Il Messaggero sabato 18 Dicembre 2004
Rivelazioni di un ex notaio tedesco e di una storica austriaca che hanno esaminato le dichiarazioni dei redditi
Hitler, dittatore ed evasore fiscale
Quando giunse al potere, si fece condonare i debiti. Pagava solo le tasse per i cani
di WALTER RAUHE
BERLINO – Di Adolf Hitler pensavamo di sapere già tutto, anzi fin troppo. Ad esempio che era un vegetariano e che amava cenare a base di pasta o tortellini. O che aveva un rapporto anomalo e conflittuale con le donne ma in cambio adorava fino allo spasimo i cani lupo. Che era un artista fallito respinto dall’Accademia delle belle arti di Vienna (non l’avessero mai fatto...) o che amava le opere di Wagner. Ma che il più grande tiranno e criminale della storia moderna fosse anche un banalissimo evasore fiscale, questo finora non lo aveva sospettato nessuno.
La nuova scoperta la dobbiamo a Klaus-Dieter Dubon, 71 anni ed ex notaio di Immenstadt nel sud della Germania, che assieme alla storica viennese Anna Maria Sigmund si è preso la briga di scartabellare negli archivi di stato di Monaco di Baviera alla ricerca delle dichiarazioni dei redditi del “Führer”. Con risultati a dir poco sorprendenti: il dittatore che esigeva dai tedeschi ogni tipo di sacrificio materiale e spirituale per la patria-nazione, non ha perso occasione per frodare il Fisco. Giá nel lontano 1921, quando divenne capo del neofondato partito nazionalsocialista (Nsdap), l’ufficio tributario di Monaco chiese all’allora nullatenente delucidazioni sull’acquisto di una lussuosa automobile marca “Selve”. Hitler si giustificò parlando di una donazione e assicurò di non disporre di proprie entrate. Il contenzioso con l’ufficio tributario si è poi protratto fino al 1933, quando i nazisti salirono al potere. Hitler nel frattempo aveva già scritto il suo trattato “Mein Kampf”, una sorta di bestseller con più di 280mila copie vendute e per il quale incassa fino al 1932 1,2 milioni di Marchi del Reich in diritti d’autore. Al fisco però ne dichiarerá solamente 11.231 (in una dichiarazione dei redditi del 1925) esigendo ugualmente la detrazione di spese vive come l’autista, la segretaria o le spese di viaggio. L’ufficio tributario di Monaco di Baviera crede ingenuamente alle dichiarazioni dell’aspirante dittatore e fissa come tassa la cifra irrisoria di 782,10 Marchi del Reich. Ma Hitler si rifiuta ugualmente di pagarli, conscio forse del fatto che di lì a pochi anni avrebbe conquistato il potere accumulando ben altri debiti e delitti.
«Fino al 1932 Hitler ha così accumulato debiti fiscali per ben 400mila Marchi del Reich», spiega Klaus-Dieter Dubon. «L’equivalente di ben sei milioni di Euro di oggi». L’intraprendente ex notaio in pensione e la storica viennese hanno scovato negli archivi di Monaco anche i documenti di “esonero” da tutti i debiti di Hitler nei confronti degli uffici tributari tedeschi emesso segretamente nel 1934 dal ministero delle Finanze del Reich e controfirmato dallo stesso “Führer”. Una sola imposta Adolf Hitler l’ha sempre pagata puntualmente: quella per i cani.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
sabato 18 dicembre 2004
Umbria
approvato un documento per la tutela della salute mentale
AGI 18.12.04
SANITA': UMBRIA, APPROVATI INDIRIZZI PER TUTELA SALUTE MENTALE
(AGI) - Perugia, 18 dic. - Come puo' essere valutata l'Umbria dal punto di vista della salute mentale? Che fare per tutelare e migliorare gli interventi?: sono gli interrogativi ai quali vuol rispondere il documento di "Linee guida per la promozione e la tutela della salute mentale" approvato, dalla Giunta regionale dell'Umbria nell'ambito degli indirizzi programmatici per l'attuazione del Piano sanitario 2003-2005."L'area della salute mentale - ha detto l'assessore Maurizio Rosi - ha sempre rappresentato una priorita' della politica della Regione, nella convinzione che, come non si stanca di affermare l'organizzazione mondiale della sanita', non puo' esistere una buona salute 'fisica', senza una buona salute mentale". L'Umbria vanta grandi e illustri precedenti in proposito: essa fu una delle "culle" del movimento di rinnovamento e umanizzazione della psichiatria che condusse, tra la fine degli anni 60' e il decennio successivo, alla legge 180, alla chiusura dei manicomi ed alla sperimentazione dei Centri di Igiene Mentale, CIM in sigla, convertita oggi, in CSM (Centri per la salute mentale). La mancanza di studi epidemiologici rende difficile, e' detto nel documento approvato dalla Giunta regionale, stabilire "le dimensioni della salute mentale". Si puo' supporre che la realta' umbra sia rapportabile a quella delineata dal Rapporto 2001 dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', secondo il quale, nei paesi sviluppati, oltre il 25% della popolazione "presenta uno o piu' disturbi mentali o comportamentali nel corso della vita". Il livello di salute mentale e' la risultante di vari fattori: la poverta', il sesso, l'eta', fattori familiari e fisico ambientali, malattie fisiche gravi. Spicca il fatto che i disturbi mentali tra i poveri sono circa il doppio rispetto alla popolazione a reddito alto. (AGI) Cli/Red
SANITA': UMBRIA, APPROVATI INDIRIZZI PER TUTELA SALUTE MENTALE
(AGI) - Perugia, 18 dic. - Come puo' essere valutata l'Umbria dal punto di vista della salute mentale? Che fare per tutelare e migliorare gli interventi?: sono gli interrogativi ai quali vuol rispondere il documento di "Linee guida per la promozione e la tutela della salute mentale" approvato, dalla Giunta regionale dell'Umbria nell'ambito degli indirizzi programmatici per l'attuazione del Piano sanitario 2003-2005."L'area della salute mentale - ha detto l'assessore Maurizio Rosi - ha sempre rappresentato una priorita' della politica della Regione, nella convinzione che, come non si stanca di affermare l'organizzazione mondiale della sanita', non puo' esistere una buona salute 'fisica', senza una buona salute mentale". L'Umbria vanta grandi e illustri precedenti in proposito: essa fu una delle "culle" del movimento di rinnovamento e umanizzazione della psichiatria che condusse, tra la fine degli anni 60' e il decennio successivo, alla legge 180, alla chiusura dei manicomi ed alla sperimentazione dei Centri di Igiene Mentale, CIM in sigla, convertita oggi, in CSM (Centri per la salute mentale). La mancanza di studi epidemiologici rende difficile, e' detto nel documento approvato dalla Giunta regionale, stabilire "le dimensioni della salute mentale". Si puo' supporre che la realta' umbra sia rapportabile a quella delineata dal Rapporto 2001 dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', secondo il quale, nei paesi sviluppati, oltre il 25% della popolazione "presenta uno o piu' disturbi mentali o comportamentali nel corso della vita". Il livello di salute mentale e' la risultante di vari fattori: la poverta', il sesso, l'eta', fattori familiari e fisico ambientali, malattie fisiche gravi. Spicca il fatto che i disturbi mentali tra i poveri sono circa il doppio rispetto alla popolazione a reddito alto. (AGI) Cli/Red
un ciclo radiofonico
Emanuele Severino commenterà il Secretum di Petrarca
Il Giornale di Brescia 18.12.04
Il filosofo Severino commenta il Petrarca del «Secretum»
RADIO 3, DA LUNEDI’
Nel settimo centenario della morte del grande poeta, Radio tre Suite propone un ciclo di quattro settimane dedicato ad uno dei testi più enigmatici dell’aretino, il Secretum (il mio segreto). Da lunedì 20 dicembre al 14 gennaio, dal lunedì al venerdì in apertura di trasmissione alle 20, il filosofo Emanuele Severino commenterà l’opera con il suo alter-ego, incarnato dall’amata figura di S. Agostino. Un dialogo immaginario con forti implicazioni autobiografiche e che tocca i temi della caducità della vita umana, del suo vero valore, con l’effimera gloria terrena e le gioie dell’amore. Dai commenti di Severino scaturiscono percorsi che esulano dall’ambito strettamente letterario e che spaziano in diversi ambiti, dalla filosofia alla scienza, senza trascurare rimandi interni al corpus petrarchiano. Le letture dal «Secretum» sono a cura di Alberto Donatelli
Il filosofo Severino commenta il Petrarca del «Secretum»
RADIO 3, DA LUNEDI’
Nel settimo centenario della morte del grande poeta, Radio tre Suite propone un ciclo di quattro settimane dedicato ad uno dei testi più enigmatici dell’aretino, il Secretum (il mio segreto). Da lunedì 20 dicembre al 14 gennaio, dal lunedì al venerdì in apertura di trasmissione alle 20, il filosofo Emanuele Severino commenterà l’opera con il suo alter-ego, incarnato dall’amata figura di S. Agostino. Un dialogo immaginario con forti implicazioni autobiografiche e che tocca i temi della caducità della vita umana, del suo vero valore, con l’effimera gloria terrena e le gioie dell’amore. Dai commenti di Severino scaturiscono percorsi che esulano dall’ambito strettamente letterario e che spaziano in diversi ambiti, dalla filosofia alla scienza, senza trascurare rimandi interni al corpus petrarchiano. Le letture dal «Secretum» sono a cura di Alberto Donatelli
l'odio cattolico per le donne
Una lettera di Ratzinger
La guerra dei sessi va messa al bando
Luigi Ferlazzo Natoli
Il 31 maggio 2004 con approvazione di Giovanni Paolo II viene pubblicata la lettera del cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cui titolo suona: «Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella chiesa e nel mondo». In un momento storico in cui si assiste a una vera e propria guerra di sopraffazione dell'ex sesso debole femminile nei confronti di quello maschile, si avverte nella donna una spinta esagerata alla competizione con l'uomo, inteso come maschio prevaricatore; si va incontro alla fine del dialogo e al rifiuto delle ragioni dell'altro; in siffatto frangente l'intervento della Chiesa – come si legge nella Introduzione – intende proporre «dopo una breve presentazione e valutazione critica di alcune concezioni antropologiche odierne, riflessioni ispirate dai dati dottrinali dell'antropologia biblica – indispensabili per salvaguardare l'identità della persona umana – circa alcuni presupposti per una corretta comprensione della collaborazione attiva, nel riconoscimento della loro stessa differenza, tra uomo e donna nella chiesa e nel mondo». In altri termini, in appena trentacinque pagine, dopo aver esaminato i dati fondamentali dell'antropologia biblica, la lettera esamina «l'attualità dei valori femminili nella vita della società», nonché l'attualità degli stessi valori nella vita della Chiesa. Si rivolge in prima battuta ai vescovi e quindi al mondo cattolico, ma propone – direi ovviamente o inevitabilmente – un modello per tutti. L'impatto di questa lettera con i media è stato come sempre devastante e il movimento femminista è prontamente insorto. Ricorderò per tutti l'intervento di Emma Bonino che, addirittura, paragona l'autore della lettera (Ratzinger) all'imam della moschea di Al Azar. Ciò finisce col ribaltare l'accusa di fondamentalismo all'atteggiamento della Chiesa sui rapporti uomo-donna. La mia impressione è che, se di fondamentalismo si deve parlare, esso debba essere rivolto all'atteggiamento del post-femminismo nei confronti del maschilismo ormai superato dai fatti. Se il movimento femminista storicamente è stato decisivo per rimuovere le discriminazioni nei confronti del lavoro femminile e della donna in generale (nella famiglia e nella società), oggi il post-femminismo mira all'annientamento di tutto ciò che è «maschile», utilizzando lo strumento della competitività a oltranza tra i sessi (maschile e femminile), la rottura del dialogo, la totale mancanza di ascolto dell'altro. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: e vanno dalla diminuzione dei matrimoni all'aumento dei singles, alla crisi della famiglia, alla difficile condizione dei figli. In altri termini, il fondamentalismo del post-femminismo sta nel rifiuto in toto della lettera di Ratzinger alle donne. Dopo l'excursus, compiuto nella lettera, dall'Antico al Nuovo Testamento, si perviene alla conclusione secondo cui «distinti fin dall'inizio della creazione e restando tali nel cuore stesso dell'eternità, l'uomo e la donna, inseriti nel mistero pasquale del Cristo, non avvertono, quindi, più la loro differenza come motivo di discordia da superare con la negazione o con il livellamento, ma come una possibilità di collaborazione che bisogna coltivare con il rispetto reciproco della distinzione. Di qui si aprono nuove prospettive per una comprensione più profonda della dignità della donna e del suo ruolo nella società umana e nella Chiesa». Insomma, la lettera si schiera decisamente contro la guerra dei sessi, consapevole che la posta in gioco è l'avvenire dell'intera umanità. E fuori da ogni moralismo, o peggio ancora da ogni fondamentalismo religioso, la lettera, nel solco della Rivelazione, offre il suo contributo al superamento della guerra in corso tra i sessi, o se si vuole tra post-femminismo e un vetero maschilismo, che ormai, tra l'altro, non esiste più.
La guerra dei sessi va messa al bando
Luigi Ferlazzo Natoli
Il 31 maggio 2004 con approvazione di Giovanni Paolo II viene pubblicata la lettera del cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cui titolo suona: «Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella chiesa e nel mondo». In un momento storico in cui si assiste a una vera e propria guerra di sopraffazione dell'ex sesso debole femminile nei confronti di quello maschile, si avverte nella donna una spinta esagerata alla competizione con l'uomo, inteso come maschio prevaricatore; si va incontro alla fine del dialogo e al rifiuto delle ragioni dell'altro; in siffatto frangente l'intervento della Chiesa – come si legge nella Introduzione – intende proporre «dopo una breve presentazione e valutazione critica di alcune concezioni antropologiche odierne, riflessioni ispirate dai dati dottrinali dell'antropologia biblica – indispensabili per salvaguardare l'identità della persona umana – circa alcuni presupposti per una corretta comprensione della collaborazione attiva, nel riconoscimento della loro stessa differenza, tra uomo e donna nella chiesa e nel mondo». In altri termini, in appena trentacinque pagine, dopo aver esaminato i dati fondamentali dell'antropologia biblica, la lettera esamina «l'attualità dei valori femminili nella vita della società», nonché l'attualità degli stessi valori nella vita della Chiesa. Si rivolge in prima battuta ai vescovi e quindi al mondo cattolico, ma propone – direi ovviamente o inevitabilmente – un modello per tutti. L'impatto di questa lettera con i media è stato come sempre devastante e il movimento femminista è prontamente insorto. Ricorderò per tutti l'intervento di Emma Bonino che, addirittura, paragona l'autore della lettera (Ratzinger) all'imam della moschea di Al Azar. Ciò finisce col ribaltare l'accusa di fondamentalismo all'atteggiamento della Chiesa sui rapporti uomo-donna. La mia impressione è che, se di fondamentalismo si deve parlare, esso debba essere rivolto all'atteggiamento del post-femminismo nei confronti del maschilismo ormai superato dai fatti. Se il movimento femminista storicamente è stato decisivo per rimuovere le discriminazioni nei confronti del lavoro femminile e della donna in generale (nella famiglia e nella società), oggi il post-femminismo mira all'annientamento di tutto ciò che è «maschile», utilizzando lo strumento della competitività a oltranza tra i sessi (maschile e femminile), la rottura del dialogo, la totale mancanza di ascolto dell'altro. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: e vanno dalla diminuzione dei matrimoni all'aumento dei singles, alla crisi della famiglia, alla difficile condizione dei figli. In altri termini, il fondamentalismo del post-femminismo sta nel rifiuto in toto della lettera di Ratzinger alle donne. Dopo l'excursus, compiuto nella lettera, dall'Antico al Nuovo Testamento, si perviene alla conclusione secondo cui «distinti fin dall'inizio della creazione e restando tali nel cuore stesso dell'eternità, l'uomo e la donna, inseriti nel mistero pasquale del Cristo, non avvertono, quindi, più la loro differenza come motivo di discordia da superare con la negazione o con il livellamento, ma come una possibilità di collaborazione che bisogna coltivare con il rispetto reciproco della distinzione. Di qui si aprono nuove prospettive per una comprensione più profonda della dignità della donna e del suo ruolo nella società umana e nella Chiesa». Insomma, la lettera si schiera decisamente contro la guerra dei sessi, consapevole che la posta in gioco è l'avvenire dell'intera umanità. E fuori da ogni moralismo, o peggio ancora da ogni fondamentalismo religioso, la lettera, nel solco della Rivelazione, offre il suo contributo al superamento della guerra in corso tra i sessi, o se si vuole tra post-femminismo e un vetero maschilismo, che ormai, tra l'altro, non esiste più.
storia
un'antico scontro tra poteri criminali
La Stampa Tuttolibri 18.2.04
Templari, il Graal nei secoli dei secoli
gli atti dell’immenso processo non contengono solo menzogne, confessioni estorte, accuse strumentali, spuntano seri indizi che potrebbero far pensare a riti segreti
di Mario Baudino
LE posizioni sono state nette, e inconciliabili, fino all’altro ieri: da una parte gli storici, che ritenevano strumentali e costruite a tavolino le accuse di eresia rivolte contro i Templari dagli avvocati del re di Francia; dall’altra esoteristi, occultisti e romanzieri che le prendevano alle lettera, aderendo entusiasticamente a una ricca mitologia dove gli antichi monaci guerrieri nati per difendere i pellegrini in Terrasanta al tempo delle Crociate diventavano maghi, detentori di un sapere inziatico e di verità nascoste. Da Cornelio Agrippa, che nel ‘500 rilesse in questa prospettiva le carte del processo avviato da Filippo il Bello nel 1307 con una impressionante serie di arresti (culminò con la dissoluzione dell’ordine e un certo numero di roghi), a Dan Brown col suo Codice da Vinci e ora il nuovo - per l’Italia - Angeli e demoni, i Templari sono gli eroi di una magia diventata nel frattempo di massa, di una tradizione esoterica trasformatasi in cultura pop. Prendere o lasciare: gli storici hanno sempre disprezzato i tipi alla Cornelio Agrippa, e viceversa. Il processo e la storia plurisecolare dell’ordine hanno dato origine a due racconti paralleli, uno storiografico e uno mitologico. Ora però Barbara Frale, ricercatrice della Biblioteca Vaticana di Paleografia, raccogliendo anni di studi e di esplorazioni sui documenti originali conservati nell’Archivio segreto dei palazzi apostolici, propone quella che non è una via di mezzo, una conciliazione tra studiosi e narratori, ma certo rappresenta una novità inaspettata. In sostanza, spiega nel suo saggio pubblicato per Il Mulino, la serissima storiografia in proposito va corretta, anche se questo non significa assolutamente che le ricostruzioni «alternative» (magiche, massoniche, mistiche) siano da rivalutare. C’erano davvero aspetti misteriosi nell’Ordine dei Templari, e gli atti dell’immenso processo contro di loro non contengono solo menzogne, confessioni estorte, accuse strumentali. Per esempio, spuntano seri indizi che potrebbero far pensare a riti segreti di incerta origine. Fino a fornire qualche conferma della possibilità di accostare i Templari al Sacro Graal, cavallo di battaglia dell’esoterismo moderno. Costruendo per la prima volta - e in proprio - un complesso data base in grado di raffrontare elettronicamente tutti gli atti del processo (se ne può leggere una descrizione all’indirizzo www.storia.unifi.it/_RM/rivista/mater/Frale.htm), la studiosa ha fatto scoperte interessanti: «Per esempio - ci dice -ora abbiamo il documento che ci spiega un loro strano modo di celebrare la Pasqua, sotto la sola specie del vino, il sangue di Cristo come bevanda di vita eterna. Non ha nulla di eretico, ma non fa parte di nessun rituale cristiano documentato». Da dove provenga non si sa, o almeno al momento non ci sono tracce sicure in proposito, ma potrebbe essere una tradizione paleocristiana che si era conservata in Palestina. «Inoltre è noto che un poema sul Graal, il Parzival di Wolfram von Eschenbach, definisce i templari “custodi del Graal”. Sappiamo benissimo che la leggenda è più antica, e nasce nel mondo pagano, però è interessante che proprio negli anni della sua “cristianizzazione” compaia anche nel contesto templare». La prima crociata conquistò Gerusalemme nel 1099; l’Ordine del Tempio venne creato dal cavaliere Hugues de Payns con i primi compagni che si erano associati ai canonici agostiniani incaricati di celebrare il culto nella moschea di al-Aqsa, costruita sulle rovine del Tempio di Salomone, a partire dal 1120, e venne ratificato nel 1129. Quando fu composto il Parzival, tra il 1210 e il 1220 (mentre il primo romanzo dove compare il Graal, il Perceval di Chretien de Troyes, è di poco posteriore al 1180), la fama dei Templari era al suo apogeo, con alle spalle una storia ormai antica d’un secolo. Certo, per il poeta tedesco il Graal non è il calice dell’ultima cena, o quello in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo stillante dalla croce, ma una gemma preziosa: però la coincidenza è interessante. Questi Templari disciplinatissimi, riservatissimi, straordinaria macchina da guerra e anche enorme potenza finanziaria dell’epoca, stato nello stato o meglio ancora primo esempio di «multinazionale», riescono ancora a sorprenderci, al di fuori di ogni mitologia. Anche per la loro «modernità». Barbara Frale è giunta alla conclusione che il rito d’iniziazione cui venivano sottoposti i novizi, che divenne al processo l’accusa principale, non era affatto inventato. L’aspirante templare era costretto a rinnegare Cristo e sputare sulla croce, oltre che insultato, deriso, malmenato. Si è sempre pensato che anche in questo caso si trattasse di una montatura inquisitoriale, invece proprio lavorando sugli atti del processo la studiosa ha potuto concludere che le confessioni e le testimonianze convalidano l’ipotesi. «C’era una componente di “nonnismo” ma anche il desiderio di mettere alla prova i futuri cavalieri, calandoli nelle condizioni in cui si sarebbero facilmente trovati qualora fossero caduti prigionieri del nemico, e valutare le loro reazioni». Proprio come accade oggi nelle forze speciali dei vari eserciti, pur se la messinscena non contempla simboli religiosi. I Templari erano guerrieri indomiti, e almeno fino al periodo di decadenza dell’Ordine, molto fermi nella fede e nel rispetto dei voti presi in quanto monaci. Ma proprio a causa del loro amore per la segretezza giravano intorno a loro voci d’ogni genere. «Gli inquisitori selezionarono quelle più utili. Ad esempio trascurarono i pettegolezzi sull’avarizia, che non mancavano, ma non erano interessanti ai fini del processo per eresia. Oltretutto il Papa, alla fine, li assolse, anche se fu travolto dagli eventi e non poté salvarli». E questa è un’altra novità: il documento che la dimostra è stato trovato grazie ai controlli incrociati. Nessuno mai lo aveva notato perché una errata catalogazione del Seicento lo aveva reso «clandestino». Ottima scoperta storiografica, ma anche ottimo spunto per qualche scrittore a caccia di best seller: e se l’archivista, anziché banalmente sbagliarsi, avesse occultato di proposito quelle carte, magari perché apparteneva anche lui a qualche misteriosa setta esoterica?
Templari, il Graal nei secoli dei secoli
gli atti dell’immenso processo non contengono solo menzogne, confessioni estorte, accuse strumentali, spuntano seri indizi che potrebbero far pensare a riti segreti
di Mario Baudino
LE posizioni sono state nette, e inconciliabili, fino all’altro ieri: da una parte gli storici, che ritenevano strumentali e costruite a tavolino le accuse di eresia rivolte contro i Templari dagli avvocati del re di Francia; dall’altra esoteristi, occultisti e romanzieri che le prendevano alle lettera, aderendo entusiasticamente a una ricca mitologia dove gli antichi monaci guerrieri nati per difendere i pellegrini in Terrasanta al tempo delle Crociate diventavano maghi, detentori di un sapere inziatico e di verità nascoste. Da Cornelio Agrippa, che nel ‘500 rilesse in questa prospettiva le carte del processo avviato da Filippo il Bello nel 1307 con una impressionante serie di arresti (culminò con la dissoluzione dell’ordine e un certo numero di roghi), a Dan Brown col suo Codice da Vinci e ora il nuovo - per l’Italia - Angeli e demoni, i Templari sono gli eroi di una magia diventata nel frattempo di massa, di una tradizione esoterica trasformatasi in cultura pop. Prendere o lasciare: gli storici hanno sempre disprezzato i tipi alla Cornelio Agrippa, e viceversa. Il processo e la storia plurisecolare dell’ordine hanno dato origine a due racconti paralleli, uno storiografico e uno mitologico. Ora però Barbara Frale, ricercatrice della Biblioteca Vaticana di Paleografia, raccogliendo anni di studi e di esplorazioni sui documenti originali conservati nell’Archivio segreto dei palazzi apostolici, propone quella che non è una via di mezzo, una conciliazione tra studiosi e narratori, ma certo rappresenta una novità inaspettata. In sostanza, spiega nel suo saggio pubblicato per Il Mulino, la serissima storiografia in proposito va corretta, anche se questo non significa assolutamente che le ricostruzioni «alternative» (magiche, massoniche, mistiche) siano da rivalutare. C’erano davvero aspetti misteriosi nell’Ordine dei Templari, e gli atti dell’immenso processo contro di loro non contengono solo menzogne, confessioni estorte, accuse strumentali. Per esempio, spuntano seri indizi che potrebbero far pensare a riti segreti di incerta origine. Fino a fornire qualche conferma della possibilità di accostare i Templari al Sacro Graal, cavallo di battaglia dell’esoterismo moderno. Costruendo per la prima volta - e in proprio - un complesso data base in grado di raffrontare elettronicamente tutti gli atti del processo (se ne può leggere una descrizione all’indirizzo www.storia.unifi.it/_RM/rivista/mater/Frale.htm), la studiosa ha fatto scoperte interessanti: «Per esempio - ci dice -ora abbiamo il documento che ci spiega un loro strano modo di celebrare la Pasqua, sotto la sola specie del vino, il sangue di Cristo come bevanda di vita eterna. Non ha nulla di eretico, ma non fa parte di nessun rituale cristiano documentato». Da dove provenga non si sa, o almeno al momento non ci sono tracce sicure in proposito, ma potrebbe essere una tradizione paleocristiana che si era conservata in Palestina. «Inoltre è noto che un poema sul Graal, il Parzival di Wolfram von Eschenbach, definisce i templari “custodi del Graal”. Sappiamo benissimo che la leggenda è più antica, e nasce nel mondo pagano, però è interessante che proprio negli anni della sua “cristianizzazione” compaia anche nel contesto templare». La prima crociata conquistò Gerusalemme nel 1099; l’Ordine del Tempio venne creato dal cavaliere Hugues de Payns con i primi compagni che si erano associati ai canonici agostiniani incaricati di celebrare il culto nella moschea di al-Aqsa, costruita sulle rovine del Tempio di Salomone, a partire dal 1120, e venne ratificato nel 1129. Quando fu composto il Parzival, tra il 1210 e il 1220 (mentre il primo romanzo dove compare il Graal, il Perceval di Chretien de Troyes, è di poco posteriore al 1180), la fama dei Templari era al suo apogeo, con alle spalle una storia ormai antica d’un secolo. Certo, per il poeta tedesco il Graal non è il calice dell’ultima cena, o quello in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo stillante dalla croce, ma una gemma preziosa: però la coincidenza è interessante. Questi Templari disciplinatissimi, riservatissimi, straordinaria macchina da guerra e anche enorme potenza finanziaria dell’epoca, stato nello stato o meglio ancora primo esempio di «multinazionale», riescono ancora a sorprenderci, al di fuori di ogni mitologia. Anche per la loro «modernità». Barbara Frale è giunta alla conclusione che il rito d’iniziazione cui venivano sottoposti i novizi, che divenne al processo l’accusa principale, non era affatto inventato. L’aspirante templare era costretto a rinnegare Cristo e sputare sulla croce, oltre che insultato, deriso, malmenato. Si è sempre pensato che anche in questo caso si trattasse di una montatura inquisitoriale, invece proprio lavorando sugli atti del processo la studiosa ha potuto concludere che le confessioni e le testimonianze convalidano l’ipotesi. «C’era una componente di “nonnismo” ma anche il desiderio di mettere alla prova i futuri cavalieri, calandoli nelle condizioni in cui si sarebbero facilmente trovati qualora fossero caduti prigionieri del nemico, e valutare le loro reazioni». Proprio come accade oggi nelle forze speciali dei vari eserciti, pur se la messinscena non contempla simboli religiosi. I Templari erano guerrieri indomiti, e almeno fino al periodo di decadenza dell’Ordine, molto fermi nella fede e nel rispetto dei voti presi in quanto monaci. Ma proprio a causa del loro amore per la segretezza giravano intorno a loro voci d’ogni genere. «Gli inquisitori selezionarono quelle più utili. Ad esempio trascurarono i pettegolezzi sull’avarizia, che non mancavano, ma non erano interessanti ai fini del processo per eresia. Oltretutto il Papa, alla fine, li assolse, anche se fu travolto dagli eventi e non poté salvarli». E questa è un’altra novità: il documento che la dimostra è stato trovato grazie ai controlli incrociati. Nessuno mai lo aveva notato perché una errata catalogazione del Seicento lo aveva reso «clandestino». Ottima scoperta storiografica, ma anche ottimo spunto per qualche scrittore a caccia di best seller: e se l’archivista, anziché banalmente sbagliarsi, avesse occultato di proposito quelle carte, magari perché apparteneva anche lui a qualche misteriosa setta esoterica?
istat
la violenza contro le donne in Italia
La Stampa 17 dicembre 2004
INDAGINE ISTAT SU OLTRE 22MILA DONNE 14-59 ANNI
Violenza sulle donne
500mila vittime
ROMA. Sono più di mezzo milione (520 mila) le donne tra i 14 e i 59 anni che nel corso della vita hanno subito uno stupro o un tentativo di stupro: si tratta del 2,9% del totale delle donne della stessa età. Oltre la metà, nello specifico 9 milioni 860 mila, pari al 55,2%, invece, sono state vittime di almeno una molestia a sfondo sessuale. Autori delle violenze sono per lo più persone conosciute, soprattutto amici ma anche datori e colleghi di lavoro e fidanzati, i luoghi più a rischio quelli familiari: proprio qui, tra casa e posto di lavoro, oltre il 43,8% delle donne che ha subito una violenza tentata o consumata ha vissuto il proprio dramma.
È quanto emerge da una indagine sulle violenze e le molestie sessuali subite dalle donne nel corso della vita e nei tre anni precedenti l'intervista, condotta dall'Istat, i cui dati sono stati diffusi on-line, a causa della mobilitazione in corso all'Istat che ha bloccato la prevista conferenza stampa di presentazione. L'indagine, nell'ambito della ricerca multiscopo «Sicurezza dei cittadini», è stata condotta selezionando un campione di 60 mila famiglie per un totale di 22 mila 759 donne di età compresa tra i 14 e i 59 anni ed è stata effettuata telefonicamente nel 2002.
Il 24,2% delle donne abusate nel corso della vita (e il 29,4% di quelle che lo sono state negli ultimi tre anni) ha subito più volte violenze dalla stessa persona. Soltanto il 7,4% delle vittime di uno stupro o di un tentato stupro ha denunciato il fatto (il 9,3% di chi lo ha subito negli ultimi tre anni).
Quanto alle violenze sessuali tentate o consumate, sempre sulla base dell'indagine Istat, sono 118 mila (0,7%) le donne che ne hanno subita almeno una nei tre anni precedenti l'intervista. In generale, hanno tra i 25 e i 44 anni coloro che più frequentemente hanno subito una violenza nel corso della vita (3,6%) contro l'1,9% delle più giovani.
Gli autori, contrariamente a quelli delle molestie, sono soprattutto persone conosciute, se non addirittura intime, delle vittime: nel corso della vita, solo il 18,3% delle vittime è stata violentata da un estraneo e il 14,2% da un conoscente di vista. Per il resto sono gli amici ad essere più frequentemente i violentatori (23,5%), seguiti dai datori o colleghi di lavoro (15,3%), dai fidanzati/ex fidanzati (6,5%), dai coniugi/ex coniugi (5,3%). Di conseguenza, per le donne i luoghi più a
rischio sono proprio quelli più familiari: il 15,8% delle vittime ha subito violenza, tentata o consumata, a casa propria o negli spazi attinenti, l'11,8% al lavoro o negli spazi circostanti, il 9,3% a casa di amici, di parenti o di conoscenti e un ulteriore 6,9% a casa dello stesso aggressore.
Una violenza, quella sessuale, che viene definita grave dall'84,7% delle vittime e molto grave dal 57,6% ma di cui quasi un terzo non parla con nessuno. Dopo averla subita, avvengono tuttavia mutamenti di atteggiamento soprattutto in chiave relazionale: quasi la metà delle vittime (48,9%) ha infatti dichiarato di essere diventata più fredda e più razionale. Per quanto riguarda le molestie sessuali, quelle verbali e le telefonate oscene sono le più diffuse (rispettivamente il 25,8% e il 24,8% delle donne tra i 14-59 anni), seguono gli episodi di pedinamento e gli atti di esibizionismo (entrambi quasi il 23%) e le molestie fisiche che raggiungono quasi il 20%. Nei tre anni precedenti l'intervista le più a rischio sono risultate le giovanissime (14-24 anni), nel corso della vita le donne di 25-44 anni.
Prendendo in considerazione solo le molestie fisiche, ovvero quando la donna è stata avvicinata, toccata o baciata contro la sua volontà, si nota che la maggior parte sono perpetrate da estranei o conoscenti: il 58,2% sono state fatte da estranei e l'11,8% da persone che si conoscono di vista. Ciò accade più frequentemente sui mezzi di trasporto pubblici (31,6%), in strada (19%), sul posto di lavoro (12,1%) e nei locali come discoteca, pub, bar o ristorante (10,5%); meno frequentemente in casa sia propria sia di amici. Anche in questo caso, le molestie fisiche sono ritenute molto o abbastanza gravi dal 69,6% delle vittime.
INDAGINE ISTAT SU OLTRE 22MILA DONNE 14-59 ANNI
Violenza sulle donne
500mila vittime
ROMA. Sono più di mezzo milione (520 mila) le donne tra i 14 e i 59 anni che nel corso della vita hanno subito uno stupro o un tentativo di stupro: si tratta del 2,9% del totale delle donne della stessa età. Oltre la metà, nello specifico 9 milioni 860 mila, pari al 55,2%, invece, sono state vittime di almeno una molestia a sfondo sessuale. Autori delle violenze sono per lo più persone conosciute, soprattutto amici ma anche datori e colleghi di lavoro e fidanzati, i luoghi più a rischio quelli familiari: proprio qui, tra casa e posto di lavoro, oltre il 43,8% delle donne che ha subito una violenza tentata o consumata ha vissuto il proprio dramma.
È quanto emerge da una indagine sulle violenze e le molestie sessuali subite dalle donne nel corso della vita e nei tre anni precedenti l'intervista, condotta dall'Istat, i cui dati sono stati diffusi on-line, a causa della mobilitazione in corso all'Istat che ha bloccato la prevista conferenza stampa di presentazione. L'indagine, nell'ambito della ricerca multiscopo «Sicurezza dei cittadini», è stata condotta selezionando un campione di 60 mila famiglie per un totale di 22 mila 759 donne di età compresa tra i 14 e i 59 anni ed è stata effettuata telefonicamente nel 2002.
Il 24,2% delle donne abusate nel corso della vita (e il 29,4% di quelle che lo sono state negli ultimi tre anni) ha subito più volte violenze dalla stessa persona. Soltanto il 7,4% delle vittime di uno stupro o di un tentato stupro ha denunciato il fatto (il 9,3% di chi lo ha subito negli ultimi tre anni).
Quanto alle violenze sessuali tentate o consumate, sempre sulla base dell'indagine Istat, sono 118 mila (0,7%) le donne che ne hanno subita almeno una nei tre anni precedenti l'intervista. In generale, hanno tra i 25 e i 44 anni coloro che più frequentemente hanno subito una violenza nel corso della vita (3,6%) contro l'1,9% delle più giovani.
Gli autori, contrariamente a quelli delle molestie, sono soprattutto persone conosciute, se non addirittura intime, delle vittime: nel corso della vita, solo il 18,3% delle vittime è stata violentata da un estraneo e il 14,2% da un conoscente di vista. Per il resto sono gli amici ad essere più frequentemente i violentatori (23,5%), seguiti dai datori o colleghi di lavoro (15,3%), dai fidanzati/ex fidanzati (6,5%), dai coniugi/ex coniugi (5,3%). Di conseguenza, per le donne i luoghi più a
rischio sono proprio quelli più familiari: il 15,8% delle vittime ha subito violenza, tentata o consumata, a casa propria o negli spazi attinenti, l'11,8% al lavoro o negli spazi circostanti, il 9,3% a casa di amici, di parenti o di conoscenti e un ulteriore 6,9% a casa dello stesso aggressore.
Una violenza, quella sessuale, che viene definita grave dall'84,7% delle vittime e molto grave dal 57,6% ma di cui quasi un terzo non parla con nessuno. Dopo averla subita, avvengono tuttavia mutamenti di atteggiamento soprattutto in chiave relazionale: quasi la metà delle vittime (48,9%) ha infatti dichiarato di essere diventata più fredda e più razionale. Per quanto riguarda le molestie sessuali, quelle verbali e le telefonate oscene sono le più diffuse (rispettivamente il 25,8% e il 24,8% delle donne tra i 14-59 anni), seguono gli episodi di pedinamento e gli atti di esibizionismo (entrambi quasi il 23%) e le molestie fisiche che raggiungono quasi il 20%. Nei tre anni precedenti l'intervista le più a rischio sono risultate le giovanissime (14-24 anni), nel corso della vita le donne di 25-44 anni.
Prendendo in considerazione solo le molestie fisiche, ovvero quando la donna è stata avvicinata, toccata o baciata contro la sua volontà, si nota che la maggior parte sono perpetrate da estranei o conoscenti: il 58,2% sono state fatte da estranei e l'11,8% da persone che si conoscono di vista. Ciò accade più frequentemente sui mezzi di trasporto pubblici (31,6%), in strada (19%), sul posto di lavoro (12,1%) e nei locali come discoteca, pub, bar o ristorante (10,5%); meno frequentemente in casa sia propria sia di amici. Anche in questo caso, le molestie fisiche sono ritenute molto o abbastanza gravi dal 69,6% delle vittime.
sinistra
Bertinotti: «Siamo a un punto di crisi»
L'Unità 17.12.04
Regionali, il centrosinistra non trova l'accordo.
Bertinotti: «Siamo a un punto di crisi»
di red
Le Regionali continuano a dividere il centrosinistra. Questione di poltrone, quelle su cui dovrebbero sedersi i candidati che l’Alleanza non è stata ancora capace di scegliere. E questione di assetti, liste, visibilità dei singoli partiti. Il rinvio del vertice che si sarebbe dovuto tenere nel pomeriggio di venerdì con Romano Prodi ha evitato un flop e l’esplosione delle tensioni, ma non ha certo potuto nascondere il problema. Anzi.
Bertinotti non si nasconde e sottolinea: «La mancata convocazione della riunione della Gad che doveva concludere l'istruttoria sulle candidature per la presidenza delle Regioni dove si voterà, è l'evidente manifestazione di un punto di crisi». E il rinvio è «tanto più allarmante di fronte all' aspra offensiva del governo Berlusconi e alla crescente opposizione che le sue politiche raccolgono nel paese». Alla base della crisi del centrosinistra, prosegue il leader del Prc, c’è «una incapacità di far vivere forte spirito di coalizione. Lo spirito di coalizione dell' alleanza democratica passa con tutta evidenza attraverso la capacità di promuovere partecipazione dentro e fuori la stessa coalizione e di valorizzare tutte le culture e le opportunità che la possono rendere forte. Il caso pugliese - conclude - è diventato emblematico di questa vicenda».
Di crisi parla anche Clemente Mastella, che invita Prodi a «dimostrare di essere un leader vero». Il Professore, impegnato nella mediazione, preferisce non rispondere, così come Fassino. D’Alema ostenta ottimismo, ma nel frattempo Franco Giordano di Rifondazione lo accusa di boicottare la candidatura di Nicki Vendola in Puglia: «La posizione di D'Alema e dei Ds è l'unica contraria – dice - Nella riunione precedente della Gad, a cui ho partecipato, c'era una totale sintonia sul nome di Vendola da parte di tutto il centrosinistra. Eccetto i Ds, naturalmente. Evidentemente gli interessi di D'Alema e dei Ds in Puglia sono molto forti».
Lo stesso Giordano, insieme al diessino Pietro Folena, chiede il rinvio delle primarie pugliesi in attesa che si riunisca il tavolo nazionale della coalizione. Per le primarie si schierano invece Alfonso Pecoraio Scanio dei Verdi e il coordinatore della segreteria della Quercia Vannino Chiti, che, replicando a Bertinotti, spiega: «Nell'Alleanza un criterio per definire le scelte dei candidati, sui quali è normale e non un sintomo di crisi, avere una pluralità di opzioni.Quando non vi sia convergenza su un candidato è necessario far scattare la regola delle primarie, magari nella forma già sperimentata in Calabria: grandi elettori, associazioni della società civile». Puglia e Basilicata restano i nodi da sciogliere, mentre in Lombardia si rafforza l'ipotesi Maria Grazia Fabrizio, segretario regionale Cisl, in quota Margherita.
Rutelli, intanto, ne approfitta per dare un’altra botta alle liste unitarie e, intervenendo a un convegno della Margherita a Napoli, afferma: «L' unità si realizza attraverso l' unità della coalizione attorno al suo candidato presidente. Non andiamo alle elezioni con una sola lista: tutti sanno che alle elezioni andiamo con sette, otto, dieci liste accanto ai candidati presidente. È un problema che non capisco perchè venga ancora sollevato».
aprileonline.info
GAD. SULLE REGIONALI ANCORA UNA GIORNATA TESA DENTRO LA COALIZIONE
Bertinotti: «Siamo a un punto di crisi». Prodi riconvoca il vertice per lunedì
Giordano: «In Puglia D’Alema ha interessi forti»
[...]
Romano Prodi ha riconvocato il vertice della Gad per lunedì, in sequenza con quello dell’Ulivo abusivo (la Fed).
[...]
più tardi è lo stesso Bertinotti a rilanciare: se primarie devono essere, che siano, però quelle vere, con tutti gli elettori non solo i "grandi".
[...]
Molti dei problemi che affliggono la Gad hanno origine nelle pretese egemoniche dei riformisti, in particolare dei Ds. L’idea che una parte della coalizione debba “guidare”, e l’altra seguire, è il virus che sta consumando velocemente l’unità del centrosinistra. A questo Bertinotti si riferisce quando denuncia la mancanza di uno “spirito di coalizione”.
[...]
Lungi da noi portare acqua al mulino del leaderismo. Ma, come diceva Winston Churchill: «Il comitato più efficace è formato da tre persone, di cui due assenti». Per una volta a questo suggerimento dovrebbe attenersi la Grande Alleanza Democratica, con il proposito di cercare nuove e migliori strade per il futuro.
Regionali, il centrosinistra non trova l'accordo.
Bertinotti: «Siamo a un punto di crisi»
di red
Le Regionali continuano a dividere il centrosinistra. Questione di poltrone, quelle su cui dovrebbero sedersi i candidati che l’Alleanza non è stata ancora capace di scegliere. E questione di assetti, liste, visibilità dei singoli partiti. Il rinvio del vertice che si sarebbe dovuto tenere nel pomeriggio di venerdì con Romano Prodi ha evitato un flop e l’esplosione delle tensioni, ma non ha certo potuto nascondere il problema. Anzi.
Bertinotti non si nasconde e sottolinea: «La mancata convocazione della riunione della Gad che doveva concludere l'istruttoria sulle candidature per la presidenza delle Regioni dove si voterà, è l'evidente manifestazione di un punto di crisi». E il rinvio è «tanto più allarmante di fronte all' aspra offensiva del governo Berlusconi e alla crescente opposizione che le sue politiche raccolgono nel paese». Alla base della crisi del centrosinistra, prosegue il leader del Prc, c’è «una incapacità di far vivere forte spirito di coalizione. Lo spirito di coalizione dell' alleanza democratica passa con tutta evidenza attraverso la capacità di promuovere partecipazione dentro e fuori la stessa coalizione e di valorizzare tutte le culture e le opportunità che la possono rendere forte. Il caso pugliese - conclude - è diventato emblematico di questa vicenda».
Di crisi parla anche Clemente Mastella, che invita Prodi a «dimostrare di essere un leader vero». Il Professore, impegnato nella mediazione, preferisce non rispondere, così come Fassino. D’Alema ostenta ottimismo, ma nel frattempo Franco Giordano di Rifondazione lo accusa di boicottare la candidatura di Nicki Vendola in Puglia: «La posizione di D'Alema e dei Ds è l'unica contraria – dice - Nella riunione precedente della Gad, a cui ho partecipato, c'era una totale sintonia sul nome di Vendola da parte di tutto il centrosinistra. Eccetto i Ds, naturalmente. Evidentemente gli interessi di D'Alema e dei Ds in Puglia sono molto forti».
Lo stesso Giordano, insieme al diessino Pietro Folena, chiede il rinvio delle primarie pugliesi in attesa che si riunisca il tavolo nazionale della coalizione. Per le primarie si schierano invece Alfonso Pecoraio Scanio dei Verdi e il coordinatore della segreteria della Quercia Vannino Chiti, che, replicando a Bertinotti, spiega: «Nell'Alleanza un criterio per definire le scelte dei candidati, sui quali è normale e non un sintomo di crisi, avere una pluralità di opzioni.Quando non vi sia convergenza su un candidato è necessario far scattare la regola delle primarie, magari nella forma già sperimentata in Calabria: grandi elettori, associazioni della società civile». Puglia e Basilicata restano i nodi da sciogliere, mentre in Lombardia si rafforza l'ipotesi Maria Grazia Fabrizio, segretario regionale Cisl, in quota Margherita.
Rutelli, intanto, ne approfitta per dare un’altra botta alle liste unitarie e, intervenendo a un convegno della Margherita a Napoli, afferma: «L' unità si realizza attraverso l' unità della coalizione attorno al suo candidato presidente. Non andiamo alle elezioni con una sola lista: tutti sanno che alle elezioni andiamo con sette, otto, dieci liste accanto ai candidati presidente. È un problema che non capisco perchè venga ancora sollevato».
aprileonline.info
GAD. SULLE REGIONALI ANCORA UNA GIORNATA TESA DENTRO LA COALIZIONE
Bertinotti: «Siamo a un punto di crisi». Prodi riconvoca il vertice per lunedì
Giordano: «In Puglia D’Alema ha interessi forti»
[...]
Romano Prodi ha riconvocato il vertice della Gad per lunedì, in sequenza con quello dell’Ulivo abusivo (la Fed).
[...]
più tardi è lo stesso Bertinotti a rilanciare: se primarie devono essere, che siano, però quelle vere, con tutti gli elettori non solo i "grandi".
[...]
Molti dei problemi che affliggono la Gad hanno origine nelle pretese egemoniche dei riformisti, in particolare dei Ds. L’idea che una parte della coalizione debba “guidare”, e l’altra seguire, è il virus che sta consumando velocemente l’unità del centrosinistra. A questo Bertinotti si riferisce quando denuncia la mancanza di uno “spirito di coalizione”.
[...]
Lungi da noi portare acqua al mulino del leaderismo. Ma, come diceva Winston Churchill: «Il comitato più efficace è formato da tre persone, di cui due assenti». Per una volta a questo suggerimento dovrebbe attenersi la Grande Alleanza Democratica, con il proposito di cercare nuove e migliori strade per il futuro.
Federico Masini:
su AVVENIMENTI adesso in edicola
la visita di Ciampi in Cina
ricevuto da Simona Maggiorelli
Avvenimenti n° 49, in edicola dal 17 al 23 dicembre
il pezzo che segue, di Federico Masini sulle reazioni cinesi al viaggio in Cina di Ciampi, è pubblicato sul numero 49 di Avvenimenti, ad incipit di un dossier che comprende anche un'intervista alla scrittrice Xinran, sulla condizione della donna in Cina e un pezzo di Amnesty International sui diritti umani in Cina
La visita di Ciampi serve a riguadagnare il tempo perduto Questa volta senza alcuna mediazione a favore del Vaticano.
La caduta del muro di Pechino
Ciampi in Cina
di Federico Masini*
* Sinologo, preside della Facoltà di Studi Orientali,
Università di Roma “la Sapienza”
Il 4 dicembre Ciampi è sbarcato a Pechino per una delle più imponenti visite di un capo stato occidentale in Cina, con al seguito ben quattro aerei carichi di oltre 200 imprenditori italiani, oltre a quattro ministri: Fini, Marzano, Urbani e Urso, al presidente della Confindustria Cordero di Montezemolo, al Presidente dell’Ice Quintieri e a 30 giornalisti. Mai una visita di un capo di stato europeo aveva assunto una tale dimensione ed è testimonianza del grande interesse con il quale l’Italia guarda ora alla Cina, nonché del grande sforzo profuso dalle nostre rappresentanze in Cina, l’Ambasciata d’Italia e l’Ufficio ICE a Pechino e il Consolato generale a Shanghai. Durante la visita sono stati infatti firmati otto accordi bilaterali per lo sviluppo delle relazioni politiche, economiche e culturali fra i due paesi.
Per la prima volta insomma l’Italia ha tentato di presentarsi come un sistema integrato, superando divisioni e particolarismi, nel tentativo di eguagliare l’impegno già profuso da Francia e Germania, che negli anni scorsi erano accorse in massa alla corte di Pechino, nel desiderio di trarre profitto dallo straordinario sviluppo economico e commerciale che in questi anni ha collocato la Cina al primo posto nel mondo per tasso di sviluppo, imponendola come la vera locomotiva dell’economia mondiale.
Sembrano lontanissimi i tempi, solo quindici anni fa, quando dopo i fatti di Tian’an men del 1989, nessun rappresentante occidentale veniva più in Cina, ed invece adesso quando Ciampi era ricevuto dal presidente della Repubblica Hu Jintao, dal Presidente del Consiglio Wen Jiabao e dal Presidente del Parlamento Wu Bangguo, lo seguiva a ruota nello stesso giorno il cancelliere tedesco Schröder.
La visita, se seguita da fatti concreti, potrebbe consentire al nostro paese di riguadagnare il tempo perduto, avviando relazioni sistematiche e non più sporadiche, in campo politico, economico e culturale. L’Italia fu infatti uno dei primi paesi occidentali ad avviare relazioni economiche con la Cina negli anni ‘60 e ’70, tuttavia i disastri dei programmi di cooperazione economica del nostro Ministero degli Esteri, e l’assenza in Italia di grandi gruppi, capaci di forti investimenti all’estero, aveva lasciato il mercato cinese solo alle piccole e medie imprese italiane, che negli anni ’80 avevano collocato l’Italia ai primi posti fra i paesi occidentali, per l’interscambio con la Cina, venendo però poi sopravanzata da quei paesi occidentali capaci di interventi più sistematici. L’Italia cioè non era stata in grado di profittare della sua condizione di paese sviluppato, ma con il quale la Cina non aveva quasi alcuna ruggine semicoloniale, come è il caso di Gran Bretagna, Francia e Germania.
Sul piano politico la vista di Ciampi si collocava inoltre in un momento strategico per il governo di Pechino: infatti l’8 dicembre, il premier Wen Jiabao, subito dopo aver incontrato Ciampi, è volato all’Aja per il settimo incontro UE-Cina, che egli sperava avrebbe fatto incassare alla Cina la revoca dell’embargo all’importazione di armamenti dall’Europa, imposta dopo i fatti del 1989. Durante i colloqui con Ciampi, Wen Jiabao aveva ottenuto il sostegno dell’Italia, oltre a quelli già manifestati da Francia e Germania; tuttavia l’opposizione di Gran Bretagna e Svezia, sostenute dagli Usa, non hanno consentito alla Cina di ricevere l’immediato via libera alle importazioni di armamenti, ma solo la preventiva approvazione di un “codice di condotta” UE-Cina sulle importazioni ed importazioni di armamenti. In cambio delle aperture italiane, la Cina ha dichiarato di appoggiare il progetto di riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite meno sgradito all’Italia.
In campo economico - anche grazie alla dichiarazione di Ciampi di voler “contrastare la demagogia protezionistica” - la visita potrebbe consentire alle oltre 500 imprese italiane presenti in Cina nuovi margini di sviluppo, in particolare nel settore agro-alimentare e della progettazione di mezzi di locomozione ecologici. Presso l’università di Qinghua, la più grande istituzione accademica cinese nel settore scientifico, Ciampi ha infatti posto la prima pietra di un palazzo ecologico, frutto della collaborazione con il ministero dell’ambiente italiano. A Shanghai, il capo dello Stato ha presenziato un forum organizzato dalla Confindustria e dall’Ice per la promozione del “Made in Italy” in Cina.
Le dichiarazioni di Ciampi a Pechino hanno però procurato una levata di scudi in Italia, dove la Lega ha criticato le aperture economiche alla Cina, come aveva fatto a già suo tempo il Ministro Tremonti, reclamando l’introduzione di anacronistiche forme di protezionismo commerciale; mentre i Radicali e il Partito della Rifondazione Comunista hanno stigmatizzato le aperture politiche di Ciampi, protestando vibratamente per la disponibilità dell’Italia a favorire le forniture di armamenti alla Cina.
In campo educativo c’è da sperare che finalmente l’Italia comprenda come solo sviluppando più ampie relazioni culturali si potrebbe imprimere una dimensione di continuità alla nostra presenza in Cina. Il presidente ha infatti visitato una mostra sulle relazioni fra l’Italia e la Cina allestita presso il nostro istituto di cultura di Pechino da Roberto Ciarla, curatore del Museo d’Arte Orientale di Roma e da Filippo Salviati, professore presso la Facoltà di Studi Orientali de “la Sapienza”, che testimonia l’ininterrotta storia di relazioni fra l’Italia e la Cina fin dai tempi degli antichi romani, storia che nessun altro paese al mondo può vantare. In campo culturale - grazie al memorandum per l’organizzazione nel 2006 di un anno dedicato all’Italia in Cina e alla firma del protocollo per le relazioni culturali per il triennio 2004-2006 - si auspica inoltre che la visita possa incrementare il numero degli studenti cinesi in Italia, che sono solo 800, a fronte delle decine di migliaia che studiano presso università francesi, tedesche e inglesi, favorendo al contempo la valorizzazione dello studio della lingua cinese presso le università italiane, dove attualmente oltre tremila ragazzi hanno scelto questa lingua, senza che sia giunto dal Ministero dell’università alcun sostegno specifico.
La vista di Ciampi è stata ampiamente celebrata tanto sulla stampa italiana, come su quella cinese, tuttavia non una sola parola è stata spesa dai media cinesi sui reali contenuti del discorso pronunciato da Ciampi dinanzi agli studenti di economia dell’Università di Qinghua, incentrato sui principi costituzionali dell’UE, cioè sui diritti umani dei popoli - secondo i resoconti della stampa italiana -, teso invece allo sviluppo delle relazioni economiche fra i popoli - secondo la stampa cinese.
A margine vale la pena notare inoltre, che non risulta che Ciampi sia intervenuto per favorire la normalizzazione delle relazioni con il Vaticano, cosa che era stata sempre oggetto di particolare interesse durante analoghe visite in passato. A riprova di ciò le sconvolgenti dichiarazioni rilasciate dal Cardinale Ruini, secondo cui “il vero pericolo per il cristianesimo è la Cina”; “Poiché in questa civiltà la religione ha un ruolo minore e ignora la fede in un Dio personale, Ruini prevede che essa non aiuterà, in Occidente, un rafforzamento dell’identità cristiana – come oggi avviene con l’Islam – ma all’opposto un suo indebolimento” (Avanti! 9-12-2004).
Vedere che finalmente l’Italia si sia accorta dell’esistenza della Cina non può che essere motivo di soddisfazione, resta tuttavia l’incognita, tutta italiana, se tante parole saranno seguite da fatti concreti, oppure, ancora una volta, rimarranno solo belle speranze; come accadde quando si fece una scampagnata a Pechino l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, a metà degli anni ’80, con al seguito decine di amici, parenti e conoscenti, che ispirò la meravigliosa battuta che Beppe Grillo volle mettere in bocca all’allora leader Deng Xiaoping, il quale vedendo gli italiani uscire dall’aereo (uno solo in quell’occasione!) avrebbe esclamato: “Non pensavo che questi italiani fossero più di noi!”.
Avvenimenti n° 49, in edicola dal 17 al 23 dicembre
il pezzo che segue, di Federico Masini sulle reazioni cinesi al viaggio in Cina di Ciampi, è pubblicato sul numero 49 di Avvenimenti, ad incipit di un dossier che comprende anche un'intervista alla scrittrice Xinran, sulla condizione della donna in Cina e un pezzo di Amnesty International sui diritti umani in Cina
La visita di Ciampi serve a riguadagnare il tempo perduto Questa volta senza alcuna mediazione a favore del Vaticano.
La caduta del muro di Pechino
Ciampi in Cina
di Federico Masini*
* Sinologo, preside della Facoltà di Studi Orientali,
Università di Roma “la Sapienza”
Il 4 dicembre Ciampi è sbarcato a Pechino per una delle più imponenti visite di un capo stato occidentale in Cina, con al seguito ben quattro aerei carichi di oltre 200 imprenditori italiani, oltre a quattro ministri: Fini, Marzano, Urbani e Urso, al presidente della Confindustria Cordero di Montezemolo, al Presidente dell’Ice Quintieri e a 30 giornalisti. Mai una visita di un capo di stato europeo aveva assunto una tale dimensione ed è testimonianza del grande interesse con il quale l’Italia guarda ora alla Cina, nonché del grande sforzo profuso dalle nostre rappresentanze in Cina, l’Ambasciata d’Italia e l’Ufficio ICE a Pechino e il Consolato generale a Shanghai. Durante la visita sono stati infatti firmati otto accordi bilaterali per lo sviluppo delle relazioni politiche, economiche e culturali fra i due paesi.
Per la prima volta insomma l’Italia ha tentato di presentarsi come un sistema integrato, superando divisioni e particolarismi, nel tentativo di eguagliare l’impegno già profuso da Francia e Germania, che negli anni scorsi erano accorse in massa alla corte di Pechino, nel desiderio di trarre profitto dallo straordinario sviluppo economico e commerciale che in questi anni ha collocato la Cina al primo posto nel mondo per tasso di sviluppo, imponendola come la vera locomotiva dell’economia mondiale.
Sembrano lontanissimi i tempi, solo quindici anni fa, quando dopo i fatti di Tian’an men del 1989, nessun rappresentante occidentale veniva più in Cina, ed invece adesso quando Ciampi era ricevuto dal presidente della Repubblica Hu Jintao, dal Presidente del Consiglio Wen Jiabao e dal Presidente del Parlamento Wu Bangguo, lo seguiva a ruota nello stesso giorno il cancelliere tedesco Schröder.
La visita, se seguita da fatti concreti, potrebbe consentire al nostro paese di riguadagnare il tempo perduto, avviando relazioni sistematiche e non più sporadiche, in campo politico, economico e culturale. L’Italia fu infatti uno dei primi paesi occidentali ad avviare relazioni economiche con la Cina negli anni ‘60 e ’70, tuttavia i disastri dei programmi di cooperazione economica del nostro Ministero degli Esteri, e l’assenza in Italia di grandi gruppi, capaci di forti investimenti all’estero, aveva lasciato il mercato cinese solo alle piccole e medie imprese italiane, che negli anni ’80 avevano collocato l’Italia ai primi posti fra i paesi occidentali, per l’interscambio con la Cina, venendo però poi sopravanzata da quei paesi occidentali capaci di interventi più sistematici. L’Italia cioè non era stata in grado di profittare della sua condizione di paese sviluppato, ma con il quale la Cina non aveva quasi alcuna ruggine semicoloniale, come è il caso di Gran Bretagna, Francia e Germania.
Sul piano politico la vista di Ciampi si collocava inoltre in un momento strategico per il governo di Pechino: infatti l’8 dicembre, il premier Wen Jiabao, subito dopo aver incontrato Ciampi, è volato all’Aja per il settimo incontro UE-Cina, che egli sperava avrebbe fatto incassare alla Cina la revoca dell’embargo all’importazione di armamenti dall’Europa, imposta dopo i fatti del 1989. Durante i colloqui con Ciampi, Wen Jiabao aveva ottenuto il sostegno dell’Italia, oltre a quelli già manifestati da Francia e Germania; tuttavia l’opposizione di Gran Bretagna e Svezia, sostenute dagli Usa, non hanno consentito alla Cina di ricevere l’immediato via libera alle importazioni di armamenti, ma solo la preventiva approvazione di un “codice di condotta” UE-Cina sulle importazioni ed importazioni di armamenti. In cambio delle aperture italiane, la Cina ha dichiarato di appoggiare il progetto di riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite meno sgradito all’Italia.
In campo economico - anche grazie alla dichiarazione di Ciampi di voler “contrastare la demagogia protezionistica” - la visita potrebbe consentire alle oltre 500 imprese italiane presenti in Cina nuovi margini di sviluppo, in particolare nel settore agro-alimentare e della progettazione di mezzi di locomozione ecologici. Presso l’università di Qinghua, la più grande istituzione accademica cinese nel settore scientifico, Ciampi ha infatti posto la prima pietra di un palazzo ecologico, frutto della collaborazione con il ministero dell’ambiente italiano. A Shanghai, il capo dello Stato ha presenziato un forum organizzato dalla Confindustria e dall’Ice per la promozione del “Made in Italy” in Cina.
Le dichiarazioni di Ciampi a Pechino hanno però procurato una levata di scudi in Italia, dove la Lega ha criticato le aperture economiche alla Cina, come aveva fatto a già suo tempo il Ministro Tremonti, reclamando l’introduzione di anacronistiche forme di protezionismo commerciale; mentre i Radicali e il Partito della Rifondazione Comunista hanno stigmatizzato le aperture politiche di Ciampi, protestando vibratamente per la disponibilità dell’Italia a favorire le forniture di armamenti alla Cina.
In campo educativo c’è da sperare che finalmente l’Italia comprenda come solo sviluppando più ampie relazioni culturali si potrebbe imprimere una dimensione di continuità alla nostra presenza in Cina. Il presidente ha infatti visitato una mostra sulle relazioni fra l’Italia e la Cina allestita presso il nostro istituto di cultura di Pechino da Roberto Ciarla, curatore del Museo d’Arte Orientale di Roma e da Filippo Salviati, professore presso la Facoltà di Studi Orientali de “la Sapienza”, che testimonia l’ininterrotta storia di relazioni fra l’Italia e la Cina fin dai tempi degli antichi romani, storia che nessun altro paese al mondo può vantare. In campo culturale - grazie al memorandum per l’organizzazione nel 2006 di un anno dedicato all’Italia in Cina e alla firma del protocollo per le relazioni culturali per il triennio 2004-2006 - si auspica inoltre che la visita possa incrementare il numero degli studenti cinesi in Italia, che sono solo 800, a fronte delle decine di migliaia che studiano presso università francesi, tedesche e inglesi, favorendo al contempo la valorizzazione dello studio della lingua cinese presso le università italiane, dove attualmente oltre tremila ragazzi hanno scelto questa lingua, senza che sia giunto dal Ministero dell’università alcun sostegno specifico.
La vista di Ciampi è stata ampiamente celebrata tanto sulla stampa italiana, come su quella cinese, tuttavia non una sola parola è stata spesa dai media cinesi sui reali contenuti del discorso pronunciato da Ciampi dinanzi agli studenti di economia dell’Università di Qinghua, incentrato sui principi costituzionali dell’UE, cioè sui diritti umani dei popoli - secondo i resoconti della stampa italiana -, teso invece allo sviluppo delle relazioni economiche fra i popoli - secondo la stampa cinese.
A margine vale la pena notare inoltre, che non risulta che Ciampi sia intervenuto per favorire la normalizzazione delle relazioni con il Vaticano, cosa che era stata sempre oggetto di particolare interesse durante analoghe visite in passato. A riprova di ciò le sconvolgenti dichiarazioni rilasciate dal Cardinale Ruini, secondo cui “il vero pericolo per il cristianesimo è la Cina”; “Poiché in questa civiltà la religione ha un ruolo minore e ignora la fede in un Dio personale, Ruini prevede che essa non aiuterà, in Occidente, un rafforzamento dell’identità cristiana – come oggi avviene con l’Islam – ma all’opposto un suo indebolimento” (Avanti! 9-12-2004).
Vedere che finalmente l’Italia si sia accorta dell’esistenza della Cina non può che essere motivo di soddisfazione, resta tuttavia l’incognita, tutta italiana, se tante parole saranno seguite da fatti concreti, oppure, ancora una volta, rimarranno solo belle speranze; come accadde quando si fece una scampagnata a Pechino l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, a metà degli anni ’80, con al seguito decine di amici, parenti e conoscenti, che ispirò la meravigliosa battuta che Beppe Grillo volle mettere in bocca all’allora leader Deng Xiaoping, il quale vedendo gli italiani uscire dall’aereo (uno solo in quell’occasione!) avrebbe esclamato: “Non pensavo che questi italiani fossero più di noi!”.
sinistra
Liberazione tutto nuovo a febbraio
L'Espresso 17.12.04
Rossanda contro Ingrao. Chiude la rivista del quotidiano comunista. Ma per l'ala radical è pronto un nuovo spazio. Sponsor Bertinotti
DISSENSO MOLTO MANIFESTO
Dice il direttore di "Liberazione": "Un dibattito che interessa 100 mila lettori"
di Chiara Valentini
L'omino, disegnato con pochi tratti di penna, ha appoggiato in terra la valigia e sta attaccando alla porta, prima di andarsene, un biglietto laconico: «Torno subito». E' il messaggio con cui "la rivista del manifesto", sofisticata palestra della sinistra a sinistra dei Ds, annuncia che il numero appena uscito, quello di dicembre, sarà anche l'ultimo, almeno per il momento. Alimenta lo stupore e qualche pettegolezzo non solo il fatto che 8 mila copie vendute ogni mese sono una cifra irraggiunghile per imprese analoghe e che non c'erano nemmeno problemi economici seri. Quel che rende paradossale la chiusura è che contemporaneamente il quotidiano "il manifesto", rilanciando una proposta di Alberto Asor Rosa, ha convocato per il 15 gennaio a Roma un'assemblea dei partiti e dei movimenti della sinistra radicale, con lo scopo di definire strategie e proposte della "sinistra che verrà" . Ma si tratta proprio del tipo di lavoro che la rivista aveva portato avanti in questi cinque anni di vita, schierando a fianco delle sue prestigiose firme, da Rossana Rossanda a Pietro Ingrao a Fausto Bertinotti a Valentino Parlato ad Aldo Tortorella e Giuseppe Chiarante, i personaggi della sinistra sindacale e dei movimenti che ora vengono chiamati a raccolta. «La decisione di chiudere è solo del comitato promotore, noi non abbiamo messo bocca», dice Gabriele Polo, direttore de "il manifesto". Non lo smentisce Lucio Magri, il direttore della "rivista", secondo cui, di fronte alle molte novità italiane, è venuta a mancare una visione comune. E anche sull'analisi della propria storia ci si è divisi fra "la liquidazione sommaria del passato" di alcuni e la "patetica nostalgia" di altri.
Fuori dalle diplomazie, si tratta dello scontro che ha messo uno contro gli altri Ingrao, padre spirituale di ogni dissenso, e i suoi fìgliocci di un tempo, a cominciare da Rossanda e dallo stesso Magri. Già amareggiati dalla lettura sempre più liquidatoria che lngrao aveva iniziato a fare della storia comunista, erano rimasti senza fiato leggendo le condanne secche e senza appello, anche su Togliatti, contenute in un breve libro firmato da Antonio Galdo, "Il compagno disarmato", che Ingrao non ha autorizzato esplicitamente, ma nemmeno sconfessato. Fa poi da sfondo alla vicenda, l'avvicinamento esplicito di lngrao a Bertinotti e alla sua svolta, con il no a tutti i comunismi e l'abbraccio della non violenza, con cui peraltro gli eredi del Pci ritengono di non aver mai avuto niente a che fare.
Intanto, mentre "il manifesto" perde la sua prestigiosa appendice, allarga i suoi orizzonti "Liberazione", dove Bertinotti ha chiamato come direttore Piero Sansonetti, brillante giornalista politico che a Rifondazione non è nemmeno iscritto. E che sta preparando per febbraio una versione nuova del quotidiano, molto aperto agli intellettuali senza tessera. «Non pensiamo proprio di metterci in concorrenza con "il manifesto". Nell'area della sinistra alternativa ci sono almeno100 mila lettori pieni di voglia di discutere», dice Sansonetti. Sono l'avanguardia di quella sinistra diffusa che per un momento aveva creduto di aver trovato) il suo leader in Sergio Cofferati. Rimasta delusa dal rifluire dei movimenti e dalla partenza del Cinese per Bologna, adesso sembra desiderosa di tornare a farsi sentire. Questa è anche l'opinione di un altro personaggio di riferimento dell'area, lo storico Paul Ginsborg, che nel suo ultimo libro, "Il tempo di cambiare" (Einaudi), propone una nuova politica, partendo dall'esempio del Laboratorio per la democrazia, il movimento fiorentino di cui è stato uno dei fondatori. «Bisogna saper mettere da parte il passato, soprattutto quando divide, per riuscire a sprigionare entusiasmo sul presente», dice Ginsborg, che aspetta con impazienza l'appuntamento del 15 gennaio. All'ordine del giorno, spiegano i promotori, c'è la voglia di mobilitare forze sparse contro Berlusconi e di cominciare a costruire una cultura comune alla sinistra alternativa. Impresa certamente coraggiosa, almeno a giudicare dalle mille divisioni che continuano ad agitare gruppi e movimenti, non importa se nuovi o vecchi.
Rossanda contro Ingrao. Chiude la rivista del quotidiano comunista. Ma per l'ala radical è pronto un nuovo spazio. Sponsor Bertinotti
DISSENSO MOLTO MANIFESTO
Dice il direttore di "Liberazione": "Un dibattito che interessa 100 mila lettori"
di Chiara Valentini
L'omino, disegnato con pochi tratti di penna, ha appoggiato in terra la valigia e sta attaccando alla porta, prima di andarsene, un biglietto laconico: «Torno subito». E' il messaggio con cui "la rivista del manifesto", sofisticata palestra della sinistra a sinistra dei Ds, annuncia che il numero appena uscito, quello di dicembre, sarà anche l'ultimo, almeno per il momento. Alimenta lo stupore e qualche pettegolezzo non solo il fatto che 8 mila copie vendute ogni mese sono una cifra irraggiunghile per imprese analoghe e che non c'erano nemmeno problemi economici seri. Quel che rende paradossale la chiusura è che contemporaneamente il quotidiano "il manifesto", rilanciando una proposta di Alberto Asor Rosa, ha convocato per il 15 gennaio a Roma un'assemblea dei partiti e dei movimenti della sinistra radicale, con lo scopo di definire strategie e proposte della "sinistra che verrà" . Ma si tratta proprio del tipo di lavoro che la rivista aveva portato avanti in questi cinque anni di vita, schierando a fianco delle sue prestigiose firme, da Rossana Rossanda a Pietro Ingrao a Fausto Bertinotti a Valentino Parlato ad Aldo Tortorella e Giuseppe Chiarante, i personaggi della sinistra sindacale e dei movimenti che ora vengono chiamati a raccolta. «La decisione di chiudere è solo del comitato promotore, noi non abbiamo messo bocca», dice Gabriele Polo, direttore de "il manifesto". Non lo smentisce Lucio Magri, il direttore della "rivista", secondo cui, di fronte alle molte novità italiane, è venuta a mancare una visione comune. E anche sull'analisi della propria storia ci si è divisi fra "la liquidazione sommaria del passato" di alcuni e la "patetica nostalgia" di altri.
Fuori dalle diplomazie, si tratta dello scontro che ha messo uno contro gli altri Ingrao, padre spirituale di ogni dissenso, e i suoi fìgliocci di un tempo, a cominciare da Rossanda e dallo stesso Magri. Già amareggiati dalla lettura sempre più liquidatoria che lngrao aveva iniziato a fare della storia comunista, erano rimasti senza fiato leggendo le condanne secche e senza appello, anche su Togliatti, contenute in un breve libro firmato da Antonio Galdo, "Il compagno disarmato", che Ingrao non ha autorizzato esplicitamente, ma nemmeno sconfessato. Fa poi da sfondo alla vicenda, l'avvicinamento esplicito di lngrao a Bertinotti e alla sua svolta, con il no a tutti i comunismi e l'abbraccio della non violenza, con cui peraltro gli eredi del Pci ritengono di non aver mai avuto niente a che fare.
Intanto, mentre "il manifesto" perde la sua prestigiosa appendice, allarga i suoi orizzonti "Liberazione", dove Bertinotti ha chiamato come direttore Piero Sansonetti, brillante giornalista politico che a Rifondazione non è nemmeno iscritto. E che sta preparando per febbraio una versione nuova del quotidiano, molto aperto agli intellettuali senza tessera. «Non pensiamo proprio di metterci in concorrenza con "il manifesto". Nell'area della sinistra alternativa ci sono almeno100 mila lettori pieni di voglia di discutere», dice Sansonetti. Sono l'avanguardia di quella sinistra diffusa che per un momento aveva creduto di aver trovato) il suo leader in Sergio Cofferati. Rimasta delusa dal rifluire dei movimenti e dalla partenza del Cinese per Bologna, adesso sembra desiderosa di tornare a farsi sentire. Questa è anche l'opinione di un altro personaggio di riferimento dell'area, lo storico Paul Ginsborg, che nel suo ultimo libro, "Il tempo di cambiare" (Einaudi), propone una nuova politica, partendo dall'esempio del Laboratorio per la democrazia, il movimento fiorentino di cui è stato uno dei fondatori. «Bisogna saper mettere da parte il passato, soprattutto quando divide, per riuscire a sprigionare entusiasmo sul presente», dice Ginsborg, che aspetta con impazienza l'appuntamento del 15 gennaio. All'ordine del giorno, spiegano i promotori, c'è la voglia di mobilitare forze sparse contro Berlusconi e di cominciare a costruire una cultura comune alla sinistra alternativa. Impresa certamente coraggiosa, almeno a giudicare dalle mille divisioni che continuano ad agitare gruppi e movimenti, non importa se nuovi o vecchi.
donne nella storia
Cleopatra
Il Messaggero 17.12.04
La regina d'Egitto non era solo una gran bella donna
Cleopatra? Una scienziata
di VALERIO MASSIMO MANFREDI
È l'eterno sogno dei filologi classici: il ritrovamento di testi non conosciuti o non pervenuti. Ciò che ci resta della letteratura antica è una percentuale molto limitata rispetto a quello che è andato perduto. Pensiamo che nel territorio dell'Impero Romano c'erano circa diecimila città e alcune centinaia di esse avevano biblioteche sia pubbliche che private di decine o anche centinaia di migliaia di volumi che sono andati in gran parte distrutti. Il resto è stato completamente catalogato, studiato ed editato, inclusi i frammenti, o derivati da citazioni presso altri autori o da papiri rinvenuti occasionalmente durante gli scavi archeologici. Le novità possono venirci solo da nuove scoperte: immaginiamo che lo scavo della Villa dei Papiri a Ercolano ci restituisse la biblioteca latina della Domus, per esempio. Oppure il testo inedito potrebbe nascondersi dietro una traduzione in una lingua non molto praticata o frequentata da filologi classici: come l'arabo, per esempio. È quello che sarebbe accaduto, a quanto sembra, a un egittologo del Museo Flinders Petrie dell'University College di Londra, Okasha el Daly, che ritiene di aver trovato presso varie fonti arabe fino ad ora sconosciute, una serie di notizie sulla regina Cleopatra che la presenterebbero come una grande scienziata: esperta di astronomia, alchimia, architettura, cosmetica e medicina. Avrebbe studiato le fasi dello sviluppo del feto nel grembo materno e avrebbe ristrutturato il Faro di Alessandria per farne un osservatorio astronomico. Alcuni di questi testi arabi ci conserverebbero addirittura opere redatte dalla stessa Cleopatra.
Sarà vero? Probabilmente sì. A parte la valutazione scientifica del lavoro di El Daly, va tenuto presente che Cleopatra, già nell'antichità, era nota per essere una donna non solo di grande fascino, ma anche di grande intelligenza. Nel suo palazzo esisteva la mitica Grande Biblioteca di Alessandria che arrivò a contare un milione di volumi, e il Museo, il primo Istituto di ricerca pura che sia stato creato nella storia dell'uomo. Non è un caso che Giulio Cesare riformasse l'antiquato calendario romano proprio nel periodo in cui Cleopatra era con lui a Roma.
La riforma è di solito attribuita agli astronomi della regina, in particolare a Sosigene, ma perché la giovane regina non avrebbe dovuto interessarsi all'ambiente scientifico in cui era cresciuta? Quella alessandrina fu una vera e propria rivoluzione scientifica che portò a risultati strabilianti come l'invenzione di una macchina a vapore basata sul principio di azione-reazione (la macchina di Erone), la misurazione della circonferenza dell'equatore calcolata da Eratostene con un errore di poche miglia, l'invenzione del principio della idrodinamica (a opera di Archimede) e la scoperta del sistema eliocentrico in astronomia che sarebbe stato recuperato soltanto con Copernico e Galileo, per non fare che alcuni esempi. Cleopatra inoltre dimostrò una intelligenza politica strabiliante: sapendo che nessun paese del Mediterraneo avrebbe potuto mantenersi indipendente da Roma, e quindi nemmeno l'Egitto, cercò di impiantare la propria dinastia sul corpo dell'Impero romano dando un figlio a Giulio Cesare. Le idi di marzo stroncarono il suo sogno, e il suo secondo tentativo con Marco Antonio non ebbe esito migliore, ma l'idea era brillante. Quando l'ufficiale romano inviato da Ottaviano al suo palazzo per prenderla prigioniera la trovò già morta per il morso dell'aspide, avrebbe chiesto indispettito alla sua schiava agonizzante: «Ti sembra questa una degna fine?». «Più che degna rispose quella, degna dell'ultima regina di una grande stirpe».
La regina d'Egitto non era solo una gran bella donna
Cleopatra? Una scienziata
di VALERIO MASSIMO MANFREDI
È l'eterno sogno dei filologi classici: il ritrovamento di testi non conosciuti o non pervenuti. Ciò che ci resta della letteratura antica è una percentuale molto limitata rispetto a quello che è andato perduto. Pensiamo che nel territorio dell'Impero Romano c'erano circa diecimila città e alcune centinaia di esse avevano biblioteche sia pubbliche che private di decine o anche centinaia di migliaia di volumi che sono andati in gran parte distrutti. Il resto è stato completamente catalogato, studiato ed editato, inclusi i frammenti, o derivati da citazioni presso altri autori o da papiri rinvenuti occasionalmente durante gli scavi archeologici. Le novità possono venirci solo da nuove scoperte: immaginiamo che lo scavo della Villa dei Papiri a Ercolano ci restituisse la biblioteca latina della Domus, per esempio. Oppure il testo inedito potrebbe nascondersi dietro una traduzione in una lingua non molto praticata o frequentata da filologi classici: come l'arabo, per esempio. È quello che sarebbe accaduto, a quanto sembra, a un egittologo del Museo Flinders Petrie dell'University College di Londra, Okasha el Daly, che ritiene di aver trovato presso varie fonti arabe fino ad ora sconosciute, una serie di notizie sulla regina Cleopatra che la presenterebbero come una grande scienziata: esperta di astronomia, alchimia, architettura, cosmetica e medicina. Avrebbe studiato le fasi dello sviluppo del feto nel grembo materno e avrebbe ristrutturato il Faro di Alessandria per farne un osservatorio astronomico. Alcuni di questi testi arabi ci conserverebbero addirittura opere redatte dalla stessa Cleopatra.
Sarà vero? Probabilmente sì. A parte la valutazione scientifica del lavoro di El Daly, va tenuto presente che Cleopatra, già nell'antichità, era nota per essere una donna non solo di grande fascino, ma anche di grande intelligenza. Nel suo palazzo esisteva la mitica Grande Biblioteca di Alessandria che arrivò a contare un milione di volumi, e il Museo, il primo Istituto di ricerca pura che sia stato creato nella storia dell'uomo. Non è un caso che Giulio Cesare riformasse l'antiquato calendario romano proprio nel periodo in cui Cleopatra era con lui a Roma.
La riforma è di solito attribuita agli astronomi della regina, in particolare a Sosigene, ma perché la giovane regina non avrebbe dovuto interessarsi all'ambiente scientifico in cui era cresciuta? Quella alessandrina fu una vera e propria rivoluzione scientifica che portò a risultati strabilianti come l'invenzione di una macchina a vapore basata sul principio di azione-reazione (la macchina di Erone), la misurazione della circonferenza dell'equatore calcolata da Eratostene con un errore di poche miglia, l'invenzione del principio della idrodinamica (a opera di Archimede) e la scoperta del sistema eliocentrico in astronomia che sarebbe stato recuperato soltanto con Copernico e Galileo, per non fare che alcuni esempi. Cleopatra inoltre dimostrò una intelligenza politica strabiliante: sapendo che nessun paese del Mediterraneo avrebbe potuto mantenersi indipendente da Roma, e quindi nemmeno l'Egitto, cercò di impiantare la propria dinastia sul corpo dell'Impero romano dando un figlio a Giulio Cesare. Le idi di marzo stroncarono il suo sogno, e il suo secondo tentativo con Marco Antonio non ebbe esito migliore, ma l'idea era brillante. Quando l'ufficiale romano inviato da Ottaviano al suo palazzo per prenderla prigioniera la trovò già morta per il morso dell'aspide, avrebbe chiesto indispettito alla sua schiava agonizzante: «Ti sembra questa una degna fine?». «Più che degna rispose quella, degna dell'ultima regina di una grande stirpe».
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