martedì 24 giugno 2003

sul caso elettroshock a Napoli (5), il direttore dell'OPG di Aversa: ci vuole "una seria ricerca scientifica"

La Repubblica di Napoli 24.6.03
Se la psichiatria diventa violenta
di Adolfo Ferraro, Psichiatra, Direttore dell´Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa

C´è però da rilevare che l´uso della contenzione al letto viene praticata senza problemi in tutti i servizi psichiatrici della penisola, e chi ha avuto esperienze di "Tso" può confermarlo .
Il punto non è quindi quello della validità o meno dello strumento terapeutico (letto di contenzione, elettroshock o farmaci che stordiscono), ma della evoluzione terapeutica che un approccio al malato di mente deve saper proporre, altrimenti anche una legnata in testa o un pestaggio possono essere considerati validi strumenti terapeutici. Insomma, il grande rischio della psichiatria attualmente (e la discussione in atto ne è conferma) è quello di riproporre vecchie strategie che possono avere effetto sul paziente (ma a quale prezzo?), evitando una seria ricerca scientifica che escluda la sempre presente possibilità di imbarbarimento che la psichiatria corre quotidianamente. (A tale proposito si dia una lettura alla proposta di legge Burani Procaccini e ci si renderà conto della possibilità di tale evenienza) .
Addolora (ma non stupisce) osservare che l´utilizzo propagandistico dell´ospedale psichiatrico giudiziario, come viene spesso effettuato, se da una parte non riconosce le evoluzioni che negli ultimi anni queste strutture hanno prodotto, serve ancora a proporre, per chi non conosce quello che si verifica in questi luoghi, una lettura strumentale e non di aiuto a quello che la psichiatria ufficiale, travolta da lotte intestine di potere, dovrebbe individuare come moderne possibilità di trattamento del malato mentale.
Nel Museo storico dell´ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa fa bella mostra di sé, insieme a vecchi ricordi del manicomio criminale, il primo apparecchio per elettroshock utilizzato in Italia; a monito di una strada che riteniamo non debba essere ripercorsa. Tutto ciò è anche possibile vedere visitando il sito http://www.opgaversa.it" che racconta di quello che accade là dentro.

Maya Sansa e Marco Bellocchio (2)

Il Resto del Carlino 24.6.03
La storia d'Italia, la tragedia di Moro
Maya Sansa, l'obiettivo è il successo
di Giovanni Bogani

FIRENZE — Ha gli occhi attenti, scuri di un cerbiatto in fuga. Ha le sopracciglia nere che sanno di Mediterraneo, di Italia. Ha Londra negli occhi, nel passato prossimo. Anni passati a studiare teatro, a imparare l'inglese, che parla come l'italiano. Ha un esordio fulminante, in tasca: con "La balia" di Marco Bellocchio, dove la sua bellezza bruciante e generosa appariva, per la prima volta, davanti agli occhi del pubblico italiano. Ha una manciata di film, adesso, che scandiscono il suo ritorno, la sua conferma.
Maya Sansa, ventotto anni a settembre, è fra le protagoniste di "La meglio gioventù", il film-fiume – sei ore – di Marco Tullio Giordana. E ha negli occhi altri tre film: uno dei quali con Marco Bellocchio, il regista che l'ha scoperta nel 1999. E ha anche, nel passato recente, l'avventura di un film praticamente mai uscito, anche se all'estero sta avendo successo: "Benzina" di Monica Stambrini.
Ma andiamo con ordine. E il presente è la felicità di questo piccolo lungo film, "La meglio gioventù". Nato per la televisione, poi felicemente trasmigrato al cinema, e addirittura vincitore a Cannes.
Maya, prima di tutto, che cosa ti aveva affascinato del progetto di Marco Tullio Giordana?
«Io sono affascinata dai film-fiume: "Heimat", il film sulla storia tedesca, lo considero un capolavoro. E poi della storia di Giordana mi piaceva il rispetto enorme per tutti i personaggi: ognuno viene compreso nelle sue difficoltà. E mi sembra un risultato di grande maturità, guardare la nostra storia senza scrivere i buoni e i cattivi alla lavagna. Anche il mio personaggio, Mirella, è uno che osserva, che cerca di posare lo sguardo sugli altri, ma senza giudicarli».
Per un film fortunato, uno che non ha avuto fortuna. "Benzina" di Monica Stambrini, dal romanzo di Elena Stancanelli, interpretato da te e da Regina Orioli, quasi non ha avuto distribuzione. Perché?
«E' una brutta storia: perché il film è stato venduto all'estero, lo hanno visto i miei amici a Londra, per esempio, e lo hanno amato. Ma in Italia, niente. Anzi: al festival di Torino lo hanno attaccato per i baci che ci scambiamo io e Regina nel film. Baci che, premetto, sono castissimi. Ma evidentemente, mentre al cinema l'omosessualità maschile è quasi di moda, una storia di omosessualità femminile sconvolge ancora tutti, provoca reazioni violente. Ci sono molte più barriere da superare per l'omosessualità femminile che per quella maschile».
Altri due film ti vedono protagonista. Uno è quello di Fiorella Infascelli, "Il vestito da sposa", dove reciti insieme a Piera Degli Esposti…
«E' un film drammatico, in cui io sono una donna che vive una vita tranquilla, in campagna, fino a quando un evento improvviso stravolge l'esistenza di tutti i personaggi. Un altro film drammatico, me ne rendo conto. Ma che cosa ci devo fare? Il fatto è che in Italia, questa Italia che adoro, e dove sono ritornata dopo anni a Londra, vedono ancora la donna nel cinema o come figura tragica o come caricatura sexy. La commedia brillante, sottile, fatta di humour, dov'è?».
L'altro film che hai appena finito di girare ti vede di nuovo con il regista che ti ha scoperta: Marco Bellocchio.
«Sì. E non è che ci siamo sentiti in continuazione, in questi tre anni: così, sono rimasta stupita, e felice, quando Marco mi ha chiamata di nuovo. Il film si chiama "Buongiorno notte", e racconta del rapimento e dell'omicidio di Aldo Moro. Di più, Bellocchio mi ha ordinato di non dire». Bellocchio, infatti, ha finito di girare il suo film su Moro nella più inaccessibile segretezza. Non un'intervista, non una visita sul set, non una fotografia. Chissà se è Maya Sansa a interpretare Anna, cioè Anna Laura Braghetti, la cosiddetta "vivandiera" del covo di via Montalcini dove fu tenuto Aldo Moro. Se Maya è Anna, è il cuore di questo film, efficiente carceriera di Moro, fidanzata di Prospero Gallinari, leader Br, e dall'altro insospettabile ragazza chiamata a recitare la normalità del quotidiano: un ufficio al ministero, un lavoro, dei colleghi. Una doppia vita da mettere in scena: e Maya, che già di vite ne ha vissute due, una a Londra e una a Roma, vivrà in questi fotogrammi l'esame più duro. A ventotto anni, giocherà la partita più difficile, ed entusiasmante, della sua carriera.