La Provincia 19.3.05PIRANDELLO Parole con il figlio prigioniero
Il nipote del grande scrittore siciliano ha raccolto in libro il ricco epistolario tra il nonno e il primogenito Stefano«Stefanuccio mio, le tue condizioni ci stringono il cuore! Siamo in angosciosa attesa che - dopo due anni e tre mesi di prigionia - arrivi finalmente il tuo turno per un prossimo scambio di prigionieri. Pensiamo sempre a te, Stenù mio! Non stare in pensiero per noi, tu, intanto. Pensa solo a mantenerti forte. Lavoriamo. Coraggio. E abbiti con tutto il cuore tutti i baci del papà tuo. Luigi». È lo stralcio di una delle tante lettere che Luigi Pirandello scrisse al primogenito Stefano durante la prima guerra mondiale, negli anni in cui il giovane era prigioniero degli austriaci a Mauthausen. Anni duri che segnarono l'anima del commediografo che di li a poco avrebbe affrontato un'altra grande prova: la malattia della moglie Antonietta, una tragedia mai superata che condizionò il resto della sua vita e del suo lavoro. «Tutti i nodi di una situazione familiare labirintica - dice Andrea Pirandello, nipote del premio Nobel siciliano, autore di Il figlio prigioniero, in cui riunisce il carteggio tra Luigi e Stefano Pirandello durante la guerra 1915 - 1918 - le difficoltà, i problemi materiali sentimentali e psicologici che lo avevano tormentato nei decenni precedenti fanno massa insieme aggrovigliandosi. In un volgere di tempo relativamente breve le ripercussioni domestiche del conflitto mondiale e l'aggravarsi della follia della moglie Antonietta paiono condurre allo sfacelo della comunità». Suo padre, adottando come scrittore lo pseudonimo di Stefano Landi, ha voluto sfuggire la pesante eredità di Luigi Pirandello. Mio padre non volle approfittare del grande nome di Pirandello, ma usò lo pseudonimo anche per una necessità d'autonomia, per potersi distinguere come un autore diverso. Fu una mossa per eliminare ogni sospetto di competizione, in considerazione della gloria paterna e per esercitare in tutta libertà la propria vis creativa. Il volume comprende l'intero epistolario? Delle 122 lettere di Luigi Pirandello che tra mille peripezie Stefano riuscì a portare a casa dalla prigionia, ne ho scelte 97. Delle 311 di Stefano conservate in casa ne ho incluso 89. La selezione non è motivata dal desiderio di tacere o tenere sotto riserbo qualche momento della vita dei due corrispondenti, ma solamente per non appesantire la lettura con particolari ripetitivi di minore interesse. Suo padre Stefano era un interventista? Si, fu un interventista, ma lo divenne dopo perché fino all'autunno del 1914, dalle sue lettere non risulta un convincimento orientato alla guerra. Partecipò a dei movimenti tra gli studenti romani e in altre parti d'Italia, che poi culminarono nelle radiose giornate di maggio del 1915 con D'Annunzio, che infiammava l'ideologia interventista e il 31 dicembre del 1914, si presentò volontario perché voleva partecipare subito. Rimase sotto le armi dal 1 gennaio del 1915 fino al novembre del 1919 e il lungo periodo militare incise fortemente sugli anni della sua formazione. Ne fu disorientato tanto che, smessa la divisa, non riprese più gli studi universitari, perché a 24 anni pensava di essere superato dai giovani che non avevano fatto la sua esperienza. La posizione di Luigi Pirandello durante la Prima guerra mondiale e la conseguente apprensione per la sorte del figlio prigioniero, potrebbe essere la spiegazione della sua adesione al fascismo? Non direi. Luigi Pirandello fu un interventista molto tiepido, e aveva un atteggiamento sorridente verso gli entusiasmi del figlio. Seguiva l'orientamento generale di certi strati della popolazione, si adeguava abbastanza facilmente, e in questa disponibilità ad accettare le idee correnti si può valutare la sua adesione al fascismo. Molto originale nell'arte, nella vita, sotto certi aspetti, si conformava un po' ai modi di pensare del suo ceto, la piccola e media borghesia. Le lettere di suo nonno e di suo padre, che emozioni le hanno suscitato? Intanto l'emozione che ha destato e mi desta tuttora il loro rapporto straordinario, raro. È difficile trovare un'intesa così tra padre e figlio. Era un tipo di rapporto unico non solamente d'affetto: era anche di partecipazione al lavoro, comunione intellettuale pur se partivano da idee diverse per quanto riguardava vita culturale e politica. Il loro è stato un colloquio continuo, tolti gli anni dal 1928 al 1933 in cui Luigi Pirandello andò all'estero. In loro non ci sono davvero mai ombre di conflitto come quelle che spesso insorgono tra genitori e figli? Tra loro non ci fu mai nessun contrasto. Stefano era schierato con il padre in una maniera completa, anche se certe sue idee erano diverse. E giustamente, dal lavoro di Stefano emerge una visione diversa da quella di Luigi. Stefano Pirandello, sapeva del legame tra suo padre e Marta Abba? Come reagì al rapporto fra i due? Mio padre sapeva tutto. Con la Abba Luigi Pirandello ebbe solo un rapporto spirituale, tra autore e attrice: non ci fu un rapporto tra uomo e donna. Stefano fu contento che il padre trovasse un affetto anche fuori della famiglia, un conforto al dolore che rimase sempre vivo anche dopo la separazione dalla moglie. In un certo senso fu lo stesso Stefano a prendere l'iniziativa assieme ad altri per creare il Teatro d'Arte. Voleva che il padre si impegnasse nel fare teatro, e trovare così un campo, anche affettivo, che gli consentisse di uscire dalla solitudine e dallo sconforto della malattia. Era prevedibile che sarebbero sorte nuove relazioni e questioni, ma non ci fu mai nessun atto di contrarietà, anche se Stefano soffrì di una certa invadenza della Abba. Che tipo di invadenza? La Abba era una persona molto vigorosa. Come tutta la gente del teatro, aveva una carica emotiva, una personalità forte che introdotta nella famiglia creò qualche piccolo problema. Come ricorda suo nonno? Quando mio nonno è morto avevo undici anni, perciò lo ricordo bene essendo già una personcina matura. Con lui passavo molto tempo, specialmente dopo il suo ritorno dall'estero: quando era a Roma, stava sempre a casa nostra, anche per dei mesi. Gli piaceva stare in famiglia e giocare con noi bambini con grande giocondità. Ricordo anche le sue tristezze e le sue rabbie. Si adirava con facilità su molte cose, non familiari, ma relative alla situazione esterna, al suo lavoro. Perché ha intitolato l'epistolario «Il figlio prigioniero»? Stefano è sempre stato prigioniero del suo rapporto con il padre, e al lager era doppiamente prigioniero. Durante la guerra, si emancipò, cominciò a scrivere, perché quello era l'unico modo per uscire dalla prigione di fatto e della mente. Si confrontò con il padre sul suo stesso terreno, anche se adottò lo pseudonimo. Dopo il congedo potè reinserirsi nella vita civile, e fu subito molto assorbito dal padre, prestandogli aiuto come segretario e interlocutore. Ma soprattutto riprese a scrivere per il teatro, rielaborando i testi che aveva composto durante la prigionia. Per questa attività scelse lo pseudonimo di Stefano Landi, ma gli ultimi anni, pesandogli sempre di più lo pseudonimo, spesso riprese per firmare i suoi lavori il suo cognome vero: Pirandello.
Francesco Mannoni Andrea Pirandello, «Il figlio prigioniero», Mondadori, 371 pagine, 22 euro