Repubblica, edizione di Bari 8.7.04
La scoperta nelle vicinanze del Parco archeologico di Trinitapoli: una struttura antica almeno quattromila anni
Alla luce l'Ipogeo del sacrificio
"Era dedicato alla Madre Terra, la dea della fertilità"
Ma il tesoro è destinato a essere insabbiato Non sarà visitabile se non da addetti ai lavori
"L´architettura del tempio riproduce chiari riferimenti all´apparato genitale femminile"
di TITTI TUMMINO
"Ipogeo del sacrificio": è stata battezzata così l´ultima scoperta avvenuta in prossimità del Parco archeologico ipogeico di Trinitapoli. La struttura venuta alla luce risale a circa quattro mila anni fa, quando i proto Dauni abitavano le terre del Tavoliere, e si va ad aggiungere agli altri due ipogei racchiusi nel parco, quello "dei bronzi", che contiene anche la sepoltura della "Signora delle Ambre", e l´ipogeo detto "degli avori". «L´abbiamo chiamato "ipogeo dei sacrifici" - dice Anna Maria Tunzi della Soprintendenza archeologica pugliese, alla quale si deve la scoperta - perché, a differenza degli altri due, era adibito soltanto ai sacrifici e non a sepoltura. In realtà, queste costruzioni nascono tutte per scopi di culto, pur modificando nel tempo la loro destinazione e diventando, se di dimensioni ampie, anche sepolcri sotterranei. Possono contenere, infatti, fino a duecento cadaveri. L´ipogeo del sacrificio è molto piccolo e probabilmente per questo è rimasto soltanto un tempio. L´architettura di questa tipologia di templi - sottolinea l´archeologa - presenta una caratteristica eccezionale: riproduce chiari riferimenti all´apparato sessuale femminile. La divinità alla quale il tempio era dedicato, infatti, è la Madre Terra, dea della fertilità. All´ipogeo si accede attraverso il dromos, un corridoio a cielo aperto, che ha la forma di una vulva. Prima di raggiungere la vera e propria sala del culto, a lobi o di forma rettangolare, si deve attraversare un corridoio strettissimo, dalla volta molto bassa, da percorrere quasi strisciando. È la riproduzione del canale del parto, in quello che appare come una sorta di "tempio-grembo"».
Tra le scoperte più interessanti fatte all´interno dell´ipogeo dei sacrifici, ci sono i resti di una capretta: la vittima sacrificale sembra essere stata sgozzata e, come si deduce dalla posizione degli arti, pare sia stata deposta per la divinità ancora calda. «Abbiamo scoperto quest´antico tempio non all´interno del Parco archeologico, ma immediatamente al suo esterno, tra le tubature della luce e del gas - spiega la Tunzi - Per scavare abbiamo dovuto creare una deviazione nella strada che da Trinitapoli porta al mare. Purtroppo però, dato che si tratta dell´unica via di accesso alla costa, la prospettiva dell´ipogeo dei sacrifici è quella di essere a sua volta sacrificato e riaffidato alla terra, naturalmente dopo un´accurata documentazione». Lo scavo dunque è destinato ad essere presto insabbiato, il tempio ritornerà nelle viscere della terra e rimarrà solo nelle immagini, nei filmati, e nei ricordi degli archeologi.
Per gli appassionati di antichità rimane comunque la possibilità non da poco di visitare il Parco archeologico ipogeico con i suoi due tesori, l´ipogeo degli avori e l´ipogeo dei bronzi. Nel primo, risalente al II millennio a.C., sono state rinvenute due statuette d´avorio di probabile fattura micenea, rappresentanti un cinghialetto e un uomo con la testa di toro. A pochi metri di distanza, l´ipogeo dei bronzi, al cui interno sono state trovate le armi di bronzo che componevano il corredo funerario degli uomini sepolti. Ma la scoperta più importante in questo ipogeo è stata la famosa "Signora delle Ambre", dal ricchissimo corredo funerario, con i simboli tipici delle donne potenti dell´epoca, come uno spillone di bronzo e un rocchetto in ceramica. In ognuno dei due ipogei gli archeologi hanno rinvenuto circa duecento sepolture, tra adulti e bambini, adorni di oggetti in ambra, bronzo, osso e avorio. Per i golosi di Puglia preistorica, infine, una buona notizia: è prevista per settembre la riapertura del Museo degli ipogei, chiuso due anni fa a causa del sisma dell´ottobre 2002.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 8 luglio 2004
preti
Repubblica 8.7.04
IL CASO
Il vescovo dell'Oregon si arrende: le elemosine non bastano a coprire i 155 milioni di dollari di danni richiesti dalle vittime
Pedofilia, la Chiesa fa bancarotta "fallisce" la diocesi di Portland
La comunità ha già pagato 53 milioni di dollari a 133 persone molestate dai sacerdoti
La crisi finanziaria rischia di allargarsi a molte altre parrocchie in tutti gli Usa
DAL NOSTRO INVIATO
VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON - Il macigno che il Vangelo promise al collo di coloro che danno scandalo, trascina la prima diocesi cattolica americana nella Geenna della bancarotta finanziaria. Il vescovo di Portland, la grande città dell´Oregon, è il primo ad arrendersi, e non sarà l´ultimo, travolto dalle richieste di risarcimenti dalle vittime vere o presunte di molestie e di abusi sessuali che le casse delle diocesi non possono più tacitare. Dichiara bancarotta, lasciando il diritto canonico per cercare rifugio sotto la protezione del codice civile. E c´era quasi un´eco tristissima e forse inconscia dello smarrimento e dello sconforto di Gesù sulla croce, quando John Vlasick, il vescovo in fallimento, ha detto in pubblico allargando le braccia: «Le compagnie di assicurazione ci hanno abbandonato, tutti ci hanno abbandonato».
Ci sono sessanta cause pendenti contro il clero della diocesi di Portland, e 155 milioni di dollari di danni pendenti, mentre i bussolotti della questua si inaridiscono, in una regione, l´Oregon, che per la Chiesa di Roma è frontiera, non certo paragonabile alle cattolicissime Boston, Tucson in Arizona o Los Angeles, dove pure le casse di monsignore sono esauste. Negli ultimi due anni, il vescovo dell´Oregon aveva già dovuto pagare 53 milioni alle 133 persone che avevano denunciato abusi sessuali e le assicurazioni ora rifiutano di coprirlo e lo abbandonano allo scarso buon cuore di tribunali e avvocati, pungolati dalla legge più generosa di tutti gli Stati Uniti verso le vittime. Secondo la Corte Suprema dell´Oregon in una sentenza del 1998, la curia è responsabile civilmente dei reati commessi dal proprio clero «anche se era all´oscuro dei fatti».
Occhi attentissimi e sguardi angosciati, dalle porpore di altre diocesi americane, Boston, Detroit, Tucson, Los Angeles, Chicago, New York, oltre che da Roma, seguono la disperata e storica decisione di monsignor Vlasick, turgida di conseguenze legali, penali e addirittura costituzionali. La richiesta di «bancarotta» ai sensi dell´articolo 11 del codice, la stessa scelta da aziende oppresse dai creditori, significa infatti amministrazione controllata. Il debitore ottiene protezione temporanea dai creditori, affidando in cambio l´amministrazione dell´azienda a un giudice e sottoponendo un progetto di risanamento. Ma le diocesi sono aziende molto particolari. Sono strutturate come proprietà private non-profit, senza fini di lucro, perchè la legge non riconosce status speciali ad alcuna religione. I vescovi, al momento delle loro dimissioni o trasferimento o decesso, tramandano al successore tutte le proprietà, e dunque tutti gli attivi e i debiti della diocesi, come una transazione fra cittadini privati. Ma se un giudice ordinario deve assumere la gestione della diocesi, che amministra chiese, scuole parrocchiali, asili, istituti di assistenza, conventi, seminari, sarebbe questa la fine della sacrosanta separazione fra Dio e Cesare, come si è chiesto subito il professor Charles Zech, docente di economia nella università cattolica di Villanova?
«Ci stiamo imbarcando in un mare in tempesta senza bussola» ha detto il professore, ed è vero. Da quando, nel 1988, in una lettera riservata all´allora nunzio apostolico a Washington, monsignor Pio Laghi (oggi cardinale) il vescovo ausiliario di Cleveland, Quinn, lanciò il primo allarme inascoltato a Roma, l´acqua cheta della pedofilia e degli abusi è esplosa, investendo la grande nave della chiesa americana, portando a scandali, suicidi di vittime e di preti, esecuzioni sommarie in carcere dei pedofili, smarrimento e confusione. Ogni tentativo di sopire e sedare, di tacitare le vittime con transazioni private, di proteggere la chiesa dallo scandalo, è fallito. E´ nata una lobby, la Snap (Rete Nazionale dei Sopravvisuti ai Preti) che calcola in 100mila il numero delle vittime e dunque garantisce pubblicità e incessante rifornimento di querele per danni. I libri, tra scandalismo e seria denuncia, si susseguono, dopo il primo best seller («Non ci indurre in tentazione») con i due ultimi, «Padri Nostri», e «Il voto del silenzio: l´abuso di potere nella chiesa di Giovanni Paolo II» che anche la rivista ufficiale dei cattolici ha recensito con serietà e favore.
Una chiesa chiaramente in piena tempesta, per la impronunciabile gioia delle confessioni concorrenti che si contendono la cura delle anime e dei borsellini nel grande mercato religioso americano. La Chiesa di Roma è, con circa 60 milioni di aderenti, la prima religione organizzata americana, di fronte alle sparse denominazioni protestanti, dunque fa gola, fa invidia e fa rabbia. Il «gregge» Usa è, insieme con i fedeli tedeschi, il maggiore contribuente di elemosine alle casse del Vaticano e la confusione, l´imbarazzo, la vergogna si traducono in ridotte offerte, dunque in problemi anche per le finanze della Curia Romana. La resa del vescovo di Portland, uno dei vascelli più vulnerabili, è un segnale gravissimo per il convoglio dei cattolici americani, alla deriva nella tempesta di una bancarotta finanziaria che può condurre, se il timoniere di Roma non saprà riportarla sulla rotta, al naufragio morale.
IL CASO
Il vescovo dell'Oregon si arrende: le elemosine non bastano a coprire i 155 milioni di dollari di danni richiesti dalle vittime
Pedofilia, la Chiesa fa bancarotta "fallisce" la diocesi di Portland
La comunità ha già pagato 53 milioni di dollari a 133 persone molestate dai sacerdoti
La crisi finanziaria rischia di allargarsi a molte altre parrocchie in tutti gli Usa
DAL NOSTRO INVIATO
VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON - Il macigno che il Vangelo promise al collo di coloro che danno scandalo, trascina la prima diocesi cattolica americana nella Geenna della bancarotta finanziaria. Il vescovo di Portland, la grande città dell´Oregon, è il primo ad arrendersi, e non sarà l´ultimo, travolto dalle richieste di risarcimenti dalle vittime vere o presunte di molestie e di abusi sessuali che le casse delle diocesi non possono più tacitare. Dichiara bancarotta, lasciando il diritto canonico per cercare rifugio sotto la protezione del codice civile. E c´era quasi un´eco tristissima e forse inconscia dello smarrimento e dello sconforto di Gesù sulla croce, quando John Vlasick, il vescovo in fallimento, ha detto in pubblico allargando le braccia: «Le compagnie di assicurazione ci hanno abbandonato, tutti ci hanno abbandonato».
Ci sono sessanta cause pendenti contro il clero della diocesi di Portland, e 155 milioni di dollari di danni pendenti, mentre i bussolotti della questua si inaridiscono, in una regione, l´Oregon, che per la Chiesa di Roma è frontiera, non certo paragonabile alle cattolicissime Boston, Tucson in Arizona o Los Angeles, dove pure le casse di monsignore sono esauste. Negli ultimi due anni, il vescovo dell´Oregon aveva già dovuto pagare 53 milioni alle 133 persone che avevano denunciato abusi sessuali e le assicurazioni ora rifiutano di coprirlo e lo abbandonano allo scarso buon cuore di tribunali e avvocati, pungolati dalla legge più generosa di tutti gli Stati Uniti verso le vittime. Secondo la Corte Suprema dell´Oregon in una sentenza del 1998, la curia è responsabile civilmente dei reati commessi dal proprio clero «anche se era all´oscuro dei fatti».
Occhi attentissimi e sguardi angosciati, dalle porpore di altre diocesi americane, Boston, Detroit, Tucson, Los Angeles, Chicago, New York, oltre che da Roma, seguono la disperata e storica decisione di monsignor Vlasick, turgida di conseguenze legali, penali e addirittura costituzionali. La richiesta di «bancarotta» ai sensi dell´articolo 11 del codice, la stessa scelta da aziende oppresse dai creditori, significa infatti amministrazione controllata. Il debitore ottiene protezione temporanea dai creditori, affidando in cambio l´amministrazione dell´azienda a un giudice e sottoponendo un progetto di risanamento. Ma le diocesi sono aziende molto particolari. Sono strutturate come proprietà private non-profit, senza fini di lucro, perchè la legge non riconosce status speciali ad alcuna religione. I vescovi, al momento delle loro dimissioni o trasferimento o decesso, tramandano al successore tutte le proprietà, e dunque tutti gli attivi e i debiti della diocesi, come una transazione fra cittadini privati. Ma se un giudice ordinario deve assumere la gestione della diocesi, che amministra chiese, scuole parrocchiali, asili, istituti di assistenza, conventi, seminari, sarebbe questa la fine della sacrosanta separazione fra Dio e Cesare, come si è chiesto subito il professor Charles Zech, docente di economia nella università cattolica di Villanova?
«Ci stiamo imbarcando in un mare in tempesta senza bussola» ha detto il professore, ed è vero. Da quando, nel 1988, in una lettera riservata all´allora nunzio apostolico a Washington, monsignor Pio Laghi (oggi cardinale) il vescovo ausiliario di Cleveland, Quinn, lanciò il primo allarme inascoltato a Roma, l´acqua cheta della pedofilia e degli abusi è esplosa, investendo la grande nave della chiesa americana, portando a scandali, suicidi di vittime e di preti, esecuzioni sommarie in carcere dei pedofili, smarrimento e confusione. Ogni tentativo di sopire e sedare, di tacitare le vittime con transazioni private, di proteggere la chiesa dallo scandalo, è fallito. E´ nata una lobby, la Snap (Rete Nazionale dei Sopravvisuti ai Preti) che calcola in 100mila il numero delle vittime e dunque garantisce pubblicità e incessante rifornimento di querele per danni. I libri, tra scandalismo e seria denuncia, si susseguono, dopo il primo best seller («Non ci indurre in tentazione») con i due ultimi, «Padri Nostri», e «Il voto del silenzio: l´abuso di potere nella chiesa di Giovanni Paolo II» che anche la rivista ufficiale dei cattolici ha recensito con serietà e favore.
Una chiesa chiaramente in piena tempesta, per la impronunciabile gioia delle confessioni concorrenti che si contendono la cura delle anime e dei borsellini nel grande mercato religioso americano. La Chiesa di Roma è, con circa 60 milioni di aderenti, la prima religione organizzata americana, di fronte alle sparse denominazioni protestanti, dunque fa gola, fa invidia e fa rabbia. Il «gregge» Usa è, insieme con i fedeli tedeschi, il maggiore contribuente di elemosine alle casse del Vaticano e la confusione, l´imbarazzo, la vergogna si traducono in ridotte offerte, dunque in problemi anche per le finanze della Curia Romana. La resa del vescovo di Portland, uno dei vascelli più vulnerabili, è un segnale gravissimo per il convoglio dei cattolici americani, alla deriva nella tempesta di una bancarotta finanziaria che può condurre, se il timoniere di Roma non saprà riportarla sulla rotta, al naufragio morale.
madri assassine
La Gazzetta del Mezzogiorno 8.7.04
Un meccanismo sempre presente
Perché la mamma
diventa una strega
di MARY SELLANI
Ancora una tragedia familiare, proprio qui in Puglia, a Vieste, dove si sospetta che una madre abbia ucciso i suoi due figli soffocandoli o strangolandoli, e poi dandosi essa stessa la morte. Mentre aspettiamo che gli inquirenti stabiliscano come siano andate effettivamente le cose - col ruolo del marito della donna (il quale ha denunciato la strage ai carabinieri secondo una sua versione tutta da verificare) - sta di fatto che queste tragedie all'interno delle famiglie, e in particolare storie di madri assassine, stanno diventando qualcosa di più di semplici episodi, essendo invece il sintomo di un malessere diffuso anche se silenzioso, di cui veniamo a conoscenza solo quando esplode nelle forme estreme di aggressività. Un'aggressività contro natura se riguarda una mano materna che colpisce le sue creature, giacché mai in natura chi genera sopprime l'essere che ha generato.
Queste vicende stanno sottoponendo la figura della madre ad una riflessione inedita in questi ultimi tempi: di fronte ad esse si avverte un turbamento difficile da padroneggiare. La madre è infatti la persona cui viene affidata la nostra prima identità, da cui dipendono i sentimenti di sicurezza e fiducia che sono alla base dello sviluppo psichico individuale. Perciò dubitare della madre vuol dire dubitare di sé, della propria integrità e compattezza, significa ammettere l'eventualità di forze irrazionali che possono sempre trasformarsi in azioni violente.
Tuttavia di madri cattive è piena la letteratura, a cominciare dalla figura di Medea della mitologia greca, fino alla strega della fiaba di Perrault che porge a Biancaneve la mela avvelenata. Forse per essere una madre cattiva basta non trovare mai quella giusta misura, quella giusta distanza tra genitrice e generato che consente un reciproco distacco. Con il rischio di trasformare il tenero abbraccio materno in una morsa soffocante, distruttiva, dalla quale il figlio o la figlia non riescono a svincolarsi. Lo afferma la psicoanalisi: a cominciare da Freud, che a proposito del famoso caso di Dora, intuisce nell'isteria della giovane viennese un «furioso attaccamento al corpo materno».
Ecco perchè non si può fare a meno di riconoscere come da sempre nell'immaginazione collettiva la figura materna è ambivalente: contiene in sé la vita e la morte, la luce e le tenebre, l'amore e l'odio. Un'immaginazione che però resta allo stato latente poichè è sovrastata dalla retorica vincente dello stereotipo di una maternità totalmente ed esclusivamente buona, retorica che tende a negare complessità e conflittualità al vissuto materno. Conflittualità e contraddizioni che possono essere originate in una donna da impreparazione psicologica a diventare madre, da un rapporto sbagliato con la propria madre, o da una relazione conflittuale o insoddisfacente con il marito. In queste condizioni è possibile appunto per una madre detestare inconsciamente la propria prole a causa di una separazione mente-corpo, per cui la mente non è in sintonia con il corpo e quindi con la generazione (che dal corpo proviene). Succede così che la donna scarica il suo disagio nell'aggressività verso i figli.
Va infine tenuto presente che un fattore di rischio che può favorire il disagio non è soltanto di natura psicologica ma anche di degrado economico e ambientale, come si verifica in quei contesti sociali (anche all'interno di famiglie borghesi) dove non si tratta tanto del gusto della violenza (con cui si crede di risolvere tutti i mali) quanto piuttosto di incoscienza, lassimo, indifferenza. Deficienze queste che vanno attribuite anche alle istituzioni locali che dovrebbero essere preposte all'aiuto alle famiglie disagiate, all'ascolto e all'assistenza verso mogli e madri in difficoltà.
Un meccanismo sempre presente
Perché la mamma
diventa una strega
di MARY SELLANI
Ancora una tragedia familiare, proprio qui in Puglia, a Vieste, dove si sospetta che una madre abbia ucciso i suoi due figli soffocandoli o strangolandoli, e poi dandosi essa stessa la morte. Mentre aspettiamo che gli inquirenti stabiliscano come siano andate effettivamente le cose - col ruolo del marito della donna (il quale ha denunciato la strage ai carabinieri secondo una sua versione tutta da verificare) - sta di fatto che queste tragedie all'interno delle famiglie, e in particolare storie di madri assassine, stanno diventando qualcosa di più di semplici episodi, essendo invece il sintomo di un malessere diffuso anche se silenzioso, di cui veniamo a conoscenza solo quando esplode nelle forme estreme di aggressività. Un'aggressività contro natura se riguarda una mano materna che colpisce le sue creature, giacché mai in natura chi genera sopprime l'essere che ha generato.
Queste vicende stanno sottoponendo la figura della madre ad una riflessione inedita in questi ultimi tempi: di fronte ad esse si avverte un turbamento difficile da padroneggiare. La madre è infatti la persona cui viene affidata la nostra prima identità, da cui dipendono i sentimenti di sicurezza e fiducia che sono alla base dello sviluppo psichico individuale. Perciò dubitare della madre vuol dire dubitare di sé, della propria integrità e compattezza, significa ammettere l'eventualità di forze irrazionali che possono sempre trasformarsi in azioni violente.
Tuttavia di madri cattive è piena la letteratura, a cominciare dalla figura di Medea della mitologia greca, fino alla strega della fiaba di Perrault che porge a Biancaneve la mela avvelenata. Forse per essere una madre cattiva basta non trovare mai quella giusta misura, quella giusta distanza tra genitrice e generato che consente un reciproco distacco. Con il rischio di trasformare il tenero abbraccio materno in una morsa soffocante, distruttiva, dalla quale il figlio o la figlia non riescono a svincolarsi. Lo afferma la psicoanalisi: a cominciare da Freud, che a proposito del famoso caso di Dora, intuisce nell'isteria della giovane viennese un «furioso attaccamento al corpo materno».
Ecco perchè non si può fare a meno di riconoscere come da sempre nell'immaginazione collettiva la figura materna è ambivalente: contiene in sé la vita e la morte, la luce e le tenebre, l'amore e l'odio. Un'immaginazione che però resta allo stato latente poichè è sovrastata dalla retorica vincente dello stereotipo di una maternità totalmente ed esclusivamente buona, retorica che tende a negare complessità e conflittualità al vissuto materno. Conflittualità e contraddizioni che possono essere originate in una donna da impreparazione psicologica a diventare madre, da un rapporto sbagliato con la propria madre, o da una relazione conflittuale o insoddisfacente con il marito. In queste condizioni è possibile appunto per una madre detestare inconsciamente la propria prole a causa di una separazione mente-corpo, per cui la mente non è in sintonia con il corpo e quindi con la generazione (che dal corpo proviene). Succede così che la donna scarica il suo disagio nell'aggressività verso i figli.
Va infine tenuto presente che un fattore di rischio che può favorire il disagio non è soltanto di natura psicologica ma anche di degrado economico e ambientale, come si verifica in quei contesti sociali (anche all'interno di famiglie borghesi) dove non si tratta tanto del gusto della violenza (con cui si crede di risolvere tutti i mali) quanto piuttosto di incoscienza, lassimo, indifferenza. Deficienze queste che vanno attribuite anche alle istituzioni locali che dovrebbero essere preposte all'aiuto alle famiglie disagiate, all'ascolto e all'assistenza verso mogli e madri in difficoltà.
Buongiorno, notte nel mondo
Buongiorno, notte di Marco Bellocchio sarà proiettato nei prossimi giorni a Ramallah in Palestina per il Ramallah film festival, prima rassegna palestinese di cinema, e in Finlandia, al Midnight Summer film festival che ha diciannove anni di storia, a 120 chilometri dal circolo polare artico nel villaggio lappone di Sodankylä.
«le mille radici d'Europa»
Repubblica 8.7.04
LE MILLE RADICI D'EUROPA
Le Goff e Cacciari
"senza sens analogie con il trecento"
"sono molti gli strati che abbiam in comune"
"la matrice sia aperta e non chiusa o aggressiv
Lo storico e il filosofo dibattono sull'identità del continente
di VITTORIO BORELLI
Il braccio di ferro sulla Costituzione europea non poteva che concludersi con un compromesso politico. Ovviamente. Ma lo scontro è destinato a proseguire perché non c´è chiarezza né omogeneità sul modo di guardare alle radici comuni, alla comune identità. Ne abbiamo parlato con due intellettuali tra i più sensibili e attenti al tema Europa: lo storico francese Jacques Le Goff e il filosofo italiano Massimo Cacciari.
Molti politici e intellettuali mettono in discussione che esista una identità europea. Leggendo Il cielo sceso in terra. Le origini medievali dell´Europa, il libro di Le Goff da poco uscito in Italia da Laterza, si ha invece la prova del contrario. Ma sul tema anche Cacciari ha scritto molto in questi anni. Volete ricordarci quali sono i fondamenti della nostra comune identità?
LE GOFF L´identità europea si è costituita per stratificazioni successive e su un lungo periodo. Il primo strato è quello della cultura greco-romana portatrice dell´idea di democrazia, dello spirito scientifico, del metodo critico e dell´importanza del diritto. Il secondo strato, che io considero essenziale, è lo strato medievale con la diffusione dei valori giudeo-cristiani, la combinazione di unità europea e diversità nazionale. È lo strato del metodo scolastico e universitario, della filosofia scolastica, della nascita delle città, dell´equilibrio tra ragione e fede. Successivamente si sono sovrapposti lo strato scientifico dei secoli XVII-XVIII, lo strato dei Lumi del XVIII secolo, lo strato della rivoluzione francese, lo strato del Romanticismo e quello dei lunghi progressi della democrazia a partire dal XIX secolo.
CACCIARI L´elencazione dei caratteri comuni alle diverse nationes europee porterebbe, credo, assai poco lontano. La forma del loro relazionarsi mi pare, piuttosto, costituire la vera «identità» - e questa forma è polemos: riconoscersi-distinguersi. Contra-dirsi. La forma della «identità» europea è agonica nella sua essenza. È questa la forma dell´"arcipelago" greco; è questa la forma della civitas Romana, che costruisce la propria grandezza sulla «contra-dizione» tra patrizi e plebei; è questa la forma della respublica christiana: due Soli; concordia oppositorum come idea della cattolicità della Chiesa. Inquieto, in-sano il cuore d´Europa. E chi vorrà guarirlo lo farà cessare di battere.
Nel XII Secolo, l´identità degli europei si definiva rispetto al mondo bizantino da un lato e al mondo islamico dall´altro. Ritenete che anche oggi l´Europa debba definirsi in negativo, distinguendosi sia dal nuovo fondamentalismo islamico sia dall´unilateralismo americano dell´amministrazione Bush?
LE GOFF Evidentemente. Ma per proteggersi sia contro il terrorismo sia contro l´imperialismo essa deve riuscire a mantenere una sua identità aperta e non chiusa ed aggressiva.
CACCIARI Non ha alcun senso l´analogia con il XII Secolo. Lì l´Europa si definiva in competizione (ma era un agòn anche quello, nel senso che prima ricordavo!) con una civiltà, quella islamica, che la surclassava per molteplici aspetti. E non certo perché fosse "fondamentalista", nel senso che oggi intendiamo! Il "fondamentalismo" attuale, come Kimpel e tanti altri ci hanno ricordato, è il prodotto della nazionalizzazione-occidentalizzazione delle genti islamiche tra XIX e XX Secolo. E non potrà che svilupparsi e radicalizzarsi di fronte a politiche occidentali «unilaterali». Se - e ripeto: se - l´Europa declinerà la propria «identità» nei termini che ho detto, intrinsecamente «multilaterali» - se l´Europa saprà esprimere il suo stesso «io» come interrogazione-dialogo, allora potrà svolgere un ruolo proprio, autonomo rispetto a tutti i «fondamentalismi». Vi sono «memorie» di una tale possibilità nella storia europea? Oserei citare un nome: Francesco. Ma Francesco è ancora per noi un... possibile?
Intorno all´anno Mille, il sogno comune del Papa e dell´Imperatore era l´ingresso del mondo slavo nella cristianità unita. È ancora un tema di grande attualità...
LE GOFF Il mondo slavo è entrato a far parte della cristianità effettivamente ed essenzialmente verso l´anno Mille e l´allargamento attuale dell´Europa non è che una prima fase del ritorno all´allargamento medievale, fase che deve essere seguita dopo un periodo più o meno lungo dall´allargamento all´Ucraina, alla Bielorussia, e - più difficilmente, ma necessariamente - alla Russia stessa.
CACCIARI Sto leggendo uno straordinario libro, Sulla formazione della cultura europea occidentale di Bruno Luiselli, dove si mostra, secondo le più diverse prospettive l´acculturazione reciproca tra mondo cristiano-romano, mondo germanico e mondo celtico, soprattutto britannico e irlandese. Non so se vi siano ricerche di analogo spessore per le relazioni tra questo mondo occidentale e quello slavo, prima della sua cristianizzazione. Certo che compito e destino della cultura europea occidentale si sono fin dai suoi inizi proiettati «a oriente». L´Europa realizzerà la sua idea allorché questa nostalgia si combinerà con l´altra, complementare, di tanta parte della cultura slava per l´"arcipelago" europeo, per la dimensione cattolico-mediterranea dell´Europa.
A vostro parere, quali sono gli uomini che più hanno contribuito all´idea dell´Europa?
LE GOFF Gli uomini che nel Medioevo hanno fatto esplicitamente riferimento all´unità europea come ad un loro sogno personale sono stati il Enea Silvio Piccolomini, diventato papa come Pio II, e il re ussita di Boemia Georges Podebad.
CACCIARI Parlerei piuttosto di coloro che più hanno rappresentato la sua idea - e cioè di coloro che ne hanno più coerentemente e tragicamente declinato l´essere-contraddizione. Da un lato, coloro che ne volevano «interrare» le differenze, i fanatici dell´Unità, dell´Ordine, dalle grandi tradizioni imperiali a quelle giacobine, sia nelle sue versioni «di destra» sia «di sinistra»; dall´altro, i grandi critici delle "statolatrie", delle infernali confusioni tra civitas hominis e civitas dei, i federalisti nel senso più autentico e profondo del termine, quello che risuona ne La Ginestra di Leopardi! Ma occorre, realisticamente, sapere che entrambi sono l´Europa. Forse, "democrazia" per noi non significa altro che riuscire, di volta in volta, a comporre proprio tale dissonanza.
Le Goff sostiene che il cristianesimo è stato un importante fattore di identità, ma che il processo d´identità europea era iniziato prima e che è proseguito anche dopo la laicizzazione delle nostre società. Un´affermazione come questa sembra dare ragione a chi, in sede di elaborazione della costituzione europea, ha negato la necessità di rifarsi a radici cristiane...
LE GOFF Il preambolo alla costituzione europea mi sembra debba innanzi tutto affermare la laicità della nascente formazione politica; ciò premesso, può anche evocare le differenti eredità ideologiche e culturali, in particolare l´eredità giudeo-cristiana.
CACCIARI Ciò che diciamo «laicizzazione» non è per molti e decisivi aspetti che secolarizzazione di idee religiose. Non vedo fratture irreparabili, e perciò il processo dell´identità europea (ma è tale identità ad essere appunto un processo!) può essere descritto secondo un suo «senso». Basta non cadere in facili storicismi. Il «senso» di un processo storico avviene, Vico docet, essenzialmente per eterogenesi dei fini, non sulla base di calcoli e progetti che poi si realizzino. Nella storia vi è ancora meno «teleologia» che in natura. Il problema oggi non consiste nel «contare» quante manifestazioni o espressioni della nostra cultura debbano essere attribuite a «radici» cristiane, ma nell´analizzare se e come tali «radici» siano ancora «portanti». Credo, allora, risulterebbe evidente come esse lo siano soltanto in quanto «secolarizzate» - ed essenzialmente attraverso la loro riformulazione in chiave universalistico-filantropico-illuministica. Tutti i grandi classici della sociologia della religione tra Ottocento e Novecento, da Troeltsch a Scheler, da Durkheim a Weber, si sono impegnati nella spiegazione di tale «grande trasformazione». La Costituzione Europea avrebbe potuto costituire l´occasione per un ripensamento del «compromesso» tra Christentum e Kultur? A questo fine mirava Papa Wojtyla? I «costituenti» hanno comunque abdicato da tale compito. Ma esso avrebbe mai potuto compiersi?
Molti dicono che l´Europa soffre di un eccesso di vincoli economici e amministrativi e di un deficit di idealità. Le Goff sembra condividere questa opinione quando scrive che «l´Europa è ancora da fare e addirittura da pensare». Che cosa dovrebbero fare i politici e gli intellettuali europei per dare slancio e maggior respiro ideale al progetto europeo?
LE GOFF Bisogna che l´identità economica venga equilibrata dallo sviluppo di un´identità culturale europea le cui basi storiche sono lontane e profonde e infondere all´Europa un dinamismo che nasca da una volontà politica.
CACCIARI Le contraddizioni che minano l´attuale «costruzione» dell´Europa sono presenti in tutte le sue dimensioni. Nessun politico europeo, nessuna delle tradizionali "famiglie" politiche europee, «pensa» l´Europa, poiché significa non pensare l´Europa pensarla come appendice atlantica oppure come asse franco-carolingio; pensarla come crogiuolo occasionalistico di nationes oppure, all´opposto, come nuovo macro-Stato; pensarla come compromesso tra interessi statali o, all´opposto, in termini astrattamente utopistici, come se tradizioni, lingue, culture che la compongono potessero mai dar vita a degli Stati Uniti d´Europa sul modello americano. Ma non c´è dubbio che le contraddizioni riguardano anche la dimensione economica.
Ha collaborato Lidia Fornasiero
LE MILLE RADICI D'EUROPA
Le Goff e Cacciari
"senza sens analogie con il trecento"
"sono molti gli strati che abbiam in comune"
"la matrice sia aperta e non chiusa o aggressiv
Lo storico e il filosofo dibattono sull'identità del continente
di VITTORIO BORELLI
Il braccio di ferro sulla Costituzione europea non poteva che concludersi con un compromesso politico. Ovviamente. Ma lo scontro è destinato a proseguire perché non c´è chiarezza né omogeneità sul modo di guardare alle radici comuni, alla comune identità. Ne abbiamo parlato con due intellettuali tra i più sensibili e attenti al tema Europa: lo storico francese Jacques Le Goff e il filosofo italiano Massimo Cacciari.
Molti politici e intellettuali mettono in discussione che esista una identità europea. Leggendo Il cielo sceso in terra. Le origini medievali dell´Europa, il libro di Le Goff da poco uscito in Italia da Laterza, si ha invece la prova del contrario. Ma sul tema anche Cacciari ha scritto molto in questi anni. Volete ricordarci quali sono i fondamenti della nostra comune identità?
LE GOFF L´identità europea si è costituita per stratificazioni successive e su un lungo periodo. Il primo strato è quello della cultura greco-romana portatrice dell´idea di democrazia, dello spirito scientifico, del metodo critico e dell´importanza del diritto. Il secondo strato, che io considero essenziale, è lo strato medievale con la diffusione dei valori giudeo-cristiani, la combinazione di unità europea e diversità nazionale. È lo strato del metodo scolastico e universitario, della filosofia scolastica, della nascita delle città, dell´equilibrio tra ragione e fede. Successivamente si sono sovrapposti lo strato scientifico dei secoli XVII-XVIII, lo strato dei Lumi del XVIII secolo, lo strato della rivoluzione francese, lo strato del Romanticismo e quello dei lunghi progressi della democrazia a partire dal XIX secolo.
CACCIARI L´elencazione dei caratteri comuni alle diverse nationes europee porterebbe, credo, assai poco lontano. La forma del loro relazionarsi mi pare, piuttosto, costituire la vera «identità» - e questa forma è polemos: riconoscersi-distinguersi. Contra-dirsi. La forma della «identità» europea è agonica nella sua essenza. È questa la forma dell´"arcipelago" greco; è questa la forma della civitas Romana, che costruisce la propria grandezza sulla «contra-dizione» tra patrizi e plebei; è questa la forma della respublica christiana: due Soli; concordia oppositorum come idea della cattolicità della Chiesa. Inquieto, in-sano il cuore d´Europa. E chi vorrà guarirlo lo farà cessare di battere.
Nel XII Secolo, l´identità degli europei si definiva rispetto al mondo bizantino da un lato e al mondo islamico dall´altro. Ritenete che anche oggi l´Europa debba definirsi in negativo, distinguendosi sia dal nuovo fondamentalismo islamico sia dall´unilateralismo americano dell´amministrazione Bush?
LE GOFF Evidentemente. Ma per proteggersi sia contro il terrorismo sia contro l´imperialismo essa deve riuscire a mantenere una sua identità aperta e non chiusa ed aggressiva.
CACCIARI Non ha alcun senso l´analogia con il XII Secolo. Lì l´Europa si definiva in competizione (ma era un agòn anche quello, nel senso che prima ricordavo!) con una civiltà, quella islamica, che la surclassava per molteplici aspetti. E non certo perché fosse "fondamentalista", nel senso che oggi intendiamo! Il "fondamentalismo" attuale, come Kimpel e tanti altri ci hanno ricordato, è il prodotto della nazionalizzazione-occidentalizzazione delle genti islamiche tra XIX e XX Secolo. E non potrà che svilupparsi e radicalizzarsi di fronte a politiche occidentali «unilaterali». Se - e ripeto: se - l´Europa declinerà la propria «identità» nei termini che ho detto, intrinsecamente «multilaterali» - se l´Europa saprà esprimere il suo stesso «io» come interrogazione-dialogo, allora potrà svolgere un ruolo proprio, autonomo rispetto a tutti i «fondamentalismi». Vi sono «memorie» di una tale possibilità nella storia europea? Oserei citare un nome: Francesco. Ma Francesco è ancora per noi un... possibile?
Intorno all´anno Mille, il sogno comune del Papa e dell´Imperatore era l´ingresso del mondo slavo nella cristianità unita. È ancora un tema di grande attualità...
LE GOFF Il mondo slavo è entrato a far parte della cristianità effettivamente ed essenzialmente verso l´anno Mille e l´allargamento attuale dell´Europa non è che una prima fase del ritorno all´allargamento medievale, fase che deve essere seguita dopo un periodo più o meno lungo dall´allargamento all´Ucraina, alla Bielorussia, e - più difficilmente, ma necessariamente - alla Russia stessa.
CACCIARI Sto leggendo uno straordinario libro, Sulla formazione della cultura europea occidentale di Bruno Luiselli, dove si mostra, secondo le più diverse prospettive l´acculturazione reciproca tra mondo cristiano-romano, mondo germanico e mondo celtico, soprattutto britannico e irlandese. Non so se vi siano ricerche di analogo spessore per le relazioni tra questo mondo occidentale e quello slavo, prima della sua cristianizzazione. Certo che compito e destino della cultura europea occidentale si sono fin dai suoi inizi proiettati «a oriente». L´Europa realizzerà la sua idea allorché questa nostalgia si combinerà con l´altra, complementare, di tanta parte della cultura slava per l´"arcipelago" europeo, per la dimensione cattolico-mediterranea dell´Europa.
A vostro parere, quali sono gli uomini che più hanno contribuito all´idea dell´Europa?
LE GOFF Gli uomini che nel Medioevo hanno fatto esplicitamente riferimento all´unità europea come ad un loro sogno personale sono stati il Enea Silvio Piccolomini, diventato papa come Pio II, e il re ussita di Boemia Georges Podebad.
CACCIARI Parlerei piuttosto di coloro che più hanno rappresentato la sua idea - e cioè di coloro che ne hanno più coerentemente e tragicamente declinato l´essere-contraddizione. Da un lato, coloro che ne volevano «interrare» le differenze, i fanatici dell´Unità, dell´Ordine, dalle grandi tradizioni imperiali a quelle giacobine, sia nelle sue versioni «di destra» sia «di sinistra»; dall´altro, i grandi critici delle "statolatrie", delle infernali confusioni tra civitas hominis e civitas dei, i federalisti nel senso più autentico e profondo del termine, quello che risuona ne La Ginestra di Leopardi! Ma occorre, realisticamente, sapere che entrambi sono l´Europa. Forse, "democrazia" per noi non significa altro che riuscire, di volta in volta, a comporre proprio tale dissonanza.
Le Goff sostiene che il cristianesimo è stato un importante fattore di identità, ma che il processo d´identità europea era iniziato prima e che è proseguito anche dopo la laicizzazione delle nostre società. Un´affermazione come questa sembra dare ragione a chi, in sede di elaborazione della costituzione europea, ha negato la necessità di rifarsi a radici cristiane...
LE GOFF Il preambolo alla costituzione europea mi sembra debba innanzi tutto affermare la laicità della nascente formazione politica; ciò premesso, può anche evocare le differenti eredità ideologiche e culturali, in particolare l´eredità giudeo-cristiana.
CACCIARI Ciò che diciamo «laicizzazione» non è per molti e decisivi aspetti che secolarizzazione di idee religiose. Non vedo fratture irreparabili, e perciò il processo dell´identità europea (ma è tale identità ad essere appunto un processo!) può essere descritto secondo un suo «senso». Basta non cadere in facili storicismi. Il «senso» di un processo storico avviene, Vico docet, essenzialmente per eterogenesi dei fini, non sulla base di calcoli e progetti che poi si realizzino. Nella storia vi è ancora meno «teleologia» che in natura. Il problema oggi non consiste nel «contare» quante manifestazioni o espressioni della nostra cultura debbano essere attribuite a «radici» cristiane, ma nell´analizzare se e come tali «radici» siano ancora «portanti». Credo, allora, risulterebbe evidente come esse lo siano soltanto in quanto «secolarizzate» - ed essenzialmente attraverso la loro riformulazione in chiave universalistico-filantropico-illuministica. Tutti i grandi classici della sociologia della religione tra Ottocento e Novecento, da Troeltsch a Scheler, da Durkheim a Weber, si sono impegnati nella spiegazione di tale «grande trasformazione». La Costituzione Europea avrebbe potuto costituire l´occasione per un ripensamento del «compromesso» tra Christentum e Kultur? A questo fine mirava Papa Wojtyla? I «costituenti» hanno comunque abdicato da tale compito. Ma esso avrebbe mai potuto compiersi?
Molti dicono che l´Europa soffre di un eccesso di vincoli economici e amministrativi e di un deficit di idealità. Le Goff sembra condividere questa opinione quando scrive che «l´Europa è ancora da fare e addirittura da pensare». Che cosa dovrebbero fare i politici e gli intellettuali europei per dare slancio e maggior respiro ideale al progetto europeo?
LE GOFF Bisogna che l´identità economica venga equilibrata dallo sviluppo di un´identità culturale europea le cui basi storiche sono lontane e profonde e infondere all´Europa un dinamismo che nasca da una volontà politica.
CACCIARI Le contraddizioni che minano l´attuale «costruzione» dell´Europa sono presenti in tutte le sue dimensioni. Nessun politico europeo, nessuna delle tradizionali "famiglie" politiche europee, «pensa» l´Europa, poiché significa non pensare l´Europa pensarla come appendice atlantica oppure come asse franco-carolingio; pensarla come crogiuolo occasionalistico di nationes oppure, all´opposto, come nuovo macro-Stato; pensarla come compromesso tra interessi statali o, all´opposto, in termini astrattamente utopistici, come se tradizioni, lingue, culture che la compongono potessero mai dar vita a degli Stati Uniti d´Europa sul modello americano. Ma non c´è dubbio che le contraddizioni riguardano anche la dimensione economica.
Ha collaborato Lidia Fornasiero
neuroscienze
La Stampa 8 Luglio 2004
SU «NATURE» LA SCOPERTA DEI RICERCATORI DI MOLINETTE E CTO
«Così s’addestrano le cellule nervose»
Per la prima volta al mondo è stato dimostrato che sull’uomo i neuroni
che sovraintendono al sistema motorio reagiscono all’effetto placebo
di Grazia Longo
Il risultato positivo dell’effetto placebo - la sensazione di benessere attraverso una suggestione psicologica - è noto da tempo. Ma oggi possiamo affermare con certezza che si tratta di una realtà biologica. Che le cellule nervose possono essere condizionate. Nel senso che possono apprendere un comportamento, una reazione. Possono, insomma, essere addestrate.
La scoperta è il frutto della collaborazione tra il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino - 1° Divisione universitaria di Neurologia dell’ospedale Molinette, diretta dal professor Bruno Bergamasco, al suo fianco sono impegnati il professor Leonardo Lopiano e il professor Fabrizio Benedetti - e della Divisione di Neurochirurgia del Cto (di cui fanno parte i neurochirurghi Michele Lanotte e Antonio Melcarne ).
Una rivelazione di straordinaria importanza - non a caso è stata pubblicata sulla rivista americana Nature, la più prestigiosa al mondo in campo medico scientifico - emersa negli studi per curare il morbo di Parkinson.
Vediamo come. Durante un intervento chirurgico - su un campione di 23 pazienti - per l’applicazione di elettrodi che collegano l’attività dei neuroni ad un pacemaker al cuore è stato possibile registrare l’attività neuronale, la reazione dei neuroni legata all’attività motoria. Il risultato è sconvolgente: la risposta dei neuroni è la stessa sia che vengano somministrati farmaci per potenziare la dopamina (carente nei parkinsoniani), sia che al loro posto venga iniettata della semplice soluzione fisiologica, dell’acqua tanto per intenderci.
«Le singole cellule nervose che sovraintendono il sistema motorio reagiscono all’effetto placebo - ribadisce il professor Bergamasco -, ed è la prima volta al mondo che il fenomeno viene provato su un essere umano».
Una novità che non solo arricchirà la futura ricerca neuroscientifica, approfondendo sempre di più i processi dell’apprendimento umano e del funzionamento neuronale, ma che molto probabilmente avrà delle conseguenze anche sul piano farmaceutico. «È evidente che anche su questo fronte - interviene il professor Lopiano - gli studi sui nuovi medicinali dovranno tenere maggiormente in conto la loro resistenza all’effetto placebo».
Da qui a dire che la terapia farmacologica è vanificata dalla suggestione psicologica ce ne passa - gli stessi esperti stigmatizzano «sull’importanza dei farmaci» - ma apre sicuramente le porte a una nuova prospettiva neurofisiologica. Intanto la novità potrà aver notevoli ricadute cliniche, tra cui l’utilizzo a scopo terapeutico dell’effetto placebo per potenziare l’azione dei farmaci e portare ad altri approcci farmacologici in grado di aumentare la biodisponibilità di dopamina, il neurotrasmettitore chimico carente nella malattia del Parkinson.
Ma torniamo agli aspetti già individuati. La scoperta torinese è avvenuta attraverso la microregistrazione dell’attività elettrica cerebrale lungo la traiettoria che porta al posizionamento dell’elettrodo stimolante. «È stato cioè possibile registrare l’attività elettrica del nucleo subtalamico prima e dopo placebo - spiegano il professor Bergamasco e il professor Lopiano -, dimostrando una netta differenza della frequenza di scarica dei neuroni nei pazienti responsivi al placebo. Era inoltre presente una chiara correlazione clinica tra modificazioni elettriche e miglioramento del paziente».
A rafforzare ulteriormente l’esito torinese è la valutazione in cieco sia da parte di un neurologo sia dal paziente stesso. «In alcuni casi né il medico né il malato erano stati informati dell’utilizzo della soluzione fisiologica al posto del farmaco. Ma la ripresa del paziente si è comunque verificata».
SU «NATURE» LA SCOPERTA DEI RICERCATORI DI MOLINETTE E CTO
«Così s’addestrano le cellule nervose»
Per la prima volta al mondo è stato dimostrato che sull’uomo i neuroni
che sovraintendono al sistema motorio reagiscono all’effetto placebo
di Grazia Longo
Il risultato positivo dell’effetto placebo - la sensazione di benessere attraverso una suggestione psicologica - è noto da tempo. Ma oggi possiamo affermare con certezza che si tratta di una realtà biologica. Che le cellule nervose possono essere condizionate. Nel senso che possono apprendere un comportamento, una reazione. Possono, insomma, essere addestrate.
La scoperta è il frutto della collaborazione tra il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino - 1° Divisione universitaria di Neurologia dell’ospedale Molinette, diretta dal professor Bruno Bergamasco, al suo fianco sono impegnati il professor Leonardo Lopiano e il professor Fabrizio Benedetti - e della Divisione di Neurochirurgia del Cto (di cui fanno parte i neurochirurghi Michele Lanotte e Antonio Melcarne ).
Una rivelazione di straordinaria importanza - non a caso è stata pubblicata sulla rivista americana Nature, la più prestigiosa al mondo in campo medico scientifico - emersa negli studi per curare il morbo di Parkinson.
Vediamo come. Durante un intervento chirurgico - su un campione di 23 pazienti - per l’applicazione di elettrodi che collegano l’attività dei neuroni ad un pacemaker al cuore è stato possibile registrare l’attività neuronale, la reazione dei neuroni legata all’attività motoria. Il risultato è sconvolgente: la risposta dei neuroni è la stessa sia che vengano somministrati farmaci per potenziare la dopamina (carente nei parkinsoniani), sia che al loro posto venga iniettata della semplice soluzione fisiologica, dell’acqua tanto per intenderci.
«Le singole cellule nervose che sovraintendono il sistema motorio reagiscono all’effetto placebo - ribadisce il professor Bergamasco -, ed è la prima volta al mondo che il fenomeno viene provato su un essere umano».
Una novità che non solo arricchirà la futura ricerca neuroscientifica, approfondendo sempre di più i processi dell’apprendimento umano e del funzionamento neuronale, ma che molto probabilmente avrà delle conseguenze anche sul piano farmaceutico. «È evidente che anche su questo fronte - interviene il professor Lopiano - gli studi sui nuovi medicinali dovranno tenere maggiormente in conto la loro resistenza all’effetto placebo».
Da qui a dire che la terapia farmacologica è vanificata dalla suggestione psicologica ce ne passa - gli stessi esperti stigmatizzano «sull’importanza dei farmaci» - ma apre sicuramente le porte a una nuova prospettiva neurofisiologica. Intanto la novità potrà aver notevoli ricadute cliniche, tra cui l’utilizzo a scopo terapeutico dell’effetto placebo per potenziare l’azione dei farmaci e portare ad altri approcci farmacologici in grado di aumentare la biodisponibilità di dopamina, il neurotrasmettitore chimico carente nella malattia del Parkinson.
Ma torniamo agli aspetti già individuati. La scoperta torinese è avvenuta attraverso la microregistrazione dell’attività elettrica cerebrale lungo la traiettoria che porta al posizionamento dell’elettrodo stimolante. «È stato cioè possibile registrare l’attività elettrica del nucleo subtalamico prima e dopo placebo - spiegano il professor Bergamasco e il professor Lopiano -, dimostrando una netta differenza della frequenza di scarica dei neuroni nei pazienti responsivi al placebo. Era inoltre presente una chiara correlazione clinica tra modificazioni elettriche e miglioramento del paziente».
A rafforzare ulteriormente l’esito torinese è la valutazione in cieco sia da parte di un neurologo sia dal paziente stesso. «In alcuni casi né il medico né il malato erano stati informati dell’utilizzo della soluzione fisiologica al posto del farmaco. Ma la ripresa del paziente si è comunque verificata».
neuroscienze
trattamenti antidepressivi
Yahoo! Salute 8.7.04
Psichiatria, Psicologia e Neurologia
Trattamento combinato per la depressione
Il Pensiero Scientifico Editore
Secondo i risultati di una revisione sistematica pubblicata recentemente negli Archives of General Psychiatry, integrando la terapia antidepressiva con il trattamento psicologico si ottengono significativi miglioramenti nella cura della patologia rispetto al solo intervento farmacologico. In particolare è stato notato che il trattamento combinato favorisce una maggiore aderenza alla terapia farmacologica a lungo termine.
Gli autori della revisione hanno indagato la relazione tra aderenza ed efficacia del trattamento antidepressivo combinato con psicoterapia rispetto al solo intervento farmacologico nella cura dei disordini depressivi. I sedici studi inclusi nella meta-analisi hanno preso in esame 932 pazienti che hanno seguito unicamente un trattamento farmacologico e 910 che hanno seguito un trattamento combinato. Complessivamente i pazienti curati con il trattamento combinato hanno mostrato un miglioramento statisticamente rilevante rispetto a quelli che avevano seguito solo la terapia farmacologica, mentre per quanto riguarda il numero dei pazienti che non hanno avuto miglioramenti e di quelli che hanno abbandonato la cura non è stata riscontrata una distribuzione diversificata tra i due gruppi. Inoltre, le sperimentazioni con una durata superiore alle 12 settimane hanno mostrato una maggiore efficacia del trattamento combinato rispetto alla sola terapia farmacologica, con una significativa riduzione dei pazienti che hanno abbandonato la cura rispetto.
L’aderenza al trattamento farmacologico è uno dei problemi della pratica clinica più rilevanti per la cura delle malattie mentali: per questo gli autori auspicano che vengano svolti altri studi per verificare se una più alta risposta alla cura farmacologica, attribuibile all’uso combinato di farmaci e psicoterapia, possa essere raggiunta con l’uso integrato di psicofarmaci e interventi volti proprio a migliorare l’aderenza.
Bibliografia. Pampallona S, Bollini P, Tibaldi G, Kupelnick B, Munizza C. Patient adherence in the treatment of depression. Arch Gen Psychiatry 2004; 61:714-719
Psichiatria, Psicologia e Neurologia
Trattamento combinato per la depressione
Il Pensiero Scientifico Editore
Secondo i risultati di una revisione sistematica pubblicata recentemente negli Archives of General Psychiatry, integrando la terapia antidepressiva con il trattamento psicologico si ottengono significativi miglioramenti nella cura della patologia rispetto al solo intervento farmacologico. In particolare è stato notato che il trattamento combinato favorisce una maggiore aderenza alla terapia farmacologica a lungo termine.
Gli autori della revisione hanno indagato la relazione tra aderenza ed efficacia del trattamento antidepressivo combinato con psicoterapia rispetto al solo intervento farmacologico nella cura dei disordini depressivi. I sedici studi inclusi nella meta-analisi hanno preso in esame 932 pazienti che hanno seguito unicamente un trattamento farmacologico e 910 che hanno seguito un trattamento combinato. Complessivamente i pazienti curati con il trattamento combinato hanno mostrato un miglioramento statisticamente rilevante rispetto a quelli che avevano seguito solo la terapia farmacologica, mentre per quanto riguarda il numero dei pazienti che non hanno avuto miglioramenti e di quelli che hanno abbandonato la cura non è stata riscontrata una distribuzione diversificata tra i due gruppi. Inoltre, le sperimentazioni con una durata superiore alle 12 settimane hanno mostrato una maggiore efficacia del trattamento combinato rispetto alla sola terapia farmacologica, con una significativa riduzione dei pazienti che hanno abbandonato la cura rispetto.
L’aderenza al trattamento farmacologico è uno dei problemi della pratica clinica più rilevanti per la cura delle malattie mentali: per questo gli autori auspicano che vengano svolti altri studi per verificare se una più alta risposta alla cura farmacologica, attribuibile all’uso combinato di farmaci e psicoterapia, possa essere raggiunta con l’uso integrato di psicofarmaci e interventi volti proprio a migliorare l’aderenza.
Bibliografia. Pampallona S, Bollini P, Tibaldi G, Kupelnick B, Munizza C. Patient adherence in the treatment of depression. Arch Gen Psychiatry 2004; 61:714-719
«la casa del barbone»
citato al Mercoledì
una segnalazione di Paolo Izzo
Repubblica 8.7.04 cronaca di Roma
Quattro prototipi disegnati da progettisti e designer. Saranno utilizzati dalla Caritas
La "casa del barbone"? È firmata dall'architetto
Le abitazioni itineranti verranno distribuite ai numerosi clochard della Capitale
Dal box con cartoni ignifughi ad una copertura che si adatta a una panchina
di ORAZIO LA ROCCA
Architetti e designer all´opera per barboni e senza fissa dimora. Succede a Roma, precisamente all´Istituto Quasar di via Nizza, scuola universitaria di design, dove una equipe di progettisti, coordinati dal direttore didattico Orazio Carpenzano, ha realizzato quattro «case pieghevoli itineranti» destinate a clochard e senzatetto. Quattro prototipi abitativi progettati per singole persone, che il Quasar, in collaborazione con l´Associazione progettisti per l´Habitat (Aph), offrirà alla Caritas diocesana di Roma e alla Comunità di S. Egidio. I volontari di questi due enti caritativi a loro volta provvederanno a distribuire le prime case itineranti a quel variegato popolo di disperati che per scelta, per malattie o per improvviso degrado dovuto a perdita di lavoro, ad alcol o a tossicodipendenze, vivono ai margini della città di Roma.
Il progetto - che dopo Roma sarà proposto anche nelle altre grandi e piccole città dove più evidente è il fenomeno del barbonismo - sarà presentato stasera nell´ambito del meeting «Homeless-A living box" sull´isola Tiberina (alle 19). All´iniziativa hanno dato il loro appoggio il Comune di Roma, la Regione Lazio, la facoltà di architettura «Valle Giulia» e l´Ordine degli architetti di Roma. Circa duemila le case-itineranti che saranno messe a disposizione di Caritas diocesana e Comunità di S. Egidio - spiega Carpenzano - e riguardano in prevalenza il modello-box, un mini rifugio in cartone riciclato, pieghevole, dove una persona può stendersi e riposare. I progettisti - aggiunge Carpenzano - «hanno previsto anche alcune soluzioni tecnico-abitative per garantire anche un certo confort e, principalmente, sicurezza». I materiali sono, infatti, ignifughi, i colori tenui, le pareti laterali hanno un sistema di finestre per permettere l´areazione e, cosa importantissima, la casa è munita di due cellule alimentate da energia solare che di notte possono illuminare l´ambiente interno, senza che il clochard si serva di candele o accendini. Gli altri tre modelli sono: la casetta a tronco di piramide, con un lato libero, adatto per senza fissa dimora che amano dormire all´aperto senza perdere il contatto fisico con la natura; la copertura removibile per panchina, realizzata in pvc flessibile e in polipropilene; e la casa a cilindro elicoidale, richiudibile. «Si può dire - commenta Carpenzano - che in Italia per la prima volta architetti, designer e studenti si interessano dei barboni, una proposta ispirata a modelli architettonici giapponesi, ma plasmata secondo le esigenze legate al mondo dei senzatetto delle nostre città, a partire da Roma». «E´ una sfida ed una scommessa vinta, perché mai prima d´ora in Italia una scuola di design e una facoltà di architettura avevano progettato case per chi non ha case, nel rispetto delle esigenze di chi ha bisogno, con sentimenti di solidarietà e di sollecitudine per i senza fissa dimora e per l´ambiente», conclude Benedetto Todaro, uno dei responsabili del Quasar e docente alla storica facoltà di architettura «Valle Giulia» di Roma.
una segnalazione di Paolo Izzo
Repubblica 8.7.04 cronaca di Roma
Quattro prototipi disegnati da progettisti e designer. Saranno utilizzati dalla Caritas
La "casa del barbone"? È firmata dall'architetto
Le abitazioni itineranti verranno distribuite ai numerosi clochard della Capitale
Dal box con cartoni ignifughi ad una copertura che si adatta a una panchina
di ORAZIO LA ROCCA
Architetti e designer all´opera per barboni e senza fissa dimora. Succede a Roma, precisamente all´Istituto Quasar di via Nizza, scuola universitaria di design, dove una equipe di progettisti, coordinati dal direttore didattico Orazio Carpenzano, ha realizzato quattro «case pieghevoli itineranti» destinate a clochard e senzatetto. Quattro prototipi abitativi progettati per singole persone, che il Quasar, in collaborazione con l´Associazione progettisti per l´Habitat (Aph), offrirà alla Caritas diocesana di Roma e alla Comunità di S. Egidio. I volontari di questi due enti caritativi a loro volta provvederanno a distribuire le prime case itineranti a quel variegato popolo di disperati che per scelta, per malattie o per improvviso degrado dovuto a perdita di lavoro, ad alcol o a tossicodipendenze, vivono ai margini della città di Roma.
Il progetto - che dopo Roma sarà proposto anche nelle altre grandi e piccole città dove più evidente è il fenomeno del barbonismo - sarà presentato stasera nell´ambito del meeting «Homeless-A living box" sull´isola Tiberina (alle 19). All´iniziativa hanno dato il loro appoggio il Comune di Roma, la Regione Lazio, la facoltà di architettura «Valle Giulia» e l´Ordine degli architetti di Roma. Circa duemila le case-itineranti che saranno messe a disposizione di Caritas diocesana e Comunità di S. Egidio - spiega Carpenzano - e riguardano in prevalenza il modello-box, un mini rifugio in cartone riciclato, pieghevole, dove una persona può stendersi e riposare. I progettisti - aggiunge Carpenzano - «hanno previsto anche alcune soluzioni tecnico-abitative per garantire anche un certo confort e, principalmente, sicurezza». I materiali sono, infatti, ignifughi, i colori tenui, le pareti laterali hanno un sistema di finestre per permettere l´areazione e, cosa importantissima, la casa è munita di due cellule alimentate da energia solare che di notte possono illuminare l´ambiente interno, senza che il clochard si serva di candele o accendini. Gli altri tre modelli sono: la casetta a tronco di piramide, con un lato libero, adatto per senza fissa dimora che amano dormire all´aperto senza perdere il contatto fisico con la natura; la copertura removibile per panchina, realizzata in pvc flessibile e in polipropilene; e la casa a cilindro elicoidale, richiudibile. «Si può dire - commenta Carpenzano - che in Italia per la prima volta architetti, designer e studenti si interessano dei barboni, una proposta ispirata a modelli architettonici giapponesi, ma plasmata secondo le esigenze legate al mondo dei senzatetto delle nostre città, a partire da Roma». «E´ una sfida ed una scommessa vinta, perché mai prima d´ora in Italia una scuola di design e una facoltà di architettura avevano progettato case per chi non ha case, nel rispetto delle esigenze di chi ha bisogno, con sentimenti di solidarietà e di sollecitudine per i senza fissa dimora e per l´ambiente», conclude Benedetto Todaro, uno dei responsabili del Quasar e docente alla storica facoltà di architettura «Valle Giulia» di Roma.
panico
Repubblica Salute 8.7.04
Un test "ecologico" sull'attacco di panico
di Antonio Caperna
Un tuffo al cuore, brividi, sensazione di freddo, difficoltà di respirazione. Sono le spie dell'attacco di panico, un disagio che colpisce oltre due milioni di italiani, soprattutto donne (i due terzi, soprattutto tra i 18 e i 40 anni) e che vede nel periodo estivo innescarsi pericolosamente la "miccia". In questa stagione, infatti, c'è una rottura dell'equilibrio domestico che tanto tranquillizza.
"Il primo attacco arriva all'improvviso e rischia di fissarsi in maniera indelebile nella memoria di chi lo ha subito. Ecco perché sarebbe bene diagnosticare questo disagio mentale in tempo, per intervenire tempestivamente ed evitare che l'esperienza negativa vissuta ingigantisca e condizioni il resto della vita", ha affermato Rosario Sorrentino, fondatore dell'Associazione italiana ricerca su questo disturbo (Airdap) e responsabile della Unità italiana contro gli Attacchi di Panico (Uiap), attiva a Roma presso la Clinica Paideia (info 06330945100). "In estate poi", ha aggiunto l'esperto, "si mettono da parte le abitudini e quindi ci si sente meno protetti. Ma soprattutto cambia il clima che incide sull'insorgenza del disagio mentale".
Quando nell'aria infatti aumenta la concentrazione di anidride carbonica (oltre le 9 mila parti per milione) si stimolano delle "sentinelle ecologiche", cioè dei chemocettori cerebrali, che fanno scatenare l'allarme, attivando l'attacco di panico in persone geneticamente predisposte, e che si possono individuare con uno specifico "test di scatenamento". "Nel centro il paziente viene seguito attraverso un approccio integrato di tipo farmacologico e psicologico", ha aggiunto Paola Vinciguerra, psicoterapeuta dello Uiap, "da un lato si agisce sui neurotrasmettitori e dall'altro si insegna a depotenziare il disturbo con tecniche di psicoterapia cognitivo-comportamentale".
Un test "ecologico" sull'attacco di panico
di Antonio Caperna
Un tuffo al cuore, brividi, sensazione di freddo, difficoltà di respirazione. Sono le spie dell'attacco di panico, un disagio che colpisce oltre due milioni di italiani, soprattutto donne (i due terzi, soprattutto tra i 18 e i 40 anni) e che vede nel periodo estivo innescarsi pericolosamente la "miccia". In questa stagione, infatti, c'è una rottura dell'equilibrio domestico che tanto tranquillizza.
"Il primo attacco arriva all'improvviso e rischia di fissarsi in maniera indelebile nella memoria di chi lo ha subito. Ecco perché sarebbe bene diagnosticare questo disagio mentale in tempo, per intervenire tempestivamente ed evitare che l'esperienza negativa vissuta ingigantisca e condizioni il resto della vita", ha affermato Rosario Sorrentino, fondatore dell'Associazione italiana ricerca su questo disturbo (Airdap) e responsabile della Unità italiana contro gli Attacchi di Panico (Uiap), attiva a Roma presso la Clinica Paideia (info 06330945100). "In estate poi", ha aggiunto l'esperto, "si mettono da parte le abitudini e quindi ci si sente meno protetti. Ma soprattutto cambia il clima che incide sull'insorgenza del disagio mentale".
Quando nell'aria infatti aumenta la concentrazione di anidride carbonica (oltre le 9 mila parti per milione) si stimolano delle "sentinelle ecologiche", cioè dei chemocettori cerebrali, che fanno scatenare l'allarme, attivando l'attacco di panico in persone geneticamente predisposte, e che si possono individuare con uno specifico "test di scatenamento". "Nel centro il paziente viene seguito attraverso un approccio integrato di tipo farmacologico e psicologico", ha aggiunto Paola Vinciguerra, psicoterapeuta dello Uiap, "da un lato si agisce sui neurotrasmettitori e dall'altro si insegna a depotenziare il disturbo con tecniche di psicoterapia cognitivo-comportamentale".
Iscriviti a:
Post (Atom)