il manifesto 5.3.04
Religiosamente corretto? Basta
Crollano in Francia le pratiche religiose islamica e cristiana. E come fa il papa a vantare le radici cristiane della nostra civiltà e reclamarne la menzione nella Costituzione d'Europa. La nostra civiltà laica appare con il Rinascimento, quando il cristianesimo, scosso dalla Riforma, perde il controllo sociale. Separazione dei poteri, suffragio universale, libertà di coscienza, eguaglianza dell'uomo e della donna, decolonizzazione non derivano dal cattolicesimo, che li ha a lungo combattuti
MICHEL-ANTOINE BURNIER *
Arriva un momento in cui noi, i non credenti, maggioritari in questo paese, ci sentiamo veramente virtuosi per aver sopportato le recenti mascherate sul velo, la barba, le croci, le stelle, le richieste cattoliche di introdurre dio nella Costituzione europea, i giorni festivi, i sabati con o senza scuola e i tabù alimentari nelle mense. Ecco che, dopo cinque anni o cinque mesi di dibattiti e una legge per proibire il foulard in una scuola che, cinquant'anni fa, aveva proscritto la più piccole medaglia di battesimo, la Francia ritrova i problemi che aveva creduto risolvere un secolo fa: cos'è una religione, quali sono i suoi diritti, fino a che punto puo' ficcare il naso nel dominio pubblico - cosa che è la sua tendenza naturale - cosa puo' imporre ai suoi fedeli, cosa non puo' imporre loro? Vogliamo secolarizzare l'islam? Permettiamogli di costruire le moschee come le altre credenze hanno le loro chiese, i loro templi, le loro sinagoghe. Non è corretto che la maggioranza dei musulmani preghi nelle cantine o in strada. L'islam, finché rispetta le leggi della Repubblica e non è strumentalizzato dall'esterno - come è successo in altri tempi per il cattolicesimo romano - ha diritto a un'eguaglianza di trattamento. Si tratta della seconda religione di Francia.
Il valore della non credenza
Ma, giustamente, non si tratta che di questo: una religione. Poiché la principale convinzione dei francesi si chiama, bisogna ripeterlo, la non credenza: le osservanze, di qualsiasi culto, vengono solo dopo. E' vero per il cristianesimo: la pratica religiosa del nostro paese è calata dal 40% degli anni `50 all'8% oggi. Questo comincia ad essere vero per l'islam: sui 3,7 milioni di persone «possibilmente musulmane», il 79% non frequenta la moschea o ciò che ne fa le veci, anche se sono altrettanto numerosi a definirsi credenti (inchiesta Ifop-Le Monde, settembre 2001). Nelle giovani generazioni, un terzo dei ragazzi e delle ragazze di famiglia immigrata algerina si dice senza religione (Ined, 1999).
La Repubblica garantisce la libertà religiosa per il fatto che garantisce più ampiamente la libertà di coscienza e quindi, sullo stesso piano, la libertà di non credere. Ma questa libertà, di cui molti tra noi fanno uso con indifferenza, è stata il frutto di una lunga, coraggiosa e sanguinosa conquista. Da poco la storia delle religioni viene insegnata nelle scuole. Perfetto. Ma dove viene insegnata la storia delle loro vittime, come il rovescio delle sante epopee, quella delle idee preseguitate, dell'ateismo e, in Francia, della lotta per spezzare il soffocante settarismo della religione unica?
Che cosa si impara in classe, d'altronde? Qualche rudimento di dogma e la saga falsificata delle grandi credenze e dei grandi miti. Si livella per non choccare: del religiosamente corretto.
In Europa, la chiesa cattolica ha avuto il monopolio della mente durante più di mille anni. In Francia, fino al XVIII secolo e oltre, ha perseguitato ogni idea deviante. Contro di essa, appoggiandosi sui testi greci e latini, si è forgiata una lunga ribellione a volte aperta, a volte discreta, che alla fine ha trionfato.
Non ci sono professori per insegnare la vita e le idee di Etienne Dolet, impiccato e bruciato a Parigi nel 1546 perché aveva tradotto Platone e dubitato dell'immortalità dell'anima? Quella di Giordano Bruno, bruciato vivo a Roma nel 1600 per eresia e panteismo? Quelle di Cyrano de Bergerac che, a metà del XVII secolo, non ha osato far pubblicare i suoi trattati sul Sole e sulla Luna per paura di essere perguitato come irreligioso? Quando, nel 1633, l'Inquisizione costringe Galileo a negare la rotazione della terra, Cartesio stesso rinuncia, per prudenza, a pubblicare il Trattato del mondo. Tutta l'opera di Molière si erge, e a che rischio, contro l'ipocrisia della morale e l'avanzata dei devoti.
La vera storia è l'irreligione
Lo sviluppo dell'irreligione nel XVIII secolo, inseparabile dalla corruzione ecclesiatica, merita propria una lezione. Non soltanto Voltaire e Diderot in letteratura, ma anche Marmontel, il tollerante, e per questo condannato dalla facoltà di teologia, l'uomo che aveva scritto: «Non si rischiarano le menti alla fiamma dei roghi». E poi i grandi atei dell'Illuminismo, Helvetius, di cui vengono bruciate le opere su mandato dell'arcivescovo di Parigi, e il barone d'Holbach che, per aggirare la censura, ha pubblicato i suoi libri sotto il nome di un accademico cristiano morto dieci anni prima. Tutti costoro valgono bene i santi del Paradiso, soprattutto se aggiungiamo il Voltaire dell caso Calas e il cavaliere de La Barre, lo sfortuinato giovane torturato e decapitato nel 1776 con l'accusa di aver profanato un crocifisso. Quest'ultimo orrore ha avuto luogo un primo luglio, ed è per questo che i lettori di Le Monde hanno di recente suggerito di dedicare l'anniversario di quel giorno alla celebrazione delle vittime dell'intolleranza.
Quando si ascolta il papa vantare le radici cristiane della nostra civiltà e reclamare che la menzione vi figuri nella futura Costituzione dell'Europa, siamo imbarazzati.
La nostra civiltà urbana, laica, moderna appare con il Rinascimento, cioè in un momento in cui il cristianesimo, scosso dalla Riforma, comincia a perdere il controllo sull'organizzazione sociale. A questo titolo, l'Europa del commercio e della democrazia deve di più ai greci e ai romani che ai padri della chiesa. La Repubblica, la separazione dei poteri, il suffragio universale, la laicità, la libertà di coscienza, la decolonizzazione, l'eguaglianza dell'uomo e della donna non derivano dal cattolicesimo, che li ha a lungo combattuti, e del resto le chiese, in diciotto secoli, non hanno avuto l'idea di abolire la schiavitù, cosa che fecero la I e la II Repubblica francese nel 1794 e nel 1848.
Il cattolicesimo, per arrivare alla moderazione contemporanea, ha dovuto fare una lunga deviazione. E' stato necessario costringerlo: questo è stato, alla fine, l'immenso beneficio della legge del 1905 sulla separazione delle chiese dallo stato, di cui celebreremo tra breve il centenario. Sarebbe opportuno ricordare in questa occasione come una chiesa antisemita, ultrareazionaria e ancora segnata dalla nostalgia del regno abbia resistito con accanimento per conservare le proprie posizioni a scuola, i propri beni e le sue cariche sociali. Non dimentichiamo che nel 1903 e nel 1904 la Francia ha finito per proibire di insegnare agli ordini religiosi e ha chiuso i loro istituti. I gendarmi hanno espulso le congregazioni: migliaia di monaci e suore hanno dovuto abbandonare i loro sai e i loro veli o andare in esilio - misura molto più energica della recente legge sul foulard.
Nel 1905, la legge di separazione, ben accolta dai protestanti e dagli ebrei, ha dato luogo a centinaia di scontri con la folla cattolica che rifiutava che venisse fatto l'inventario delle chiese, proprietà dello stato. C'è stata una sorta di fermento di guerra civile ed è stata necessaria tutta l'abilità e l'intelligenza di Aristide Briand, ex socialista e relatore della legge, per portare a termine questo compito intrapreso fin dal Rinascimento e proseguito dall'Illuminismo. Sottolineiamo che oggi la chiesa di Francia ha un solo timore: che ci sia una modifica di questa legge di separazione che aveva tanto maledetto e che in fondo l'avvantaggia ancora.
La libertà oltre il blasfemo
I cittadini vi hanno guadagnato una libertà che va fino al blasfemo: la chiesa ha ucciso troppi uomini e donne sotto questo pretesto, per una parola, un libro o un'accusa. E' cosi' che è stato inquietante vedere le religioni cattolica, protestante ed ebrea accordarsi, per fortuna a diverso titolo, per condannare le affermazioni di Salman Rushdie e dei suoi Versetti satanici, come se i dogmi avessero il diritto di sfuggire all'immaginazione letteraria, all'humour o alla refutazione. Ci sono licei e scuole medie intitolate a Georges Brassens o a Jacques Prévert. Bisogna però sapere che il primo si definiva miscredente e lo cantava con forza e che il secondo aveva scritto il celebre poema che inizia con «padre nostro che sei nei cieli/ restaci». La religione musulmana non sfuggirà a critiche simili e, per quanto scandalizzati siano alcuni suoi fedeli, dovrà sopportarlo. In contropartita dei mezzi per praticare il culto, che dovremmo assicurargli nell'equità e con maggiore generosità, subirà, come gli altri, degli attacchi alla sua ideologia e ai suoi costumi. I tribunali non avranno nulla da obiettare.
Non molto tempo fa, quando i parroci erano ancora in sottana e le suore con la cornetta, c'erano sovente dei ragazzini - o anche degli adulti - che si mettevano a seguirli e a gridare loro dietro «croa croa», mentre i passanti ridevano. Una donna velata ha rivelato qualche giorno fa il proprio malessere in strada: la guardano, sente una disapprovazione negli sguardi. Normale.
Perché le credenze dovrebbero ancora imporsi come se fossero la norma? E' irritante, in questo senso, che l'insegnamento scolastico si fermi allo studio delle grandi religioni. Delle lezioni sull'agnosticismo e sull'ateismo? Sì. Diranno che è impossibile, troppo choccante e che il cristianesimo e l'islam non lo accetteranno mai. Ma la Gran Brtetagna, paese comunitarista dove il capo dello stato è capo della chiesa, ha appena inscritto - abbiamo difficoltà a crederlo - lo studio delle «convinzioni non religiose», tra cui l'ateismo, nei suoi programmi scolastici.
* Scrittore, giornalista (il suo ultimo libro pubblicato: La Voix des spectres, chroniques de "Libération", Juillard, 2003).Copyright Libération/il manifesto
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 5 marzo 2004
Marco Müller designato direttore
della Mostra del cinema di Venezia
invitò "Il cielo della luna" a Locarno
un articolo ricevuto da Peppe Cancellieri
Giornale del Popolo, Quotidiano della Svizzera Italiana 5.3.04
Successione De Hadeln
Dopo i leopardi Marco Müller affronterà i leoni
Il consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia ha designato Marco Müller come direttore della Mostra del cinema per quattro anni, ma con verifica dopo il primo anno. La decisione, a quanto si apprende, è stata sofferta ed è arrivata dopo una lunga discussione. Sul nome di Müller, è stato spiegato, non c'è stata una vera votazione perché era chiaro, dopo il dibattito, che non ci sarebbe stata l'unanimità voluta da alcuni consiglieri. Il consiglio ha così deciso di accogliere la proposta del presidente Croff pur con la clausola della verifica allo scadere del primo anno. Sinologo, esperto di cinamatografie orientali, Marco Müller è stato per nove anni direttore del festival di Locarno, incarico che ha lasciato nel 2000. Negli ultimi anni si è dedicato alla produzione, anche come produttore esecutivo, realizzando per Fabrica Cinema (società Benetton) film di successo come «No man's Land» del bosniaco Danis Tanocich (Oscar due anni fa, per il miglior film straniero), «Il voto è segreto» dell'iraniano Babek Pajami, «Diciassette anni» del cinese Zhang Yuan. Già nel 2002 Müller, fortemente sostenuto da Vittorio Sgarbi, era stato contattato per la direzione della Mostra di Venezia prima che l'incarico venisse offerto a Moritz De Hadeln. In quell'occasione dette la sua disponibilità, a condizione che il contesto fosse «favorevole al cinema indipendenteche ho sempre promosso e che produco».
Giornale del Popolo, Quotidiano della Svizzera Italiana 5.3.04
Successione De Hadeln
Dopo i leopardi Marco Müller affronterà i leoni
Il consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia ha designato Marco Müller come direttore della Mostra del cinema per quattro anni, ma con verifica dopo il primo anno. La decisione, a quanto si apprende, è stata sofferta ed è arrivata dopo una lunga discussione. Sul nome di Müller, è stato spiegato, non c'è stata una vera votazione perché era chiaro, dopo il dibattito, che non ci sarebbe stata l'unanimità voluta da alcuni consiglieri. Il consiglio ha così deciso di accogliere la proposta del presidente Croff pur con la clausola della verifica allo scadere del primo anno. Sinologo, esperto di cinamatografie orientali, Marco Müller è stato per nove anni direttore del festival di Locarno, incarico che ha lasciato nel 2000. Negli ultimi anni si è dedicato alla produzione, anche come produttore esecutivo, realizzando per Fabrica Cinema (società Benetton) film di successo come «No man's Land» del bosniaco Danis Tanocich (Oscar due anni fa, per il miglior film straniero), «Il voto è segreto» dell'iraniano Babek Pajami, «Diciassette anni» del cinese Zhang Yuan. Già nel 2002 Müller, fortemente sostenuto da Vittorio Sgarbi, era stato contattato per la direzione della Mostra di Venezia prima che l'incarico venisse offerto a Moritz De Hadeln. In quell'occasione dette la sua disponibilità, a condizione che il contesto fosse «favorevole al cinema indipendenteche ho sempre promosso e che produco».
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