mercoledì 23 luglio 2003

dal domenicale del Sole del 13.7

(ricevuti da Paola D'Ettole)

IL SOLE 24 ORE 13-07-2003
SCIENZA e FILOSOFIA
Spoletoscienza
… Uri Geller il peggior nemico della razionalità?
di Pino Donghi

Si conclude oggi Spoletoscienza 2003, con i Big Red di Raffaello D'Andrea impegnati in un minitorneo di Calcio-Robot, allestito in diretta durante una sessione iniziata venerdÏ con il titolo «Mente, corpo e linguaggio: che cosa ne pensano i robot?». Altri esperimenti tra intelligenza artificiale, scienze cognitive, filosofia del linguaggio sono svolti da Loc Steels, direttore del Sony computer laboratory di Parigi. Ne discutono Remo Bodei, Mauro Ceroti, Paolo Fabbri, Remo Goidieri, Giulio Giorello. Proprio in questi giorni esce per Laterza il volume che raccoglie gli interventi di Spoletoscienza 2002 intitolato «Il governo della scienza». Pubblichiamo ono stralcio dall'introduzione di Pino Donghi, direttore della Fondazione Sigma-Tau che organizza la manifestazione (di Pino Donghi)
Confesso di provare simpatia per Uri Geller, il sensitivo paranormale che piega chiavi e cucchiaini con la forza del pensiero. Non perché lo conosca o lo abbia mai incontrato o visto all'opera, tantomeno in ragione di una curiosità verso i fenomeni paranormali e gli spettacoli di magia e illusionistici, che infatti non ho. L'inclinazione a considerare con divertimento l'epopea che esplode sicura di se al solo cliccare l'ormai immancabile sito www.origeller.com (un sito dove s'impara che «il caso Geller» è stato studiato da scienziati che hanno lavorato con Albert Einstein... e che Uri «is also related to Sigmund Freod»!!) si manifesta paradossalmente ogni qualvolta lui e l'infinita accolita dei suoi simili viene presa di mira dal Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale con sede a Padova. Tanto lo sguardo penetrante del paranormale ha il potere di indurmi il sorriso quanto trovo deprimente la seriosa attività del Comitato. e non già perché non vi sia ragione di denunciare la colossale truffa sottesa a ogni passeggiata sui carboni ardenti, a ogni piegamento di metallo, più o meno nobile. Di paranormale in questi normalissimi trucchi non c'è, infatti, traccia alcuna, così come non ce n'è nella capacità di prevedere gli eventi del futuro, sia in forma preveggente sia in quella, giustificata astrologicamente, dagli innumerevoli oroscopisti. ciò che trovo sconfortante, nella puntigliosa quanto sterile denuncia che a ogni inizio d'anno il Cicap rinnova sulla stampa, per radio e in televisione, con riguardo alle previsioni mancate, agli oroscopi sballati, agli oracoli infrantisi contro la dura realtà dei fatti, e la confusione tra logica veridittiva e desiderio di certezze, tra metodo sperimentale e bisogno di destino. Con questi argomenti Paolo Fabbri criticava, già qualche anno fa, un volume redatto per dimostrare le falsità dell'astrologia: che non è "falsa" semplicemente perché non può essere "vera", perché non può essere giudicata, appunto, sulla base di una logica vero-falso che intrinsecamente non le appartiene ancorché superficialmente vi si riferisca. Colui il quale crede nell'oroscopo del giorno, si rivolge all'indovino o al guaritore, si affida alle carte o ai fondi del caffè non è un seguace del metodo sperimentale, non si ispira al principio di falsificazione: anela una certezza assoluta, desidera sapere, in anticipo, ciò che e certo sia scritto da qualche parte, un destino che è suo e che vuole indipendente dalla propria responsabilità. Siccome quel destino non gli è più dato o non lo cerca più in esclusiva nella fede religiosa, pure non smette di averne bisogno, e se lo va a cercare dovunque vi sia chi glielo promette; e se quest'ultimo, al di là di un'assai discutibile eppur non impossibile buonafede, è un truffatore, chi vi si rivolge vuole credervi, ha bisogno di credere e non sarà certo il cipiglio dei soci fondatori del Cicap che gli aprirà gli occhi. Cosa c'entrano infatti Uri Geller e il Cicap con il governo della scienza? Nulla appunto, e del resto nessuna responsabilità ha il primo per il ritardo con cui la società civile comprende le ragioni della scienza, con buona pace del secondo che non mi pare possa vantare meriti speciali per la diffusione delle medesime. e visto che ci siamo: che dire di Croce? Non meriterebbe anche Don Benedetto, giunti noi nel XXI secolo, di essere lasciato in pace? Semmai la scienza non riesce a emanciparsi dalla sufficienza del filosofo napoletano, e solo agli occhi di chi non la conosce e non la pratica.
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IL SOLE 24 ORE 13.7.03
RELIGIONI E SOCIETA'
Teologia comparata - I lavori del gesuita Xavier Tilliette sui rapporti tra Bibbia e pensiero occidentale Il sacro spiegato ai filosofi Il ricorso al testo fondamentale della cristianità nelle letture che ne hanno fatto grandi pensatori e scrittori: da Kierkegaard a Marx e Kafka
di Gianfranco Ravasi

Tra le centinaia di libri che ricevo, ogni tanto s'infiltra qualche manuale scolastico, il più delle volte per me di scarso interesse. Non così è stato quando ho ricevuto «La radice biblica» di Piero Stefani, un libro che sicuramente appartiene a quel genere (ci sono persino i "suggerimenti" per ulteriori esercitazioni e cenni bibliografici al termine di ogni capitolo), tant'è vero che è pubblicato dalle edizioni scolastiche Bruno Mondadori. Ebbene, quel volume, in modo didattico ma anche con un gusto saporoso che non sempre intride quel genere di testi, cerca di mostrare come alcune categorie capitali della cultura non possano essere profondamente illustrate senza il ricorso al "grande codice" della Bibbia. Creazione, liberazione, memoria e testimonianza, la relazione con l'altro, la ricerca della verità, la povertà sono perlustrate in tutte le loro strutture esistenziali e nelle loro iridescenze simboliche attraverso il loro manifestarsi letterario e artistico attraverso i secoli, un manifestarsi che in filigrana rivela la matrice biblica. Questa premessa piuttosto contingente ci è utile per abbozzare il ritratto di un personaggio stimolante, il gesuita francese Xavier Tilliette, grande studioso di Schelling al quale ha dedicato una monumentale monografia (Schelling. Une philosophie en devenir, 2 volumi, Vrin, Paris 1992, II ed.) e una splendida biografia (Schelling. Biographie, Calmann-Lévy, Paris 1999), ma pronto a spaziare su tutto l'idealismo tedesco, approdando anche a pensatori di tutt'altra impronta come Jaspers, Merleau-Ponty e Lequier. Tuttavia ciò che lo ha reso noto a un pubblico più vasto è la sua costante analisi dei nessi tra la filosofia occidentale moderna e la Bibbia e la teologia cristiana. La sua bibliografia comprende, infatti, una significativa serie di titoli che, da diverse angolature, conferma l'insonne (e spesso insospettato) confronto che il pensiero filosofico ha aperto con la cultura e la spiritualità cristiana. Tilliette, che tra l'altro adotta una prosa sempre brillante, si è di nuovo affacciato nelle librerie con due saggi che fioriscono da corsi accademici tenuti durante il suo trentennale insegnamento all'Università Gregoriana di Roma e che sanno tener conto di un dato spesso ignorato. C'è, infatti, un'oscillazione frequente tra letteratura e filosofia: Goethe, Dostoevskij, Novalis, Holderlin, Kafka, ad esempio, rivelano una robusta mente speculativa sotto l'incandescenza poetica del loro scritto, come Agostino, Kierkegaard, Solov'ev, Nietzsche, Lequier (il "Kierkegaard" francese, capace di un'"esegesi lirica") affidano la loro riflessione teorica a una prosa scintillante. Il primo saggio a cui vorremmo accennare è emblematico già nel titolo, «I filosofi leggono la Bibbia», titolo ambizioso che viene risolto ricorrendo a una galleria di modelli, tenendo conto anche del fatto che «il Libro dei libri Ë un libro di libri» e quindi «un prodotto multiplo e arborescente che si presta a numerose letture». Tra le figure bibliche esaminate si potrebbe segnalare un trittico che ha in Abramo, Giobbe e nelle tentazioni di Cristo un campo di esercitazione continuamente scavato. Si pensi solo al cosiddetto «sacrificio di Abramo» (Genesi 22) e al mirabile Timore e tremore di Kierkegaard, che condizionerà al riguardo sia Kafka sia Chestov, ma anche Raissa Maritain e Kolakowski. Tuttavia - avverte Tilliette - si tratta di «una meditazione di cui i filosofi non hanno l'esclusiva» e lo attesta ricorrendo allo Swann di Proust, al Biberkopf del Berlino Alexanderplatz di Doblin, al poeta cristiano Pierre Emmanuel, all'ebreo Claude Vigée e a Thomas Mann, sempre per quell'osmosi tra poesia e pensiero di cui sopra si diceva. In finale al volume ci si imbatte in due capitoli, molto originali, sulla «Bibbia parodistica» (non certo nel senso etimologico positivo delle "parodie" bachiane, riprese ri-creatrici di testi). … quella che lo studioso definisce come «feticizzazione della Bibbia», una sorta di «estetica o retorica della derisione» che si consuma in Bruno Bauer, in Marx e in Engels (si pensi solo alla «Sacra Famiglia», scritta in collaborazione dagli ultimi due!) ma che tocca un suo acme tutto particolare in «Nietzsche», calamitato da un "Hass-Liebe", un instancabile odio-amore per il Crocifisso contro il cui "vangelo" viene lanciato un "disvangelo" (alla "buona-novella" si oppone la "cattiva novella" di Zarathustra, un "contro-vangelo"). Sono pagine molto forti, sempre ritmate su una galassia di rimandi, di evocazioni, di citazioni, protese a riconoscere l'insopprimibile presenza della «pietra di scandalo» delle Scritture, un po' come confessava Blok al termine del suo poema «I Dodici»: «perché mai Cristo? Davvero Cristo? Ma più il mio esame era attento, più distintamente vedevo Cristo. Annotai allora sul diario: Purtroppo Cristo. Purtroppo proprio Cristo!». Una parola anche per l'altra opera, «La Chiesa nella filosofia», un saggio impostato a trilogia, a causa della genesi didattica dello scritto, frutto di un corso accademico triennale. Anche in questo caso assistiamo a uno scorrimento: ci sono, infatti, teologi come Mohler, Newman, Solov'ev o Guardini che rivelano una potente capacita speculativa e ci sono filosofi come Leibniz, Hegel e lo stesso Kant vivacemente attirati dalla teologia, per non parlare poi degli espliciti interessi religiosi di pensatori come Blondel e Maritain. Come in altre opere Tilliette aveva ricercato una cristologia filosofica, così ora egli si dedica a individuare un'ecclesiologia filosofica. Non si tratta di una mera filosofia della religione o di un'ecclesiologia secolarizzata che esamina il fenomeno "Chiesa" sociologicamente o storicamente inteso, amputato della sua dimensione teologica e soprannaturale. Entrambe le componenti, intrecciate tra loro, la storica e la trascendente, il mysterium societatis, come lo chiamava Gaston Fessard (uno dei pensatori considerati), sono oggetto dell'analisi filosofica che tenta di mostrarne o di contestarne «la pertinenza, l'inevitabilità, la fondatezza». Ne nasce, così, l'idea Ecclesiae che è l'idea di Chiesa ma anche la Chiesa in idea. Sempre, comunque, con l'attenzione a non confondere filosofia e teologia, memori del monito di Schelling: «Occorre mantenere castamente la frontiera».

Xavier Tilliette, «I filosofi leggono la Bibbia», Queriniana, Brescia 2003, pagg. 242, 18,50
Xavier Tilliette, «La Chiesa nella filosofia», Morcelliana, Brescia 2003, pagg. 272, 20,50
Dello stesso autore ricordiamo:
«Filosofi davanti a Cristo», Queriniana, Brescia 1989; «La cristologia idealista», Queriniana, Brescia 1993;
«La settimana santa dei filosofi», Morcelliana, Brescia 2003 (II ed.);
«Il Cristo dei non-credenti e altri saggi di filosofia cristiana», Ave, Roma 1994;
«Il Cristo della filosofia», Morcelliana, Brescia 1997;
«Jesus romantique», Desclée, Paris 2002.
Si veda anche: Piero Stefani, «La radice biblica», Bruno Mondadori, Milano 2003, pagg. 222, 8,80.
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IL SOLE 24 ORE 13-07-2003
RELIGIONI E SOCIETA'
Islamica
Tutto il mondo arabo in un libro
Seyed Farian Sabahi

La casa editrice Oxford University Press ha pubblicato due volumi divulgativi per fare conoscere il mondo musulmano. La prima opera da segnalare è un utilissimo dizionario dell'Islam di facile consultazione. Oltre duemila voci, in ordine alfabetico, permettono al lettore di conoscere eventi, personaggi, correnti religiose e politiche degli ultimi due secoli. Rispetto agli altri dizionari disponibili nelle biblioteche e nelle librerie, nell'Oxford Dictionary of Islam si possono leggere anche le biografie di personaggi recentemente apparsi sulla scena politica internazionale. Dal presidente iraniano Muhammad Khatami al saudita Osama Bin Laden. Un volume di consultazione che può servire anche alle case editrici italiane, sempre più spesso alle prese con la pubblicazione di volumi - di cui alcuni tradotti dal francese e dall'inglese - in cui i termini arabi, persiani e turchi sono traslitterati nei modi più fantasiosi. Il secondo volume - anch'esso divulgativo - dato alle stampe dalla Oxford University Press è What Everyone Needs to Know about Islam. In questo libro John Esposito, professore di religione e affari internazionali alla Georgetown University, risponde a una serie di domande sulla fede, sulle pratiche religiose, sui rapporti con le altre religioni, sulla cultura e sulle tradizioni. Senza tralasciare argomenti come la violenza e il terrorismo, il controllo delle nascite, il sistema bancario islamico e i rapporti con l'Occidente.

«The Oxford Dictionary of Islam», a cura di John L. Esposito, Oxford University Press, New York, 2003, pagg. 360, £ 30,00;
John L. Esposito, «What Everyone Needs to Know about Islam», Oxford University Press, New York, 2003, pagg. 204, £ 11.99.
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una sentenza della Consulta, e le opinioni di Cancrini e Corleone

(segnalato da Lia Pallone)
L'Unità, 19 luglio 2003
Innovativa sentenza della Corte Costituzionale: fino a ieri chi veniva prosciolto per infermità aveva davanti a sé solo l'ospedale psichiatrico. Cancrini: sentenza rilevante, così è possibile il recupero
"Non solo il carcere per i malati di mente che commettono reati"
di Marco Montrone

ROMA. Qual è il destino di chi commette un reato ma viene "prosciolto per vizio totale di mente"? Fino ad ieri se era socialmente pericoloso gli era concessa solo una via: l'ospedale psichiatrico giudiziario. Da oggi, ha un'alternativa: il giudice potrà adottare misure di sicurezza meno segreganti, come la libertà vigilata. A patto che si riesca a curare e tutelare la persona interessata, controllando contemporaneamente la sua pericolosità sociale.
E' quanto ha deciso la Consulta, che con la sentenza n. 253 ha dichiarato incostituzionale l'art. 222 del codice penale nella parte in cui imponeva al giudice sempre e solo la decisione del ricovero in un ospedale psichiatrico.
"E' una sentenza rilevante - dichiara con soddisfazione lo psichiatra e psicoterapeutica Luigi Cancrini - E' giusto che il giudice, consigliato da consulenti capaci, possa ragionare in direzione del recupero della persona malata, dando importanza più al disturbo che al reato.
Certo, alcune volte l'internamento può essere utile e questo avviene quando la persona ha un bisogno di contenimento, di riorganizzazione dall'esterno dei suoi comportamenti, ma in altre situazioni l'ospedale è inutile e addirittura controproducente".
A rivolgersi alla Consulta era stato il Gup del Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato di violenza sessuale aggravata e lesione personale, ritenuto, in sede di perizia, totalmente incapace di intendere e di volere per infermità psichica. Il giudice aveva fatto osservare che la rigidità dell'art. 222 impediva l'adozione di misure idonee a difendere la collettività e insieme a curare adeguatamente un soggetto pericoloso ma penalmente irresponsabile.
La Corte Costituzionale gli ha dato ragione, fissando i seguenti paletti:
1) "la situazione dell'infermo di mente che abbia compiuto atti costituenti oggettivamente reato, ma non sia responsabile penalmente in forza della sua infermità, è per molti versi assimilabile a quella di una persona bisognosa di specifica protezione come il minore";
2) "per l'infermo di mente l'automatismo di una misura segregante e totale come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute".
Gli infermi di mente, hanno sostenuto i giudici, "non solo penalmente responsabili e dunque non possono essere destinatari di misure aventi un contenuto anche solo parzialmente punitivo". Per loro c'è bisogno di "misure a contenuto terapeutico", in grado di "contenere la pericolosità e tutelare la collettività da ulteriori possibili manifestazioni". Tanto più, ha osservato la Consulta, che "le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente". Ciò sarebbe "non ammissibile".
Nell'occasione i giudici hanno "bacchettato" il legislatore, colpevole di essere rimasto inerte "in un campo caratterizzato da scelte risalenti nel tempo e mai riviste alla luce dei principi costituzionali e delle acquisizioni scientifiche", invitandolo a intraprendere "la strada di un ripensamento del sistema delle misure di sicurezza, con particolare riguardo a quelle previste per gli infermi di mente autori di fatto di reato, e ancor più di una riorganizzazione delle strutture e di un potenziamento delle risorse".
Un avvertimento, quello della Corte Costituzionale, che trova pienamente d'accordo Franco Corleone dei Verdi, che nel 1996 aveva presentato una proposta di legge che prevedeva l'abolizione dell'art. 222 e una radicale riforma del concetto di imputabilità. Non aveva senso evitare all'infermo il carcere, per poi "punirlo con la restrizione ed il trattamento di un contesto psichiatrico".
"Spero - ha dichiarato Corleone - che questo sia il primo passo per riformare interamente il sistema psichiatrico giudiziario".