martedì 18 gennaio 2005

una grande scoperta archeologica

Corriere della Sera 18.1.05
Presentate ieri in Campidoglio le foto della scena di vendemmia ritrovata sotto il criptoportico delle Terme di Traiano
Il mosaico riemerso dalla grotta
Veltroni: «Servono cento milioni per la sistemazione del parco archeologico»


Ci vogliono cento milioni di euro per completare le ricerche sul Colle Oppio, sistemarne le strutture e restaurare le opere rinvenute. Dopo l’ultima scoperta del mosaico parietale con scene di vendemmia, presentata ieri in Campidoglio dal sindaco Walter Veltroni, l’assessore alla cultura Gianni Borgna e il sovrintendente archeologico Eugenio La Rocca, ora si passa alla ricerca dei finanziamenti. Cinquanta milioni di euro sono già disponbili. «Per i restanti - annuncia La Rocca - ci sono buone possibilità». E sono proprio i recenti ritrovamenti, a cominciare da quello della «Città dipinta» effettuato nel 1998, a dare nuovo impulso al progetto di realizzare nell’area delle Terme di Traiano un parco archeologico in cui venga ricostituito l’assetto complessivo delle Terme. È infatti questo il monumento, dovuto alla maestria di Apollodoro di Damasco, che caratterizza il Colle Oppio, con i suoi sei ettari di superficie sovrapposti alle strutture precedenti secondo un nuovo rivoluzionario orientamento verso sud-ovest per garantire al calidario luce e calore. Ora i resti delle Terme emergono qua e là nel parco senza nessuna connessione uno con l’altro, volutamente ridotti, nella sistemazione a giardino effettuata negli anni Trenta da Antonio Munoz, a semplice «quinta scenografica ai lati del moderno viale centrale».
A riportare l’attenzione verso le «grotte» nascoste sotto i giardini e già ampiamente esplorate nel Cinquecento dagli artisti che vi si calavano per osservare al lume delle candele i resti degli antichi affreschi, è stato nel 1998 un intervento di scavo avviato come una tranquilla operazione di risanamento di una antica galleria delle Terme. In quell’occasione venne alla luce l’affresco della «Città dipinta». Dopo un po’ emerse, a poca distanza, il mosaico del Filosofo e della Musa e ancora, sotto la galleria dell’affresco, le indagini endoscopiche rivelarono il mosaico della Vendemmia, che ora gli speleologi dell’associazione «Roma sotterranea», sono riusciti a fotografare.
«Le Terme di Traiano, - spiega La Rocca - sono state un po’ come il Vesuvio per Pompei: hanno sigillato un intero isolato della città anteriore al II secolo dopo Cristo. E l’area nel sottosuolo è tre volte più estesa di quella interessata dai resti affioranti nel giardino». Insomma, una ventina di ettari di grotte e cunicoli, finora raggiungibili solo da spericolati speleologi, ma che potrebbero riservare altre sorprese. Come questa del mosaico parietale, con cinque figure maschili intente a svolgere le operazioni della vendemmia, realizzate con tessere colorate su fondo bianco e con una maestria che ha lasciato stupefatti gli studiosi. L’opera misura tre metri per due, ma un gran mucchio di frammenti caduti ai piedi della parete fa sperare che con le tessere distaccate si possa ricostruirne una parte molto più ampia. Il sogno è di poterle mostrare, in futuro, ai visitatori.

Dna e personalità

Il Sole 24 Ore 18.1.05
Si moltiplicano gli annunci di correlazioni tra geni e personalità, ma il fattore-ambiente resta determinante
IL DNA INFLUISCE POCO SUL CARATTERE
Non esiste una "genetica dei sentimenti": le scoperte servono solo a cercare terapie più efficaci per le malattie mentali
Agnese Codignola


La timidezza. L'aggressività e la violenza. Il comportamento antisociale. L'istinto materno. La fedeltà nei rapporti sentimentali. Il senso di colpa. La capacità di apprendere. La stessa intelligenza. E gravi malattie quali i disturbi bipolari, la schizofrenia e la depressione.
Non passa mese senza che venga annunciata una nuova scoperta sulle basi genetiche e fisiologiche delle emozioni, delle malattie mentali e, in generale, delle funzioni cerebrali superiori, al punto che la mappa attuale delle basi molecolari e del comportamento umano è quanto mai articolata e complessa. Ultimo, in ordine di tempo, lo studio di Marco Battaglia del San Raffaele di Milano sulla timidezza, che attribuisce parte della responsabilità di quello che finora era considerato un aspetto del carattere a un gene chiamato Httlpr.
Eppure nessuno, neanche tra i genetisti, è convinto che sia sufficiente una certa sequenza di basi in uno specifico punto del Dna per costituire una personalità in tutta la sua complessità. Lo stesso Battaglia sottolinea: "Scoprire le cause genetiche di un tratto del carattere quale la timidezza aiuta ad avere strumenti diagnostici più accurati e a impostare una terapia più efficace - il più delle volte educative e comportamentale - ma non potrà mai costituire, di per sé, un elemento necessario e sufficiente per inquadrare o curare un disagio o una patologia.
Ogni aspetto della personalità è infatti il risultato di un certo assetto genetico, che conferisce la predisposizione (in gergo la suscettabilità) a un tipo di carattere. Ma il fatto che quel carattere si sviluppi o meno dipende in gran parte dall'ambiente e solo la combinazione di entrambi i fattori determina la personalità di ciascuno".
Di più: "Ciò che sta emergendo negli ultimi anni - ricorda l'esperto - è che ognuno di questi geni concorre con altri alla regolazione di vari aspetti del carattere e, viceversa, che ogni tratto è determinato da più di un gene. Per questo la sfida, ora, è fornire tutti i tasselli a un quadro che è ancora alquanto frammentato, e poi denifire il ruolo dell'ambiente in tutto ciò. E' infatti ormai dimostrato che le situazioni ambientali - e tra questi una buona psicoterapia - influiscono in modo significativo sull'espressione genica".
La pensa in modo analogo Michele Tansella, psichiatra dell'Università di Verona e direttore del Centro dell'Oms sulle malattie mentali della stessa città scaligera, che ricorda: "Ogni conoscenza genetica arricchisce il patrimonio a disposizione per affrontare al meglio il disagio e le patologie mentali.
Non bisogna tuttavia correre il rischio di arrivare a eccessi opposti a quelli del passato: se infatti in gran parte del secolo scorso ogni responsabilità era attribuita ad aspetti psicologici, oggi c'è chi interpreta tutto in chiave genetica. Al contrario, tanto i tratti caratteriali quanto le vere e proprie malattie mentali sono condizioni tipicamente multifattoriale, e su di esse intervengono elementi predisponenti, soprattutto genetici, fattori scatenanti e altri di mantenimento. Il tutto è strettamente intrecciato, come dimostra il fatto che diversi geni possono essere o meno attivati a seconda delle condizioni ambientali, tra le quali va annoverata anche la psicoterapia".
Un'altra conferma viene dallo studio delle malattie mentali gravi quali la schizofrenia. Ricorda infatti Tansella: "Geni collegati alla schizofrenia sono stati rintracciati in ben 12 cromosomi diversi. Eppure il Dna rende conto di non più del 50 per cento della patologia, come mostrano chiaramente gli studi sui gemelli. Dalla genetica ci aspettiamo quindi soprattutto un aiuto per la definizione delle dosi e del tipo di farmaco più indicato per ogni paziente e un supporto all'impostazione della migliore psicoterapia in una certa situazione".
Del resto James Watson, scopritore della struttura del Dna insieme a Francis Crick nel 1953, nel suo libro Dna ha scritto: "Il futuro ci promette un'accurata dissezione genetica della personalità ed è difficile pensare che nella contrapposizione tra eredità e ambiente l'ago della bilancia non penderà sempre più in direzione della prima. Ma questo pensiero, per alcuni terrificante, significa solo comprendere la base biologica su cui costantemente agisce l'ambiente insieme a tutte quelle misure che noi, come società e come individui, dobbiamo prendere per contribuire al meglio al processo".

sinistra
due interviste di Bertinotti, sulla Stampa e su Liberazione
e Firenze

La Stampa 18 Gennaio 2005
PRIMA IL NOSTRO ERA UN DISCORSO DA SOGNATORI, ORA È DA VINCITORI»
LA MARGHERITA: UN FATTO POSITIVO, SPERIAMO CHE LA LEGGE CAMBI
Bertinotti: ora i Ds davanti al bivio
Noi pronti a costruire una nuova Rete

«Il voto tra Prodi e me? Segnali contrari non ne vedo, ma la tentazione di farsi del male nell’Alleanza è sempre forte». «Infiltrazioni? Qualche stupido guarda il dito, e non la luna»
di Fabio Martini


ROMA - SEGRETARIO Bertinotti, a questo punto le lasceranno fare le primarie a lei e a Prodi, unici tenori con gli altri a fare il coro?
«Penso di sì. Se proprio questa Alleanza democratica non è presa da un cupio dissolvi dovrebbe trarre un incoraggiamento dal fatto politico enorme accaduto in Puglia e farsi trascinare dal vento della democrazia. Segnali contrari non ne vedo, ma la tentazione a farsi del male nell’Alleanza è sempre forte».
Rutelli occupa lo spazio «non-socialista», Vendola e lei gli erodete l’elettorato: la Quercia non rischia un pericoloso accerchiamento?
«Non penso che i Ds abbiano problemi elettorali, nel congresso i numeri sono favorevoli al segretario, i voti ci saranno. Non è qui che va misurato l’impasse ds. Che è di natura strategica».
Strategica e contingente: fuori dalle primarie pugliesi e da quelle nazionali, quasi senza simbolo alle Regionali...
«Se qualcuno pensa che i Ds possano vivere una crisi per penuria di rappresentanza non sa di cosa parla. L’Italia è gremita di dirigenti ds: vedo sindaci, presidenti di Regione, per non parlare delle grandi organizzazioni di massa. Col pieno rispetto della loro autonomia, non si può non essere colpiti dall’ampiezza di questa rappresentanza. Piuttosto penso che abbiano un problema di definizione di identità».
Tradotto dal linguaggio per iniziati?
«Hanno pensato di cavarsela frettolosamente dicendosi riformisti e cercando una scorciatoia nell’ingegneria della Federazione. Ma uno e mille sono i riformismi e infatti i contrasti sono sotto gli occhi di tutti con le posizioni di Rutelli e poi di Prodi, Fassino, D’Alema, Mussi, Folena. Contrasti da portare alla luce del sole. Insomma, i Ds cosa vogliono essere? Dove vogliono andare?».
Cosa è accaduto in Puglia?
«Per la prima volta si è interrotta la tendenza della Seconda Repubblica a delegare tutto. Irrompe una partecipazione che cambia la rappresentanza politica e può inaugurare una stagione. E la sinistra radicale, per la prima volta dallo scioglimento del Pci, guadagna una pari dignità nella costituzione dell’Alleanza».
In Puglia gli iscritti ai partiti sono meno di 30.000, i votanti sono stati più di 80.000, la sorpresa è la gente «comune»?
«Il processo democratico non è fatto soltanto di regole, ma anche di un’anima e di una partecipazione che cresce quando la motivazione si fa forte. Ci sono momenti nei quali la partecipazione ha cambiato il rapporto tra la gente e la politica»
Quando è accaduto?
«Per esempio nel 1969: a Mirafiori per la prima volta andarono a votare anche i non iscritti ai sindacati e la penuria di iscritti alla Cgil fu immessa in una partecipazione straordinaria: andò a votare l’80% dei 55.000 dipendenti e la stragrande maggioranza dei delegati non avevano la tessera del sindacato. Oggi, come allora, c’è un moto appassionante che risveglie una domanda latente».
Qualcuno, come il segretario del Pdci Diliberto, ipotizza un’infiltrazione di elettori di destra...
«Questo mi pare ridicolo. Siamo ancora prima del dito e la luna. Lo stupido guarda il dito invece della luna? Qui non vede neppure il dito».
I recenti convegni romani della sinistra radicale dimostrano che il partito unico della sinistra alternativa non è ancora matura...
Bertinotti interrompe la domanda:
«No, no: è scartato. E’ un’ipotesi che troverei disastrosa, che disperde tutta la lezione del movimento, da Genova ad oggi: la sinistra è plurale. Non si può chiudere nell’orticello o nei vecchi lidi. Basta ricordare le presenze di sabato e domenica: Petrella, don Ciotti, Lisa Clark, Paolo Nerozzi. E’ un altra declinazione della sinistra italiana. Sabato, domenica e Nichi sono il nostro percorso».
Quindi Bertinotti non si mette in gioco: metterete assieme tanti indipendenti di (estrema) sinistra?
«Ma no! Abbiamo costruito una rete di relazioni. Non vogliamo costruire una piramide, ma sviluppare una Rete, che è la nuova coniugazione nel rapporto tra partiti e movimenti: riconoscere pari diginità ad un’associazione, ad un giornale, a un centro di ricerca che noi consideriamo importanti come un partito. Lavorare assieme tra storie diverse e organizzazioni di natura diversa. Prima delle Puglie poteva essere un discorso da sognatori, ora è un discorso da vincitori».

Liberazione 18.1.05
BERTINOTTI: "UN FATTO POLITICO ENORME"
di Rina Gagliardi


«Un fatto politico enorme chepuò cambiare la politica italiana». FaustoBertinotti vorrebbe festeggiare la vittoria di Nichi Vendola - di Rifondazione comunista, di una linea e di un'ispirazione alternativa, ma prima di tutto della democrazia - con parole sobrie, con lo stile «antiretorico» che gli è proprio. Ma, questa volta, proprio non ci riesce: trasuda di felicità da tutti i pori, e qualche aggettivo enfatico per forza gli scappa. Oggi ce lo possiamo permettere, del resto. Ma non per le ragioni in fondo banali che i nostri antipatizzanti e i nostri avversari ci attribuiscono: la soddisfazione è di quelle profonde, che connettono un risultato concreto a qualcosa che quel risultato trascende ed esalta. «Quand'è che in realtà la politica diventa una cosa alta, una cosa grande?» dice Bertinotti «Quando trasforma l'impossibile in possibile. Quando scova, recepisce e pratica una potenzialità e la fa diventar e un fatto reale. In Puglia è successo proprio questo: per la prima volta, in questo periodo grigio ed oscuro che viene chiamato «transizione alla Seconda repubblica», ha fatto irruzione la democrazia di massa».
Non è proprio la democrazia - la partecipazione alla politica delle persone e dei soggetti in carne ed ossa - la grande assente di questa fase storica? La dimensione manomessa, ridimensionata, atrofizzata anche in virtù della strategia delle classi dominanti e della natura regressiva di questo capitalismo? Ecco, ciò che rende straordinaria l'affermazione di Nichi è anzituttola partecipazione inedita ad un'occasione - le primarie - tanto finora criticato da destra, dal centro e da sinistra: sono andati a votare ottantamila pugliesi, per decidere chi guiderà la coalizione contro il governatore Fitto. Altro che New Hampshire! Ben oltre la "purezza" o l'efficacia dello strumento, questo vuol dire che forse qualcosa si sta muovendo nella società italiana, e nel rapporto tra politica e società. Proprio da questo tema prende le mossa la nostra intervista con il segretario di Rifondazione comunista.
L'espressione è impegnativa: democrazia di massa. Che cosa intendi dire?
Che in Puglia è successo qualcosa che non solo ridisegna la rappresentanza politica, ma cambia, in tendenza, la logica stessa della produzione di politica: l'irruzione, appunto, di un fattore "imprevisto" che si chiama democrazia di massa. Voglia di partecipare e decidere, oltre la delega tradizionale ai gruppi dirigenti dei partiti. Voglia di colmare l'abissale distanza tra palazzi e bisogni diffusi. Non voglio mischiare tra loro fatti che restano diversi e anche incomparabili. Ma in questo periodo, oltre alla vittoria di Nichi, c'è un'altra rondine che potrebbe far primavera: penso all'accordo tra Fim, Fiom e Uilm sul contratto metalmeccanico che restituisce ai lavoratori il diritto di decidere della propria sorte. Con la sua forza, l'evento pugliese spazza via molti scetticismi, preocupazioni e «profezie di sventura» della vigilia...
...sia quelli, da destra, che temevano la rottura della coalizione, sia quelli, da sinistra, che diffidavano di uno strumento nuovo, e per di più «americano»...
Esattamente. Il problema vero era - ed è - quello di rompere la gelata che in questi anni è scesa sulla partecipazione alla politica - e alla politica rappresentativa - insita nel meccanismo elettorale in vigore. È per questa ragione che ho accolto, fin dall'inizio, la proposta di Prodi di utilizzare questo metodo e che ho considerato un successo già la decisione di sperimentarlo in Puglia. Ed è anzitutto per questa ragione che l'esito va considerato straordinario: per la prima volta dallo scioglimento del Pci, un comunista - un leader politico della sinistra alternativa esce dalla condizione di minorità alla quale lo inchioda, appunto, il combinato disposto del sistema elettorale maggioritario e la sua collocazione politica (e ideale) radicale. Si dimostra che una personalità come questa può assumere la guida di tutta la coalizione e che, viceversa, non è vero che, per vincere, bisogna anzitutto spostare al centro la leadership. Come ha capito una forza politica come i Verdi - e tanti compagni della sinistra e dei Ds - che voglio ringraziare con grande calore per il sostegno concreto che ci hanno dato. Così come voglio ringraziare Riccardo Boccia per la generosità e la correttezza con la quale ha partecipato a questa "gara".
Tu credi che Nichi possa farcela, ora, a vincere la sfida con Fitto?
Penso proprio che possa farcela, e che sia comunque il candidato che ha le maggiori probabilità di mobilitare l'elettorato di sinistra e di centrosinistra, e quindi di battere il centrodestra. Perchè la sua nomina è il frutto di un nuovo patto tra leadership e popolo che si è realizzato sul campo, che ha travolto i vecchi equilibri. In questo senso il «modello Nichi» non è esportabile come tale, ma come lezione implicita. Specifica e generale.
Esaminiamo più da vicino queste nuove lezioni di produzione di politica. Prima di tutto, sembra quasi ovvio ribadirlo, questa è la vittoria di una persona.
Sì, questa è la vittoria di un «uomo giusto al posto giusto». Una figura di statura nazionale che si colloca dentro un territorio determinato. Qui c'è una scelta del Partito, il nostro, di valorizzare fino in fondo questo incrocio virtuoso, chiamiamolo così, tra un luogo - con la sua storia, il suo popolo, le sue lotte, il suo bisogno di mutamento - con un leader politico che invera tutto questo nella sua storia personale. Qui c'è Nichi, naturalmente, uomo della Puglia e dirigente del Prc. Nichi con il suo profilo sotto tanti aspetti eccezionale: quello, nell'insieme, di un nuovo intellettuale meridionale, erede della cultura politica migliore della sinistra - del Pci - e allo stesso tempo protagonista del suo rinnovamento. Né credo che si possa trascurare il ruolo concreto che ha svolto, in questi ultimi anni, nei movimenti sociali (Terlizzi, Scansano, Melfi), nei luoghi dell'emarginazione (i migranti), nella lotta contro la mafia. Non voglio apparire enfatico, ma certo questo profilo specifico è stato determinante, nel contesto pugliese...
Ma questa è anche la vittoria di una linea politica?
Certo che sì. Per un verso, questa linea l'abbiamo già ricordata - sta nelle cose che Nichi Vendola rappresenta, per quello che ha fatto, detto, scritto.Per un altro verso, essa sta nella rotta che ci siamo dati: l'aver insistito sulla candidatura di Nichi, cioè, non è stato il frutto di una brillante invenzione tattica, ma dell'impostazione generale che ci muove in questa fase. In questo caso, di fronte al disaccordo sul leader della coalizione, le alternative che avevamo di fronte erano due - o forse tre: accettare l'esclusione e andare incontro alla nostra sorte naturale di vittime. Oppure: cercare altrove una compensazione, in termini di nuovi equilibri a nostro vantaggio in qualche altra situazione. Oppure ancora: rompere e condannarci - anche in Puglia - alla marginalità politica. In tutti i casi, oscillavamo tra galleggiamento politicistico, mercantilismo, vittimismo, sucidio politico. Qui è intervenuta la "mossa del cavallo" che ha spiazzato tutti i giochi: spostare la contesa in un luogo diverso. Invece di decidere nei vertici dei partiti, o nell'equilibrio complessivo delle realtà regionali, abbiamo accettato la sfida di dare la parola agli elettori. Determinando la condizione nuova di un conflitto dal quale tutti, in ultima istanza, sarebbero usciti vincitori.
Vale un ragionamento analogo a livello nazionale?
Mi pare di poter dire che nella nostra scelta siamo stati premiato oltre ogni aspettativa. E un risultato come questo apre gli occhi anche ai non vedenti. A chi domanda che cosa è cambiato rispetto al '98, rispetto alla rottura con Prodi, per rendere possibile e politicamente fruttuoso un accordo col centrosinistra, oggi si può rispondere così: guarda la Puglia e guarda le primarie pugliesi. Ma c'è qualcuno che pensa che, cinque anni fa, Nichi Vendola avrebbe potuto vincere come oggi ha vinto? O che si sarebbero potute svolgere due grandi assemblee della sinistra radicale e d'opposizione come quelle che si sono svolte a Roma in questo week-end? Nel frattempo, è cambiata la costituzione materiale dell'opposizione. È cambiato il popolo. Sono cambiate le culture di base. Un mutamento che i movimenti, da Seattle e Genova in poi, hanno largamente determinato - il nostro merito reale, come partito, è di averci scommesso fino in fondo, di aver investito nella pratica (e "messa in valore") della contaminazione, di far pesare come possiamo le esperienze reali, ben oltre la tradizionale dimensione contrattuale. Appunto: questo mutamento non nasce dal nulla, non è un frutto della natura. Ma è esattamente questo che può spezzare la minorità e ci rende credibile la scommessa su una svolta politica generale, che non si limiti alla cacciata di Berlusconi.
Terza e ultima: questa è anche la vittoria di un'ispirazione, di una cultura politica? C'è chi ha parlato di Nichi Vendola come vincitore della "nonviolenza"
Chi lo ha detto, non ha tutti i torti. Nel senso che è stato riconosciuto, credo, il lavoro di innovazione che abbiamo tentato in questi anni e che l'opzione della nonviolenza incarna meglio di tante altre cose. La resistenza - che è sempre necessaria e che sempre richiede grande coraggio - non bastava, di per sé, a superare la diga che ci separava dai popoli di sinistra: per questo l'innovazione è stata necessaria, non certo per il gusto in sé del nuovo. Non avremmo potuto lavorare come pesci nell'acqua, se invece ci fossimo adattati alla pura gestione della resistenza, tanto più se ci fossimo rifugiati nell'orizzonte di un'ortodossia del passato da custodire e preservare
Una lezione d'insieme su questa vicenda. Che cosa cambia nella Gad, nel centrosinistra, nell'opposizione?
Io credo che si debba aprire una discussione di fondo sulla forza propulsiva della democrazia come risorsa essenziale dell'alleanza - di un'alleanza vincente non solo nella battaglia contro le destre, ma nella sua capacità di aprire una stagione nuova della politica. Forse, siamo alla vigilia di una "rivoluzione culturale" - nutrita di mille luoghi di rinascita, nelle forme più diverse, della partecipazione e dell'iniziativa autonoma di massa - che può mettere in crisi l'asfissia della politica "binaria", la sua impermeabilità, la sua lontananza. Arturo Parisi, non a caso, ha definito queste primarie "un evento storico e una vittoria della democrazia". Non credo proprio che si tratti solo di una questione di metodo.

Repubblica cronaca di Firenze 18.1.05
"L'atteggiamento di Domenici ostacola l'intesa per le regionali"


Il leader di Rifondazione Fausto Bertinotti attacca frontalmente il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, che in una lunga intervista all'Unità uscita domenica aveva giudicato irrealizzabile l'intesa tra centrosinistra e Rifondazione in vista delle elezioni regionali.
«Sarei ipocrita se non dicessi che quell'intervista sembra intralciare il processo verso l'unità della sinistra, che nei fatti sta andando avanti»,
ha detto Bertinotti.
«Mi auguro che un atteggiamento così respingente venga superato».
Parole dure, pronunciate ieri sera proprio a Firenze, al teatro di Rifredi, dove era stato organizzato un incontro per discutere l'emendamento dei Giovani comunisti al documento congressuale che vede come primo firmatario proprio Fausto Bertinotti. Sul possibile accordo in vista delle regionali il segretario regionale di Rifondazione Mario Ricci ha invitato il presidente toscano Martini «a sciogliere ogni riserva» e a dire «un no o un sì». A Domenici replica così: «Quello è stato un intervento a gamba tesa. E poi, lui stavolta non è un diretto interessato».

sinistra e primarie
maggioranze e minoranze

Corriere della Sera 18.1.05
Primarie, il successo della sinistra radicale
LA VOCE FLEBILE DEI RIFORMISTI
di PAOLO FRANCHI


Magari non sarà proprio «enorme» come sostiene Fausto Bertinotti. Ma di sicuro la vittoria di Nichi Vendola nelle primarie pugliesi del centrosinistra è un evento politico di grandissimo rilievo che va assai oltre la Puglia. In primo luogo perché segnala nel modo più clamoroso alcune evidenze sin qui sottaciute o sottovalutate, ponendo i riformisti della coalizione - in primo luogo i Ds che stanno per riunirsi a congresso - di fronte a questioni non più rinviabili. Piaccia o no, i 40mila e passa elettori di centrosinistra che hanno decretato di misura la vittoria di Vendola sul moderato Francesco Boccia testimoniano dell’esistenza in Italia, e non soltanto in Puglia, di una realtà ben più significativa, più diffusa e più radicata di quanto lascino intendere espressioni come "sinistra radicale" o "sinistra antagonista"; o di quanto dicano le sole percentuali elettorali di Rifondazione comunista. Esiste cioè il popolo assai più vasto e più variegato (così vasto e variegato da comprendere anche molti militanti ed elettori della Quercia, poco o per nulla inclini al radicalismo e all’antagonismo) di una «sinistra sinistra» che, nonostante tutte le divisioni, su alcune questioni fondamentali parla lo stesso linguaggio, coltiva gli stessi sentimenti, nutre le stesse passioni. In una parola, trova una sua identità comune.
Questa «sinistra sinistra», radicata e identitaria, fatica a pesare fin quando il luogo della decisione resta circoscritto nei partiti e tra i partiti. Ma se la scelta viene demandata a quello che potremmo definire l’elettorato attivo dell’Alleanza, chiamandolo a scegliere non solo tra diverse persone, ma tra diverse concezioni dell’Alleanza medesima, il suo peso si fa sentire, eccome. È successo in Puglia con Nichi Vendola, che non è affatto un improvvisato estremista, ma un professionista politico che ha fatto studi regolari in una scuola seria quale fu il Pci. Succederà, o è assai probabile che succeda, in altre e più importanti primarie, quelle per incoronare il candidato premier della coalizione, alle quali Bertinotti si è iscritto da mesi. Non per vincere, certo, ma per far pesare i (molti) consensi che raccoglierà. Non da segretario di partito, ma da leader di una componente decisiva della coalizione.
Romano Prodi, al suo ritorno in Italia, è stato criticato neanche troppo implicitamente da vari esponenti moderati del centrosinistra per aver dato quanto meno l’impressione di considerare Bertinotti un suo interlocutore previlegiato, o forse addirittura il suo interlocutore più importante. Queste primarie pugliesi confermano che si è trattato di critiche tanto comprensibili quanto infondate. Prodi, semmai, è stato lucido: questa sinistra c’è, conta, non mette in discussione in alcun modo la sua leadership, anzi, la investe del compito di rappresentare in prima persona il punto di vista dei moderati. Semmai sono gli altri leader riformisti e i loro partiti a farsi sentire flebilmente. Come se la ricomparsa della «sinistra sinistra» avesse svelato tutta la debolezza dell’identità politica e culturale di un riformismo, quello italiano, da sempre restio a dare battaglia in campo aperto, quasi che la primazia nell’Alleanza gli toccasse di diritto.
Ha posto e continua a porre la questione Francesco Rutelli: a modo suo, tirando qualche calcio negli stinchi e parecchi sassi in piccionaia. E Piero Fassino teme che ogni uscita di Rutelli dia un aiuto, di fatto, a Bertinotti e compagni, perché radicalizza, per reazione, l’elettorato di sinistra. In parte è anche vero. Per far valere le sue ragioni riformiste, se lo vuole, ha però la migliore delle occasioni, il congresso. Non sarà facile. I numeri congressuali sono tutti dalla sua. Ma il maggior partito della coalizione comincia a sentirsi un po’ stretto.

un autorevole intellettuale americano...

Corriere della Sera 18.1.05
Scandalo per l’ex ministro di Clinton
Il presidente di Harvard: le donne valgono di meno
«Minor successo nella matematica e nelle scienze, ci sono ragioni biologiche»


Cambridge, Centro nazionale per la ricerca economica. La conferenza accademica è appena cominciata quando il rettore della Harvard University ed ex ministro dell’economia di Bill Clinton, Lawrence Summers, prende la parola. Una bella introduzione sulle ricerche scientifiche e poi l’affondo: le donne «non hanno la stessa abilità innata» degli uomini in alcuni campi del sapere. Di più: ci sono sono «ragioni biologiche» che spiegano il motivo di tanta poca propensione verso settori come la matematica e, più in generale, le materie scientifiche. Le schiappe in geometria e aritmetica, quindi, lo sappiano: la responsabilità è della biologia. Detto così vie ne quasi da riderci sopra ma le spettatrici della conferenza non hanno gradito affatto. «Me ne vado prima di vomitare» ha fatto sapere Nancy Hopkins, biologa al Massachusetts Institute of Technology, prima di lasciare l’aula sbattendo la porta. Altre, più genericamente, si sono dette «molto offese» e la questione è finita col fare molto rumore negli ambienti accademici. Il rettore ha incassato una gran quantità di critiche ma l’accusa di non essere stato «politically correct» non lo ha scomposto più di tanto: «La mia voleva essere soltanto una provocazione» si è difeso.Il presidente di Harvard aveva indicato tre possibili spiegazioni per il declino del numero delle donne in posizioni di alto livello nelle scienze: la prima era la riluttanza delle madri di famiglia a lavorare 80 ore alla settimana. La seconda il fatto che i ragazzi che conseguono il massimo dei voti in materie scientifiche al liceo e al college sono più numerosi delle ragazze. E infine la terza: la più irritante per la platea femminile: le donne non hanno «la stessa abilità innata» degli uomini in certi settori del sapere come la matematica. E tutto questo si giustificherebbe, a sentir lui, con il fatto che ormai la scienza dà più peso ai fattori genetici che a quelli culturali o ambientali nello sviluppo della persona. Un esempio? La sua stessa bambina. Lui ha spiegato di averle regalato camion giocattoli per non condizionarla sessualmente nei giochi: «Lei li trattava come bambole chiamandoli papà». È a questo punto che la Hopkins se n’è andata: «Non posso pensare alle donne di Harvard guidate da un uomo così».

una scoperta (?), pubblicata su Nature Genetics...

Corriere della Sera 18.1.05
I ricercatori: è assente negli asiatici, rara in Africa. Un’eredità consegnata all’homo sapiens dall’incrocio con ominidi vissuti 60 mila anni fa
Gli europei sono i più fertili e longevi. È scritto nei geni
Studio sulla popolazione islandese: scoperta una sequenza di Dna che aumenta la predisposizione ad avere figli
di Adriana Bazzi


Chi ce l’ha ha più probabilità di avere figli di chi ne è privo. E non solo: ha anche più chance di raggiungere e superare i 90 anni. Non è un gene, ma addirittura un’intera porzione di Dna, invertita rispetto alla variante più comune, che favorirebbe fertilità e longevità. La scoperta, pubblicata su Nature Genetics, è di un gruppo di ricercatori islandesi e americani che hanno dimostrato come questa sequenza, comune a molte popolazioni, si ritrova con maggiore frequenza in Europa. E non solo: avrebbe anche un’origine molto più antica rispetto alla maggior parte dei geni umani e sembrerebbe stata ereditata in tempi piuttosto recenti dall’uomo moderno attraverso incroci con ominidi di specie diverse. La scoperta è avvenuta per caso, mentre gli studiosi stavano cercando i geni della schizofrenia ed è l’ultimo risultato di un gigantesco studio, condotto dall’azienda biotecnologica DeCode Genetics di Reykjavik su buona parte della popolazione islandese, che si propone di individuare i legami fra geni e malattie per trovare le cure. La sequenza appena individuata, composta da 900 mila basi e «ospitata» dal cromosoma 17, ha due varianti: nella prima, chiamata H1, la sequenza presenta un certo ordine di successione delle basi (che sono quattro: T, C, G e A, cioè Timina, Citosina, Guanina e Adenina), mentre nella seconda, chiamata H2, questa successione è invertita, come quando si legge una parola dall’ultima lettera alla prima. Le persone con questa seconda variante hanno il 3,5% di figli in più, se sono donne, rispetto alle altre; il 2,9% in più se sono uomini.
«Questa porzione di Dna - ha spiegato Kari Stefansson della DeCode - comprende molti geni, nessuno dei quali ha una connessione diretta con la fertilità. Stiamo cercando di capire in che modo la influenzi. Un’ipotesi potrebbe essere legata al rimescolamento dei geni fra porzione "normale" e "invertita", che crea quella "novità genetica" di solito favorevole al successo riproduttivo». D’altra parte esistono molti altri geni capaci di influenzare la possibilità di avere figli, cui si aggiungono poi elementi culturali che alla fine determinano la prolificità di una popolazione.
La variante H2 è rara fra gli africani (10%) e assente fra gli asiatici, mentre è riscontrabile in almeno il 20% della popolazione europea. La sua diffusione in Europa sembra essere stata favorita da una selezione naturale avvenuta in tempi abbastanza recenti, forse negli ultimi 10 mila anni: la dieta potrebbe avere contribuito a far emergere questa caratteristica genetica. Ecco perché la sequenza invertita, oltre al legame con la fertilità e la longevità rappresenta anche un esempio di come si è evoluta la storia umana recente.
Questo tratto genetico di per sé è antico e, probabilmente, era già presente in progenitori comuni, come l’Homo erectus, almeno tre milioni di anni fa. Ma a differenza di altre varianti così antiche non si è mai estinto: il motivo starebbe nel fatto che è stato tramandato da popolazioni arcaiche ed è passato in tempi relativamente recenti all’uomo moderno, prima che quest’ultimo abbandonasse l’Africa 60 mila anni fa.

Cina

Cina, il regime mette la sordina sulla scomparsa del leader
Il riformista Zhao Ziyang fa paura anche da morto
Il «Quotidiano del Popolo» ha dato la notizia in sette righe. Ma è tornato a chiamarlo «compagno»
da Fabio Cavalera, corrispondente da Pechino


PECHINO - La morte di Zhao Ziyang, l'anziano leader del partito comunista cinese che appoggiò gli studenti di piazza Tienanmen, che li implorò con il megafono di lasciare la piazza per evitare la reazione militare e tentò di aprire un varco alle riforme politiche in un sistema autoritario, pone al nuovo corso della modernizzazione un dilemma serio.
Da una parte commemorare la figura e rendere così giustizia - sia pure tardiva - a un uomo che fu un convinto e coraggioso innovatore significherebbe per Hu Jintao - il presidente dello Stato e segretario del partito - accelerare lungo la strada di una lenta e graduale liberalizzazione pur con la consapevolezza di correre qualche rischio legato ai delicati equilibri all'interno del gruppo dirigente. Per altro verso lasciare esaurire il corso dei sentimenti che stanno scuotendo il movimento democratico di opposizione, nonché tacere il ruolo importante svolto dall'ottantacinquenne ex delfino di Deng Xiaoping, potrebbe trasformare la vicenda in un caso e deludere quella parte della società - specie accademica - interessata al processo di trasformazione costituzionale oltre che economico.
I primi segnali indicano che la cerchia di comando del partito il problema anziché negarlo se lo è posto. Le televisioni ancora tacciono ma, al contrario, tanto l'agenzia ufficiale Nuova Cina quanto il Quotidiano del Popolo hanno rilanciato (in sette righe soltanto) la notizia del decesso avvenuto per malattia cardiaca. Ma ciò che conta è il titolo dato alla stessa: «Il compagno Zhao Ziyang è morto».
Dopo avere impedito all'ex segretario del partito comunista di uscire dalla sua casa per la bellezza di sedici anni, dopo averlo emarginato e allontanato dal partito, la circostanza di richiamarlo «compagno» non è da sottovalutare. Come non è da sottovalutare un secondo particolare. Sul sito Internet del Quotidiano del Popolo sono state pubblicate alcune lettere. Quella ad esempio di Chen Denhong che ha scritto: «Sette righe? Voglio dire: è tutto per un uomo così? Una parodia». O quelle di chi afferma: «Credo che i padri comunisti siano imbarazzati... negare la morte di Zhao non cancellerebbe la sua saggezza». O le parole di un anonimo che butta lì: «Un compagno? Non sapevo che fosse un comunista...».
In Cina i cambiamenti nella sfera politica, quei cambiamenti che già a metà degli anni Ottanta Zhao Ziyang con grande intuito aveva sperato di introdurre, sono molto lenti e si manifestano in modi ancora contraddittori. C'è una fascia della società politica e intellettuale che ha ereditato i valori e lo spirito del movimento del 1989. Rimasti per anni in silenzio, questi ex studenti e riformatori sono un po' alla volta rientrati nel circuito delle discussioni. Il loro punto di riferimento ideale era proprio Zhao Ziyang. «Un eroe della Cina», ha ripetuto ieri uno di essi. Bao Tang, consigliere dello stesso Zhao e pure lui agli arresti domiciliari, è tornato a parlare con una dichiarazione scritta: «La persecuzione di Zhao è la persecuzione di un leader che ha portato avanti le riforme per contrastare il governo del partito unico».
Se all'apparenza il mondo della politica cinese appare quasi immobile in verità dietro le quinte c'è un dibattito che coinvolge una parte delle università e dei circoli culturali. E' forse la preoccupazione di controllare questo dibattito, di non trasformarlo in una scintilla al di fuori di ogni binario, che sta pesando sul dilemma al quale è chiamato per una risposta il presidente e segretario Hu Jintao: commemorare Zhao Ziyang e riconoscere che fu vittima del sistema o dimenticarlo confidando sull’indifferenza della nuova classe media cinese più propensa ad agitarsi per difendere i valori individuali del consumo e del profitto che non a scoprire gli ideali della democrazia. Un test davvero importante per i modernizzatori della quarta generazione postmaoista.

«le intuizioni sono frutto del superamento della sfera razionale»
neuroscienziati...!

Yahoo! Notizie - italiasalute.it 17.1.05
Il training mentale per aumentare le capacità intuitive


La via dell'intuizione, ovvero come, attraverso il libero accesso all'inconscio e la combinazione tra razionalità ed intuizione, migliora qualitativamente la nostra consapevolezza e la capacità di trovare nuove soluzioni. A proporre questo percorso mentale è il dr. Paul Kircher.
Chi non conosce la differenza tra le potenziali capacità di un PC moderno, l’estensione del suo software ed il suo effettivo utilizzo? Le statistiche dimostrano che in ambito privato addirittura l’80 – 90% di questo potenziale rimane del tutto inutilizzato e...ironia della sorte, lo stesso tipo di rapporto intercorre anche con il nostro cervello. Esiste dunque una relazione tra questi due fattori? e soprattutto: esistono davvero soluzioni che consentano il risveglio nell’uomo di questo incredibile potenziale? Che cosa ci attende in questi spazi sconosciuti? è questo forse il salto quantico?
Il genio perduto
Uno studio mostra che le decisioni intuitive sono spesso frutto del superamento della sfera razionale. Ciò è confermato anche da un indagine condotta su 3000 società di medie dimensioni dalla scuola scientifica superiore per dirigenti d’azienda di Coblenza. Il loro sondaggio rivela che nelle decisioni societarie, la percezione intuitiva è spesso più importante di un’analisi dei fatti basata sull’esperienza, come ad esempio la ricerca di mercato.
Allo stesso modo, non è un segreto che inventori, scienziati e ricercatori debbano le proprie idee pionieristiche ad un sogno, ad un „lampo“ improvviso, o comunque quasi sempre a riflessioni irrazionali e non analitiche.
Purtroppo però, logica e razionalità sono fortemente incoraggiate dalla società quali caratteristiche necessarie e desiderabili e, quindi, proprio a causa del processo di socializzazione, creatività ed intuizione sono destinate ad involversi già a partire dai primi anni di vita.
In realtà ogni uomo racchiude potenzialmente in se tutta la conoscenza per nuove soluzioni di successo, ma il progressivo assopimento delle sue facoltà percettive comporta un abbassamento tale del livello di attenzione cosciente, che esso finisce per percepire una frazione sempre più limitata degli innumerevoli stimoli ed informazioni che costantemente lo influenzano. Di conseguenza quando crea, esso non può che limitarsi a migliorare o perfezionare ciò che fondamentalmente già esiste, poiché costretto ad utilizzare informazioni già note che fanno parte del suo bagaglio di conoscenza o di quello di altri. Solamente attraverso un libero accesso alla propria intuizione quindi, diventa nuovamente possibile richiamare tutto il sapere disponibile e decidere in maniera innovativa ed efficace. La domanda da porsi dunque è, come sia possibile realizzare il recupero delle capacità intuitive e lo sfruttamento del proprio potenziale creativo.
La soluzione sta proprio nel cervello
Una risposta significativa è senz’altro fornita dall’analisi dello schema di funzionamento squisitamente polare del nostro cervello: è risaputo infatti che il cervello è composto da una metà sinistra, deputata al linguaggio e al pensiero analitico, e da una metà destra che guida l’immaginazione costruttiva e l’intuizione. Ma per le motivazioni già descritte, ogni individuo è portato ad utilizzare l’uno o l’altro di questi emisferi in maniera separata e distinta, sostando prevalentemente nella parte sinistra, razionale, analitica.
Si è potuto constatare però che, solo quando entrambe le parti lavorano in sincronia, l’uomo è in grado di attingere nuove risorse/informazioni, analizzarle razionalmente e tradurle nella realtà. Durante questa fase il tracciato dell’ EEG dimostra infatti che il cervello incrementa la sua attività utilizzando in modo sinergico i due emisferi, mentre l’analisi delle onde cerebrali evidenzia sia i range di frequenza dello stato di veglia, che quelli del sonno profondo. Ciò significa che si crea una condizione percettiva ideale che consente, in risposta a domande specifiche, di ricevere informazioni altrettanto specifiche, con il non trascurabile vantaggio di poterle poi elaborare e riordinare analiticamente, partendo da un punto di vista enormemente più ampio.
Il training mentale, super vitamina del cervello...ma, Attenzione!
Esistono attualmente alcune tecniche di meditazione e training mentale, che insegnano a stimolare il lavoro dell’emisfero cerebrale destro al fine di incrementare le capacità creative di coloro che sono abitualmente portati a privilegiare logica e razionalità a discapito della componente intuitiva.
Il soggetto si mette sdraiato o seduto, con gli occhi chiusi, pronto per un viaggio interiore nel quale può ricevere segnali, simboli e immagini immagazzinate nell’inconscio, che verranno poi successivamente decodificate ed elaborate in funzione di un utilizzo pratico nella realtà quotidiana.
In questo viaggio può rendersi conto di tutti i suoi pensieri, in modo che molte delle informazioni di cui solitamente non è consapevole gli risultano improvvisamente accessibili. In questa condizione, egli può esaminare domande irrisolte, decisioni sospese, o dedicarsi all’elaborazione di nuovi prodotti partendo da un angolazione totalmente diversa per progettare soluzioni veramente originali ed innovative.
Questo tipo di tecniche offrono l’indubbio vantaggio di esplorare realtà più ampie rispetto a quelle rilevabili nella mente conscia, in quanto permettono la ricezione di informazioni di cui solitamente non si è consapevoli, tuttavia, in assenza di una impostazione specifica è possibile che molte di queste informazioni vengano mal interpretate o non comprese, in quanto facilmente viene a mancare l’interazione simultanea con la parte razionale-analitica (emisfero sinistro), unica realtà in grado di riordinare ed elaborare correttamente i messaggi. Risulta determinante quindi l’integrazione di una programmazione specifica di base, come riscontrabile in alcuni particolari tipi di training mentale di ultima generazione che riescono a indurre un altissimo livello di attenzione cosciente, mantenendo sempre ben sincronizzati entrambi gli emisferi cerebrali…
…e allora allenamento !
Riagguantare la propria parte creativa ed intuitiva è dunque possibile grazie all’esistenza di queste metodiche che, parallelamente all’accrescimento e lo sviluppo delle risorse intrinseche di ogni uomo, offrono anche un opportunità concreta di premere sull’acceleratore della consapevolezza.
Allenare la consapevolezza è il primo passo per allenare l'intuizione. La meditazione, ma soprattutto un training mentale in grado di garantire, può regalarvi risultati insperati sia sul piano della creatività, che del benessere e dell’evoluzione personale.
L’origine del training mentale
L'utilizzo del training mentale fu elaborato in origine a supporto degli astronauti, per i quali risulta di fondamentale importanza riuscire a far fronte a situazioni estremamente pericolose. Essi infatti imparano a reagire ad un determinato evento tramite un programma predefinito – in modo completamente automatico (come allacciarsi i cordoni delle scarpe) – di modo ché, in caso d’incidente ad esempio, le manovre d’emergenza possano venire intraprese in maniera tempestiva, evitando gli errori causati da eventuali reazioni emotive. Anche la formazione dei piloti di aviogetto è basata per l' 80 % sul training mentale.
Il training mentale trova inoltre applicazione in tutti gli sport condotti a livello agonistico, dove le prestazioni da realizzare vengono preparate mentalmente in anticipo. Ad es. gli sciatori, ancor prima della gara vera e propria, percorrono la discesa mentalmente fino all’arrivo; lo stesso fanno i corridori di gare automobilistiche
Non di meno, vi è la giustificata probabilità – e il dubbio, da parte di chi medita - che esse siano frutto di fantasie, aspettative o proiezioni mentali capaci di inquinare la purezza del messaggio stesso perciò, anche in questo caso, l’incapacità di discernere il “vero” dal “falso” rischia di provocare discredito per le informazioni più obiettive ed autentiche.
Parola di R.Sheldrake
Essi si basano sulla conoscenza e lo sfruttamento dei campi morfogenetici di R. Sheldrake, che sono campi di energia generati e strutturati lungo la linea del tempo da forme di pensiero, idee, abitudini e consuetudini individuali e collettive e come tali, costituiscono un archivio di sapere e conoscenza di valore inestimabile.
Il vantaggio determinante di questo tipo di tecniche è che, una volta focalizzata l’attenzione su questi campi, il soggetto non solo riceve immagini animate e libere da vincoli spazio-temporali, ma le esperisce realmente calandosi da protagonista in un ologramma del tutto simile alla realtà, quasi una sorta di “fiction” in assenza del corpo fisico, dove emotività e raziocinio rimangono presenti per percepire, comprendere ed analizzare con profitto le informazioni ricevute.
Diventa possibile allora ottimizzare decisioni nel presente, riconoscendone anzitempo gli sviluppi futuri, liberare volontariamente e all’occorrenza il proprio potenziale creativo, rafforzare la propria determinazione e forza di volontà, elevare il quoziente intellettivo e molto altro ancora.