venerdì 16 aprile 2004

Michele Serra sull'attacco a Darwin

Repubblica 16.4.04
L'AMACA
di MICHELE SERRA


L´ATTACCO a Darwin e all´evoluzionismo, negli Stati più conservatori d´America, è in corso da diversi anni. Da noi arriva, al solito, come deriva un po´ ammuffita: però arriva, e dunque si pensa di reintrodurre il creazionismo (che non è scienza, è teologia) nell´insegnamento scolastico. In un paese vigile e sano, il dibattito sull´argomento sarebbe vivacissimo e occuperebbe le prime pagine dei giornali. Non siamo un paese vigile e sano: solo qualche insegnante non rassegnato, nonostante il magro stipendio gli suggerisca di tirare a campare e farsi gli affari suoi, manifesta la sua preoccupazione (o la sua indignazione) scrivendo ai giornali.
Poiché conciliare fede e scienza è uno degli impegni più ardui, e lodevoli, dei credenti, sarebbe bello che alle poche voci "materialiste" che si levano in difesa del vecchio Darwin, si unisse quella di qualche cattolico coscienzioso. A meno di mettere fuori legge lo studio dei fossili, è difatti parecchio difficile, si creda oppure no in un dio creatore, contestare i fondamenti scientifici dell´evoluzionismo. Di questo passo, rischia forte anche la biologia: qualcuno, al ministero, potrebbe decidere che, come veicolo della riproduzione, la cicogna è più "morale" della coppia di fatto ovulo-spermatozoo.

la vita di Beethoven

Corriere della Sera 16.4.04
ANTEPRIMA Vent’anni dopo «Bach», Piero Buscaroli rilegge ora la vita e le opere del grande musicista tedesco. Con l’intenzione di correggere «due secoli di falsi»
Povero Beethoven, genio tradito dai critici
di PIERO BUSCAROLI


Anticipiamo un brano tratto dal libro «Beethoven» di Piero Buscaroli (Rizzoli, pagine 1.359, € 45) che sarà in libreria da mercoledì 21 aprile.

Tutt’altro che la festa del 1927, il doppio centenario della nascita correva melenso nel 1970 tra le sfilate dei concerti interrotte dalle scariche d’insulti sparate dalla nuova cultura germanica. Solo contributo di qualche peso rimase De Last Decade, 1817-1827 , di Martin Cooper. Nella recensione del «New York Times» un tale Donald Henahan paragonò l’opera di Beethoven nel suo insieme a un logoro repertorio di devozioni: «neppure gli ultimi lavori trascendentali, le Sonate per pianoforte, i Quartetti, la Missa Solemnis, appaiono più quel supremo fortilizio ch’erano stati per pochi adepti della metafisica musicale. Grazie all’implacabile girare del fonografo e alla radio sua vorace alleata, Beethoven è sbattuto nelle nostre orecchie notte e giorno, la musica che avevamo creduto inesauribile ci appare logora come un vecchio talismano. Grattati via i significati emotivi, le esecuzioni degli specialisti ci piovono addosso condite da salse d’analisi e sentenze, registrate o al vivo, dei chiosatori dei programmi e dei filosofi d’incisione. Un giro dopo l’altro, Beethoven si avvita nella sua tomba a 33 rivoluzioni e 1/3 al minuto. Sempre più difficile è udire le ultime opere, solo un esperto viaggiatore negli stili musicali può immaginarle quali suonarono ai contemporanei. Il Beethoven extramusicale sta morendo. Prima che passi molto tempo, resterà di lui solo la musica. Accade a lui quel che già è accaduto a Monteverdi e Orlando di Lasso. Tutto ciò, naturalmente, può non essere un male...».
Il libro che presento nacque quale malinconico dovere d’una battaglia di retroguardia: del gigante dovevano restare album, cassette, odiosi cumuli di compact. E invece, nei vent’anni che seguirono quel misero centenario, si scatenò imprevisto un paradosso a tal punto immane, che la sua enormità non è ancor ben misurata da quanto avanza della cultura europea. Bastò che un Solgenitsin abbassasse il piccone, e si produsse il crollo, per esaurimento e putrefazione, dell’intera cultura entro cui l’immagine di Beethoven era cresciuta deviata, falsificata. Tutta l’Europa delle idee e delle arti diventava un solo cantiere del revisionismo.
Nella storia delle biografie («Vi è solo biografia!» ammonì Nietzsche) cominciai con Sebastian Bach. E intanto Beethoven figlio della Révolution mutava i connotati, via via che la Révolution finiva nelle pattumiere. Per cominciare la galleria dei falsi: Beethoven non fu mai illuminista; non fu mai giacobino; non fu mai amico dei francesi, cui portò, da quando li vide invasori della Germania, forsennato odio.
Il rifiuto che preparavo contro la sentenzina americana e globalista sulla fine del Beethoven extramusicale divenne la non sperata occasione di restituire il gigante alla sua verità, all’autentica immagine, da due secoli lordata e confusa. Quando mi parve d’aver consolidato d’una muraglia di ristampe la nuova immagine di Bach, intrapresi la revisione di Beethoven quasi dovere naturale. Come aggredissi falsificazioni e sciatterie, il lettore trova fin dai primi passi di questo libro . Maturato e cresciuto lungo un trentennio nel tanfo agonico, epigonale dell’ultima squallida critica, americana e europea, unisce il primitivo proposito, salvare Beethoven dalla nuvola letale dello spirito dell’epoca, con la radiosa opportunità di rivedere, ossia correggere, ossia cancellare due secoli di falsi.
Dopo il Bach del 1985 e La morte di Mozart del 1996, schiero questo libro come terzo e maggiore sforzo nella revisione storica della musica condotta attraverso le biografie. Quanto tempo ancora la scombinata musicologia ufficiale potrà fingere che non esistano, non so e non m’interessa. Sanno i lettori.
***

Che l’invocata, e poi proclamata, scomparsa delle biografie totali produca l’avvento del primo Beethoven veritiero, è uno degli arciparadossi fabbricati dal destino burlone per premiare i solitari che, nell’urto vertiginoso di passati irrisolti e futuri impenetrabili, spiegano indomite vele contro venti e tempeste. Senz’averlo voluto, mi son trovato a scrivere un’altra «nuova immagine», cui auguro ugual favore del Bach che continua a ristamparsi dopo diciannove anni. Se alla «nuova immagine» di Bach toccano ancora distinzioni come quella che mi regalò il «Treffpunkt Kultur» della televisione austriaca che, or sono tre anni, intimò alla bravissima Pia de Simony di ridurre, in un documentario registrato a Bologna nel mio studio, il ruolo concesso a quel Buscaroli inviso ai bonzi luterani della Gesellschaft lipsiense , il lettore può immaginare qual furore prenderà retori e chiacchieroni nell’apprendere che l’autore aveva battezzato Sinfonie allemande quella che per noi è la Nona Sinfonia , ed era una risposta di tedesco al Congresso che lasciava intatta la Francia, rovina della civiltà d’Europa, e divisa la Germania che aveva vinto il distruttore.
Il giorno che nei Quaderni di conversazione, la cui edizione è completa dal 2001, lessi che il 25 Gennaio 1824, a Caroline Unger che gli chiedeva quando si sarebbe eseguita la Nona Sinfonia, di cui doveva cantare la parte del contralto, Beethoven parlò di Anfechtungen , opposizioni, e la ragazza insorse sdegnata gridando «Opposizioni? Ma chi si permette?» (v. pagg. 1.169 segg), collegai il contrasto, ai biografi ignoto, alla Sinfonie allemande . Compresi che solo la lettura critica, nell’ingrato originale tedesco, dell’ignota fonte diventata primaria, una lettura diplomatica e perfin paleografica, avrebbe permesso di riscrivere questa vita in un definitivo gesto revisionista. Le preziose novità rimaste occulte nei Quaderni diventavano secondarie rispetto all’imponente evidenza che il contrasto nasceva da quell’ allemande , sopravvissuto solo per la tenacia di Gustav Nottebohm. Il lettore riporterà facilmente a galla la rete sommersa e potrà misurare perché la «nuova immagine» sia riuscita con Beethoven tanto più faticosa che con Bach. E per la sua posizione, nonostante ogni apparenza, centrale nella società di corte; e per il ruolo, enormemente cresciuto, della storia universale nelle storie personali. E per il trono dominante che nel frattempo la musica aveva occupato sull’assemblea delle «arti sorelle».
***

«La politica è il destino dei moderni», scrisse Napoleone. Se ne è accorto questo autore quando ha intrapreso la riscrittura politica del giovane Beethoven scoprendo che era tutto cancellato e calpestato in una infame devastazione: il patriota tedesco ridotto a balbettante insignificanza, i canti guerrieri scritti per i volontari, cancellati oppure omessi dagli elenchi, nascosti dalle biblioteche che li possedevano. Ha dovuto contendere a unghiate la figura del giovane alla turba giacobina che l’aveva imprigionato; restituire peso e coerenza al costante fierissimo sentimento anti-francese, ridotto a bizzarria d’incostante ingrato. Nessuno aveva voluto misurare quanto fosse concreto e sensato, seppur ristretto ormai a un’esile striscia, il margine di indipendenza che restava tra la bestiale violenza rivoluzionaria diventata invasione, e la nauseante grettezza delle monarchie che, costrette ad allearsi nonostante si odiassero tra loro, le si opposero con meritati disastri.
Lasciando a parte i soliti Goethe e Schiller, che a nulla servono su questo terreno, ho radunato i Seume e Louis Ferdinand, il giovanissimo Körner e Varnhagen von Ense, trattati con badiale fastidio dai biografi mestieranti, per far compagnia a Beethoven in quell’itinerario di speranze assassinate, sentimenti traditi e catastrofi spirituali che prelude allo sdegnato isolamento dell’ultimo decennio. Nessuno degli storici di Beethoven aveva tentato di interpretare con amore e onestà quel tumulto di fresca ingenuissima gioia, che nel lurido nido di vermi dell’infame Congresso, modello mai superato della pace con frode, pochi mesi bastarono a trasformare in delusione, tradimento e pianto. La Germania, le cui forze, quando si unirono, vinsero finalmente il tiranno, si trovò restituita alla confusione e divisione che l’avevano lacerata, dai «trattati» di Münster e Osnabrück in poi. I suoi principi si univano sol per tenerla divisa e, con la complicità d’inglesi e perfino americani, più impotente e sola che la sconfitta Francia. Se un giorno del 1824, a Baden dov’era entrato in un caffè in compagnia di Carl Czerny, gli bastò leggere in un giornale che Walter Scott scriveva una Vita di Napoleone per gridare: «Napoleone! Non lo potevo soffrire, ma ora la penso tutto diverso!», non era lo scatto di bizza incoerente che ripetono certi biografi senza onore e senza sapere, ma il tratto finale di un’ira e di uno sdegno: l’ultimo distacco da quella monarchia infame che tre anni dopo lo ricompenserà disertando i suoi funerali. Senza che nessuno, tra imperatori arciduchi e ministri, immaginasse di lasciarlo a capo di una folla, quale mai s’era vista per la dipartita d’uno di loro: venti o trentamila, quanti in quella Vienna torpida e avvilita si sentivano ancora «i rappresentanti del popolo tedesco», come li chiamò Franz Grillparzer nel suo discorso.
Devi aggiungere, infine, il mutato ruolo reciproco, la rifondata gerarchia delle diverse arti e l’assunzione della musica, proprio per l’opera e la figura di Beethoven, a quel vertice dominante cui, secondo Walter Pater, le altre arti furono costrette da allora a guardare con invidia. Su questo cammino, l’ascesa del mio nuovo restaurato Beethoven sarà ancora più aspra. Dovrà vedersela con una musicografia senile e suicida. Ai divieti innalzati dai Dahlhaus si mescolano ora le lodi e invocazioni al grottesco tentativo abortito di Adorno, di salvare dalla morte, che per tutte e due era fatale, musica e filosofia, con una unione e fusione: puerile, più che innaturale. Da compiersi, infine, nel nome di Beethoven, per cui nulla significava la filosofia, la meno artistica, la meno attraente tra le occupazioni possibili.
Ma non voglio trasformare questa Notizia nell’indispensabile antefatto personale, che il lettore troverà nei primi due capitoli. Sua funzione è introdurre argomenti pratici, cominciando con le avversità cui la mia restituzione di Beethoven dovrà confrontarsi. Delle quali la più minacciosa, come al solito, è quell’abitudine, contesta di paura e pigrizia, che si trova comodo chiamare tradizione. È il rifiuto di abbandonare i cementi calcinati e le tavole marcite della Maginot del falso, in cui continuano a rotolarsi gl’intendenti e i cosiddetti interpreti. Quei tali di cui dicevo dianzi, che ancora non avendo misurato e assimilato la potenza dell’anticiclone che si scatenò una ventina d’anni fa, ancora non hanno capito ch’è tempo di spedire in soffitta il mascherone per richiamare Beethoven all’autenticità che mai poté rivelare: nella sua «unica Opera», per cominciare proprio col suo manifesto ideale, politico, sentimentale.

dove sono le Nuove Edizioni Romane alla Fiera di Bologna

Komix.it

ZOOlibri, la casa editrice emiliana che si occupa principalmente di produzioni editoriali per bambini e ragazzi, partecipa, insieme ad altri otto coraggiosi, al primo "stand collettivo" tra piccoli editori, esperimento senza precedenti in Italia.

Sotto lo slogan "la prova dei 9", all'interno del padiglione 26 stand B10 della Fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna, e all'interno di Docet in uno spazio ancora da definire, troverete la ZOOlibri in buona compagnia: Città Aperta, Edizioni Corsare, Edizioni E/O, MC Editrice, Nuove Edizioni Romane, Orecchio Acerbo Editore, Sinnos Editrice, Editions du Dromadaire.
(...)

sull'iter della riforma della 180

Vita.it 16.4.04
Psichiatria: la riforma alla 180 procede, nonostante i no del governo
La pdl Burani-Naro (forse accorpata anche al testo dell'on.Lucchese) è uscita dal comitato ristretto della Affari Sociali. Anche se Sirchia e Guidi difendono l'integrità della 180
di Benedetta Verrini


Nonostante le fortissime recenti opposizioni del ministro Sirchia e del sottosegretario Guidi alla modifica della legge 180 sulla salute mentale, la proposta di riforma dell'on. Burani Procaccini va avanti per la sua strada. Secondo indiscrezioni non confermate, riportate dalla cooperativa Itaca di Pordenone, la nuova versione del testo in discussione alla Camera, accorperebbe le proposte di legge "Burani-Naro" e "Lucchese".
La proposta di legge è intanto uscita dal Comitato Ristretto ed è approdata alla sede referente della Commissione XII Affari sociali. Sarà di nuovo in discussione martedì 20 aprile.
"L'on. Burani Procaccini pare proprio non prendere nella pur minima considerazione non solo il no netto del sottosegretario alla salute Antonio Guidi, che ha ribadito giorni fa da Cernobbio che la "Burani-Naro" non è una proposta di legge appoggiata dal Governo" si legge in un comunicato di Itaca. "L'onorevole azzurra, di più, non sembra neppure tenere in debito conto l'opinione autorevole di un ministro della Repubblica Italiana, nella fattispecie il ministro alla Salute Girolamo Sirchia, il quale ha ribadito nelle scorse settimane il suo sostegno incondizionato alla legge 180".

Cina

Corriere della Sera 16.4.04
L’eccesso d’investimenti fa aumentare i rischi di surriscaldamento economico
Cina a passo di record La crescita sfiora il 10%
Prodi: serve maggiore rispetto delle regole commerciali
di G.R.


Le misure annunciate dal governo di Pechino per raffreddare la crescita non si fanno ancora sentire. Nel primo trimestre 2004 l’economia cinese ha continuato a correre a un ritmo molto superiore a quel più 7% che viene ritenuto «sostenibile»: fra gennaio e marzo il prodotto interno lordo è infatti aumentato addirittura del 9,7% rispetto allo stesso periodo del 2003. Gli investimento fissi sono cresciuti del 43% e di altrettanto le esportazioni. Le vendite al dettaglio sono salite dell’11,1%, la produzione industriale del 19,4%, la liquidità del sistema del 19,2%. Una serie di dati, quelli resi noti ieri da Pechino, che equivalgono a un segnale d’allarme. Il boom infinito rischia di provocare un surriscaldamento dell’economia che potrebbe sfociare in un crollo, con conseguenze destabilizzanti anche negli altri Paesi asiatici. Per ora gli effetti sui prezzi al dettaglio (più 2,8% nel primo trimestre, rispetto agli stessi tre mesi del 2003) appaiono limitati, ma quelli alla produzione hanno già toccato il 3,9% e promettono di accelerare. A preoccupare è soprattutto l’impressionante crescita degli investimenti. «Un ritmo troppo elevato», ha ammesso anche il portavoce dell’ufficio cinese di statistica, Zheng Jingping. Secondo Ben Simpfendorfer, analista di Jp Morgan, «la spesa per investimenti continuerà a crescere così rapidamente per i prossimi sei mesi, e più sale più si rischia una caduta dolorosa». Alcuni economisti vedono in prospettiva problemi di scarsità d’offerta, soprattutto di materie prime, energia, materiali per costruzioni. Dal canto suo, il governo ha ribadito che intende prendere «misure decise» per frenare la corsa economica, scoraggiare l’eccesso di liquidità ed elevare gli standard di sicurezza del credito bancario. «Di certo non basta usare la leva della politica monetaria - ha spiegato alla Bbc Joan Zheng, economista della Jp Morgan di Hong Kong -. Ad un certo punto sarà necessario usare la leva fiscale per riportare gli investimenti a un livello tollerabile».
E dall’esterno crescono anche le pressioni perché la Cina, proprio per frenare la sua crescita economica record, rivaluti lo yuan rispetto al dollaro. In questo senso si è espresso ieri anche il presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, in visita a Shanghai. Prodi ha anche criticato il «mancato rispetto» da parte di Pechino di alcuni degli obblighi assunti con l’ingresso nella Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. «Le nuove regole introdotte sul mercato delle costruzioni, per esempio - ha spiegato - rendono quasi impossibile l’accesso alle nostre aziende».

Kataweb News
Pontedera, 15 apr 2004 - 14:46
Piaggio, accordo per 300.000 veicoli l'anno prodotti in Cina


I veicoli Piaggio verranno prodotti in Cina. Questo il risultato dell'accordo siglato oggi da Roberto Colaninno con il gruppo Zongshen. L'intesa prevede la produzione e la commercializzazione, a regime, di oltre 300 mila veicoli l'anno a tecnologia italiana pari a un valore di circa 280-200 milioni di fatturato. Piaggio e Zongshen parteciperanno con quote paritetiche del 45% la Piaggio Forshan Motorcycle, società costituita a suo tempo dal gruppo di Pontedera, con sede a Forshan nella provincia del Guandong. Il restante 10% sarà detenuto dal comune di Foshan.

Virgilio Notizie APCOM 15/04/2004 - 20:15
DIRITTI UMANI/ CINA EVITA PUBBLICA CENSURA DELLA COMMISSIONE ONU
Grazie al sostegno dei Paesi in via di sviluppo


Ginevra, 15 apr. (Ap) - La Cina ha schivato una pubblica censura per la repressione dei dissidenti e degli attivisti democratici da parte della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani.
Il governo di Pechino è riuscito a ottenere il sostegno dei Paesi in via di sviluppo e a utilizzare una mozione procedurale di "non azione" per bloccare una risoluzione della delegazione dell'Onu, formata da 53 nazioni. Per l'undicesima volta la Cina è ricorsa a questa tattica ed è riuscita a evitare un dibattito al meeting annuale della Commissione.
L'ambasciatore cinese Sha Zukang ha dichiarato che non ci sono motivi validi per isolare il suo Paese, che ha un'economia molto più in crescita rispetto ai suoi accusatori. "Per reagire alle loro delusioni e alla loro gelosia, gli Stati Uniti hanno proposto questa risoluzione anti-cinese", ha affermato Sha, "la Cina non è né l'inferno né il Paradiso, ma vive solo un processo teso alla costruzione di una società con standard accettabili di vita".
Secondo l'ambasciatore, gli Usa hanno attaccato Pechino nonostante abbiano loro per primi problemi in materia di diritti umani. Sha ha citato "la famosa brutalità della polizia, la pratica delle discriminazioni razziali e la strage dei civili iracheni".

copyright @ 2004 APCOM

le scelte culturali di Repubblica
Oliver Sacks e il valore terapeutico della botanica...

Repubblica 16.4.04
IN MESSICO PER AMORE DELLE FELCI

Anticipiamo alcune pagine da "Diario di Oaxaca" del celebre neurologo
Un aspetto poco noto dello scienziato che ha il talento di un vero scrittore
La civiltà precolombiana distrutta dai conquistadores
Lo straordinario sistema di comunicazione degli Aztechi
Una riunione di appassionati che somigliava a quelle del secolo scorso
Esce oggi "Diario di Oaxaca" di (Feltrinelli/Traveller pagg. 141, euro 12,00) di cui anticipiamo alcuni brani
di OLIVER SACKS


Sono cresciuto negli anni Trenta a Londra, in una casa con un giardino pieno di felci. Mia madre le preferiva alle piante da fiore, e anche se avevamo rose rampicanti, gran parte delle aiuole era stata adibita alla coltivazione delle felci. Avevamo anche una veranda, sempre calda e umida, dove pendeva un´enorme felce barbuta (Polystichum plyblepharum) e dove prosperavano felci sottili e delicate o anche felci tropicali. La domenica, talvolta, mia madre, o una delle sue sorelle, anch´esse appassionate di botanica, mi portavano a Kew Gardens, e fu lì che vidi per la prima volta felci torreggianti, alte dai cinque ai dieci metri, avvolte da fronde, e riproduzioni delle forre hawaiiane o australiane. All´epoca quei posti mi sembravano i più belli che avessi mai visto.
Mia madre e le sue sorelle avevano ereditato l´amore per le felci dal padre, mio nonno, che era arrivato a Londra dalla Russia verso la metà dell´Ottocento, quando in Inghilterra impazzava ancora la pteridomania, la grande mania per le felci dell´epoca vittoriana. Moltissime case, compresa la loro, disponevano di terrari (Wardian cases) pieni delle più svariate specie di felci, talvolta rarissime. Questa moda era già passata intorno al 1870 (anche perché aveva portato all´estinzione di diverse specie), ma mio nonno aveva tenuto i suoi Wardian cases fino alla morte, avvenuta nel 1912.
Le felci mi affascinavano per la loro forma a spirale e per le loro caratteristiche vittoriane (che le facevano somigliare ai coprispalliera di trine e alle tende di merletti della nostra casa). Ma, ancora di più, mi intrigavano per la loro origine antica. Mia madre mi raccontava che il carbone che usavamo per riscaldare la casa era composto prevalentemente di felci compresse o altre piante primitive, e talvolta, rompendone un pezzo, si intravedevano le forme del fossile. Le felci erano sopravvissute, senza subire grandi cambiamenti, per oltre trecento milioni di anni. Altre creature, come i dinosauri, erano scomparse, ma le felci, all´apparenza così fragili e vulnerabili, erano scampate a tutte le vicissitudini, a tutte le estinzioni che la terra aveva conosciuto. Il mio senso di un mondo preistorico, di immensi archi temporali, era stato stimolato per la prima volta dalle felci e dai loro fossili. (...)
Dall´aereo si gode una vista incredibile del Popocatépetl, con il cratere ben visibile, circondato da una catena di picchi innevati. Mi chiedo perché le vette più basse siano ricoperte di neve, mentre il cono vulcanico, più elevato, non lo è; forse, mi dico, il calore che emana dal cono vulcanico, anche quando non è in eruzione, è sufficiente a sciogliere la neve. Circondato com´è da queste magiche, straordinarie vette, si capisce perché gli atzechi avessero stabilito lì, a duemilatrecento metri d´altitudine, la loro capitale, Tenochtitlan.
Il mio vicino (al suo secondo rum e coca, nel quale gli faccio compagnia) mi chiede il motivo del mio viaggio in Messico. Affari? Turismo? «Né l´uno né l´altro», gli rispondo, «una spedizione botanica alla ricerca delle felci». Sembra interessato, e mi parla del suo amore per le felci. «A quanto pare», aggiungo, «Oaxaca ha la più grande varietà di felci del Messico».
Il mio amico è lusingato. «Non vi limiterete alle sole felci, spero?». E incomincia a parlare con eloquenza e passione dell´epoca precolombiana: la straordinaria raffinatezza dei maya in matematica, architettura, astronomia; la scoperta dello zero, che compirono molto tempo prima dei greci; la ricchezza e il simbolismo della loro arte; e gli splendori della capitale, Tenochtitlan, che contava più di duecentomila abitanti. «Più di Londra e di Parigi, più di qualsiasi città dell´epoca, fatta eccezione, forse, per la capitale dell´impero cinese». Parla della forza e della prestanza dei suoi abitanti, racconta di come gli atleti corressero in staffetta per 400 chilometri, senza sosta, da Tenochtitlan al mare e ritorno, per assicurare ogni giorno il pesce fresco alla famiglia reale. Racconta dello straordinario sistema di comunicazione degli aztechi, secondo soltanto a quello degli inca, in Perù. Alcune delle loro conoscenze, alcune delle loro conquiste, continua, hanno un che di sovrumano, come fossero veramente stati figli del sole o esseri venuti da un altro pianeta.
«E poi», conclude in una visione dolorosa del passato che è forse comune a tutti i messicani, «e poi giunse Cortés, con il suo esercito di conquistadores, a portare non solo nuove armi, ma nuove malattie, sconosciute alle popolazioni indigene: vaiolo, tubercolosi, malattie veneree, persino l´innocuo raffreddore. C´erano quindici milioni di aztechi in Messico prima della Conquista, ma nel giro di cinquant´anni ne rimasero solo tre milioni, ridotti in stato di povertà, degrado e schiavitù. Molti trovarono la morte negli scontri armati, ma un numero ancora maggiore dovette soccombere, indifeso, alle malattie importate dal Vecchio Continente. Anche la religione e la cultura locale ne risultarono impoverite e indebolite, sostituite dalle tradizioni e dalla chiesa dei conquistadores. Ma da ciò derivò anche una miscela ricca e fertile, una combinazione genetica fisica e culturale al tempo stesso». Il mio vicino continua a parlare della «doppia natura» e della «doppia cultura» del Messico e dei messicani, la complessità, positiva e negativa, che deriva da questo duplice corso storico. E infine, mentre stiamo atterrando, mi parla delle strutture e delle istituzioni politiche, della loro corruzione e inefficienza, dell´estrema iniquità del sistema sociale di un paese che ha più multimiliardari di qualsiasi altra nazione, tranne gli Usa, ma anche il maggior numero di poveri che vivono in condizioni disperate.
Quando sbarchiamo dall´aereo nella città di Oaxaca, scorgo in attesa nella hall dell´aeroporto John e Carol Mickel, i miei amici del Giardino botanico di New York. John è esperto di felci del Nuovo Mondo, del Messico in particolare. Ha scoperto più di sessanta specie di felci nella sola provincia di Oaxaca, e ha descritto (insieme al suo giovane collega Joseph Beitel) le settecento e più specie della regione nel libro Ptedirophyte Flora of Oaxaca, Mexico. Sa trovare meglio di chiunque altro l´ubicazione talvolta segreta o variabile di ognuna di quelle specie. John è stato a Oaxaca moltissime altre volte dopo il suo primo viaggio, nel 1960, ed è lui che ha organizzato per noi questa spedizione.
Mentre la sua competenza specifica è la tassonomia, la capacità cioè di identificare e classificare le felci risalendo alla loro evoluzione e affinità evolutiva, egli è allo stesso tempo, come tutti i pteridologi, un esperto botanico ed ecologista, poiché non si possono studiare le felci in natura senza tener conto di come e dove crescono, del loro rapporto con le altre piante e gli animali, del loro habitat in generale. Carol, sua moglie, non è una botanica di professione, ma il suo entusiasmo, e i molti anni trascorsi con John, ne hanno fatto un´esperta al pari del marito.
Il mio primo incontro con John e Carol avvenne un sabato mattina del 1993. All´epoca vivevo nel Bronx, nei pressi del Giardino botanico di New York. Quel giorno stavo facendo quattro passi nei paraggi insieme al mio amico Andrew. Entrammo per caso nel vecchio edificio dove ha sede il museo e Andrew, che mi aveva sentito parlare più di una volta in toni entusiastici delle felci, notò un cartello che annunciava una riunione dell´American Fern Society per quel giorno stesso. Il fatto mi incuriosì (non ne avevo mai sentito parlare), così ci incamminammo per il labirinto di corridoi all´interno dell´edificio, finché al piano superiore trovammo la sala in cui si svolgeva l´incontro, cui partecipavano una quarantina di persone. Vi si respirava un´atmosfera vagamente retrò, quasi vittoriana. Si sarebbe potuto trattare benissimo di una riunione di appassionati di botanica degli anni Cinquanta o Settanta dell´Ottocento. John Mickel, appresi in seguito, era uno dei pochi professionisti del gruppo.
Andrew mi sussurrò all´orecchio: «Questo è il genere di persone che fa per te», e come al solito aveva ragione. Non c´era dubbio che fossero le persone giuste, e anche loro sembravano riconoscermi come un appassionato di felci.
Era un gruppo originale, eterogeneo. Si trattava in genere di anziani, pensionati, ma c´erano anche molti giovani sui vent´anni, alcuni dei quali lavoravano nelle serre o nelle sezioni di orticoltura del Giardino botanico. C´era anche qualche professionista, naturalisti o insegnanti; diverse casalinghe e addirittura un conducente di autobus. Alcuni abitavano in città, in appartamenti con vasi alle finestre; altri abitavano in campagna, in case con giardini o perfino serre. Era chiaro che la passione per le felci non teneva conto delle differenze sociali, ma poteva prendere chiunque, a qualsiasi età, e diventare parte essenziale della sua vita. Alcuni, avrei scoperto in seguito, facevano più di cento chilometri in auto per partecipare alle riunioni.
Mi capita spesso di partecipare a congressi di neurologia, ma la sensazione che provavo a quella riunione era totalmente diversa; si respirava un´aria di serena libertà e una mancanza di rivalità che non avevo mai riscontrato in un incontro professionale. Forse grazie a quest´atmosfera tranquilla e accogliente, al comune entusiasmo e alla passione per la botanica, forse perché non sentivo nessun obbligo professionale gravarmi sulle spalle, incominciai a frequentare quelle riunioni in modo regolare, ogni mese. Prima di quell´esperienza non avevo mai fatto parte in modo convinto di nessun gruppo o associazione; ora aspettavo con ansia il primo sabato del mese. Dovevo essere all´estero o veramente malato, per mancare all´appuntamento mensile con l´American Fern Society.

Copyright: Feltrinelli editore Aprile 2004

farmaci antidepressivi in età pediatrica

Yahoo Notizie Giovedì 15 Aprile 2004, 20:52
Pediatria - Depressione in età pediatrica, gli errori degli studi clinici
Di PediatriaOnline.net


Ricercatori australiani hanno valutato la sicurezza e la tollerabilità dei farmaci antidepressivi nel trattamento della depressione nei pazienti in età pediatrica.
Sono stati esaminati 6 studi clinici, controllati e randomizzati. Il limite di questi studi era rappresentato dalla brevità del periodo di osservazione (follow-up) e dal relativamente basso numero di pazienti trattati.
Dei 93 pazienti in trattamento con Paroxetina, 11 (11,8%) hanno presentato gravi effetti indesiderati contro solo il 2,3% (2/87) del gruppo placebo. Tuttavia, nonostante questi risultati, gli Autori dello studio, Keller et al, hanno concluso:
“La Paroxetina è risultata generalmente ben tollerata in questa popolazione di adolescenti, e la maggior parte delle reazioni avverse non sono risultate gravi.”
Sette giovani sono stati ricoverati in ospedale mentre stavano assumendo Paroxetina.
Dei 189 pazienti con Sertralina, il 9% (17) ha interrotto lo studio a causa del presentarsi di reazioni avverse contro solo il 3% (5/184) del gruppo placebo.
Non sono stati pubblicati i dettagli di queste reazioni avverse. Nonostante questi dati, gli Autori dello studio Wagner et al, hanno concluso:
“La Sertralina rappresenta un efficace, sicuro e ben tollerato trattamento di breve termine per bambini ed adolescenti.”
(BMJ 2004 Xagena)

lo stress

Libertà 16.4.04
Lo stress, uno stimolo necessario ad affrontare la vita, ma se resta a piccole dosi
Il delicato equilibrio della sfera psichica
di Rosanna Cesena


Lo stress, di per sé, non è una malattia; anzi preso a piccole dosi è uno stimolo necessario alla vita; esiste però un limite di resistenza, strettamente individuale, oltrepassato il quale esso diventa nocivo. Spesso si associa lo stress all'esaurimento delle energie, all'affaticamento mentale e fisico, all'ansia, a volte, addirittura come causa primaria di molte malattie e disfunzioni, considerandolo un elemento esclusivamente negativo, dimenticando che esso può assumere un ruolo fondamentale per la creazione e lo sviluppo di idee e progetti nuovi. Lo stress rappresenta anche una componente normale e necessaria della nostra esistenza che può trasformarsi in energia creativa e produrre effetti positivi. Invece, come stato di tensione, lo stress può facilmente sfuggire al nostro controllo, disturbare il nostro equilibrio, trasformandosi in un fattore negativo e pericoloso. L'equilibrio della sfera psichica degli esseri umani è stato paragonato a quello dinamico della fisica; gli stati d'ansia si susseguono agli stati di calma interiore, all'agitazione può seguire l'apatia, all'eccitazione momenti di depressione, in una continua oscillazione rispetto alla condizione ideale ed impossibile di equilibrio statico. Oggi, viviamo in una società che ci impone spesso di mantenere comportamenti controllati e che crea uno stato di conflitto interiore a volte incontrollabile. In queste situazioni diventa difficile gestire e mantenere il proprio equilibrio psicofisico, tanto da provocare ferite emotive e conseguenze dannose per il nostro organismo. L'equilibrio, in sintesi, è una vera e propria arte vitale, difficile da mantenere: equilibrio psichico e fisico sono strettamente interconnessi e qualunque deterioramento di uno si ripercuote, marcatamente sull'altro (mens sana in corpore sano). Si devono al ricercatore canadese Hans Selye le prime sistematiche descrizioni degli eventi stressanti. Occorre, quindi, distinguere lo stress fisiologico (eustress), funzionale all'incremento della capacità di adattamento del soggetto di fronte a mutamenti ambientali, da uno stress patologico (distress) che provoca l'annientamento dell'individuo, il quale, soccombe al mutamento. Lo stress fisiologico attiva una risposta facilmente reversibile e non quantitativamente eccessiva, mentre quello patologico, viceversa, induce una risposta irreversibile, in quanto sproporzionata e troppo prolungata nel tempo rispetto alle effettive risorse dell'organismo atte a sostenerlo. Selye dimostrò che qualunque stressor, cioè il fattore che induce stress, attiva una risposta fisiologica ben determinata, stereotipata e costante, di tipo neuroendocrino e si traduce nella pronta attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che comporta rilascio di ormoni che collaborano con il sistema nervoso simpatico allo scopo di stimolare l'organismo. Quando la stimolazione simpatica non è sufficiente, intervengono le surrenali. Il doppio meccanismo costituisce un fattore di sicurezza e sostituzione reciproca. Le surrenali, quindi, hanno il compito di riequilibrare lo sforzo continuo che il corpo esercita per adattarsi alle situazioni più svariate (stanchezza, superlavoro, stress emozionali o sentimentali, infezioni o malattie in genere). Di conseguenza, si inducono importanti modificazioni nei processi metabolici che portano all'aumento della glicemia, della gittata e frequenza cardiaca e del flusso venoso e tali effetti sono mediati da alfa o beta recettori. A seguito di uno stressor (fame, sete, freddo, scossa elettrica, paura, rumore, rabbia, dolore, intenso lavoro fisico e psichico ecc.), l'organismo reagisce per poter avere a disposizione una ingente quantità di energia a breve termine. Selye definì questa prima risposta come "fase di allarme". Se il fattore persiste, l'organismo entra nella "fase di adattamento", nella quale si produce il massimo sforzo in termini di attivazione neuroendocrina per far fronte alla rottura dell'equilibrio che l'evento stressante ha comportato. Se lo stato di equilibrio non si ricompone e quindi l'adattamento non si verifica, l'organismo soccombe; questa fase è detta "di esaurimento". Nelle situazioni di emergenza (emorragie, ipotermia, ipoglicemia, ipossia, ustioni o sforzo fisico intenso e protratto) si verifica un aumento della liberazione di catecolamine; la midollare surrenale è attivata particolarmente nelle condizioni di stress emozionali e la secrezione aumenta anche oltre 10 volte il lavoro a riposo.