un articolo ricevuto da Paolo Tombolesi
l'Unità - mercoledì 22 settembre 2004
Umberto Galimberti:
«Averci rubato il futuro ecco il vero terrorismo»
intervista di Roberto Cotroneo
L’occidente e la guerra, l'occidente e l'angoscia. L'ansia e la paura: la paura della guerra, la paura del terrorismo. Non riesci a evitarla, non puoi nasconderti. Tutto ti arriva comunque addosso. Quelli che possiedono un telefonino, e si abbonano a uno dei tanti servizi per ricevere via Sms le notizie più importanti del giorno, ne sanno qualcosa. La mattina ti svegli con il messaggino, che un tempo era sinonimo di gioco, di corteggiamento, di scambio di impressioni, e adesso invece ti informo di una bomba a Kirkuk, e poi di una nel triangolo sunnita, di dieci rapiti curdi, e di una esecuzione diffusa per video. La guerra globale è combattuta altrove ma ti arriva addosso da ogni direzione, contaminando oggetti quotidiani che non ne dovrebbero essere sfiorati. La prima di queste interviste, quella con lo psicoterapeuta infantile Massimo Ammaniti, cercava di capire cosa accade attraverso una lettura della psicologia infantile fatta per gli adulti. Che vuol dire, in pratica: se di fronte a questi eventi siamo tutti impreparati, cominciamo da zero, possiamo dire che di fronte a questi eventi siamo tutti bambini. Adesso giriamo molte domande a Umberto Galimberti. Che è una figura di confine, tra la psicoterapia, che pratica come analista junghiano, e la filosofia, che insegna all'università di Venezia. Senza contare che da anni tiene una rubrica giornalistica molto seguita di dialogo con i lettori. Galimberti, partiamo dalla paura del futuro. Che è un elemento nuovo e dirompente oggi.
«La dimensione ottimistica della storia ha radici biblico-cristiane. Nel senso che questa cultura ha pensato sempre il passato come male, il presente come redenzione, e il futuro come salvezza. E questo ottimismo teologico è durato sostanzialmente fino all'inizio del Settecento. Poi in epoca illuministica, quando il mondo si è laicizzato, questa tradizione ottimistica è passata nella scienza, nell'utopia, e nel positivismo. L'utopia sogna un mondo migliore...».
Che è dunque raggiungibile. Anche la rivoluzione sogna un mondo migliore.
«Certo, e la scienza crede nel progresso. Nella prima metà del Novecento questa dimensione ottimistica, che è solo giudaico-cristiana, comincia a perdersi. La rivoluzione non ha più una controparte, le utopie si dimenticano. E l'idea di una scienza positiva si fa sempre più problematica. Eppure questa idea teleologica,finalistica, della storia prosegue ancora per tutto il nostro dopoguerra. Fino al 1989». L'anno del crollo del mondo comunista, della fine dei due blocchi? «Sì. E con la fine del comunismo c'è la completa vittoria del capitalismo. Che potremmo definire una struttura secondo natura, ovvero che mette tra parentesi la cultura». Spiegati meglio. «La storia dell'umanità è un tentativo di correggere continuamente la naturalità dell'aggressione di un uomo sull'altro: homo homini lupus. Per natura devo sopprimere il prossimo. Perché l'uomo non è portato alla convivenza o alla pacificazione. A queste cose non ci si arriva per natura, ci si arriva per cultura».
E quindi?
«E quindi il capitalismo non fa altro che ricalcare la natura originaria dell'uomo, la sua natura senz'anima. Rimasto egemone il capitalismo e non avendo contraltari, tutto diventa mercato mondiale, e il mercato - lo sappiamo tutti - è la forma elegante del brigantaggio».
Immagino le reazioni di tutti i devoti del capitalismo a queste tue parole. La forma elegante del brigantaggio...
«Peccato che non lo dica io, ma lo dice Max Weber, che non era certo un comunista».
Allora siamo nell'era del più squisito brigantaggio.
«Chi ha può avere sempre di più e chi non ha è costretto a subire. Come se noi occidentali avessimo detto al resto del mondo: dateci quel che ci serve, perché se non ce lo date veniamo a prendercelo. E questo è un vissuto sotterraneo che noi tutti viviamo».
Senza averne coscienza fino in fondo.
«L'Ocse dice una cosa chiara. Noi occidentali siamo il 17% dell'umanità. È una colpa metafisica. Il filosofo Karl Jaspers la chiamò così, quando nel 1946 andò a Berlino a dire: la colpa è di noi tutti perché siamo sopravvissuti. I sopravvissuti si sentono in colpa per quelli che sono morti, i privilegiati hanno un po' di colpe rispetto agli svantaggiati della terra».
Questo è il primo aspetto. Quello della disparità. Poi c'è il secondo, che è culturale. Per la prima volta ci troviamo di fronte a qualcosa che non comprendiamo.
«Sono convinto che noi occidentali, anche se per duecento anni abbiamo fatto dell'antropologia culturale, anche se per quasi due millenni abbiamo cercato di elaborare il principio cristiano dell'altruismo e della carità, siamo rimasti rigorosamente etnocentrici. E intendo dire che non capiamo che chi non ha avuto uno sviluppo di massa del linguaggio, chi non ha avuto un'articolazione dello psichico, come abbiamo avuto noi occidentali, non ha parole, ma ha gesti. E noi non comprendiamo chi si esprime con dei gesti».
C'è un problema di comunicazione?
«Voglio dire che noi sono duemila anni che ci stiamo abituando alla parola, al logos, e chiamiamo terrorismo e violenza una qualità di linguaggio che noi non comprendiamo. Come nelle famiglie: dove non c'è una evoluzione culturale ci si picchia».
Così il terrorismo è una messa in scena del gesto, perché mancano le parole. E i terroristi sono tali perché non hanno strumenti culturali adeguati ai nostri.
«Quando Adriano Sofri distingue tra il suicidio, e il suicidio che diventa eccidio, dimentica una cosa. Noi occidentali possiamo suicidarci senza compiere eccidi, è vero. Ma questo avviene perché noi abbiamo le parole. E chi non ha le parole fa degli eccidi. Fa dei gesti».
Vuoi dire che in quel mondo lì, nel mondo islamico, non ci sono le parole? L'Islam ha avuto delle vette di civiltà e di intelligenza altissime.
«Ma non si è diffusa. A loro è accaduto qualcosa di analogo al nostro Rinascimento, dove c'erano cento intellettuali e poi il mondo viveva in ben altro modo».
Il gesto spiega la follia del kamikaze?
«Se io decido di morire, e sono nell'abisso della disperazione faccio come Sansone: muoia Sansone con tutti i filistei. La mia morte deve coincidere con la morte della totalità. Perché devo morire solo?».
Ma il terrorismo è sempre stato fatto da gente che cercava di far morire gli altri. Adesso non è più così.
«Perché siamo arrivati all'insignificanza dell'esistenza. Un morbo che non contagia solo gli altri, i paesi del Terzo Mondo, i paesi più poveri dove non c'è nessuna qualità della vita. C'è una continuità tra l'insignificanza della loro vita disperata e la nostra insignificanza, tutta occidentale».
Quale continuità?
«In occidente si è trattati come cose, siamo numeri. Ogni volta che io sono ridotto a cosa, sono in grado di trattare gli altri come cose, come numeri, e questa è la condizione necessaria, quella di base, per poter andare in guerra e ammazzare la gente».
L'eccidio, l'orrore di Beslan come è possibile? Sembra persino immorale dargli una spiegazione razionale. Inserirla in qualunque contesto che non sia il puro orrore.
«È possibile invece: e se la mia vita non conta niente, se non c'è più futuro, tutto questo può accadere».
Anche uccidere i bambini?
«Il bambino è solamente una misura del grado di distruttività che io ho dentro. Il grado di odio. Il bambino è il termometro di tutto questo».
La nostra vita è cambiata. Abbiamo la sindrome della guerra senza essere in guerra. Il pericolo è altrove, ma è anche qui. In che modo influisce tutto questo nella nostra vita?
«Esasperando il tasso di inquietudine. E quando dico inquietudine dico una parola importante. Intendo per inquietudine quello che Freud chiamava Unheimlich, il "non familiare". Quando tu arrivi a casa, ti rilassi perché non temi nessun pericolo. Oggi è come se vivessimo costantemente fuori casa. Fuori dalla nostra casa interiore. Continuiamo a fare le cose abituali, ma con un'inquietudine fortissima, che porta alla autosvalutazione dell'esistenza. E allora l'esistenza diventa casuale. E non ci sono più regole morali, non ci sono più divieti».
Perché?
«Perché le regole, l'etica funzionano alla sola condizione che ci sia una prospettiva. E che ci sia un futuro. Nell'assoluto presente non c'è niente».
Quindi siamo arrivati a un nodo cruciale. Una domanda di futuro che è sempre più difficile immaginare.
«Una domanda di futuro, è vero, e una domanda di "senso". Il "senso" è una proiezione sul futuro. Allora ha senso studiare se domani io... ha senso lavorare in vista di... ma se il futuro mi vien meno, allora la categoria del "senso" mi crolla. Io non credo che il "senso" sia una categoria antropologica, non credo che tutta l'umanità viva in una dimensione di "senso", non credo che l'indiano che sta di fronte al Gange cerchi un "senso" alla sua vita. Penso che il "senso" sia una categoria di noi occidentali in quanto cristiani».
Le cose hanno senso se fanno parte di un percorso, se portano a qualcosa.
«Infatti. Il cristianesimo ci dice che il tempo ha senso: in vista della salvezza, in vista del progresso, in vista di tutte queste cose qui. E così l'idea del senso è diventata costitutiva per tutti noi. E anche se non è universale per tutti gli uomini, per noi è essenziale».
Tu sei pessimista o ottimista?
«Al momento attuale non ho nessuna speranza. Te lo dico sinceramente. E non ce l'ho perché penso che siano state minate le matrici antropologiche che fanno sì che l'uomo stia in piedi. E questo è determinato dal fatto che il futuro ci è stato tolto. Il futuro non è progettabile oggi. Il vero atto di terrorismo verso di noi è stato toglierci il futuro».
rcotroneo@unita.it
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 24 settembre 2004
psicologi australiani:
cosa vediamo?
Il Gazzettino di Venezia Venerdì, 24 Settembre 2004
DALL’AUSTRALIA
L'occhio vede quello che il cervello vuole vedere
Sydney. «Non credo ai miei occhi» può essere solo un modo di dire, ma ha in sè qualcosa di molto vero. Come conferma una nuova ricerca australiana, ciò che vediamo è influenzato da ciò che il nostro cervello si aspetta di vedere, al punto da sopprimere le immagini che non concordano con la sua interpretazione degli eventi.
Gli psicologi dell'università di Sydney, nello studio appena pubblicato sulla rivista Current Biology, suggeriscono che vi è un circuito di feedback che consente al cervello di alterare la percezione visiva. I risultati gettano letteralmente nuova luce su come i segnali nel cervello consentano alle aspettative di influenzare ciò che vediamo.
La visione è il nostro patrimonio più prezioso, spiega il prof. Colin Clifford che ha guidato lo studio. Spesso però il cervello riceve solo spezzoni incompleti o ambigui di informazioni, perché le persone si muovono velocemente, l'illuminazione è scarsa, o la persona si sta concentrando sul qualcos'altro. «Il nostro cervello è costantemente al lavoro per riempire i vuoti e costruire la migliore interpretazione possibile di ciò che avviene all'esterno», spiega Clifford. «E la visione che ci fornisce si può rivelare assai più soggettiva di quanto ci aspetteremmo».
Nelle sperimentazioni, venivano mostrate alle persone due immagini molto differenti e incompatibili, una per ogni occhio, sfruttando un idea nota come «rivalità binoculare». Normalmente il cervello fonde insieme le visioni leggermente differenti prodotte da ciascuno occhio. Se le immagini sono molto differenti fra loro, si crea una rivalità, un processo per il quale l'immagine vista da un occhio è percepita e l'altra soppressa.
DALL’AUSTRALIA
L'occhio vede quello che il cervello vuole vedere
Sydney. «Non credo ai miei occhi» può essere solo un modo di dire, ma ha in sè qualcosa di molto vero. Come conferma una nuova ricerca australiana, ciò che vediamo è influenzato da ciò che il nostro cervello si aspetta di vedere, al punto da sopprimere le immagini che non concordano con la sua interpretazione degli eventi.
Gli psicologi dell'università di Sydney, nello studio appena pubblicato sulla rivista Current Biology, suggeriscono che vi è un circuito di feedback che consente al cervello di alterare la percezione visiva. I risultati gettano letteralmente nuova luce su come i segnali nel cervello consentano alle aspettative di influenzare ciò che vediamo.
La visione è il nostro patrimonio più prezioso, spiega il prof. Colin Clifford che ha guidato lo studio. Spesso però il cervello riceve solo spezzoni incompleti o ambigui di informazioni, perché le persone si muovono velocemente, l'illuminazione è scarsa, o la persona si sta concentrando sul qualcos'altro. «Il nostro cervello è costantemente al lavoro per riempire i vuoti e costruire la migliore interpretazione possibile di ciò che avviene all'esterno», spiega Clifford. «E la visione che ci fornisce si può rivelare assai più soggettiva di quanto ci aspetteremmo».
Nelle sperimentazioni, venivano mostrate alle persone due immagini molto differenti e incompatibili, una per ogni occhio, sfruttando un idea nota come «rivalità binoculare». Normalmente il cervello fonde insieme le visioni leggermente differenti prodotte da ciascuno occhio. Se le immagini sono molto differenti fra loro, si crea una rivalità, un processo per il quale l'immagine vista da un occhio è percepita e l'altra soppressa.
depressione post-partum
secondo gli americani...
Yahoo! Salute venerdì 24 settembre 2004
Depressione post-partum: quale terapia?
Il Pensiero Scientifico Editore
Elena Chiodi
I primi mesi dopo il parto si trasformano talvolta in un incubo per un incomprensibile malessere che colpisce molte donne: la depressione post-partum. Il Journal of Clinical Psychiatry affronta la questione pubblicando i risultati di due revisioni della letteratura sui trattamenti biologici e non biologici di questa patologia. Entrambe le ricerche mostrano tuttavia che, nonostante il crescente interesse del mondo medico-scientifico per questo disturbo, molti interrogativi restano ancora senza risposta.
I due studi hanno esaminato i più importanti articoli in lingua inglese basati su criteri metodologici di alta qualità. L’ indagine sui trattamenti biologici ha preso in considerazione le pubblicazioni realizzate tra il 1966 e il 2003, mentre per quanto riguarda i trattamenti non biologici l’intervallo di tempo preso in considerazione va del 1990 al 2003.
Dalla prima revisione è emerso che l’assunzione di antidepressivi, l’uso di estrogeni, la privazione controllata del sonno e la luminoterapia sono i trattamenti biologici menzionati per la cura della depressione postpartum, anche se non esistono studi controllati su ampi gruppi di popolazione che ne provino l’efficacia. Gli autori infatti sottolineano la carenza di evidenze disponibili, da poter usare in specifiche linee-guida e raccomandazioni cliniche.
Per quanto riguarda le evidenze sul trattamento non biologico, gli studi selezionati menzionavano interventi quali psicoterapia interpersonale, terapia cognitivo-comportamentale, supporto del partner, rilassamento e massaggio-terapia, cura del sonno con il bambino e terapia relazionale madre-bambino. In questo caso, però, i risultati circa l’efficacia degli interventi per la depressione post-partum sono considerati ambigui a causa dei forti limiti metodologici riscontrati nelle sperimentazioni prese in esame.
La conclusione è purtroppo che su queste basi risulta assolutamente auspicabile, come sottolinea la dottoressa Dennis, la conduzione di “un maggior numero di studi controllati e randomizzati per confrontare le differenti modalità di trattamento, l’efficacia di ciascun elemento delle terapie e per stabilire quali cure siano più indicate per le donne con differenti fattori di rischio o condizioni cliniche”.
Fonte: Dennis CL, Stewart DE. Treatment of postpartum depression, part 1: a critical review of biological interventions. J Clin Psychiatry 2004;65(9):1242-51.Dennis CL. Treatment of postpartum depression, part 2: a critical review of nonbiological interventions. J Clin Psychiatry 2004;65(9):1252-65.
Depressione post-partum: quale terapia?
Il Pensiero Scientifico Editore
Elena Chiodi
I primi mesi dopo il parto si trasformano talvolta in un incubo per un incomprensibile malessere che colpisce molte donne: la depressione post-partum. Il Journal of Clinical Psychiatry affronta la questione pubblicando i risultati di due revisioni della letteratura sui trattamenti biologici e non biologici di questa patologia. Entrambe le ricerche mostrano tuttavia che, nonostante il crescente interesse del mondo medico-scientifico per questo disturbo, molti interrogativi restano ancora senza risposta.
I due studi hanno esaminato i più importanti articoli in lingua inglese basati su criteri metodologici di alta qualità. L’ indagine sui trattamenti biologici ha preso in considerazione le pubblicazioni realizzate tra il 1966 e il 2003, mentre per quanto riguarda i trattamenti non biologici l’intervallo di tempo preso in considerazione va del 1990 al 2003.
Dalla prima revisione è emerso che l’assunzione di antidepressivi, l’uso di estrogeni, la privazione controllata del sonno e la luminoterapia sono i trattamenti biologici menzionati per la cura della depressione postpartum, anche se non esistono studi controllati su ampi gruppi di popolazione che ne provino l’efficacia. Gli autori infatti sottolineano la carenza di evidenze disponibili, da poter usare in specifiche linee-guida e raccomandazioni cliniche.
Per quanto riguarda le evidenze sul trattamento non biologico, gli studi selezionati menzionavano interventi quali psicoterapia interpersonale, terapia cognitivo-comportamentale, supporto del partner, rilassamento e massaggio-terapia, cura del sonno con il bambino e terapia relazionale madre-bambino. In questo caso, però, i risultati circa l’efficacia degli interventi per la depressione post-partum sono considerati ambigui a causa dei forti limiti metodologici riscontrati nelle sperimentazioni prese in esame.
La conclusione è purtroppo che su queste basi risulta assolutamente auspicabile, come sottolinea la dottoressa Dennis, la conduzione di “un maggior numero di studi controllati e randomizzati per confrontare le differenti modalità di trattamento, l’efficacia di ciascun elemento delle terapie e per stabilire quali cure siano più indicate per le donne con differenti fattori di rischio o condizioni cliniche”.
Fonte: Dennis CL, Stewart DE. Treatment of postpartum depression, part 1: a critical review of biological interventions. J Clin Psychiatry 2004;65(9):1242-51.Dennis CL. Treatment of postpartum depression, part 2: a critical review of nonbiological interventions. J Clin Psychiatry 2004;65(9):1252-65.
"nushu", l'unica lingua femminile al mondo
Virgilio News Apcom 24/09/2004 - 14:41
CINA/ MORTA L'ULTIMA DONNA IN GRADO DI PARLARE LA LINGUA "NUSHU"
L'unica lingua esclusivamente femminile del mondo
Roma, 24 set. (Apcom) - Si chiamava Yang Huanyi, ed aveva 98 anni: la sua morte, avvenuta ieri nella provincia cinese di Hunan, segna la scomparsa dell'ultima persona ancora in grado di parlare la lingua "nushu", utilizzata per secoli in Cina esclusivamente dalle donne.
Il 'nushu', scoperto nel 1982 da una linguista cinese, era l'unica lingua esclusivamente femminile del mondo, i cui manoscritti sono estremamenmte rari, visto che tradizionalmente venivano bruciati o sepolti insieme alle defunte. Vistesi private per secoli di un'educazione formale, le donne della provincia di Hunan svilupparono una forma di scrittura particolare per poter comunicare fra di loro.
I messaggi venivano trasmessi spesso ricamando i caratteri su dei pezzi di stoffa, data la mancanza di carta, e sfruttando la decorazione dei bordi: per questo si scrive in colonne verticali ed i caratteri, ispirati agli ideogrammi cinesi, sono più stilizzati per permetterne il ricamo. Il vocabolario del 'nushu' era formato da circa 1.500 parole: con la morte di Yang, unici testimoni della lingua scomparsa rimangono una serie di diari manoscritti.
copyright @ 2004 APCOM
CINA/ MORTA L'ULTIMA DONNA IN GRADO DI PARLARE LA LINGUA "NUSHU"
L'unica lingua esclusivamente femminile del mondo
Roma, 24 set. (Apcom) - Si chiamava Yang Huanyi, ed aveva 98 anni: la sua morte, avvenuta ieri nella provincia cinese di Hunan, segna la scomparsa dell'ultima persona ancora in grado di parlare la lingua "nushu", utilizzata per secoli in Cina esclusivamente dalle donne.
Il 'nushu', scoperto nel 1982 da una linguista cinese, era l'unica lingua esclusivamente femminile del mondo, i cui manoscritti sono estremamenmte rari, visto che tradizionalmente venivano bruciati o sepolti insieme alle defunte. Vistesi private per secoli di un'educazione formale, le donne della provincia di Hunan svilupparono una forma di scrittura particolare per poter comunicare fra di loro.
I messaggi venivano trasmessi spesso ricamando i caratteri su dei pezzi di stoffa, data la mancanza di carta, e sfruttando la decorazione dei bordi: per questo si scrive in colonne verticali ed i caratteri, ispirati agli ideogrammi cinesi, sono più stilizzati per permetterne il ricamo. Il vocabolario del 'nushu' era formato da circa 1.500 parole: con la morte di Yang, unici testimoni della lingua scomparsa rimangono una serie di diari manoscritti.
copyright @ 2004 APCOM
a Genova:
un convegno su Lombroso
Repubblica 24.9.04
CONVEGNI
Sei genio o criminale? Basta guardarti in faccia
E´ possibile riconoscere un genio o un criminale dai suoi tratti somatici? Alla fine dell´800, lo psichiatra italiano Cesare Lombroso (1835-1909) divenne famoso in tutto il mondo per i suoi studi in materia, inventando in pratica l´antropologia criminale. L´importanza e la novità dei suoi studi era tale da andare al di là di psichiatria o criminologia, per influenzare anche le arti e la letteratura: e a questi aspetti si rivolge il convegno che oggi e domani gli dedicano il Centro culturale italo-francese Galliera e la facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell´Università di Genova (piazza S.Sabina 2, primo piano, aula I).
Interverranno alcuni dei principali studiosi italiani e francesi, da Delia Frigessi a Jean-Louis Cabanès: venerdì si parlerà della letteratura italiana di fine '800, di Zola e di Mirbeau; sabato toccherà al rapporto con Nordau, Polti, la scuola della Salpetrière e all´influenza esercitata negli ambienti esoterici e spiritisti, che vedevano nei suoi studi una prosecuzione delle loro teorie. Curiosità: le fortune di Lombroso cominciarono a decadere quando, dopo la morte, lasciò il suo cervello alla scienza e si scoprì che non aveva alcuna caratteristica geniale, ma evidenti segni di aterosclerosi...
CONVEGNI
Sei genio o criminale? Basta guardarti in faccia
E´ possibile riconoscere un genio o un criminale dai suoi tratti somatici? Alla fine dell´800, lo psichiatra italiano Cesare Lombroso (1835-1909) divenne famoso in tutto il mondo per i suoi studi in materia, inventando in pratica l´antropologia criminale. L´importanza e la novità dei suoi studi era tale da andare al di là di psichiatria o criminologia, per influenzare anche le arti e la letteratura: e a questi aspetti si rivolge il convegno che oggi e domani gli dedicano il Centro culturale italo-francese Galliera e la facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell´Università di Genova (piazza S.Sabina 2, primo piano, aula I).
Interverranno alcuni dei principali studiosi italiani e francesi, da Delia Frigessi a Jean-Louis Cabanès: venerdì si parlerà della letteratura italiana di fine '800, di Zola e di Mirbeau; sabato toccherà al rapporto con Nordau, Polti, la scuola della Salpetrière e all´influenza esercitata negli ambienti esoterici e spiritisti, che vedevano nei suoi studi una prosecuzione delle loro teorie. Curiosità: le fortune di Lombroso cominciarono a decadere quando, dopo la morte, lasciò il suo cervello alla scienza e si scoprì che non aveva alcuna caratteristica geniale, ma evidenti segni di aterosclerosi...
gli adolescenti
Repubblica 24.9.04
LA RICERCA
Il comportamento sessuale secondo gli andrologi
Teenager senza tabù prima volta a 16 anni
TRIESTE - Fanno sesso per la prima volta a 16 anni, in due casi su tre con una partner fissa; sono molto informati sulle malattie sessualmente tramissibili, ma più della metà non usa mai un contraccettivo; quasi un terzo è già stato colpito da malattie genitali. E per l´80% parlare di sesso in famiglia è ancora tabù.
È questa la fotografia sui comportamenti sessuali degli adolescenti italiani emersa da due progetti presentati ieri al XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Andrologia in corso a Trieste. I progetti, svolti uno in Lombardia e l´altro tra Sicilia, Umbria, Toscana e Liguria, hanno coinvolto circa mille studenti delle scuole medie superiori. Da interviste, questionari e incontri è emerso che il 36,64% del campione non ha mai avuto rapporti sessuali, mentre ha già avuto rapporti il 30,52% dei giovani tra i 15 e i 17 anni e il 66,67% di quelli fra i 19 e i 21. Usa il preservativo solo il 39,64 degli intervistati, nonostante il 99,78% ritenga molto importante avere rapporti protetti. Circa il 30% del campione soffre di malattie genitali, legate spesso, secondo gli esperti, a stili di vita sbagliati. La sessualità rimane un argomento difficile da affrontare sia con la partner (il 55% non ne parla), sia in famiglia: solo il 19,86% dei ragazzi parla liberamente di sesso coi i genitori.
La Stampa 24 Settembre 2004
L’ALLARME DAL CONGRESSO DEGLI ANDROLOGI A TRIESTE
Prima volta a 16 anni
e senza precauzioni
Un adolescente su tre ha un disturbo sessuale e spesso non lo sa
E’ boom delle malattie infettive. «I giovani sono poco informati»
ROMA. La maggioranza dei giovani non usa mai i contraccettivi. A 16 anni i ragazzi hanno il primo rapporto, ma poi non si sentono all'altezza della situazione, anche perchè di sesso sanno poco. E un adolescente su tre ha una patologia genitale. L’allarme parte dal XXI congresso nazionale di andrologia, in corso a Trieste.
Varicocele nei giovanissimi, malattie sessualmente trasmesse e disfunzione erettile già tra i 18 e i 20 anni. Sono alcuni dei risultati di due progetti pilota di informazione, prevenzione e diagnosi precoce: andrologi e psicologi psicoterapeuti hanno incontrato, intervistato e visitato studenti nelle scuole medie superiori di cinque regioni.
La presenza di malattie andrologiche nel campione di ragazzi dei due progetti pilota risulta superiore al 30 per cento. Nella fascia di età dei diciottenni, il dato è ancora più elevato: 33,8 per cento. La patologia del varicocele (dilatazione delle vene del testicolo che produce una riduzione della qualità del liquido spermale) è risultata presente nel 24,6 per cento del campione, con un aumento del 6-8 per cento rispetto ai dati finora in possesso degli specialisti.
Il problema del deficit erettile è in aumento ed è presente nei 17-18enni: nel 2,4 per cento dei ragazzi esaminati e nel 5,1 per cento di quelli che hanno avuto almeno un rapporto sessuale. Le malattie sessualmente trasmessibili fanno la loro precoce comparsa: nel 3,8 per cento dei ragazzi che ha avuto almeno un rapporto sessuale. «I disturbi e le malattie genitali e sessuali negli adolescenti sono presenti in quantità allarmante - commenta il professor Edoardo Austoni, presidente della Società italiana di antrodologia -, ma è bene ricordare che potranno essere in buona misura curati subito, oppure una volta raggiunta la maturità».
Quali sono i comportamenti sessuali dei più giovani? L'età media del primo rapporto è di 16 anni. La maggioranza assoluta dei ragazzi non usa mai il contraccettivo. Gli adolescenti si dicono molto informati sui metodi contraccettivi (per il 91% si dichiarano molto o mediamente informati), ma di fatto vi ricorrono poco: il 54 per cento non usa affatto metodi contraccettivi, in base ai risultati di uno dei due progetti, il 57 per cento secondo i dati dell'altro.
Incoerenza anche sulle malattie sessualmente trasmissibili: l’89 per cento si dichiara informato e il 99 per cento ritiene importante avere rapporti protetti, ma solo il 34 per cento utilizza il preservativo. Molti ragazzi si sentono abbandonati a se stessi. Nè la famiglia, né le istituzioni sono in grado di fornigli quelle informazione fondamentali sulla salute e la vita sessuale e i ragazzi spesso finiscono per cercare disperatamente informazioni navigando su internet. Quasi la metà, infine, lamenta disfunzione erettile.
LA RICERCA
Il comportamento sessuale secondo gli andrologi
Teenager senza tabù prima volta a 16 anni
TRIESTE - Fanno sesso per la prima volta a 16 anni, in due casi su tre con una partner fissa; sono molto informati sulle malattie sessualmente tramissibili, ma più della metà non usa mai un contraccettivo; quasi un terzo è già stato colpito da malattie genitali. E per l´80% parlare di sesso in famiglia è ancora tabù.
È questa la fotografia sui comportamenti sessuali degli adolescenti italiani emersa da due progetti presentati ieri al XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Andrologia in corso a Trieste. I progetti, svolti uno in Lombardia e l´altro tra Sicilia, Umbria, Toscana e Liguria, hanno coinvolto circa mille studenti delle scuole medie superiori. Da interviste, questionari e incontri è emerso che il 36,64% del campione non ha mai avuto rapporti sessuali, mentre ha già avuto rapporti il 30,52% dei giovani tra i 15 e i 17 anni e il 66,67% di quelli fra i 19 e i 21. Usa il preservativo solo il 39,64 degli intervistati, nonostante il 99,78% ritenga molto importante avere rapporti protetti. Circa il 30% del campione soffre di malattie genitali, legate spesso, secondo gli esperti, a stili di vita sbagliati. La sessualità rimane un argomento difficile da affrontare sia con la partner (il 55% non ne parla), sia in famiglia: solo il 19,86% dei ragazzi parla liberamente di sesso coi i genitori.
La Stampa 24 Settembre 2004
L’ALLARME DAL CONGRESSO DEGLI ANDROLOGI A TRIESTE
Prima volta a 16 anni
e senza precauzioni
Un adolescente su tre ha un disturbo sessuale e spesso non lo sa
E’ boom delle malattie infettive. «I giovani sono poco informati»
ROMA. La maggioranza dei giovani non usa mai i contraccettivi. A 16 anni i ragazzi hanno il primo rapporto, ma poi non si sentono all'altezza della situazione, anche perchè di sesso sanno poco. E un adolescente su tre ha una patologia genitale. L’allarme parte dal XXI congresso nazionale di andrologia, in corso a Trieste.
Varicocele nei giovanissimi, malattie sessualmente trasmesse e disfunzione erettile già tra i 18 e i 20 anni. Sono alcuni dei risultati di due progetti pilota di informazione, prevenzione e diagnosi precoce: andrologi e psicologi psicoterapeuti hanno incontrato, intervistato e visitato studenti nelle scuole medie superiori di cinque regioni.
La presenza di malattie andrologiche nel campione di ragazzi dei due progetti pilota risulta superiore al 30 per cento. Nella fascia di età dei diciottenni, il dato è ancora più elevato: 33,8 per cento. La patologia del varicocele (dilatazione delle vene del testicolo che produce una riduzione della qualità del liquido spermale) è risultata presente nel 24,6 per cento del campione, con un aumento del 6-8 per cento rispetto ai dati finora in possesso degli specialisti.
Il problema del deficit erettile è in aumento ed è presente nei 17-18enni: nel 2,4 per cento dei ragazzi esaminati e nel 5,1 per cento di quelli che hanno avuto almeno un rapporto sessuale. Le malattie sessualmente trasmessibili fanno la loro precoce comparsa: nel 3,8 per cento dei ragazzi che ha avuto almeno un rapporto sessuale. «I disturbi e le malattie genitali e sessuali negli adolescenti sono presenti in quantità allarmante - commenta il professor Edoardo Austoni, presidente della Società italiana di antrodologia -, ma è bene ricordare che potranno essere in buona misura curati subito, oppure una volta raggiunta la maturità».
Quali sono i comportamenti sessuali dei più giovani? L'età media del primo rapporto è di 16 anni. La maggioranza assoluta dei ragazzi non usa mai il contraccettivo. Gli adolescenti si dicono molto informati sui metodi contraccettivi (per il 91% si dichiarano molto o mediamente informati), ma di fatto vi ricorrono poco: il 54 per cento non usa affatto metodi contraccettivi, in base ai risultati di uno dei due progetti, il 57 per cento secondo i dati dell'altro.
Incoerenza anche sulle malattie sessualmente trasmissibili: l’89 per cento si dichiara informato e il 99 per cento ritiene importante avere rapporti protetti, ma solo il 34 per cento utilizza il preservativo. Molti ragazzi si sentono abbandonati a se stessi. Nè la famiglia, né le istituzioni sono in grado di fornigli quelle informazione fondamentali sulla salute e la vita sessuale e i ragazzi spesso finiscono per cercare disperatamente informazioni navigando su internet. Quasi la metà, infine, lamenta disfunzione erettile.
il Restomancia
di Pino Di Maula
da Avvenimenti n 37, uscito oggi
Tra un primo e un secondo ecco le notizie
di Simona Maggiorelli
Se i giornali che offrono spazio alla libera informazione sono sempre più rari in quest’Italia editoriale monopolizzata da Berlusconi. Se i lettori scarseggiano e la precarizzazione avanza, c’è chi, come il giornalista Pino Di Maula - instancabile ideatore di iniziative editoriali nell’ultima decina di anni-, invece di rassegnarsi e appendere al chiodo la penna, ha messo in moto la fantasia, facendosi venire qualche ghiotta idea. Come quella di prendere il lettore per la gola, scodellandogli le notizie fresche fresche, direttamente in tavola. Chiamatela free press da tavola o mensile in formato tovaglietta o, come dicono gli esperti, new media cartaceo. Comunque sia Il Restomancia è il primo giornale da colazione, pranzo, cena, merenda e pic nic in Europa e, a quel che ci risulta, anche Oltreoceano. L’unico, come recita lo slogan "che serve tra le posate notizie agrodolci a misura di palato per stuzzicare il cervello". Con testi e fumetti d’autore. Pezzi di cultura, spettacolo e che aiutano la qualità della vita, ma anche inchieste toste, di primo piano, che affrontano temi importanti di politica, economia, salute, psichiatria. Distribuito già in 900mila copie, Il Restomancia scivola sulle tavole di circa 4mila esercizi pubblici italiani come un qualsiasi giornale. Ad ottobre esce la prima puntata di Vorrei ma non posso, il numero zero di un romanzo illustrato. E a settembre è stata già la volta di Bimbinforma. La notizia questa volta s’indossa. Su t-shirt per piccini che non te lo mandano a dire. Pensieri leggeri e pieni di vita, che sgorgano dopo un anno non proprio leggero per la redazione di Clorofilla.it. Era il 2003 quando l’amministratore unico di questa ben conosciuta rivista on line di informazione non adulterata "mise l’intera redazione di fronte alla scelta di rinunciare per iscritto al pregresso di molti mesi di lavoro o fare le valigie!", racconta Pino Di Maula. "Al simpatico out out del manager - prosegue - rispondemmo discorsi sulla deontologia professionale, codici civili e penali, tirammo in ballo diritti e consuetudini che regolano l’attività professionale. Ma lui niente, se ne fregava di tutte quelle menate tipiche dei giornalisti". Come a molti editori del momento cercava solo “bravi” esecutori di marchette. Della schiettezza di contenuti della testata on line si poteva fare a meno. "Ci trovammo così, con molta malinconia di fronte alla chiusura - ricorda ancora Pino -. Se non puoi pubblicare non ha senso intervistare il soldato dissidente il pacifista o il ricercatore nottambulo". Ma, per fortuna c’era ancora quel pc portatile in casa, collegato in rete. E la voglia di ricominciare ricomincia a frullare. Vengono le idee e le corse al Tribunale per registrare la testata. La ricerca del grafico e dello stampatore di fiducia. Nasce così la nuova originalissima creatura. Il coperto d’intrattenimento che ora va fortissimo su tavoli di osterie e pub alternativa di mezza Italia, 300mila solo su Roma, 100mila su Bologna, ben 200mila fra Palermo e Catania. Con l’aggiunta di numeri speciali per mense scolastiche e aziendali, festival di partito e associazioni. Contenuti e veste grafica, sempre e comunque, a prova di macchia.
Tra un primo e un secondo ecco le notizie
di Simona Maggiorelli
Se i giornali che offrono spazio alla libera informazione sono sempre più rari in quest’Italia editoriale monopolizzata da Berlusconi. Se i lettori scarseggiano e la precarizzazione avanza, c’è chi, come il giornalista Pino Di Maula - instancabile ideatore di iniziative editoriali nell’ultima decina di anni-, invece di rassegnarsi e appendere al chiodo la penna, ha messo in moto la fantasia, facendosi venire qualche ghiotta idea. Come quella di prendere il lettore per la gola, scodellandogli le notizie fresche fresche, direttamente in tavola. Chiamatela free press da tavola o mensile in formato tovaglietta o, come dicono gli esperti, new media cartaceo. Comunque sia Il Restomancia è il primo giornale da colazione, pranzo, cena, merenda e pic nic in Europa e, a quel che ci risulta, anche Oltreoceano. L’unico, come recita lo slogan "che serve tra le posate notizie agrodolci a misura di palato per stuzzicare il cervello". Con testi e fumetti d’autore. Pezzi di cultura, spettacolo e che aiutano la qualità della vita, ma anche inchieste toste, di primo piano, che affrontano temi importanti di politica, economia, salute, psichiatria. Distribuito già in 900mila copie, Il Restomancia scivola sulle tavole di circa 4mila esercizi pubblici italiani come un qualsiasi giornale. Ad ottobre esce la prima puntata di Vorrei ma non posso, il numero zero di un romanzo illustrato. E a settembre è stata già la volta di Bimbinforma. La notizia questa volta s’indossa. Su t-shirt per piccini che non te lo mandano a dire. Pensieri leggeri e pieni di vita, che sgorgano dopo un anno non proprio leggero per la redazione di Clorofilla.it. Era il 2003 quando l’amministratore unico di questa ben conosciuta rivista on line di informazione non adulterata "mise l’intera redazione di fronte alla scelta di rinunciare per iscritto al pregresso di molti mesi di lavoro o fare le valigie!", racconta Pino Di Maula. "Al simpatico out out del manager - prosegue - rispondemmo discorsi sulla deontologia professionale, codici civili e penali, tirammo in ballo diritti e consuetudini che regolano l’attività professionale. Ma lui niente, se ne fregava di tutte quelle menate tipiche dei giornalisti". Come a molti editori del momento cercava solo “bravi” esecutori di marchette. Della schiettezza di contenuti della testata on line si poteva fare a meno. "Ci trovammo così, con molta malinconia di fronte alla chiusura - ricorda ancora Pino -. Se non puoi pubblicare non ha senso intervistare il soldato dissidente il pacifista o il ricercatore nottambulo". Ma, per fortuna c’era ancora quel pc portatile in casa, collegato in rete. E la voglia di ricominciare ricomincia a frullare. Vengono le idee e le corse al Tribunale per registrare la testata. La ricerca del grafico e dello stampatore di fiducia. Nasce così la nuova originalissima creatura. Il coperto d’intrattenimento che ora va fortissimo su tavoli di osterie e pub alternativa di mezza Italia, 300mila solo su Roma, 100mila su Bologna, ben 200mila fra Palermo e Catania. Con l’aggiunta di numeri speciali per mense scolastiche e aziendali, festival di partito e associazioni. Contenuti e veste grafica, sempre e comunque, a prova di macchia.
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