Il Messaggero Mercoledì 4 Maggio 2005
Soldati stressati, Rumsfeld invia psicologi
NEW YORK - Stress e inesperienza ai posti di blocco: l'America formalmente non condivide l'accusa italiana, formulata nel rapporto sulla morte di Nicola Calipari, ma il Pentagono ha cominciato a lavorare di recente su entrambi i problemi. In Iraq sono state inviate squadre speciali di psicologi chiamate “Combat stress team” e nelle basi in Texas e California dove si erano preparati i militari del checkpoint fatale, è iniziata un'accurata revisione dell'addestramento. Psichiatri e terapisti militari hanno il compito di tener d'occhio i nervi soprattutto dei soldati ai posti di blocco, quelli più esposti ai pericoli. I membri della Guardia Nazionale, come quelli che hanno aperto il fuoco sull'auto degli italiani il 4 marzo, sono ritenuti i più a rischio. «A questi soldati - ha detto il sergente Thomas Hicks, un esperto di stress, alla rivista militare “Stars and Stripes”' - chiediamo di solito di riconoscere il livello di stress a cui sono sottoposti: hai lasciato la tua vita normale per essere qui, diciamo loro, sei nella Guardia Nazionale e quello che fai è duro, perché sei in zona di combattimento dove c'è chi ti vuole morto, devi fare i conti con la realtà». Riconoscere la condizione di stress, secondo gli psichiatri militari, è il primo passo necessario. Gli esperti in divisa raccontano di scontrarsi spesso con le diffidenze dei comandanti. Ma negli ultimi mesi il Pentagono ha accelerato il loro programma di consulenza e ha assegnato un numero sempre maggiore di psichiatri alle zone di battaglia, per far fronte a segnali preoccupanti: soldati con crisi di nervi, suicidi, comportamenti a rischio.
Il Tempo 4.5.05
Ora gli Usa arruolano gli psichiatri
Il Pentagono invia in Iraq specialisti anti-stress per i militari dei chek point, più esposti ai pericoli
di MARCO BARDAZZI
NEW YORK. Stress e inesperienza ai posti di blocco: l'America formalmente non condivide l'accusa italiana, formulata nel rapporto sulla morte di Nicola Calipari, ma il Pentagono ha cominciato a lavorare di recente su entrambi i problemi. In Iraq sono state inviate squadre speciali di psicologi chiamate «Combat stress team» e nelle basi in Texas e California dove si erano preparati i militari del checkpoint fatale, è iniziata un'accurata revisione dell'addestramento. L'eco negli ambienti militari del doppio epilogo dell'inchiesta sulla morte del funzionario del Sismi, va ad aggiungersi negli Usa alle reazioni politiche. Il Dipartimento di Stato sta ancora studiando il rapporto italiano. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Richard Boucher, nel riconoscere l'esistenza di «differenze» tra le due versioni, ha sottolineato che ad avviso di Washington «non sono diametralmente opposte». Le due parti, ha spiegato, sono d'accordo che il tragico incidente «non è stato intenzionale» e che non c'era la volontà di nuocere a Calipari o all'altro funzionario del Sismi o alla giornalista Giuliana Sgrena, rimasta ferita nell'episodio. Boucher ha aggiunto un'altra sottolineatura: Usa e Italia, ha detto, riconoscono che «non ci sono le basi per attribuire responsabilità individuali particolari ai soldati americani». Un'annotazione che sembra prefigurare quella che sarà la prevedibile reazione americana, se la magistratura italiana ipotizzasse incriminazioni per i soldati del posto di blocco. Il Pentagono sta inviando in Iraq un numero crescente di psichiatri e terapisti militari che hanno il compito di tener d'occhio i nervi soprattutto dei soldati ai posti di blocco, quelli più esposti ai pericoli. I membri della Guardia Nazionale, come quelli che hanno aperto il fuoco sull'auto degli italiani il 4 marzo, sono ritenuti i più a rischio. «A questi soldati - ha detto il sergente Thomas Hicks, un esperto di stress, alla rivista militare Stars and Stripes - chiediamo di solito di riconoscere il livello di stress a cui sono sottoposti: hai lasciato la tua vita normale per essere qui, diciamo loro, sei nella Guardia Nazionale e quello che fai è duro, perchè sei in zona di combattimento dove c'è chi ti vuole morto, devi fare i conti con la realtà». Riconoscere la condizione di stress, secondo gli psichiatri militari, è il primo passo necessario. Gli esperti in divisa raccontano di scontrarsi spesso con le diffidenze dei comandanti. Ma negli ultimi mesi il Pentagono ha accelerato il loro programma di consulenza - racconta Stars and Stripes - e ha assegnato un numero sempre maggiore di psichiatri alle zone di battaglia, per far fronte a segnali preoccupanti: soldati con crisi di nervi, suicidi, comportamenti a rischio. Quando la prevenzione non basta, sono state allestite a Baghdad delle «restoration units» dove i soldati sotto stress ricevono un trattamento di 72 ore. Per i casi gravi, è previsto il trasferimento al centro medico Landstuhl dell'Esercito americano, in una base in Germania. Il colonnello Donald Alston, portavoce del comando della Forza multinazionale a Baghdad, ha ribadito che i soldati al checkpoint erano «ben disciplinati, addestrati e preparati professionalmente». Ma fonti del Pentagono hanno riconosciuto in questi giorni che l'episodio italiano potrebbe servire da spunto per rivedere sia le modalità di addestramento dei soldati, sia le regole d'ingaggio ai posti di blocco. I rapporti investigativi italiano e americano vengono ora studiati non solo al Pentagono, ma anche nelle due basi dove erano stati addestrati i soldati della pattuglia della sparatoria: Fort Hood in Texas, una delle più grandi installazioni militari d'America e Fort Irwin in California, una base vicina al deserto del Mojave dove si trova il National Training Center dell'U.S.Army.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
mercoledì 4 maggio 2005
Bertinotti sulla sentenza su Piazza Fontana
Liberazione 4.5.05
Fausto Bertinotti: «Cancellata la storia di questo paese»
Per Fausto Bertinotti la sentenza assolutoria della Cassazione è «un fatto così clamoroso che le ordinarie misure di valutazione di una sentenza, in cui va tenuto conto del rispetto per la magistratura, vanno sospese». «Siamo di fronte a un elemento - spiega il segretario del Prc - che parla, e la cancella, della storia di questo paese, determinando una conclusione definitiva in sede giudiziaria riguardo a un fatto che non costituisce uno dei tanti episodi ma un punto cruciale della strategia della tensione e delle stragi di Stato. Dopo 36 anni la parola fine pronunciata ieri, sancendo il fallimento dell'ipotesi di fare luce sulla verità, da un lato ci sconvolge e dall'altro ripropone per ieri, oggi e domani una questione cruciale: la natura dello Stato e dei suoi apparati». «Suona infine come un sigillo beffardo - conclude Bertinotti - che la parola conclusiva non solo neghi alle vittime la verità ma ne trasforma in colpa, con il pagamento delle spese processuali, per quanto tecnicamente usuale, il ricorso a un'estrema domanda di giustizia». «Una ferita che rimane aperta e che continua a causare sofferenza», è stato il commento di Piero Fassino, mentre Pecoraro Scanio ha parlato di «una sconfitta di tutte le istituzioni e della verità, oltre che una beffa per i familiari delle vittime». Unanimi i difensori delle famiglie delle vittime: «Ora non c'è più niente da fare: il discorso su piazza Fontana è definitivamente chiuso. Rimane l'amarezza per una strage, ufficialmente, senza colpevoli» ha detto l'avvocato Coppi. «I familiari sono nauseati», gli ha fatto eco l'avvocato Sinicato, «avevamo presentato altri riascontri e altri documenti: la Cassazione non li ha voluti leggere». «Potremmo chiamarla cronaca di una ingiustizia annunciata: la decisione su piazza Fontana è il rovesciamento tra vittime e carnefici, i carnefici assolti e le vittime che restano vittime senza il riconoscimento dell'ingiustizia subita»: questo il commento di Mauro Decortes, portavoce del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa Milano.
Fausto Bertinotti: «Cancellata la storia di questo paese»
Per Fausto Bertinotti la sentenza assolutoria della Cassazione è «un fatto così clamoroso che le ordinarie misure di valutazione di una sentenza, in cui va tenuto conto del rispetto per la magistratura, vanno sospese». «Siamo di fronte a un elemento - spiega il segretario del Prc - che parla, e la cancella, della storia di questo paese, determinando una conclusione definitiva in sede giudiziaria riguardo a un fatto che non costituisce uno dei tanti episodi ma un punto cruciale della strategia della tensione e delle stragi di Stato. Dopo 36 anni la parola fine pronunciata ieri, sancendo il fallimento dell'ipotesi di fare luce sulla verità, da un lato ci sconvolge e dall'altro ripropone per ieri, oggi e domani una questione cruciale: la natura dello Stato e dei suoi apparati». «Suona infine come un sigillo beffardo - conclude Bertinotti - che la parola conclusiva non solo neghi alle vittime la verità ma ne trasforma in colpa, con il pagamento delle spese processuali, per quanto tecnicamente usuale, il ricorso a un'estrema domanda di giustizia». «Una ferita che rimane aperta e che continua a causare sofferenza», è stato il commento di Piero Fassino, mentre Pecoraro Scanio ha parlato di «una sconfitta di tutte le istituzioni e della verità, oltre che una beffa per i familiari delle vittime». Unanimi i difensori delle famiglie delle vittime: «Ora non c'è più niente da fare: il discorso su piazza Fontana è definitivamente chiuso. Rimane l'amarezza per una strage, ufficialmente, senza colpevoli» ha detto l'avvocato Coppi. «I familiari sono nauseati», gli ha fatto eco l'avvocato Sinicato, «avevamo presentato altri riascontri e altri documenti: la Cassazione non li ha voluti leggere». «Potremmo chiamarla cronaca di una ingiustizia annunciata: la decisione su piazza Fontana è il rovesciamento tra vittime e carnefici, i carnefici assolti e le vittime che restano vittime senza il riconoscimento dell'ingiustizia subita»: questo il commento di Mauro Decortes, portavoce del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa Milano.
donne e uomini
La Stampa TuttoScienze 4.5.05
LE DIFFERENZE TRA IL CERVELLO MASCHILE E QUELLO FEMMINILE
Lui ha più neuroni ma lei li ha più connessi
Ezio Giacobini
ECCO la frase che ha dato fuoco alle polveri. E’ di Lawrence Summers, il rettore di Harvard, l'Università più prestigiosa degli Stati Uniti; l'ha proununciata il 14 gennaio durante una conferenza sul tema "La posizione delle donne e delle minoranze nelle scienze": «Devo constatatare che di regola gli uomini ottengono risultati migliori agli esami; nessuno sa perché ma il motivo principale potrebbe essere di natura biologica». Scandalo immediato in un campus dove il Presidente era già stato accusato di non voler applicare la legge sulla "pari opportunità" che favorisce le minoranze, e dove il numero di nuovi professori è arrivato progressivamente nel 2004 a quota 4 per le femmine e 32 per i maschi. A sua difesa e rincarando la dose Summers ha suggerito che in Usa «i cattolici sono sostanzialmente sottorappresentati tra i dirigenti bancari, i bianchi nella Associazione Nazionale del Basketball, gli ebrei tra i contadini ed i proprietari di terreni e le donne tra i professori universitari». Secondo Summers «le giovani donne già intorno ai vent’anni deciderebbero di non intrapprendere una professione che credono richieda una attività lavorativa di 80 ore la settimana». Altre cause sarebbero una differenza attitudinale, che porterebbe a una differente abilità scientifica in genere e in quella matematica in particolare. Queste differenze «non avrebbero un'origine culturale in quanto grosso modo a 5 geni matematici e a 5 Nobel maschili corrisponde una sola donna». Il problema non sarebbe neppure la discriminazione ma il fatto che una differente abilità renderebbe le femmine meno adatte a quello che gli americani definiscono un "high-powered job" (cioè un lavoro ad alta pressione) come la attività scientifica. E' curioso che tale dichiarazione sia coincisa proprio con la nomina di una donna a nuovo presidente del MIT (Massachussetts Institute of Technology), uno dei maggiori centri di ricerca mondiale. Le differenze tra cervello maschile e cervello femminile sono ben documentate. Basta che il lettore vada su Internet e interroghi un motore di ricerca sul tema "cervello/differenze di sesso" e troverà quasi un centinaio di lavori scientifici solo negli ultimi due anni. Quali sono queste differenze? Anzitutto minore peso e volume nelle femmine, come rilevò già uno dei padri della neurologia moderna, il francese Paul Broca. Ma uno degli errori di Broca fu quello di credere che il volume del cervello di un individuo fosse direttamente proporzionale al suo livello intellettuale. Esistono invece differenze di struttura e funzione che sono state messe in evidenza utilizzando non solo dati anatomici post-mortem ma anche dati funzionali in vivo mediante la risonanza magnetica funzionale. Le diversità consistono nel numero e nella densità delle cellule nervose (neuroni) in certe regioni della corteccia cerebrale, con un 10% in più nei maschi, a parità di spessore. Ciò si traduce in un aumento numerico di neuroni nei maschi ma anche in un aumento di connessioni nelle femmine. Cosa è più importante? Il numero delle cellule o la quantità dei contatti tra queste? D'altra parte il cervello femminile possiede invece una più alta densità neuronale nella corteccia del lobo temporale posteriore, che è una zona importante per le associazioni uditive legate alla funzione del linguaggio. Queste differenze strutturali si possono tradurre in differenze funzionali. Un esempio può essere l'abilità di identificare oggetti nello spazio, differenti strategie nell'accedere a memorie autobiografiche e nel prendere decisioni che destino emozioni spiacevoli. Esistono perfino risposte diverse all'effetto della nicotina che spiegherebbero come uomini e donne fumino in un modo diverso e abbiano motivazioni diverse verso il fumo. Quando entriamo nel campo cognitivo e dell'intelligenza si affacciano diverse ipotesi la cui interpretazione può avere serie ripercussioni di ordine sociale e perfino economico. Secondo alcuni dati il numero di uomini che raggiunge i livelli più alti nei test cognitivi sarebbe maggiore di quello delle donne, con eccezioni nel campo della memoria associativa. Altri studi mettono in evidenza come le femmine dimostrino superiorità in certi tipi di memoria a lungo termine, abilità manuali più fini e velocità maggiore in alcune percezioni. I maschi sarebbero più abili invece in test che richiedono la trasformazione in memorie visuospaziali, nel ragionamento cosiddetto fluido e nella matematica pura (vedi l’affermazione di Summers). D'altro canto, disturbi cognitivi gravi come il ritardo mentale, disturbi dell'attenzione, dislessia, balbuzie e ritardo della parola sono più comuni nei maschi che nelle femmine. Questi dati comportano implicazioni anche pratiche per quanto riguarda applicazioni nel campo dell'appredimento e dell'insegnamento. Non ci sarebbe invece alcuna differenza legata al sesso nel declino delle funzioni cognitive associate all'età mentre la questione della maggiore incidenza della Malattia di Alzheimer nelle donne è ancora controversa. Tutto sommato, gli studi più recenti stanno producendo un profilo neuropsicolopgico diverso sempre più netto tra uomini donne. Ma poiché di fatto non siamo ancora giunti a una vera "pari opportunità” nella carriera scientifica, è difficile valutare come tali differenze possano interferire e incidere sulla produzione e sul successo della carriera scientifica. Forse si potrebbe parafrasare per la ricerca quanto si è detto per la politica nei paesi scandinavi circa l'ingresso delle donne (oltre metà dei parlamentari svedesi): "i due fattori più importanti che hanno dterminato l'affermarsi del ruolo della donna nella democrazia scandinava sono stati da una parte l'aumento notevole del numero degli asili nido e dall'altra l'aumento del numero di uomini che lavano i piatti e che cambiano i pannolini". Forse un giorno vedremo se ciò è vero anche per la ricerca scientifica.
LE DIFFERENZE TRA IL CERVELLO MASCHILE E QUELLO FEMMINILE
Lui ha più neuroni ma lei li ha più connessi
Ezio Giacobini
ECCO la frase che ha dato fuoco alle polveri. E’ di Lawrence Summers, il rettore di Harvard, l'Università più prestigiosa degli Stati Uniti; l'ha proununciata il 14 gennaio durante una conferenza sul tema "La posizione delle donne e delle minoranze nelle scienze": «Devo constatatare che di regola gli uomini ottengono risultati migliori agli esami; nessuno sa perché ma il motivo principale potrebbe essere di natura biologica». Scandalo immediato in un campus dove il Presidente era già stato accusato di non voler applicare la legge sulla "pari opportunità" che favorisce le minoranze, e dove il numero di nuovi professori è arrivato progressivamente nel 2004 a quota 4 per le femmine e 32 per i maschi. A sua difesa e rincarando la dose Summers ha suggerito che in Usa «i cattolici sono sostanzialmente sottorappresentati tra i dirigenti bancari, i bianchi nella Associazione Nazionale del Basketball, gli ebrei tra i contadini ed i proprietari di terreni e le donne tra i professori universitari». Secondo Summers «le giovani donne già intorno ai vent’anni deciderebbero di non intrapprendere una professione che credono richieda una attività lavorativa di 80 ore la settimana». Altre cause sarebbero una differenza attitudinale, che porterebbe a una differente abilità scientifica in genere e in quella matematica in particolare. Queste differenze «non avrebbero un'origine culturale in quanto grosso modo a 5 geni matematici e a 5 Nobel maschili corrisponde una sola donna». Il problema non sarebbe neppure la discriminazione ma il fatto che una differente abilità renderebbe le femmine meno adatte a quello che gli americani definiscono un "high-powered job" (cioè un lavoro ad alta pressione) come la attività scientifica. E' curioso che tale dichiarazione sia coincisa proprio con la nomina di una donna a nuovo presidente del MIT (Massachussetts Institute of Technology), uno dei maggiori centri di ricerca mondiale. Le differenze tra cervello maschile e cervello femminile sono ben documentate. Basta che il lettore vada su Internet e interroghi un motore di ricerca sul tema "cervello/differenze di sesso" e troverà quasi un centinaio di lavori scientifici solo negli ultimi due anni. Quali sono queste differenze? Anzitutto minore peso e volume nelle femmine, come rilevò già uno dei padri della neurologia moderna, il francese Paul Broca. Ma uno degli errori di Broca fu quello di credere che il volume del cervello di un individuo fosse direttamente proporzionale al suo livello intellettuale. Esistono invece differenze di struttura e funzione che sono state messe in evidenza utilizzando non solo dati anatomici post-mortem ma anche dati funzionali in vivo mediante la risonanza magnetica funzionale. Le diversità consistono nel numero e nella densità delle cellule nervose (neuroni) in certe regioni della corteccia cerebrale, con un 10% in più nei maschi, a parità di spessore. Ciò si traduce in un aumento numerico di neuroni nei maschi ma anche in un aumento di connessioni nelle femmine. Cosa è più importante? Il numero delle cellule o la quantità dei contatti tra queste? D'altra parte il cervello femminile possiede invece una più alta densità neuronale nella corteccia del lobo temporale posteriore, che è una zona importante per le associazioni uditive legate alla funzione del linguaggio. Queste differenze strutturali si possono tradurre in differenze funzionali. Un esempio può essere l'abilità di identificare oggetti nello spazio, differenti strategie nell'accedere a memorie autobiografiche e nel prendere decisioni che destino emozioni spiacevoli. Esistono perfino risposte diverse all'effetto della nicotina che spiegherebbero come uomini e donne fumino in un modo diverso e abbiano motivazioni diverse verso il fumo. Quando entriamo nel campo cognitivo e dell'intelligenza si affacciano diverse ipotesi la cui interpretazione può avere serie ripercussioni di ordine sociale e perfino economico. Secondo alcuni dati il numero di uomini che raggiunge i livelli più alti nei test cognitivi sarebbe maggiore di quello delle donne, con eccezioni nel campo della memoria associativa. Altri studi mettono in evidenza come le femmine dimostrino superiorità in certi tipi di memoria a lungo termine, abilità manuali più fini e velocità maggiore in alcune percezioni. I maschi sarebbero più abili invece in test che richiedono la trasformazione in memorie visuospaziali, nel ragionamento cosiddetto fluido e nella matematica pura (vedi l’affermazione di Summers). D'altro canto, disturbi cognitivi gravi come il ritardo mentale, disturbi dell'attenzione, dislessia, balbuzie e ritardo della parola sono più comuni nei maschi che nelle femmine. Questi dati comportano implicazioni anche pratiche per quanto riguarda applicazioni nel campo dell'appredimento e dell'insegnamento. Non ci sarebbe invece alcuna differenza legata al sesso nel declino delle funzioni cognitive associate all'età mentre la questione della maggiore incidenza della Malattia di Alzheimer nelle donne è ancora controversa. Tutto sommato, gli studi più recenti stanno producendo un profilo neuropsicolopgico diverso sempre più netto tra uomini donne. Ma poiché di fatto non siamo ancora giunti a una vera "pari opportunità” nella carriera scientifica, è difficile valutare come tali differenze possano interferire e incidere sulla produzione e sul successo della carriera scientifica. Forse si potrebbe parafrasare per la ricerca quanto si è detto per la politica nei paesi scandinavi circa l'ingresso delle donne (oltre metà dei parlamentari svedesi): "i due fattori più importanti che hanno dterminato l'affermarsi del ruolo della donna nella democrazia scandinava sono stati da una parte l'aumento notevole del numero degli asili nido e dall'altra l'aumento del numero di uomini che lavano i piatti e che cambiano i pannolini". Forse un giorno vedremo se ciò è vero anche per la ricerca scientifica.
neurologia anglosassone...
«lo stress passa da madre a figlio, dunque esso è ereditario»...
Il Mattino 4.5.05
NEUROPSICHIATRIA
Passa dalla mamma al figlio anche lo stress è ereditario
Edimburgo. Anche i disturbi da stress sono ereditari e una mamma che sia colpita da traumi in gravidanza può trasmettere gli effetti psicologici di quanto ha subito al proprio bimbo. È quanto dimostrato da ricercatori delle MountSinai School of medecine e della University of Edinburgh coinvolgendo donne che avevano sofferto di stress post-traumatico in seguito al disastro delle Torri gemelle. Misurati i livelli di cortisolo, un ormone per reagire allo stress, nella saliva di mamme e neonati, è spiegato su The journal of clinical Endocrinology & Metabolism, gli esperti hanno riscontrato una forte riduzione di quest’ormone rispetto ai livelli misurabili nella saliva di mamme e neonati del gruppo di controllo.
NEUROPSICHIATRIA
Passa dalla mamma al figlio anche lo stress è ereditario
Edimburgo. Anche i disturbi da stress sono ereditari e una mamma che sia colpita da traumi in gravidanza può trasmettere gli effetti psicologici di quanto ha subito al proprio bimbo. È quanto dimostrato da ricercatori delle MountSinai School of medecine e della University of Edinburgh coinvolgendo donne che avevano sofferto di stress post-traumatico in seguito al disastro delle Torri gemelle. Misurati i livelli di cortisolo, un ormone per reagire allo stress, nella saliva di mamme e neonati, è spiegato su The journal of clinical Endocrinology & Metabolism, gli esperti hanno riscontrato una forte riduzione di quest’ormone rispetto ai livelli misurabili nella saliva di mamme e neonati del gruppo di controllo.
Rodotà: quattro Sì al referendum
L'Unità 4.5.05
Rodotà: «Umiliano il corpo delle donne»
Il professore voterà quattro Sì: «È una legge che fa violenza agli stessi principi fondativi di un Paese civile»
Maria Zegarelli
ROMA «Una brutta legge, ideologica e carica di vizi di costituzionalità». Il professor Stefano Rodotà, membro dell’European Group On Ethics in Science and new Tecnologies non ha dubbi: «Voterò quattro sì convinti il 12 giugno, perché la legge sulla procreazione assistita è un brutto passo indietro del diritto».
Professore, stavolta tra etica e diritto sembra aver vinto la prima.
Ne sono assolutamente convinto: avevo cercato anche di segnalarlo in parlamento, quando sono stato sentito. C’era il rischio di una legislazione di tipo autoritario, che tendesse ad imporre un particolare punto di vista in una materia come questa dove le posizioni sono fortemente differenziate in ragione sia degli orientamenti culturali e religiosi, sia delle valutazioni scientifiche. Dunque, fare appello alla laicità non significava cercare di imporre un punto di vista, ma al contrario sottolineare che in materie come questa il legislatore deve tener conto dei diversi punti di vista, che sono il riflesso di convinzioni personali e sociali diffuse. In questo modo si sarebbe evitato di correre un rischio, che era evidentissimo e che poi si è realizzato: questa è una legge che nel tentativo di imporre un punto di vista, a cominciare da un’idea dell’embrione, ha finito per delegittimare se stessa e il legislatore.
Perché?
Perché è una legge che si è rivelata per molti aspetti inapplicabile, che viene aggirata dal turismo procreativo, che è già socialmente rifiutata, considerando le molte dichiarazioni di parlamentari che oggi dicono “l’abbiamo votata rendendoci conto che andava modificata”. Quindi, partendo dal fatto che il diritto non è un veicolo che può costruire valori condivisi in modo autoritativo arriviamo a una situazione in cui il diritto viene delegittimato.
Dunque, conferma: siamo di fronte all’«ingannevole potenza del diritto»?
Certo, quando il diritto pretende di imporre un comportamento alla donna, prevedendo l’obbligo di impianto contro la sua volontà degli embrioni creati, rivela da una parte la impraticabilità delle via giuridica e dall’altra che una norma di questo genere fa violenza agli stessi principi fondativi di una paese civile e democratico dove, lo dice l’articolo 32 della costituzione, nessun trattamento sanitario può essere imposto in materia di salute violando il rispetto della persona umana.
Ma fino a che punto il diritto può entrare nella sfera delle libertà di scelta degli individui?
Questo è un punto essenziale. In questi anni ci siamo resi conto del fatto che il diritto non può impadronirsi della “nuda vita”, cioè di tutta una serie di scelte che progressivamente sono state riconosciute alle persone e non possono essere sequestrate dalla regola giuridica. Come, ad esempio, il diritto di rifiutare le cure anche a costo della fine della vita. In questi casi, il diritto di fronte a situazioni esistenziali, ha fatto un passo indietro, ha riconosciuto che non si può imporre un’etica. Questo non vuol dire che non ci sia il riconoscimento di un valore. Il valore in questo caso è l’autodeterminazione di ciascuno per quanto riguarda la propria vita. Prima il “dominus” di queste situazioni era il medico che stabiliva quale dovesse essere la cura, anche senza il consenso dell’interessato, poi, da un certo momento in poi si è stabilito che tutto deve avvenire in base al consenso informato della persona, tant’è che qualcuno ha detto che è nato un nuovo soggetto morale.
E adesso un nuovo salto indietro?
La legge 40 sembra che vada esattamente nella direzione opposta: negare, per quanto riguarda le decisioni esistenziali, la libertà e la responsabilità di ciascuno. Ma c’è un secondo elemento in controtendenza: riprendere il controllo del corpo femminile, un corpo che era stato progressivamente liberato, prima dalla contraccezione, poi dalla possibilità di abortire, e infine dalle tecniche di procreazione assistita. Con questa legge si è colta l’occasione per riprenderne il controllo perché, insisto, l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni fecondati è una violenza programmata legislativamente che non precedenti nella storia. Si è arrivati alla concezione del corpo femminile come a puro contenitore.
A cui viene vietato di “ospitare” un embrione frutto della fecondazione eterologa.
Ormai siamo di fronte a una prepotente rivincita della biologia sulla biografia. Negli anni passati una delle grandi tendenze che ha retto la riforma dell’adozione e quella del diritto di famiglia, è stata quella di ritenere che la vita delle persone più che essere governata dal puro legame biologico, dalla materialità, è governata dagli affetti. Il modello di famiglia creato dalla riforma si basa sulla forza degli affetti: il peso attribuito all’adozione è stato quello appunto di ritenere più importante un legame affettivo che non la pura costruzione basata sulla biologia. E qui salta fuori un’altra contraddizione della legge 40 quando prevede che la coppia che si sottopone alla fecondazione deve essere informata sull’adozione. Il legislatore che si pone in questo modo non può poi ritenere che tutto sia riducibile al dato rappresentato dalla biologia ricondotta il più possibile alla natura. Il divieto dell’eterologa non tiene conto che la forza degli affetti può essere molto più forte del dato biologico.
Non crede che possa aver influito la Chiesa?
Ne sono assolutamente convinto. Questa è una storia che arriva da lontano. Io stesso sono stato presentatore di una proposta di legge in questa materia, moltissimi anni fa. Ricordo nel dibattito pubblico, che era molto acceso, il peso che esercitava già allora la posizione della Chiesa, la quale era ritenuta così importante da costituire un ostacolo a una legislazione italiana che fosse sul modello di quella degli altri paesi. Un autorevole esponente democristiano con il quale parlai dell’argomento mi spiegò molto chiaramente che pur condividendo alcune mie posizioni non poteva non ascoltare quelle d’Oltretevere.
Rodotà: «Umiliano il corpo delle donne»
Il professore voterà quattro Sì: «È una legge che fa violenza agli stessi principi fondativi di un Paese civile»
Maria Zegarelli
ROMA «Una brutta legge, ideologica e carica di vizi di costituzionalità». Il professor Stefano Rodotà, membro dell’European Group On Ethics in Science and new Tecnologies non ha dubbi: «Voterò quattro sì convinti il 12 giugno, perché la legge sulla procreazione assistita è un brutto passo indietro del diritto».
Professore, stavolta tra etica e diritto sembra aver vinto la prima.
Ne sono assolutamente convinto: avevo cercato anche di segnalarlo in parlamento, quando sono stato sentito. C’era il rischio di una legislazione di tipo autoritario, che tendesse ad imporre un particolare punto di vista in una materia come questa dove le posizioni sono fortemente differenziate in ragione sia degli orientamenti culturali e religiosi, sia delle valutazioni scientifiche. Dunque, fare appello alla laicità non significava cercare di imporre un punto di vista, ma al contrario sottolineare che in materie come questa il legislatore deve tener conto dei diversi punti di vista, che sono il riflesso di convinzioni personali e sociali diffuse. In questo modo si sarebbe evitato di correre un rischio, che era evidentissimo e che poi si è realizzato: questa è una legge che nel tentativo di imporre un punto di vista, a cominciare da un’idea dell’embrione, ha finito per delegittimare se stessa e il legislatore.
Perché?
Perché è una legge che si è rivelata per molti aspetti inapplicabile, che viene aggirata dal turismo procreativo, che è già socialmente rifiutata, considerando le molte dichiarazioni di parlamentari che oggi dicono “l’abbiamo votata rendendoci conto che andava modificata”. Quindi, partendo dal fatto che il diritto non è un veicolo che può costruire valori condivisi in modo autoritativo arriviamo a una situazione in cui il diritto viene delegittimato.
Dunque, conferma: siamo di fronte all’«ingannevole potenza del diritto»?
Certo, quando il diritto pretende di imporre un comportamento alla donna, prevedendo l’obbligo di impianto contro la sua volontà degli embrioni creati, rivela da una parte la impraticabilità delle via giuridica e dall’altra che una norma di questo genere fa violenza agli stessi principi fondativi di una paese civile e democratico dove, lo dice l’articolo 32 della costituzione, nessun trattamento sanitario può essere imposto in materia di salute violando il rispetto della persona umana.
Ma fino a che punto il diritto può entrare nella sfera delle libertà di scelta degli individui?
Questo è un punto essenziale. In questi anni ci siamo resi conto del fatto che il diritto non può impadronirsi della “nuda vita”, cioè di tutta una serie di scelte che progressivamente sono state riconosciute alle persone e non possono essere sequestrate dalla regola giuridica. Come, ad esempio, il diritto di rifiutare le cure anche a costo della fine della vita. In questi casi, il diritto di fronte a situazioni esistenziali, ha fatto un passo indietro, ha riconosciuto che non si può imporre un’etica. Questo non vuol dire che non ci sia il riconoscimento di un valore. Il valore in questo caso è l’autodeterminazione di ciascuno per quanto riguarda la propria vita. Prima il “dominus” di queste situazioni era il medico che stabiliva quale dovesse essere la cura, anche senza il consenso dell’interessato, poi, da un certo momento in poi si è stabilito che tutto deve avvenire in base al consenso informato della persona, tant’è che qualcuno ha detto che è nato un nuovo soggetto morale.
E adesso un nuovo salto indietro?
La legge 40 sembra che vada esattamente nella direzione opposta: negare, per quanto riguarda le decisioni esistenziali, la libertà e la responsabilità di ciascuno. Ma c’è un secondo elemento in controtendenza: riprendere il controllo del corpo femminile, un corpo che era stato progressivamente liberato, prima dalla contraccezione, poi dalla possibilità di abortire, e infine dalle tecniche di procreazione assistita. Con questa legge si è colta l’occasione per riprenderne il controllo perché, insisto, l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni fecondati è una violenza programmata legislativamente che non precedenti nella storia. Si è arrivati alla concezione del corpo femminile come a puro contenitore.
A cui viene vietato di “ospitare” un embrione frutto della fecondazione eterologa.
Ormai siamo di fronte a una prepotente rivincita della biologia sulla biografia. Negli anni passati una delle grandi tendenze che ha retto la riforma dell’adozione e quella del diritto di famiglia, è stata quella di ritenere che la vita delle persone più che essere governata dal puro legame biologico, dalla materialità, è governata dagli affetti. Il modello di famiglia creato dalla riforma si basa sulla forza degli affetti: il peso attribuito all’adozione è stato quello appunto di ritenere più importante un legame affettivo che non la pura costruzione basata sulla biologia. E qui salta fuori un’altra contraddizione della legge 40 quando prevede che la coppia che si sottopone alla fecondazione deve essere informata sull’adozione. Il legislatore che si pone in questo modo non può poi ritenere che tutto sia riducibile al dato rappresentato dalla biologia ricondotta il più possibile alla natura. Il divieto dell’eterologa non tiene conto che la forza degli affetti può essere molto più forte del dato biologico.
Non crede che possa aver influito la Chiesa?
Ne sono assolutamente convinto. Questa è una storia che arriva da lontano. Io stesso sono stato presentatore di una proposta di legge in questa materia, moltissimi anni fa. Ricordo nel dibattito pubblico, che era molto acceso, il peso che esercitava già allora la posizione della Chiesa, la quale era ritenuta così importante da costituire un ostacolo a una legislazione italiana che fosse sul modello di quella degli altri paesi. Un autorevole esponente democristiano con il quale parlai dell’argomento mi spiegò molto chiaramente che pur condividendo alcune mie posizioni non poteva non ascoltare quelle d’Oltretevere.
certi psicologi...
con scienza e coscienza
Repubblica 4.5.05
La relazione in dodici pagine del 2001 dell'esperto del carcere
per la concessione della semilibertà all'assassino del Circeo
Izzo, la relazione dello psicologo
"Nessun timore, è un uomo nuovo"
PALERMO- Angelo Izzo, il massacratore del Circeo e assassino reo confesso di Maria Carmela e Valentina Maiorano, ottenne permessi premio e successivamente la semilibertà perché riuscì a convincere gli psicologici che lo seguivano che era cambiato, pentito, ed era pronto per tornare in società.
Decisiva, per la valutazione dei giudici, la relazione di un esperto del carcere, nel 2001. Rapporto che si trova fra gli atti esaminati dai giudici di sorveglianza di Palermo che hanno concesso la semilibertà che permetterà a Izzo di tornare a Campobasso.
La relazione siglata dal professionista è composta da dodici pagine dattiloscritte. Queste le conclusioni dello psicologo: "Ritengo che il superiore organo giudicante possa a questo punto prendere in esame senza timore l'ipotesi della concessione di un permesso premio di riapertura a questo detenuto, e ciò non solo per consentirgli di avere nuovamente un approccio con la società libera, ma anche per poter raccogliere sul suo conto ulteriori, e forse ancora più importanti, elementi di valutazione in chiave trattamentale".
Angelo Izzo è riuscito quindi a dare all'esperto una immagine nuova di sé. Tant'è che l'esperto scrive: "Oggi egli chiede, fiducioso, la riammissione al regime dei permessi premiali, consapevole di essere un individuo ormai completamente rinnovato e, in aggiunta, animato da una costruttiva volontà realizzativa pensando al suo futuro. Mi ha detto che avverte con acutezza il bisogno di verificare il rapporto che intrattiene con la sua fidanzata in ambiente extracarcerario ed è suo desiderio tornare ad allacciare i legami con il mondo esterno e in generale con i proprio familiari".
Angelo Izzo consegna allo psicologo una sorta di memoriale, che viene riportato nella relazione conclusiva. Ecco cosa sostiene l'assassino. "In questi ultimi anni credo di essere riuscito a trovare un certo equilibrio e di essere riuscito a chiudere definitivamente con i fantasmi del mio passato. Soprattutto, ho finalmente l'idea della persona che voglio diventare".
Ecco, invece, il commento del professionista alle parole del detenuto, condannato all'ergastolo. "Ho dato con piacere atto a Izzo dell'importanza del suo memoriale ai fini della mia analisi psicologica, come era stato da lui per l'appunto previsto in corso di seduta. Ho posto in rilievo, pertanto, la similarità della condotta da lui tenuta in ambito carcerario per moltissimi anni con quello che, nella vita libera, era stato il suo modo abituale di agire, all'insegna di un delirio paranoide di grandezza, che nel suo caso è andato incontro, con gli anni, e per taluni versi misteriosamente, a una remissione quasi totale".
Nella confessione che Angelo Izzo fa allo psicologo si legge: "Per arrivare a ridimensionare me stesso ci sono voluti molti anni, provato dalla durezza della carcerazione e dall'impietosa criminalizzazione da parte dell'opinione pubblica, ma sostenuto dai miei familiari e da altre persone amiche, sono riuscito comunque a cogliere la bellezza di essere nient'altro che un uomo tra gli altri uomini. Questa presa di coscienza - sostiene l'assassino - mi ha portato a scoprire il sentimento della compassione e quello della solidarietà nel rapporto con gli altri, e anche il vero amore. Amo, infatti, riamato, una ragazza romana che conobbi nel '92 godendo di un permesso premio. Oggi posso dirle che se lei decidesse di lasciarmi mi si spezzerebbe il cuore naturalmente ma continuerei a benedire il cielo per il fatto di averla conosciuta e amata".
Le confessioni di Izzo in tema di solidarietà e di scoperta del vero amore sono decisive, al punto che lo psicologo commenta: "L'ho sentito del tutto sincero, nonché soprendentemente sereno, in questo suo aperto riconoscimento della tardiva acquisizione del senso di umanità e quindi dell'atteggiamento di accoglienza, di amicizia, di comprensione dei bisogni e di mutuo sostegno sul piano delle relazioni interpersonali. Del resto - si continua a leggere - nel caso in cui avessi dubitato della sua autenticità, le sue lacrime, alcune volte proprio non contenute nonostante lo sforzo di autocontrollo da parte sua, sarebbero valse a smentirmi".
Nel corso dei colloqui con lo psicologo di Campobasso quest'ultimo annota: "Mi ha ringraziato affermando che, prima di me, mai uno psicologo carcerario, fra i tanti dai quali egli sarebbe stato seguito in quasi 26 anni di reclusione, anni trascorsi in molteplici istituti di pena, si era mostrato cosi rigoroso e circostanziato".
La relazione in dodici pagine del 2001 dell'esperto del carcere
per la concessione della semilibertà all'assassino del Circeo
Izzo, la relazione dello psicologo
"Nessun timore, è un uomo nuovo"
PALERMO- Angelo Izzo, il massacratore del Circeo e assassino reo confesso di Maria Carmela e Valentina Maiorano, ottenne permessi premio e successivamente la semilibertà perché riuscì a convincere gli psicologici che lo seguivano che era cambiato, pentito, ed era pronto per tornare in società.
Decisiva, per la valutazione dei giudici, la relazione di un esperto del carcere, nel 2001. Rapporto che si trova fra gli atti esaminati dai giudici di sorveglianza di Palermo che hanno concesso la semilibertà che permetterà a Izzo di tornare a Campobasso.
La relazione siglata dal professionista è composta da dodici pagine dattiloscritte. Queste le conclusioni dello psicologo: "Ritengo che il superiore organo giudicante possa a questo punto prendere in esame senza timore l'ipotesi della concessione di un permesso premio di riapertura a questo detenuto, e ciò non solo per consentirgli di avere nuovamente un approccio con la società libera, ma anche per poter raccogliere sul suo conto ulteriori, e forse ancora più importanti, elementi di valutazione in chiave trattamentale".
Angelo Izzo è riuscito quindi a dare all'esperto una immagine nuova di sé. Tant'è che l'esperto scrive: "Oggi egli chiede, fiducioso, la riammissione al regime dei permessi premiali, consapevole di essere un individuo ormai completamente rinnovato e, in aggiunta, animato da una costruttiva volontà realizzativa pensando al suo futuro. Mi ha detto che avverte con acutezza il bisogno di verificare il rapporto che intrattiene con la sua fidanzata in ambiente extracarcerario ed è suo desiderio tornare ad allacciare i legami con il mondo esterno e in generale con i proprio familiari".
Angelo Izzo consegna allo psicologo una sorta di memoriale, che viene riportato nella relazione conclusiva. Ecco cosa sostiene l'assassino. "In questi ultimi anni credo di essere riuscito a trovare un certo equilibrio e di essere riuscito a chiudere definitivamente con i fantasmi del mio passato. Soprattutto, ho finalmente l'idea della persona che voglio diventare".
Ecco, invece, il commento del professionista alle parole del detenuto, condannato all'ergastolo. "Ho dato con piacere atto a Izzo dell'importanza del suo memoriale ai fini della mia analisi psicologica, come era stato da lui per l'appunto previsto in corso di seduta. Ho posto in rilievo, pertanto, la similarità della condotta da lui tenuta in ambito carcerario per moltissimi anni con quello che, nella vita libera, era stato il suo modo abituale di agire, all'insegna di un delirio paranoide di grandezza, che nel suo caso è andato incontro, con gli anni, e per taluni versi misteriosamente, a una remissione quasi totale".
Nella confessione che Angelo Izzo fa allo psicologo si legge: "Per arrivare a ridimensionare me stesso ci sono voluti molti anni, provato dalla durezza della carcerazione e dall'impietosa criminalizzazione da parte dell'opinione pubblica, ma sostenuto dai miei familiari e da altre persone amiche, sono riuscito comunque a cogliere la bellezza di essere nient'altro che un uomo tra gli altri uomini. Questa presa di coscienza - sostiene l'assassino - mi ha portato a scoprire il sentimento della compassione e quello della solidarietà nel rapporto con gli altri, e anche il vero amore. Amo, infatti, riamato, una ragazza romana che conobbi nel '92 godendo di un permesso premio. Oggi posso dirle che se lei decidesse di lasciarmi mi si spezzerebbe il cuore naturalmente ma continuerei a benedire il cielo per il fatto di averla conosciuta e amata".
Le confessioni di Izzo in tema di solidarietà e di scoperta del vero amore sono decisive, al punto che lo psicologo commenta: "L'ho sentito del tutto sincero, nonché soprendentemente sereno, in questo suo aperto riconoscimento della tardiva acquisizione del senso di umanità e quindi dell'atteggiamento di accoglienza, di amicizia, di comprensione dei bisogni e di mutuo sostegno sul piano delle relazioni interpersonali. Del resto - si continua a leggere - nel caso in cui avessi dubitato della sua autenticità, le sue lacrime, alcune volte proprio non contenute nonostante lo sforzo di autocontrollo da parte sua, sarebbero valse a smentirmi".
Nel corso dei colloqui con lo psicologo di Campobasso quest'ultimo annota: "Mi ha ringraziato affermando che, prima di me, mai uno psicologo carcerario, fra i tanti dai quali egli sarebbe stato seguito in quasi 26 anni di reclusione, anni trascorsi in molteplici istituti di pena, si era mostrato cosi rigoroso e circostanziato".
torna BergamoScienza
L'Eco di Bergamo 4.5.05
Tornano in città i grandi della Scienza
Tutto pronto per la seconda edizione di «BergamoScienza» che si terrà in Città Alta dal 23 al 25 settembre
Incontri con ricercatori d'eccezione come Rutan, Barrow e Sacks. Laboratori, mostre e dibattiti
B Burt Rutan, il progettista di Space ShipOne, il primo aereo spaziale privato; il matematico e cosmologo John Barrow, noto in Italia per «Infinities» rappresentato al Piccolo Teatro con la regia di Luca Ronconi e Oliver Sacks, il neurologo che ha trasformato la scienza della mente in bestseller, parteciperanno alla seconda edizione di BergamoScienza , in programma dal 23 al 25 settembre prossimo in Città Alta.
Sulla manifestazione fluttua l'icona arruffata di Albert Einstein, perché il 2005 è l'Anno internazionale della Fisica ed è anche il centenario della pubblicazione della Teoria della relatività speciale. La fisica è forse la scienza che più ha modificato negli ultimi decenni la propria immagine di vecchia zia, diventando, da rigida custode di misurazioni e leggi noiose, una sorta di spericolata «Lara Croft» in cerca di avventure nei mondi infiniti del subatomico e del pluriverso.
Tre testimonial d'eccezione
E anche Rutan, Barrow e Sacks sono tre testimonial d'eccezione del pensare oltre gli schemi. Proprio per questo BergamoScienza li ha scelti per entusiasmare i giovani che non vogliono farsi rinchiudere nell'iperspecializzazione tecnica: «Un invito ai ragazzi a usare la testa senza paura, con curiosità, fiducia nelle proprie intuizioni, meraviglia di fronte all'universo – spiega per il Comitato organizzatore Gianvito Martino, presidente di Sinapsi – perché la scienza è soprattutto avventura. Proprio per avvicinare i giovani al mondo scientifico è nata BergamoScienza, per creare opportunità d'incontro. Lo scorso anno i ragazzi ci hanno capito. Proseguendo su questa strada, per l'edizione 2005 abbiamo moltiplicato le occasioni di confrontarsi direttamente con gli scienziati, ma anche di “pasticciare” in laboratorio e, attraverso spettacoli e mostre, di godere del piacere estetico della scienza».
Molti sono infatti gli eventi sospesi tra scienza e fantasia. Il primo, nella serata centrale del 24 settembre, è uno spettacolo dedicato ad Alan Turing, forse il più creativo dei matematici del Novecento. Turing fu in grado di prevedere negli anni '40 l'avvento dell'era informatica e teorizzò i possibili sviluppi del computer. Il matematico fu anche uno sportivo campione di corsa e durante la Seconda guerra mondiale, decrittando i codici degli U-boat, salvò le sorti alleate nella battaglia dell'Atlantico. Lo spettacolo «Da Enigma alla mela di Biancaneve» di Valeria Patera mescola sul palcoscenico recitazione e dibattito, attori insieme agli scienziati John Casti, Giulio Giorello, Piergiorgio Odifreddi.
Il lato artistico della scienza si coglierà anche in «Reflesso», videoinstallazione interattiva organizzata da VerboEssere al Teatro Sociale, mentre per il cinema, il Lab 80 organizza una miniserie di film legati al tema. E in «Diafan» della Companya Pep Bou gli attori reciteranno entro gigantesche bolle di sapone come astronauti nella capsula.
Il taglio «imparare divertendosi» è conservato anche nelle 26 mostre interattive e laboratori che sono stati organizzati con la collaborazione di tutti i musei e gli istituti culturali della città che quest'anno sono entrati pienamente nel grande gioco della scienza.
Un po' meno ci sono entrati finora gli sponsor. O meglio, mentre la pattuglia pioniera, Banca Popolare di Bergamo, Unione Industriali e Camera di Commercio in testa, ha riaffermato la fiducia nell'iniziativa come occasione di sviluppo per Bergamo, il successo straripante della prima edizione non ha finora trasmesso ai «grandi privati» l'entusiasmo necessario per fare compiere loro il passo decisivo. Ma il programma della seconda edizione è irresistibile anche per loro.
Osserva il presidente del Comitato promotore, Alberto Castoldi: «Sembrava impossibile, ma si è riusciti ad andare oltre la prima esperienza. Per l'edizione 2005 di BergamoScienza è stato messo a punto un programma ancora più interessante e complesso che consolida la manifestazione e le conferisce uno stile preciso basato sulla alta qualità degli interventi per interessare soprattutto i giovani e riaprire il canale della formazione scientifica a livello universitario e professionale. Gli eventi multidisciplinari sono in grado di avvicinare alla scienza il grande pubblico, così come le mostre e i laboratori. E, a differenza di altre manifestazioni organizzate in varie città italiane, va ricordato che tutto è offerto gratuitamente, nella convinzione che si tratti di un grande investimento per il futuro del nostro territorio. La speranza è che davvero tutte le forze significative, anche quelle economiche, vogliano fare loro una proposta che è nata e continua a vivere grazie alla passione di concittadini che lavorano con grande intelligenza e totale disinteresse personale».
L'inaugurazione di BergamoScienza si terrà nell'ex chiesa di S. Agostino il 23 settembre alle 18,30: interverranno, dopo il saluto delle autorità, il presidente del Comitato scientifico Edoardo Boncinelli, per il comitato promotore Alberto Castoldi, rettore dell'università di Bergamo, e Luigi Verzé presidente e fondatore dell'Università Vita e Salute S. Raffaele di Milano. In apertura la conferenza di Burt Rutan sullo Space ShipOne . Fondatore della compagnia aerospaziale Scaled Composites, Rutan ha vinto l'«Ansari X Prize» per lo sviluppo dato alla prospettiva dei voli commerciali e turistici nello spazio.
L'incontro con il matematico di Cambridge, John Barrow, è previsto invece per il 24 settembre nel pomeriggio. Con il cosmologo dialogherà il fisico Renato Angelo Ricci, mentre il neurologo Oliver Sacks concluderà la manifestazione il 25 settembre «viaggiando», con il linguista Andrea Moro, all'interno della mente, fra cervello e immaginazione.
Bioterrorismo e cellule staminali
L'entusiasmo per la scienza non ne deve nascondere però i nodi critici e le necessità organizzative. Della dimensione politica della ricerca, soprattutto europea, si parlerà con il Commissario dell'Unione europea alla Ricerca, Jamez Potocnik, insieme con Giovanni Berlinguer e con l'eurodeputata bergamasca Pia Locatelli, presidente della Fondazione Zaninoni. BergamoScienza darà spazio anche a temi centrali nel dibattito scientifico e tecnologico come il bioterrorismo, gli Ogm, le cellule staminali.
Temi che richiedono anche una riflessione etica, prevista nella giornata conclusiva. Interverranno e dialogheranno sui «Confini della scienza» teologi, filosofi e scienziati. Gli studenti troveranno spazi specifici all'interno della rassegna: alcune attività e fasce orarie di mostre e laboratori saranno riservate alle scuole. Inoltre il 26 settembre, al Palacreberg, le scuole superiori incontreranno due scienziate di generazioni diverse, il Nobel Rita Levi Montalcini, presidente onorario del Comitato scientifico di BergamoScienza, e Maria Grazia Roncarolo, direttore del Telethon Institute for Gene Therapy di Milano, che converseranno su che cosa significhi scegliere la professione della scienziata e su quali spazi abbiano le donne nel mondo della ricerca. Un'altra scienziata notissima, l'astrofisica Margherita Hack parteciperà invece alle conferenze del weekend parlando della scienza come ragione di vita. Ancora alla scienza come professione sarà dedicata l'apertura al pubblico per tre giorni dell'Istituto Negri con momenti attivi e di riflessione. Infine, proprio per agganciarsi a BergamoScienza, Confindustria ha scelto Bergamo, in collaborazione con l'Unione Industriali, per la XII Giornata nazionale di Orientagiovani.
Il 10 maggio il programma di BergamoScienza sarà inviato a tutte le scuole della Lombardia per permettere ai docenti delle medie inferiori e superiori di prenotare fin d'ora la partecipazione delle classi agli eventi desiderati. Il programma è scaricabile anche dal sito www.bergamoscienza.it.
Tornano in città i grandi della Scienza
Tutto pronto per la seconda edizione di «BergamoScienza» che si terrà in Città Alta dal 23 al 25 settembre
Incontri con ricercatori d'eccezione come Rutan, Barrow e Sacks. Laboratori, mostre e dibattiti
B Burt Rutan, il progettista di Space ShipOne, il primo aereo spaziale privato; il matematico e cosmologo John Barrow, noto in Italia per «Infinities» rappresentato al Piccolo Teatro con la regia di Luca Ronconi e Oliver Sacks, il neurologo che ha trasformato la scienza della mente in bestseller, parteciperanno alla seconda edizione di BergamoScienza , in programma dal 23 al 25 settembre prossimo in Città Alta.
Sulla manifestazione fluttua l'icona arruffata di Albert Einstein, perché il 2005 è l'Anno internazionale della Fisica ed è anche il centenario della pubblicazione della Teoria della relatività speciale. La fisica è forse la scienza che più ha modificato negli ultimi decenni la propria immagine di vecchia zia, diventando, da rigida custode di misurazioni e leggi noiose, una sorta di spericolata «Lara Croft» in cerca di avventure nei mondi infiniti del subatomico e del pluriverso.
Tre testimonial d'eccezione
E anche Rutan, Barrow e Sacks sono tre testimonial d'eccezione del pensare oltre gli schemi. Proprio per questo BergamoScienza li ha scelti per entusiasmare i giovani che non vogliono farsi rinchiudere nell'iperspecializzazione tecnica: «Un invito ai ragazzi a usare la testa senza paura, con curiosità, fiducia nelle proprie intuizioni, meraviglia di fronte all'universo – spiega per il Comitato organizzatore Gianvito Martino, presidente di Sinapsi – perché la scienza è soprattutto avventura. Proprio per avvicinare i giovani al mondo scientifico è nata BergamoScienza, per creare opportunità d'incontro. Lo scorso anno i ragazzi ci hanno capito. Proseguendo su questa strada, per l'edizione 2005 abbiamo moltiplicato le occasioni di confrontarsi direttamente con gli scienziati, ma anche di “pasticciare” in laboratorio e, attraverso spettacoli e mostre, di godere del piacere estetico della scienza».
Molti sono infatti gli eventi sospesi tra scienza e fantasia. Il primo, nella serata centrale del 24 settembre, è uno spettacolo dedicato ad Alan Turing, forse il più creativo dei matematici del Novecento. Turing fu in grado di prevedere negli anni '40 l'avvento dell'era informatica e teorizzò i possibili sviluppi del computer. Il matematico fu anche uno sportivo campione di corsa e durante la Seconda guerra mondiale, decrittando i codici degli U-boat, salvò le sorti alleate nella battaglia dell'Atlantico. Lo spettacolo «Da Enigma alla mela di Biancaneve» di Valeria Patera mescola sul palcoscenico recitazione e dibattito, attori insieme agli scienziati John Casti, Giulio Giorello, Piergiorgio Odifreddi.
Il lato artistico della scienza si coglierà anche in «Reflesso», videoinstallazione interattiva organizzata da VerboEssere al Teatro Sociale, mentre per il cinema, il Lab 80 organizza una miniserie di film legati al tema. E in «Diafan» della Companya Pep Bou gli attori reciteranno entro gigantesche bolle di sapone come astronauti nella capsula.
Il taglio «imparare divertendosi» è conservato anche nelle 26 mostre interattive e laboratori che sono stati organizzati con la collaborazione di tutti i musei e gli istituti culturali della città che quest'anno sono entrati pienamente nel grande gioco della scienza.
Un po' meno ci sono entrati finora gli sponsor. O meglio, mentre la pattuglia pioniera, Banca Popolare di Bergamo, Unione Industriali e Camera di Commercio in testa, ha riaffermato la fiducia nell'iniziativa come occasione di sviluppo per Bergamo, il successo straripante della prima edizione non ha finora trasmesso ai «grandi privati» l'entusiasmo necessario per fare compiere loro il passo decisivo. Ma il programma della seconda edizione è irresistibile anche per loro.
Osserva il presidente del Comitato promotore, Alberto Castoldi: «Sembrava impossibile, ma si è riusciti ad andare oltre la prima esperienza. Per l'edizione 2005 di BergamoScienza è stato messo a punto un programma ancora più interessante e complesso che consolida la manifestazione e le conferisce uno stile preciso basato sulla alta qualità degli interventi per interessare soprattutto i giovani e riaprire il canale della formazione scientifica a livello universitario e professionale. Gli eventi multidisciplinari sono in grado di avvicinare alla scienza il grande pubblico, così come le mostre e i laboratori. E, a differenza di altre manifestazioni organizzate in varie città italiane, va ricordato che tutto è offerto gratuitamente, nella convinzione che si tratti di un grande investimento per il futuro del nostro territorio. La speranza è che davvero tutte le forze significative, anche quelle economiche, vogliano fare loro una proposta che è nata e continua a vivere grazie alla passione di concittadini che lavorano con grande intelligenza e totale disinteresse personale».
L'inaugurazione di BergamoScienza si terrà nell'ex chiesa di S. Agostino il 23 settembre alle 18,30: interverranno, dopo il saluto delle autorità, il presidente del Comitato scientifico Edoardo Boncinelli, per il comitato promotore Alberto Castoldi, rettore dell'università di Bergamo, e Luigi Verzé presidente e fondatore dell'Università Vita e Salute S. Raffaele di Milano. In apertura la conferenza di Burt Rutan sullo Space ShipOne . Fondatore della compagnia aerospaziale Scaled Composites, Rutan ha vinto l'«Ansari X Prize» per lo sviluppo dato alla prospettiva dei voli commerciali e turistici nello spazio.
L'incontro con il matematico di Cambridge, John Barrow, è previsto invece per il 24 settembre nel pomeriggio. Con il cosmologo dialogherà il fisico Renato Angelo Ricci, mentre il neurologo Oliver Sacks concluderà la manifestazione il 25 settembre «viaggiando», con il linguista Andrea Moro, all'interno della mente, fra cervello e immaginazione.
Bioterrorismo e cellule staminali
L'entusiasmo per la scienza non ne deve nascondere però i nodi critici e le necessità organizzative. Della dimensione politica della ricerca, soprattutto europea, si parlerà con il Commissario dell'Unione europea alla Ricerca, Jamez Potocnik, insieme con Giovanni Berlinguer e con l'eurodeputata bergamasca Pia Locatelli, presidente della Fondazione Zaninoni. BergamoScienza darà spazio anche a temi centrali nel dibattito scientifico e tecnologico come il bioterrorismo, gli Ogm, le cellule staminali.
Temi che richiedono anche una riflessione etica, prevista nella giornata conclusiva. Interverranno e dialogheranno sui «Confini della scienza» teologi, filosofi e scienziati. Gli studenti troveranno spazi specifici all'interno della rassegna: alcune attività e fasce orarie di mostre e laboratori saranno riservate alle scuole. Inoltre il 26 settembre, al Palacreberg, le scuole superiori incontreranno due scienziate di generazioni diverse, il Nobel Rita Levi Montalcini, presidente onorario del Comitato scientifico di BergamoScienza, e Maria Grazia Roncarolo, direttore del Telethon Institute for Gene Therapy di Milano, che converseranno su che cosa significhi scegliere la professione della scienziata e su quali spazi abbiano le donne nel mondo della ricerca. Un'altra scienziata notissima, l'astrofisica Margherita Hack parteciperà invece alle conferenze del weekend parlando della scienza come ragione di vita. Ancora alla scienza come professione sarà dedicata l'apertura al pubblico per tre giorni dell'Istituto Negri con momenti attivi e di riflessione. Infine, proprio per agganciarsi a BergamoScienza, Confindustria ha scelto Bergamo, in collaborazione con l'Unione Industriali, per la XII Giornata nazionale di Orientagiovani.
Il 10 maggio il programma di BergamoScienza sarà inviato a tutte le scuole della Lombardia per permettere ai docenti delle medie inferiori e superiori di prenotare fin d'ora la partecipazione delle classi agli eventi desiderati. Il programma è scaricabile anche dal sito www.bergamoscienza.it.
la psicoanalisi freudiana
"non esiste praticamente più"
Repubblica 4.5.05
Cultura
Freud
Il maestro e i suoi allievi, quel che resta di un mito
La psicoanalisi in dieci volumi
Luciana Sica
TORINO. Scambi di lettere inedite, documenti, carte private, verbali di riunioni, relazioni ai convegni, brevi scritti freudiani mai usciti in italiano - come il testo che qui pubblichiamo: i primi due volumi, su dieci complessivi, dedicati al maestro viennese e ai suoi allievi più stretti, usciranno dopo l´estate con il titolo Scritti di metapsicologia e Sulla storia della psicoanalisi.
A quarant´anni dall´avvio della prima edizione in Italia dell´opera omnia, "il nuovo progetto Freud" - lo chiamano così alla Bollati Boringhieri - avrà il suo lancio ufficiale alla Fiera del libro di Torino, sabato prossimo. Con una citazione dello Schnitzler che tanto ha ossessionato Kubrick, si chiama "Doppio sogno" l´appuntamento torinese: ci saranno Michele Ranchetti, direttore della nuova iniziativa editoriale, Mauro Mancia, Walter Cavini, Riccardo Steiner e - nel ruolo di coordinatore - Giovanni Jervis, da tre anni nel consiglio d´amministrazione della casa editrice.
Sul piano giornalistico, saranno senz´altro gli inediti la principale leccornia di questa gustosa abbuffata freudiana. Ma c´è anche qualcos´altro da dire. Se infatti negli anni Sessanta, la Boringhieri ha avuto il grande merito di rendere Freud accessibile al pubblico italiano, oggi il contesto in cui viene lanciato il "nuovo progetto" è profondamente mutato: non solo perché la psicoanalisi è parte integrante del nostro orizzonte culturale, ma con la sua divulgazione sempre più frettolosa e più cheap rischia un radicale travisamento. A inquietare sono soprattutto gli interrogativi - spesso colti - sull´avvenire della costruzione freudiana e i frequenti attacchi - non sempre volgari - alla sua efficacia e alla sua stessa legittimità teorica.
È in questo contesto generale che va rintracciato il senso di un´avventura editoriale decisamente coraggiosa: non solo perché "storicizza" Freud, lo contestualizza interrogandosi sul suo punto di partenza scientifico, filosofico, e persino politico e religioso, ma soprattutto perché tende a chiarire (e a difendere) il significato che l´invenzione di Freud può continuare ad avere per il mondo di oggi.
L´idea è stata di Michele Ranchetti, che ragiona così: «Freud non è un uomo isolato che inventa la sua teoria in un eremo, è con altri geniali collaboratori che promuove un´indiscutibile rivoluzione culturale. È stato un errore del passato tenere distinte le opere del maestro da quelle dei suoi allievi - come Jung e Ferenczi, Abraham e Lou Andreas Salomé - che hanno direttamente contribuito alla costruzione della psicoanalisi. È solo mettendole insieme che è possibile recuperare il carattere innovativo del movimento psicoanalitico che nel tempo si è via via perduto».
Ranchetti è storico della Chiesa, traduttore di Wittgenstein, tra i massimi curatori di Freud, oltre che poeta e pittore. Vicino alla soglia degli ottant´anni, non ha perso nulla in lucidità e spregiudicatezza intellettuale. Quando dice, ad esempio, senza tanti giri di parole: «L´ambizione del nostro gruppo di lavoro è di ripristinare la necessità della riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi: oggi quella psicoanalitica è diventata una terapia che ha perso ogni mordente, così può farla chiunque».
Sulla stessa linea, del tutto prevedibilmente, Jervis, che intanto tiene molto a dire: «Questa è un´operazione simbolica, sottolinea infatti la continuità della casa editrice con la sua tradizione e al tempo stesso marca un forte rinnovamento perché la proposta di Ranchetti - che ho appoggiato con molta forza, a ogni livello - è un modo di rileggere in una luce del tutto diversa Freud, ben collocato nel dibattito dell´epoca. Non vogliamo innalzare un ennesimo monumento al fondatore della psicoanalisi, ma recuperarne la freschezza e il pieno significato culturale, prima ancora che scientifico o psicologico... ».
Il dubbio è che si possa trattare di un´operazione rivolta ai soli specialisti, nel segno dell´acribia filologica. Jervis lo nega con decisione: «Al contrario, è un´iniziativa diretta al pubblico colto che rende più semplice e non più complicata la comprensione di alcuni scritti chiave e relativamente brevi: il che permette tra l´altro di andare al cuore dei problemi centrali. Si tratta di restituire Freud a una lettura meno stereotipata, starei per dire meno evangelica...».
Tra le righe, il problema più scottante - per molte ragioni - è capire quali siano i contenuti di Freud che reggono ancora bene a distanza di un secolo. È implicito che cent´anni dopo la nascita della psicoanalisi, attraverso la storicizzazione delle sue origini, venga sollevata la domanda sull´attualità e la specificità del sapere freudiano.
Non da oggi, su questo punto Jervis ha idee molto chiare che puntualmente irritano l´establishment psicoanalitico, anche se ormai solo a dispetto del ridicolo qualcuno potrà ancora sentirsi il depositario di verità rivelate: «Se ci si chiede "quel che resta di Freud", si può rispondere senz´altro: la teoria antropologica e sociale. È la clinica che invece è molto invecchiata: la psicoanalisi come strumento terapeutico è risultata meno efficace di quanto non pensassero Freud e i suoi allievi, e poi si è modificata al punto tale che il trattamento classico non esiste praticamente più».
Cultura
Freud
Il maestro e i suoi allievi, quel che resta di un mito
La psicoanalisi in dieci volumi
Luciana Sica
Giovanni Jervis "Vogliamo restituire il suo pensiero a una lettura più fresca e meno stereotipata, meno evangelica"
Michele Ranchetti "È importante la riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi"
Il sapere freudiano viene "storicizzato" anche per chiarire il significato che può ancora avere per il mondo di oggi
La nuova iniziativa editoriale sarà presentata sabato prossimo alla Fiera del Libro di Torino che si inaugura domani
Michele Ranchetti "È importante la riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi"
Il sapere freudiano viene "storicizzato" anche per chiarire il significato che può ancora avere per il mondo di oggi
La nuova iniziativa editoriale sarà presentata sabato prossimo alla Fiera del Libro di Torino che si inaugura domani
TORINO. Scambi di lettere inedite, documenti, carte private, verbali di riunioni, relazioni ai convegni, brevi scritti freudiani mai usciti in italiano - come il testo che qui pubblichiamo: i primi due volumi, su dieci complessivi, dedicati al maestro viennese e ai suoi allievi più stretti, usciranno dopo l´estate con il titolo Scritti di metapsicologia e Sulla storia della psicoanalisi.
A quarant´anni dall´avvio della prima edizione in Italia dell´opera omnia, "il nuovo progetto Freud" - lo chiamano così alla Bollati Boringhieri - avrà il suo lancio ufficiale alla Fiera del libro di Torino, sabato prossimo. Con una citazione dello Schnitzler che tanto ha ossessionato Kubrick, si chiama "Doppio sogno" l´appuntamento torinese: ci saranno Michele Ranchetti, direttore della nuova iniziativa editoriale, Mauro Mancia, Walter Cavini, Riccardo Steiner e - nel ruolo di coordinatore - Giovanni Jervis, da tre anni nel consiglio d´amministrazione della casa editrice.
Sul piano giornalistico, saranno senz´altro gli inediti la principale leccornia di questa gustosa abbuffata freudiana. Ma c´è anche qualcos´altro da dire. Se infatti negli anni Sessanta, la Boringhieri ha avuto il grande merito di rendere Freud accessibile al pubblico italiano, oggi il contesto in cui viene lanciato il "nuovo progetto" è profondamente mutato: non solo perché la psicoanalisi è parte integrante del nostro orizzonte culturale, ma con la sua divulgazione sempre più frettolosa e più cheap rischia un radicale travisamento. A inquietare sono soprattutto gli interrogativi - spesso colti - sull´avvenire della costruzione freudiana e i frequenti attacchi - non sempre volgari - alla sua efficacia e alla sua stessa legittimità teorica.
È in questo contesto generale che va rintracciato il senso di un´avventura editoriale decisamente coraggiosa: non solo perché "storicizza" Freud, lo contestualizza interrogandosi sul suo punto di partenza scientifico, filosofico, e persino politico e religioso, ma soprattutto perché tende a chiarire (e a difendere) il significato che l´invenzione di Freud può continuare ad avere per il mondo di oggi.
L´idea è stata di Michele Ranchetti, che ragiona così: «Freud non è un uomo isolato che inventa la sua teoria in un eremo, è con altri geniali collaboratori che promuove un´indiscutibile rivoluzione culturale. È stato un errore del passato tenere distinte le opere del maestro da quelle dei suoi allievi - come Jung e Ferenczi, Abraham e Lou Andreas Salomé - che hanno direttamente contribuito alla costruzione della psicoanalisi. È solo mettendole insieme che è possibile recuperare il carattere innovativo del movimento psicoanalitico che nel tempo si è via via perduto».
Ranchetti è storico della Chiesa, traduttore di Wittgenstein, tra i massimi curatori di Freud, oltre che poeta e pittore. Vicino alla soglia degli ottant´anni, non ha perso nulla in lucidità e spregiudicatezza intellettuale. Quando dice, ad esempio, senza tanti giri di parole: «L´ambizione del nostro gruppo di lavoro è di ripristinare la necessità della riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi: oggi quella psicoanalitica è diventata una terapia che ha perso ogni mordente, così può farla chiunque».
Sulla stessa linea, del tutto prevedibilmente, Jervis, che intanto tiene molto a dire: «Questa è un´operazione simbolica, sottolinea infatti la continuità della casa editrice con la sua tradizione e al tempo stesso marca un forte rinnovamento perché la proposta di Ranchetti - che ho appoggiato con molta forza, a ogni livello - è un modo di rileggere in una luce del tutto diversa Freud, ben collocato nel dibattito dell´epoca. Non vogliamo innalzare un ennesimo monumento al fondatore della psicoanalisi, ma recuperarne la freschezza e il pieno significato culturale, prima ancora che scientifico o psicologico... ».
Il dubbio è che si possa trattare di un´operazione rivolta ai soli specialisti, nel segno dell´acribia filologica. Jervis lo nega con decisione: «Al contrario, è un´iniziativa diretta al pubblico colto che rende più semplice e non più complicata la comprensione di alcuni scritti chiave e relativamente brevi: il che permette tra l´altro di andare al cuore dei problemi centrali. Si tratta di restituire Freud a una lettura meno stereotipata, starei per dire meno evangelica...».
Tra le righe, il problema più scottante - per molte ragioni - è capire quali siano i contenuti di Freud che reggono ancora bene a distanza di un secolo. È implicito che cent´anni dopo la nascita della psicoanalisi, attraverso la storicizzazione delle sue origini, venga sollevata la domanda sull´attualità e la specificità del sapere freudiano.
Non da oggi, su questo punto Jervis ha idee molto chiare che puntualmente irritano l´establishment psicoanalitico, anche se ormai solo a dispetto del ridicolo qualcuno potrà ancora sentirsi il depositario di verità rivelate: «Se ci si chiede "quel che resta di Freud", si può rispondere senz´altro: la teoria antropologica e sociale. È la clinica che invece è molto invecchiata: la psicoanalisi come strumento terapeutico è risultata meno efficace di quanto non pensassero Freud e i suoi allievi, e poi si è modificata al punto tale che il trattamento classico non esiste praticamente più».
le belle tradizioni perdute...
l'Indice dei libri proibiti
Il Gazzettino di Venezia 4.5.05
Si chiamava "Index librorum prohibitorum", ...
Si chiamava "Index librorum prohibitorum", ed è stato abolito appena nel 1966 da Papa Paolo VI. Voluto nel 1515 dai vescovi del 5° Concilio Laterano, l'Indice dei libri proibiti, pubblicato per la prima volta nel 1557 sotto Papa Paolo IV, ha segnato la storia della modernità, recando in sè testimonianza dell'oscurantismo clericale cattolico imperante dal Concilio di Trento ad appena l'altro ieri. Nella sua trentaduesima ed ultima edizione del 1948 conteneva 4000 titoli. Giusto per curiosità vediamo il nome di qualche autore proibito dal catalogo: Rabelais, Montaigne, Cartesio, La Fontaine, Pascal, Montesquieu, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Diderot, Casanova, de Sade, Madame De Stael, Stendhal, Balzac, Hugo, Flaubert, Dumas, Emile Zola. Tre Nobel: Jean Paul Sartre, Anatole France e André Gide. E persino il Dizionario Universale Larousse.
Basta? Ma no! Proibito leggere Erasmo da Rotterdam, Machiavelli, Milton, Spinoza, John Locke, Daniel Defoe, Johnatan Swift, Laurence Sterne, Emmanuel Kant, Heine, D'Annunzio, Moravia. All'indice persino Benedetto Croce. Fortunatamente non tutti i cattolici si sono adeguati e, almeno per Spinoza, Locke, Kant e Croce, si è chiuso un occhio.
Tutto questo per dire che, altro che Fahrenheit 451, capolavoro fantascientifico ma non troppo di Ray Bradbury, altro che roghi nazisti del passato, anche oggi la sorte dei produttori di idee e di libri continua ad essere a rischio. Non solo la maledizione degli ayatollah iraniani su Salaman Rushdie, ma moltissimi altri casi, un migliaio nel mondo. Così Venezia, città di Paolo Sarpi avrà la prima "Cattedra dei diritti umani dello scrittore". In attesa di avere, sempre in nome della libertà, anche quella del lettore.
Si chiamava "Index librorum prohibitorum", ...
Si chiamava "Index librorum prohibitorum", ed è stato abolito appena nel 1966 da Papa Paolo VI. Voluto nel 1515 dai vescovi del 5° Concilio Laterano, l'Indice dei libri proibiti, pubblicato per la prima volta nel 1557 sotto Papa Paolo IV, ha segnato la storia della modernità, recando in sè testimonianza dell'oscurantismo clericale cattolico imperante dal Concilio di Trento ad appena l'altro ieri. Nella sua trentaduesima ed ultima edizione del 1948 conteneva 4000 titoli. Giusto per curiosità vediamo il nome di qualche autore proibito dal catalogo: Rabelais, Montaigne, Cartesio, La Fontaine, Pascal, Montesquieu, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Diderot, Casanova, de Sade, Madame De Stael, Stendhal, Balzac, Hugo, Flaubert, Dumas, Emile Zola. Tre Nobel: Jean Paul Sartre, Anatole France e André Gide. E persino il Dizionario Universale Larousse.
Basta? Ma no! Proibito leggere Erasmo da Rotterdam, Machiavelli, Milton, Spinoza, John Locke, Daniel Defoe, Johnatan Swift, Laurence Sterne, Emmanuel Kant, Heine, D'Annunzio, Moravia. All'indice persino Benedetto Croce. Fortunatamente non tutti i cattolici si sono adeguati e, almeno per Spinoza, Locke, Kant e Croce, si è chiuso un occhio.
Tutto questo per dire che, altro che Fahrenheit 451, capolavoro fantascientifico ma non troppo di Ray Bradbury, altro che roghi nazisti del passato, anche oggi la sorte dei produttori di idee e di libri continua ad essere a rischio. Non solo la maledizione degli ayatollah iraniani su Salaman Rushdie, ma moltissimi altri casi, un migliaio nel mondo. Così Venezia, città di Paolo Sarpi avrà la prima "Cattedra dei diritti umani dello scrittore". In attesa di avere, sempre in nome della libertà, anche quella del lettore.
i Greci
Corriere della Sera 4.5.05
IL PENSIERO
La nostra coscienza è nell’Ellade L’uso della ragione, l’indagine su Dio, l’avventura del viaggio. E l’idea del bello
Armando Torno
Non è esagerato credere che l’Occidente potrà vivere sino a quando saprà conservare il ricordo della civiltà greca. Senza di essa perderemmo l’uso della ragione che ci ha insegnato Aristotele e l’idea di indagare Dio che ci viene da Platone (il termine «teologia» si trova per la prima volta nel II libro della Repubblica) ; senza la Grecia dovremmo rinunciare alla mistica del numero che regge la matematica (e che fu ideata dai Pitagorici) e non conosceremmo l’avventura del viaggio, modello di ogni nostra creazione letteraria, che è racchiuso nell’ Odisse a. E avremmo difficoltà a credere nell’anima, così come oggi la intendiamo. Sulle scene di Atene e delle città dell’Ellade è stato rappresentato in modo completo, per la prima volta, il dramma del vivere. Qualcuno ha scritto che tutta la tragedia greca altro non fu che l’urlo disperato di un’intelligenza superiore per nascondere i sacrifici umani che l’avevano vista nascere. Sarà anche vero, ma è certo che Eschilo, Sofocle ed Euripide ci insegnano a comprendere il costo che ognuno di noi deve pagare a se stesso e alla natura per abitare nel mondo.
I greci ci hanno insegnato l’idea del bello (che, secondo la celebre equazione platonica, è uguale al vero e al bene); si sono spinti a indagare il sublime, la verità, la resurrezione, e il misterioso motivo per il quale non riusciamo a convivere senza la violenza e perché abbiamo bisogno di pace. A questo popolo dobbiamo la nostra forma di intelligenza, l’idea di tecnica (e il suo contrario), il senso dell’armonia, le forme di governo, le costruzioni geometriche, il gusto dell’arte. Furono loro a creare la politica. Claude Mossé in un saggio dedicato al tema, contenuto nell’opera Il sapere greco , della quale è uscito in edizione italiana il primo volume (Einaudi, pp. 648, euro 78), ricorda che «l’invenzione della politica è inseparabile dalla nascita di quella forma originale di stato che è la città-stato greca». Di contro, questo popolo fu anche maestro di irrazionalità; come pochi altri conobbe l’amore e lo praticò con una libertà a noi sconosciuta, arrivando a comprendere che ognuno deve vivere a suo modo - impossibile fissare regole generali! - la dimensione di questo mistero in cui anima e sensi si abbracciano. I greci ci hanno insegnato cosa significhi ridere e se la satira abbia dei confini, a loro dobbiamo ricorrere quando ci poniamo le grandi questioni della vita. Immanuel Kant compendiò le coordinate del nostro cercare chiedendosi «da dove veniamo?», «chi siamo?», «dove andiamo?»; ma tali domande si possono ritrovare nei pensatori greci, corredate da mille risposte e da altrettanti dubbi.
Pensiamo dunque con una testa greca e nella nostra anima succedono reazioni già note in quel mondo. Le scelte di cui siamo protagonisti sono state fatte sotto l’Acropoli di Atene e i sentimenti che governano la nostra vita passarono tra quelle pietre oltre duemila anni fa. Studiare i greci è come cercare di conoscere noi stessi. Per questo non possiamo ignorarli.
IL PENSIERO
La nostra coscienza è nell’Ellade L’uso della ragione, l’indagine su Dio, l’avventura del viaggio. E l’idea del bello
Armando Torno
Non è esagerato credere che l’Occidente potrà vivere sino a quando saprà conservare il ricordo della civiltà greca. Senza di essa perderemmo l’uso della ragione che ci ha insegnato Aristotele e l’idea di indagare Dio che ci viene da Platone (il termine «teologia» si trova per la prima volta nel II libro della Repubblica) ; senza la Grecia dovremmo rinunciare alla mistica del numero che regge la matematica (e che fu ideata dai Pitagorici) e non conosceremmo l’avventura del viaggio, modello di ogni nostra creazione letteraria, che è racchiuso nell’ Odisse a. E avremmo difficoltà a credere nell’anima, così come oggi la intendiamo. Sulle scene di Atene e delle città dell’Ellade è stato rappresentato in modo completo, per la prima volta, il dramma del vivere. Qualcuno ha scritto che tutta la tragedia greca altro non fu che l’urlo disperato di un’intelligenza superiore per nascondere i sacrifici umani che l’avevano vista nascere. Sarà anche vero, ma è certo che Eschilo, Sofocle ed Euripide ci insegnano a comprendere il costo che ognuno di noi deve pagare a se stesso e alla natura per abitare nel mondo.
I greci ci hanno insegnato l’idea del bello (che, secondo la celebre equazione platonica, è uguale al vero e al bene); si sono spinti a indagare il sublime, la verità, la resurrezione, e il misterioso motivo per il quale non riusciamo a convivere senza la violenza e perché abbiamo bisogno di pace. A questo popolo dobbiamo la nostra forma di intelligenza, l’idea di tecnica (e il suo contrario), il senso dell’armonia, le forme di governo, le costruzioni geometriche, il gusto dell’arte. Furono loro a creare la politica. Claude Mossé in un saggio dedicato al tema, contenuto nell’opera Il sapere greco , della quale è uscito in edizione italiana il primo volume (Einaudi, pp. 648, euro 78), ricorda che «l’invenzione della politica è inseparabile dalla nascita di quella forma originale di stato che è la città-stato greca». Di contro, questo popolo fu anche maestro di irrazionalità; come pochi altri conobbe l’amore e lo praticò con una libertà a noi sconosciuta, arrivando a comprendere che ognuno deve vivere a suo modo - impossibile fissare regole generali! - la dimensione di questo mistero in cui anima e sensi si abbracciano. I greci ci hanno insegnato cosa significhi ridere e se la satira abbia dei confini, a loro dobbiamo ricorrere quando ci poniamo le grandi questioni della vita. Immanuel Kant compendiò le coordinate del nostro cercare chiedendosi «da dove veniamo?», «chi siamo?», «dove andiamo?»; ma tali domande si possono ritrovare nei pensatori greci, corredate da mille risposte e da altrettanti dubbi.
Pensiamo dunque con una testa greca e nella nostra anima succedono reazioni già note in quel mondo. Le scelte di cui siamo protagonisti sono state fatte sotto l’Acropoli di Atene e i sentimenti che governano la nostra vita passarono tra quelle pietre oltre duemila anni fa. Studiare i greci è come cercare di conoscere noi stessi. Per questo non possiamo ignorarli.
Disturbi da stress? Dipendono dalla proteina Mapk
una segnalazione di Paola Franz
www.cnr.it Roma, 2 maggio 2005
Disturbi da stress? Dipendono dalla proteina Mapk
La scoperta dell’Ibim-Cnr getta le basi per lo sviluppo di farmaci” intelligenti”, in grado di combattere depressione, ansia e tossicomanie
Si chiama Mapk e insieme al fattore proteico Egr1 ha un ruolo fondamentale nel determinare i comportamenti correlati allo stress. A individuarne la funzione è stato l’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo che, in collaborazione con l’Iserm di Bordeaux, ha condotto una ricerca sui meccanismi molecolari alla base degli effetti degli stimoli stressanti sull’organismo.
Ma cosa significa in concreto questa scoperta? “Molte delle conseguenze comportamentali dello stress”, spiega Francesco Di Blasi dell’Ibim-Cnr, “sono determinate dall’accrescimento dei livelli di cortisone, un ormone che attiva il recettore cellulare dei glucocorticoidi. E’ proprio questa variazione ormonale, ad esempio, che, in una situazione di stress acuto, facilita il processo di consolidamento della memoria associata a un’esperienza. Ed è sempre l’alterazione di tale sostanza a provocare, nel caso di uno stimolo stressante prolungato, disturbi quali depressione, ansia e tossicodipendenza. Finora”, prosegue il ricercatore, “era noto solo che l’aumento dei glucocorticoidi modifica, attivandolo, il recettore di questo ormone. Nulla si sapeva, invece, dei meccanismi molecolari alla base di questi processi. La nostra scoperta identificando Mapk e Egr1 come target molecolari costituisce un fondamentale passo avanti nella comprensione delle dinamiche alla base delle reazioni fisiche e psicologiche legate allo stress”.
Lo studio dell’Ibim-Cnr ha utilizzato topi transgenici ai quali, tramite una sofisticata tecnologia, è stato inattivato selettivamente il gene del recettore dei glucocorticoidi nel solo ippocampo, l’area del cervello che sovrintende, tra l’altro, ai processi di apprendimento. Ne è emerso che, inibendo la proteina Mapk, viene a ridursi anche la capacità di memorizzazione indotta dai glucorticoidi. Un analogo esperimento ha inoltre dimostrato che agendo sulla stessa proteina viene a ridursi anche la tendenza alla tossicodipendenza.
Il risultato raggiunto dall’Ibim-Cnr costituisce un importante passo in avanti verso la realizzazione di terapie farmacologiche mirate, capaci di agire esclusivamente, e quindi efficacemente e con scarsi effetti collaterali, sui target molecolari coinvolti nei principali disturbi legati allo stress, in particolare ansia, depressione e tossicodipendenza.
www.cnr.it Roma, 2 maggio 2005
Disturbi da stress? Dipendono dalla proteina Mapk
La scoperta dell’Ibim-Cnr getta le basi per lo sviluppo di farmaci” intelligenti”, in grado di combattere depressione, ansia e tossicomanie
Si chiama Mapk e insieme al fattore proteico Egr1 ha un ruolo fondamentale nel determinare i comportamenti correlati allo stress. A individuarne la funzione è stato l’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo che, in collaborazione con l’Iserm di Bordeaux, ha condotto una ricerca sui meccanismi molecolari alla base degli effetti degli stimoli stressanti sull’organismo.
Ma cosa significa in concreto questa scoperta? “Molte delle conseguenze comportamentali dello stress”, spiega Francesco Di Blasi dell’Ibim-Cnr, “sono determinate dall’accrescimento dei livelli di cortisone, un ormone che attiva il recettore cellulare dei glucocorticoidi. E’ proprio questa variazione ormonale, ad esempio, che, in una situazione di stress acuto, facilita il processo di consolidamento della memoria associata a un’esperienza. Ed è sempre l’alterazione di tale sostanza a provocare, nel caso di uno stimolo stressante prolungato, disturbi quali depressione, ansia e tossicodipendenza. Finora”, prosegue il ricercatore, “era noto solo che l’aumento dei glucocorticoidi modifica, attivandolo, il recettore di questo ormone. Nulla si sapeva, invece, dei meccanismi molecolari alla base di questi processi. La nostra scoperta identificando Mapk e Egr1 come target molecolari costituisce un fondamentale passo avanti nella comprensione delle dinamiche alla base delle reazioni fisiche e psicologiche legate allo stress”.
Lo studio dell’Ibim-Cnr ha utilizzato topi transgenici ai quali, tramite una sofisticata tecnologia, è stato inattivato selettivamente il gene del recettore dei glucocorticoidi nel solo ippocampo, l’area del cervello che sovrintende, tra l’altro, ai processi di apprendimento. Ne è emerso che, inibendo la proteina Mapk, viene a ridursi anche la capacità di memorizzazione indotta dai glucorticoidi. Un analogo esperimento ha inoltre dimostrato che agendo sulla stessa proteina viene a ridursi anche la tendenza alla tossicodipendenza.
Il risultato raggiunto dall’Ibim-Cnr costituisce un importante passo in avanti verso la realizzazione di terapie farmacologiche mirate, capaci di agire esclusivamente, e quindi efficacemente e con scarsi effetti collaterali, sui target molecolari coinvolti nei principali disturbi legati allo stress, in particolare ansia, depressione e tossicodipendenza.
La ricerca è pubblicata nel numero di maggio della rivista Nature neuroscience
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