalin, che conosceva greco e latino, traduce in parte il titolo e sul dorso scrive: «sub rosa».
Già, le lingue. Non era arrivato all'ebraico, il tedesco non lo parlava ma lo leggeva. La prima lingua straniera che apprese, essendo georgiano, fu il russo; poi conosceva armeno, azerbaigiano, osseto, parsi. Aveva messo a punto un sistema di lettura veloce, tanto che riusciva a prendere atto di 400-600 pagine al giorno. Divorava tutto, anche i manoscritti che gli inviavano, romanzi, libri per ragazzi, soggetti di film. Anderson ha un manuale di economia politica di Vasili Leontiev con il capitolo sulla società schiavistica riscritto da Stalin, perché non l'aveva gradito. Tra i resti della biblioteca ci sono saggi di architettura e sulla nascita del fascismo, nonché dattiloscritti su argomenti di spionaggio, le sue letture preferite. Sono opere tirate in due o tre esemplari, uno dei quali era sempre per Stalin. Infine, non va dimenticato per l'ipotetico inventario che egli chiedeva altri titoli alla «Spedizionedei libri», istituto chiuso del Cremlino che pubblicava un mensile con le novità per la nomenclatura: si poteva averle in prestito o acquistarle.
L'incredibile Ilizarov mostra quindi un faldone con 500 disegni: sono fatti dai membri del Politburo durante le riunioni. Ce ne sono di Stalin, anzi l'unico a sfondo sessuale con il povero ministro delle finanze Briukhanov appeso per i genitali, è di sua mano. «E' degli inizi Anni '30», certifica il professore; di certo non va oltre il '37 perché in quell'anno le purghe staliniane finiscono il lavoro della caricatura. Nel verso del foglio c'è una scritta firmata dal dittatore. Dice: «Ai membri dell'ufficio politico per tutti i peccati presenti e futuri: sospendere Briukanov per i coglioni. Se i suoi coglioni resistono, allora considerarlo discolpato per vie legali. Se invece i coglioni cedono, allora farlo annegare nel fiume».
Scusate la terminologia, ma è d'autore. Ilizarov è anche l'unico al mondo che abbia visto la cartella clinica originale del «piccolo padre». Sostiene che dopo la battaglia di Stalingrado abbia avuto un ictus e sia stato ricoverato per un mese. Poi tutto passò. Ma questa è un'altra storia. Chissà, magari un giorno riusciremo a raccontarvela.

In rete - Cremlino: http://president.kremlin.ru/ (in inglese e russo)
Archivio di Stato russo: http://www.rgaspi.ru/ (in russo)

neuroscienze
ma quali «enormi progressi»?
solo una falsificazione dell'oggetto

Il Sole 24 Ore DOMENICA 5.12.04
IL GRANDE CIELO DELLA MATERIA CHE PENSA
di Armando Massarenti

Un convegno a Vercelli e tre libri. Rachamandran fa il punto sulle conoscenze sul cervello, Gary Marcus mostra come i geni lo costruiscono e il Nobel Gerald M. Edelman illustra i meccanismi della coscienza
"Il cervello - è più grande del cielo -
Perché - mettili fianco a fianco -
L'uno l'altro conterrà
Con facilità - e Te - in aggiunta".
Così scriveva Emily Dickinson nel 1862. E Più grande del cielo è il titolo che il premio Novel Gerlad M. Edelman ha dato al suo ultimo libro, un'esposizione rivolta al grande pubblico dei non specialisti del suo celebre "darwinismo neuronale". Scritto con chiarezza esemplare, affronta un tema filosofico per eccellenza, quello della coscienza, delle sue origini e del suo funzionamento, con gli strumenti più aggiornati delle neuroscienze. La prospettiva è rigorosamente materialistica.
La coscienza, scrive Edelman, è un "prodotto dell'evoluzione", non una "sostanza cartesiana", una res cogitans avvolta nel mistero e "inaccessibile mediante l'indagine scientifica". Il punto di partenza era già stato ben individuato da Darwuin, che nel suo diario, nel 1838, scriveva: "L'origine dell'uomo è ora dimostrata. La metafisica deve prosperare. Colui che comprende il babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke".
La direzione è dunque quella di una "teoria biologica della coscienza", corredata di un sempre più consistente apparato di prove che stanno venendo alla luce dagli enormi progressi che proprio gli studi sul cervello hanno fatto negli ultimi anni.
Oggi è possibile "vedere" concretamente quanto la coscienza sia "incarnata", quanto dipenda "totalmente" dal cervello che la ospita. Non ci sono prove di alcun genere di una coscienza che possa fluttuare liberamente fuori dal corpo e poi ritornarvi, mentre ve ne sono di notevoli a dimostrazione che, al contrario, tolta la base materiale, essa svanisce. La coscienza "emerge dall'organizzazione" e dall'attività del cervello", scrive Edelman. "Quando la funzione cerebrale viene ridotta - da un'anestesia profonda, dopo certe forme di trauma cerebrale, dopo un ictus e in certe fasi limitate del sonno - la coscienza è assente".
"La mente è quello che fa il cervello", ha scritto analogamente Steven Pinker, citato da un suo giovane collaboratore, Gary Marcus, in La nascita della mente, che è un utile complemento al ragionamento di Edelman: una spiegazione delle basi genetiche del pensiero umano, la cui complessità deriva da "un piccolo numero di geni". "Benché la maggior parte della gente abbia accettato che la mente si origini dal cervello", scrive Marcus, meno agevole risulta l'idea che l'origine del cervello risalga ai geni. Tutti ricorderanno lo scandalo che hanno suscitato le prese di posizione di Francis Crick, uno dei due scopritori della doppia elica, che peraltro partiva dalla stessa premessa di Edelman e di Marcus. I geni probabilmente fanno paura perché si pensa che, rifacendosi a essi, si finisca per abbracciare una qualche forma di determinismo che finisce per negare la nostra libertà e le nostre qualità umane. Sono questi i danni di un modo propagandistico e semplicistico di presentare gli studi sul genoma, corretti dall'approccio di questo libro che mostra che non dobbiamo pensare che i geni siano necessariamente il nostro "destino", mapiuttosto la base per una serie di caratteristiche, tra cui lo sviluppo del pensiero cosciente.
Marcus si limita a descrivere il ruolo dei geni. Edelman fa molto di più. Delinea una possibile teoria della coscienza su base neuronale, affrontando temi come la causalità, lo sviluppo del sé, i meccanismi dell'apprendimento e della memoria. Che è poi ciò che fa anche Vilayanur S. Ramachandran, che Oliver Sacks ha definito il più grande esperto mondiale sulla mente, ma a partire da un'angolazione diversa. Proprio come Sacks, Ramachandran ci racconta, in maniera spesso toccante e sempre affascinante, storie di patologie particolari - l'arto fantasma, la visione cieca, il caso della "sinestesia" tra colori e numeri (scoperta dal cugino di Darwin, Francis Galton, e verificata sperimentalmente solo pochi anni fa) - per ricavare idee generali su come funzionano il nostro cervello e la nostra coscienza. Quello di Ramachandran è un viaggio pieno di verve e di humour, orientato anch'esso alla costruzione di una teoria della coscienza di stampo evoluzionistico e materialistico. Che ha però anche un'ambizione in più: quella di mostrare, per esempio attraverso un appassionante capitolo sull'arte, che le neuroscienze sono in grado di gettare un solido ponte tra le "due culture", quella umanistica e quella scientifica.
Edelman apre il suo libro con la Dickinson. Ramachandran chiude il suo con i versi dal sapore leopardiano di un grande fisico del '900, Richard Feunman, che definisce gli esseri umani
"atomi con la coscienza
materia con la curiosità",
concludendo con questa bella immagine:
"In piedi davanti al mare
meravigliato della propria meragilia: io
un universo di atomi
un atomo nell'universo".
Gerald M. Edelman, "Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza" Einaudi, Torino 2004, pagg. 162, € 17,00.
Gary Marcus, "La nascita della mente", Codice, Torino 2004, pagg 276, € 25,00.
Vilayanur S. Ramachandran, "Che cosa sappiamo della mente", Mondadori, Milano 2004, pagg. 158, € 15,00; il testo inglese è disponibile in Internet (http://bbc.co.uk/radio4/reith2003/) insieme alla riproduzione in real audio delle cinque conferenze da cui è nato il volume.


stessa pagina:
CHIAMATELE "EMOZIONI SOCIALI"
di Antonio Damaso

Ricerche recenti in neurobiologia dell'emozione hanno cominciato non soltanto a rivelare le strutture e i meccanismi cerebrali necessari alle emozioni e ai sentimenti, ma anche a mostrare che l'emozione svolge una parte importante in una varietà di funzioni cognitive.
L'attenzione, la memoria, la presa di decisioni sono tutte influenzate, positivamente o negativamente, da tipi e intensità diverse di emozione. Altrettanto importante è il ruolo dell'emozione della cognizione sociale. E' diventato evidente che la navigazione sociale degli esseri umani e di altre specie complesse è strettamente legata a tipi specifici di emozione o a ingredienti filosofici importanti delle emozioni quali il dolore (punizione) e il piacere (premio); e anche le pulsioni e le motivazioni.
Nella cognizione sociale, forse un ruolo preminente spetta alle emozioni cosiddette sociali, come la compassione, l'imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa, il disprezzo e così via.
L'emergenza di comportamenti morali potrebbe fondarsi sulle emozioni. Senza la loro presenza nell'evoluzione biologica sarebbe difficile immaginare lo sviluppo di convenzioni sociali. E' un dato di fatto che l'obbedienza a leggi e a principi morali richiede l'integrità delle emozioni sociali.
(Traduzione di Sylvie Coyaud)

Hans Georg Gadamer
nazista anche lui come il suo maestro

Il Sole 24 Ore 5.12.04
Apolitico o compromesso col nazismo? Grondin elude la questione, concentrandosi sulla biografia intellettuale
GADAMER TRA I DUE TOTALITARISMI
Dopo i primi discorsi filosovietici si adattò al Terzo Reich
La longevità gli regalò una nuova felice stagione filosofica
Di Maria Bettetini

"Sono un anacronismo vivente, perché non appartengo più autenticamente all'oggi e tuttavia sono ancora qui". Nato nel 1900, morto nel 2002, Gadamer è riuscito a essere allievo di Heidegger, protettore di Habermas, in dialogo con Derrida: qualunque sua biografia diventa di necessità un volume di storia della filosofia e di storia della cultura del Novecento, e naturalmente anche delle polemiche che sorgono da ogni rilettura storica. E' appena uscita la traduzione italiana di Gadamer. Eine Biographie, monumentale lavoro di Jean Grondin, canadese allievo di Gadamer. L'edizione tedesca è del 1999 (recensita su queste pagine da Maurizio Ferraris il 18 aprile 1999), bonariamente approvata dallo stesso Gadamer. Quella che abbiamo a disposizione ora è una versione che comprende anche l'epilogo, con i diversi aggiornamenti del 2003, ancora inedita in Germania, ma uscita l'anno scorso negli Stati Uniti, dove è stata accusata di eccessi agiografici, soprattutto, come è ovvio, a proposito dell'atteggiamento di Gadamer nel periodo del Terzo Reich, durante il quale non smise un solo giorno di essere un docente universitario.
Dal libro non escono elementi nuovi: si sapeva della prudente non compromissione dell'autore di Verità e metodo, dell'ininterrotta ascesa accademica che lo portò a diventare rettore dell'università di Lipsia, all'indomani del termine della guerra, nel 1946, e del suo rapido "rientro" nella Germania occidentale dopo soli tre anni. Forse non era noto che avesse accettato di essere supplente di amici come Karl Löwith ed Erich Frank, sospesi dall'insegnamento in quanto ebrei, ma è nota la continuità con quelle amicizie, mentre negli anni Trenta e fino al 1944 quella che viene tenuta per così dire in sospeso è la deferente amicizia con Martin Heidegger, palesemente compromesso col nazismo (fino al '34, poi autosospesosi dalla carica di rettore e ritirato) e iscritto al partito.
Gadamer non entrò nel partito, si iscrisse a circoli sportivi e culturali dipendenti da questo, e non evitò di frequentare addirittura, nel 1936, per ottenere l'ordinariato, una scuola di rieducazione nazista. A ben vedere nemmeno questa è una novità, e ricorda vicissitudini accademite di tutti i tempi.
Meno noti erano i primi discorsi di Gadamer a Lipsia, in una Germania in via di sovietizzazione, entusiasticamente accoglienti verso gli studenti lavoratori, o i lavoratori studenti, nucleo dirigente del futuro in vista della dittatura del proletariato. Grondin tenta di mostrare e dimostrare: mostrare impietosi documenti e insieme dimostrare l'ineluttabilità del comportamento di un docente universitario che doveva soprattutto pensare a mantenere la famiglia e in secondo luogo salvare la grande tradizione culturale e filosofica tedesca, continuando a lavorare in qualunque condizione storica e politica, anzi facendo della "apoliticità" un valore. Questo concetto di "emigrazione interiore" (che a noi potrebbe suonare come un Aventino interiore, o anche solo un Aventino) non soddisfa i virulenti critici statunitensi, Quel Richard Wolin che fa suoi gli animosi studi di Teresa Orozco per tacciare Gadamer non di apoliticità ma di connivenza col nazismo, non di opportunismo ma di complicità intellettuale e ideologica. Tanto scandalo, ora concentrato nell'ultimo lavoro The Sediction of Unreason: The Intellectual Romance with Fascism from Nietzsche to Postmodernism (Princeton University Press, 2004), non può essere prodotto solo da un giudizio etico a posteriori sempre facile, e infatti le accuse statunitensi non sono volte al signor Gadamer, ma all'autore di Verità e metodo, non alla vita di un uomo, con colpi di genio e meschinità comuni, ma all'ermeneutica. La filosofia dell'interpretare, dell'avere dalle cose le risposte che si sono cercate con le proprie pregiudizievoli domande, il pensiero che si astiene dal giudizio sulla storia perché se ne sente parte: questi sono i veri accusati dai nemici di Gadamer.
La minuziosa ricostruzione di Grondin, debitrice alla formazione del suo autori di uno stile non propriamente scorrevole, premia tuttavia il lettore che si trova a comporre i tassilli di un secolo e insieme di un ritratto terribilmente umano. Si tratta di una "biografia intellettuale" (accompagnata da accurate bibliografie di e su Gadamer), quindi una via di mezzo, ancora una volta, rispetto a un'analisi interna alle sole opere oppure a un racconto di fatti e amori del filosofo, che direbbero, come voleva la Arendt, solo che cosa Gadamer fu e non chi fu. Forse l'aspetto più entusiasmante della biografia, tra minuetti accademici e tragedie storiche, è proprio il fatto di poter seguire il faticoso sorgere del pensiero di Gadamer, dell'ermeneutica filosofica già presente nei corsi sull'arte degli anni Trenta, ma divenuta libro solo nel 1960. Che ogni ricerca nel campo della storia della filosofia sia essa stessa filosofia non è piaciuto e non piace a molti, che preferirebbero separare le due professioni come sono separati l'ornitologo e l'entomologo. Che questa unione abbia prodotto dei mostri, illegibili per arroganza e nebulosità, era noto allo stesso Gadamer, il primo a riprendere con ironia lo scherzo dei colleghi di Marburgo, che definivano "gad" l'unità di misura della complicazione inutile. Ma che si possa liquidare come un sostenitore di Hitler il centenario vecchietto che amava l'Italia e che timidamente si sforzò di "comprendere ciò che ci prende", sembra eccessivo. A settant'anni, libero dall'accademia, si era accorto di poter dire quello che prima aeva dovuto opportunamente e opportunisticamente gestire: ora poteva tornare a Platone, spiegare che nessuno si sarebbe atteso tali esiti dalla salita al potere di Hitler, giustificare quel che gli pareva. Il ritratto di un accademico che ha avuto la fortuna di sopravvivere al suo pensionamento, sfortunamente vissuto in un secolo in cui almeno un paio di volte si è stati costretti a prendere delle posizioni.

Jean Grondin, "Gadamer. Una biografia", a cura di G.B. Demarta, Bompiani, Milano 2004, pagg. XXXI + 737, € 26,00.

Il Sole 24 Ore 5.12.04
Il doppio Edipo di Hans Georg
di Maurizio Ferraris

Nel 1819 un sacerdote cattolico, Francesco Zamboni, scrisse un Saggio di una memoria sopra la necessità di prevenir gl'incauti contro gli artifici di alcuni professori d'Ermeneutica, cioè dei protestanti che rivendicavano la libera interpretazione delle scritture. Chissà come ci sarebbe rimasto se avesse potuto prevedere che, poco più di centocinquant'anni dopo, Gadamer sarebbe stato ricevuto col massimo degli onori da Karol Wojtila a Castelporziano. Mistero della fede? No. Il fatto è che Gadamer, di cui Franco Bianco ci propone oggi una presentazione che non ha equivalenti nel panorama internazionale (indubbiamente, è più chiaro e organico del Cambridge Companion to Gadamer del 2002, curato da Robert J. Dostal e con contributi di studiosi del valore di Richard J. Bernstein, Charles Taylor e Robert B. Pippin), è riuscito a fornire una versione dell'ermeneutica talmente ecumenica da prevenire proprio gli estremismi paventati dallo Zamboni.
Come è possibile? Di questo, si danno giustificazioni un po' vaghe, come, ad esempio, "l'innato senso dello stile" connaturato a Gadamer, il che, ammettiamolo, sembra poco. Tra i meriti di Franco Bianco c'è quello di fornire una motivazione biografica, che non è indulgente come quella di Jean Grondin e mette in chiaro il nocciolo psicologico della riflessione di Gadamer. Che è poi un edipo micidiale, una lotta che ha dovuto combattere contro il padre, professore di chimica, e contro il maestro accademico, Heidegger. Il padre, sul letto di morte, chiede a Heidegger se suo figlio sarebbe mai stato capace di combinare qualcosa nella vita (cosa che, lo si ammetterà) potrebbe compromettere la vita di chiunque); e Gadamer confesserà che sino a cinquant'anni suonati l'ombra di Heidegger gli incombeva dietro alle spalle tutte le volte che voleva incominciare a scrivere.
Gadamer, così, ha sempre giocato di rimessa (il suo sport preferito era il tennis), reagendo e mitigando. Il che spiega la genesi tardiva del libro che lo rese famoso, Verità e metodo, uscito quando Gadamer aveva sessant'anni, ma che gli regalò altri quarant'anni di vita felice e attiva, grazie a quella che sua moglie era solita chiamare "pillola applauso". Ma in quella genesi troviamo la risposta precisa ai due edipi della sua vita. Da una parte, la ripulsa nei confronti delle scienze naturali, ossia dell'immagine paterna e dispotica; dall'altra, il rifiuto dell'estremismo heideggeriano. E in tutto questo lavoro, per così dire, edipico, ma di un Edipo ben poco bellicoso, Gadamer ha trovato aiuto - come Bianco ha il merito di sottolineare - nella filologia classica, in un ideale di equilibrio, addolcito con un estetismo tutto moderno. Come dire che alla diade dei due padri terribili contrappose il filologo Paul Freidländer e il poeta Stefan George, il classicismo e l'estetismo.
Ci sono molti modi, per l'appunto biografici, di spiegare questo atteggiamento accomodante, quello di un convinto anticomunista che però, diversamente dagli aristocratici e proletari francesi della Divisione Charlemagne, non si sarebbe mai trovato a difendere il Bunker della Cancelleria nel 1945: anzi, come ricorda Maria Bettetini, l'anno dopo assunse il rettorato nella Lipsia occupata dai Russi. E sono sicuramente legittimi. Tuttavia, è doveroso avanzare un dubbio sulla teoria. L'idea di fondo dell'ermeneutica è quella di una mediazione infinita con le circostanze storiche. Non si è mai presentato, a Gadamer, un pensiero come quello di Wittgenstein, secondo cui a un certo punto il nostro lavorio interpretativo trova un limite, uno strato di roccia che non si lascia scalfire: l'interpretazione, almeno in questioni pratiche che ci toccano più da vicino, non può andare avanti all'infinito. Presto o tardi, si dovrà prendere una decisione, ma si può star certi che, se si lascia che a decidere sia la storia, questa decisione non sarà eroica.

Franco Bianco, "Introduzione a Gadamer", Laterza, Roma-Bari 2004, pagg. 218, € 10,00.

Yale University:
donne e uomini

Yahoo! Salute 7.12.04
Psichiatria, Psicologia e Neurologia

Il Pensiero Scientifico Editore
Donne e uomini: differenze di destra e di sinistra
di Emanuela Grasso

Il cervello degli uomini e delle donne sembra essere diverso sia morofologicamente che funzionalmente, insomma sia nella forma che nella sostanza. Tuttavia i comportamenti spesso differenti dei due sessi non sono solo riconducibili ad una differenza fisiologica; sembra ovvio che, essendo l'uomo un animale sociale, le esperienze e il contesto in cui si trova a vivere e operare sono determinanti.
Questa posizione è un compromesso tra chi sostiene che le differenza fra sessi siano sostanzialmente dovute alla biologia e chi sostiene, invece, che siano una questione culturale. Perché anche stabilire che cosa hanno le donne in testa di così diverso dagli uomini, o viceversa, sembra sia diventata una questione politica, una questione di schieramento: da una parte i conservatori e dall'altra i progressisti. Lo sostiene un'indagine condotta da due ricercatrici della Yale University, Victoria Brescoll e Marianne LaFrance.
Le due ricercatrici hanno analizzato 29 articoli di divulgazione scientifica che trattavano la differenza di genere, prendendo spunto da ricerche pubblicate su riviste specialistiche. È così venuto fuori che se l'editore di una rivista o di un quotidiano ha adottato una linea conservatrice tende a far passare ai lettori il messaggio che le differenze di sesso siano dovute in maniera preponderante alla biologia. Al contrario, se l'editore è progressista tende a lasciar passare tra le righe il messaggio che le differenze tra i sessi sono soprattutto-socioculturali.
Le motivazioni riportate dai giornali per spiegare le differenze di genere appaiono, dunque, più vicine ad interpretazioni arbitrarie che al risultato fedelmente riportato di ricerche obiettive. Dati quelli emersi dallo studio, pubblicato sulla rivista Psychological Science (agosto del 2004), che aprono la strada ad alcuni interrogativi: in che modo vengono informati i lettori a proposito dei risultati scientifici? Quanto sono affidabili i giornalisti quando riportano notizie di scienza?
John Franklin, scrittore scientifico vincitore del premio Pulitzer, ha individuato una spiegazione plausibile nel fatto che molte delle persone che scrivono di scienza, di cui pochi sono realmente giornalisti e scienziati, non sono abbastanza competenti. "Chi scrive di scienza omette tutto ciò che non comprende; i redattori eliminano le cose che non capiscono; il pubblico legge ciò che resta", ha affermato Franklin.
Non particolarmente ottimistica sembra anche la conclusione a cui giungono le autrici, secondo cui su un argomento così delicato come le differenze di genere appoggiare acriticamente la tesi biologia non fa altro che rinforzare gli stereotipi già radicati nella mente dei lettori. Tanto più che sembra che, soprattutto su argomenti scientifici per cui spesso non si sentono preparati, i lettori tendano a fidarsi molto di chi scrive.

Fonte: Sheila Gibbons. Science Reporting Skews Sex Differences. Utne November/December 2004