mercoledì 10 novembre 2004

ringraziando di cuore ciascuna delle numerosissime compagne e compagni che hanno fatto circolare l'informazione tramite sms e e.mail

Paolo Izzo segnala anche che cliccando sul seguente link è possibile visualizzare la pagina originale del giornale:

L'ARTICOLO
IN PRIMA PAGINA DEL CORRIERE DELLA SERA
DEL 10 NOVEMBRE 2004

Ritorno agli anni Settanta
I RAGAZZI DELLE PSICO ASSEMBLEE
di GIULIANO ZINCONE

Nella penombra di Villa Piccolomini (Roma), ecco le schiere ordinate e pazienti di giovani che s’avviano verso il capannone dove si celebra l’Evento. La quantità di chi accorre è stupefacente. In fondo si tratta soltanto della presentazione di un libro pacifista di Fausto Bertinotti. Ritenevamo che l’incontro fosse riservato a pochi curiosi della politica. E invece gli spettatori sono almeno duemila, molti seduti in terra con le loro tecnoscarpette, le pance graziose e gli sguardi attenti. C’è perfino un maxischermo, per quelli che non trovano posto nella maxitenda. Quale sarà il segreto di quest’incredibile affollamento? Non certo la fama della libreria organizzatrice (Amore & Psiche), e nemmeno il fascino di Bertinotti, che si sorprende e quasi si spaventa, di fronte a una platea tanto folta. Il segreto si chiama Massimo Fagioli, psicanalista eretico che invita a smascherare «quell’imbecille chiamato Freud» e che, negli anni Settanta, intercettò le disperazioni di molti studenti e di molti intellettuali delusi dai loro sogni rivoluzionari. Noi credevamo che quella stagione fosse superata. E invece, no. Ancora oggi, migliaia di giovani seguono le psico-assemblee di Fagioli. La moltitudine che applaude Bertinotti è proprio la stessa che frequenta i seminari di «analisi collettiva» guidati dal Maestro. E il leader di Rifondazione se la cava piuttosto bene di fronte a questo pubblico febbrile, parlando della non violenza, senza sconti per la sua tradizione politica. Anzi: egli sostiene che nessuna aggressione è scusabile, per nessun fine, e che è stolto giustificare la prepotenza di sinistra mentre si condanna quella di destra.
Dopo Bertinotti, parlano anche Marco Bellocchio, regista discepolo di Fagioli, e Pietro Ingrao. Entrambi, ormai, si dichiarano buonissimi. Il cineasta rinnega le crudeltà dei suoi film migliori, il vecchio dirigente comunista esprime il proprio disgusto per la «guerra preventiva» di Bush, sorvolando su tutte le «guerre di liberazione» e su tutte le «violenze proletarie» che egli approvò fino all'altro ieri. Applausi, applausi, a Villa Piccolomini: soprattutto per il pacifista libertario Bertinotti, che qui non parla di comunismo e che farebbe bene a cancellare questa parolaccia dal nome del suo partito.
Mentre a Roma si celebrava il trionfo dell'antagonismo non violento di Massimo Fagioli, dei suoi fedeli e del convertito Fausto, nell'intera Penisola esplodeva l'immortale dibattito sul disagio giovanile, un discorso che ci sentiamo ripetere fin dai tempi d'Assurbanipal e che sembra sempre fresco, poiché le recenti statistiche ci spiegano che «un ragazzo su cinque soffre di disturbi mentali». Oddìo, che cosa sono questi disturbi? Sono quelli che si decantano nei seminari di Fagioli? Sono quelli delle persone che non trovano più identità (disciplina, organizzazione) in nessun gruppo o gruppetto d'opposizione radicale? Oppure sono quelli di coloro che vengono disprezzati, quando esprimono la loro estraneità, di fronte alle parole politiche anziane e incredibili megafonate dai teleschermi?
Che cosa sta accadendo, nel cosiddetto pianeta giovanile? Niente di «progressista» diremmo. A Milano, qualche studente del Parini allaga la scuola, e l'esempio dei teppisti contagia altri due istituti italiani. Negli anni Settanta, molte scuole venivano vandalizzate o bruciate, nei quartieri poveri del Sud. Ma allora, accanto alla brutalità, c'erano (penose) motivazioni ideologiche: alcuni estremisti distruggevano le aule perché le consideravano simboli dello Stato capitalista. Adesso le aggrediscono perché hanno paura del compito in classe. Analogo è il percorso degli «espropri proletari». A Roma, i «disobbedienti» del gruppo San Precario hanno rubato volumi (li leggeranno?) alla libreria Feltrinelli e merci varie in un ipermercato. Con azioni simili a queste, gli autonomi degli anni Settanta pretendevano di «creare isole di comunismo». Sbagliavano e delinquevano, ma coltivavano, tra l'altro, un (folle) progetto politico. I ladri d'oggi, invece, protestano contro il carovita, e si vantano di donare ai proletari i pani e i pesci dei giorni nostri: schermi ultrapiatti e telefonini.
C'è, infine, la recrudescenza della criminalità giovanile napoletana. La classe dirigente locale continua a squittire slogan contro l'assenza dello Stato, che invece è fin troppo presente, con i suoi carabinieri, con i suoi poliziotti e con i suoi inascoltati sermoni. Chiaro: la delinquenza esiste dappertutto. Ma a Napoli essa viene tollerata, giustificata e assecondata da una parte considerevole della popolazione. Perché negarlo? A parte Raffaele La Capria, che è un solitario fuoriclasse, le forze politiche, gli intellettuali e i giornali non osano sbattere la verità sulla faccia dei loro lettori/elettori vesuviani: hanno paura di perdere consensi.
Però, altrove, ci sono anche i giovani che affollano i seminari di Massimo Fagioli e (addirittura) la presentazione di un libro che parla della non violenza. Sono ragazzi affamati di appartenenze, ma anche di dubbi. Persone normali, insomma.
Giuliano Zincone


STESSO AUTORE, STESSA TESTATA

più di ventisei anni fa...

Il Corriere della Sera 12 marzo 1978
Psicoanalisi d'assemblea all'Università
A ROMA È SCOPPIATO L'ANTI FREUD
di Giuliano Zincone

Roma – "Ho sognato che rimproveravo mio figlio. Poi stiravo un suo grembiule, usando acqua distillata, e il grembiule diventava un fazzoletto. Cambia scena, ci sono dei bambini che giocano. Parlo con uno di loro, il suo muco mi va in bocca. Penso alla nascita". Siamo in un’aula dell’istituto di psichiatria dell’università di Roma, assistiamo a uno dei tre seminari settimanali tenuti dal professor Massimo Fagioli. La stanza è affollata da duecento persone, arrivate con due ore di anticipo per assicurarsi i posti migliori. Per curarsi collettivamente, raccontando i propri sogni, Fagioli risponde: "Tu annulli la nascita. Al tuo bambino dai un fazzoletto per piangere, invece di dargli investimento sessuale (interesse). La madre tenta sempre di annullare la nascita, l'Io del bambino". Gli analizzandi sono quasi tutti giovani: studenti, psicanalisti in crisi, casalinghe, gente del cinema, intellettuali. I seminari sono gratuiti, il metodo analitico è fondato sulle teorie di Massimo Fagioli, contenute nei suoi tre libri, Istinto di morte e conoscenza, La marionetta e il burattino. Psicoanalisi della nascita e castrazione umana (Ed. Armando), Freud non è solo rifiutato, ma severamente sbeffeggiato. Senza il minimo riguardo, Fagioli lo definisce come "il vecchio imbecille sadico". Jung, invece, è paragonato a un "manicomio medioevale". I pazienti vengono da esperienze di estrema sinistra, molti sono tuttora militanti. Il loro atteggiamento, nei seminari, non manifesta, in genere, disturbi gravi o disperazioni, ma una specie di ansietà, una scontentezza profonda e diffusa. La fame di benessere mentale sta diventando un fenomeno di massa, tra i giovani e gli intellettuali delle nostre città. Le radio private trasmettono sempre più spesso conversazioni, sfoghi, interpretazioni selvagge dei sogni. Si moltiplicano i gruppi d'incontro, i gruppi reichiani, si importa dall’America la "terapia dell’urlo", la "terapia del contatto". Le istituzioni psichiatriche sono screditate, i movimenti dell’antipsichiatria, i "manicomi aperti", oscillano tra la negazione della malattia mentale e la ammissione della propria impotenza. Molti psicoanalisti confessano candidamente di non credere nell’efficacia terapeutica del proprio mestiere. Fagioli, invece, ci crede. Ha comunicato nel 1975 questo lavoro all’università, con un piccolo seminario per colleghi sfiduciati. E adesso ha in cura tre grossi gruppi, seicento persone in tutto, legate a lui (e tra di loro) dalla voglia di liberarsi della "corazza caratteriale" del "linguaggio della razionalità cosciente" di "debellare le tre streghe che rendono pazzi gli uomini: "invidia, bramosia, fantasia di sparizione" e di riscoprire il proprio Io, "l’inconscio mare calmo". La famiglia e la coppia, istituzioni che i rotocalchi danno per sepolte, sono al centro dei sogni e delle ansie degli analizzandi: Le interpretazioni di Fagioli tentano costantemente di recuperare i racconti e le preoccupazioni individuali alla dimensione collettiva, al rapporto con l'esperienza analitica e col gruppo. "Sogno che la mia ragazza è incinta". Nasce un bambino. I preparativi per il parto comprendono l’uso di sacchi di plastica: dentro ci mettiamo carne, latte". Risponde Fagioli:" All’inizio non riuscivi a capire il lavoro di analisi, perché l’analisi è frustrazione. Ma non è vero che non hai capito: il bambino è nato. Vorresti metterlo nella plastica, come per dire che non ha un Io. E invece lo ha: il vecchio Imbecille (Freud) non ci convince. Ti fa rabbia che il bambino, cioè l'Io, venga fuori a tuo dispetto. Ma in una situazione di analisi collettiva è proprio così: che tu lo voglia o no, l’inconscio reagisce". Un altro giovane: "Per motivi materiali mi riesce difficile separarmi dai miei genitori. Tento di farlo, ma con odio e desiderio di vendetta": Fagioli: "No, l’odio e la rabbia li hai nei nostri confronti, perché il seminario ti impedisce di fare i tuoi giochetti furbastri". Certo, per un osservatore esterno, molte allusioni (come questa sui "giochetti furbastri") sono incomprensibili. Chi partecipa, invece, non solo capisce tutto, ma stabilisce con gli altri dei rapporti molto particolari, fino a sognare soggetti analoghi. Alcuni analizzandi provano a mettersi (o a rimettersi) in proprio, a "curare" a pagamento altre persone. Ma incorrono nella scomunica: con estrema durezza, Fagioli accusa in pubblico i rei confessi di seminare ansia e paralisi nella assemblea, di derubare e rovinare i loro "pazienti". Ecco un’analista selvaggia ammettere in lacrime la propria colpa: "La settimana scorsa hai detto cose terribili sul mio conto. Ho sognato tanto sangue che usciva da tutte le aperture del mio corpo". Fagioli le risponde seccamente di restituire alle sue vittime i soldi che ha rubato. "I miei genitori si separarono quando avevo quattro anni – racconta una ragazza -. Mio padre sparò a mia madre, tentò di uccidere anche me, mi rincorse con una pistola. Adesso sogno ancora che mio padre vuole uccidermi. Sogno un bambino sgozzato. Molto sangue. Sogno che un giudice mi chiede di raccontare i momenti belli della mia vita. E io mi sento in colpa: non posso rispondere, perché di momenti belli non ne ho avuti mai". Interpreta Fagioli: "il bambino sgozzato è l’Io. Per recuperarlo devi superare l’identificazione con tuo padre e con tua madre. Devi mettere la tua storia personale in un discorso sociale, in un rapporto. Non sei sola. Molti padri, molti psicoanalisti tentano di ammazzare i figli, pazienti". Prevalgono nei seminari, la fede nel maestro e l’ansia di esserne gratificati. Ma ci sono anche casi di scetticismo. "Massimo, mi chiamo Emilia, devo assolutamente parlarti. E’ la prima volta che vengo, non mi convinci, a sentire tutti questi sogni non mi sono divertita per niente…..". La interrompe un’altra donna, piangendo: "Quando neghi il ruolo di Massimo uccidi i bambini. Ho sognato che ero a Parigi, in una situazione di post-sessantotto, al pronto soccorso, vedo una testa e le tolgo il cervello. Ho fatto cose tremende nella realtà materiale, faccio male ai bambini, lunedì scorso mi hai detto quel che mi merito, mi sono sentita una delinquente, e mia figlia mi dice sempre vaffanculo. L’unico che aiuta sei tu". Il marito di questa signora è riuscito a scrivere una sceneggiatura e lei lo invidia. Il giorno dopo, Fagioli dirà al marito: "Ieri tua moglie Caterina ha avuto una crisi di invidia nei tuoi confronti. Lei non ammette che una persona possa realizzarsi, fare progressi". No, Fagioli non è certo un analista permissivo, non usa la bacchetta magica per far sparire i sentimenti di colpa dei pazienti. Ma questa, forse, è una delle cause del suo successo, nei confronti di un gruppo sociale per il quale la contestazione del principio d’autorità ha coinciso con la caduta di un intero sistema di valori. A noi sembra che (al di là dei suoi compiti specifici) Fagioli interpreti in modo piuttosto "contemporaneo" un ideale di società fraterna (non gerarchica) capace di darsi discipline e regole del gioco orientate verso finalità comuni. "Bisogna prima far l’amore con la madre, e poi uccidere il padre", dice Fagioli, capovolgendo la storia di Edipo. Il che significa (se interpretiamo correttamente) che, prima di abbattere l’autorità, è necessario esser certi della propria identità e dei propri fini. Molti giovani e molti intellettuali, orfani di utopie e delusi dall’azzeramento culturale generato dalle loro esperienze recenti, vogliono sentirsi dire proprio questo. E, in attesa della "società fraterna" accettano di buon grado l’autorità ("liberante" ma ben presente) di Massimo Fagioli. Parliamo col professore. E’ molto severo. Condanna l'omosessualità ("è annullamento, è legata alla pulsione di morte"), condanna la masturbazione ("è fantasticheria sadomasochista"), condanna i suoi colleghi che negano il loro ruolo ("ma poi ricorrono ai farmaci"). "Io – dice – credo nella cura, credo nella conoscenza e nella trasformazione, come Marx. Individuo le dimensioni disumane (indifferenza, invidia, bramosia) e le frustro. La frustrazione genera interesse, desiderio di cambiare, di guarire. Con l’analisi collettiva il salto di qualità è enorme, il lavoro è molto più efficace. Ma alla base ci sono le mie teorie. Io ho avuto il coraggio e la capacità di rifiutare Freud, l’imbecille che non aveva capito niente, che era al livello di un medico che crede che il fegato sia nella coscia sinistra". La teoria di Fagioli è abbastanza complicata da riferire. L’analista ce ne offre uno schema: "La malattia mentale non è congenita. Tutti gli uomini nascono sani. Trasformano l’esperienza materiale del loro rapporto col liquido amniotico in "inconscio mare calmo". La prima fantasia-ricordo (Io) è l’inconscio mare calmo che corrisponde a interesse e desiderio. Questo sentimento dovrebbe trovare risposta nella madre, che invece non lo soddisfa. Anzi, la madre tratta il bambino con fastidio, come un oggetto vile da plasmare, educare. Il desiderio infantile di ricevere latte e interesse diventa delusione. Il desiderio delusione si scinde in odio, rabbia, invidia, bramosia. Genera rapporti sadomasochisti o indifferenza. Eliminare l'indifferenza e frustrare il sadomasochismo porta alla scoperta dell’inconscio mare calmo, al recupero dell'Io, alla guarigione". Una teoria come questa, fondata sui "rapporti", privilegia necessariamente la dimensione collettiva e sociale. "Per me – dice Fagioli – non c’è sessualità senza socialismo, e non c’è socialismo senza sessualità. La società borghese è masturbatoria, divide nettamente il comportamento pubblico da quello privato. Nella società borghese, uno può essere un buon cittadino anche se violenta la moglie e picchia i figli, basta che rispetti il codice penale. Ci si meraviglia se i bambini diventano pazzi. Ecco, questa cose bisogna combatterle, non rassegnarsi, non assumere un atteggiamento consolatorio. Un analista che consola, condanna a morte il paziente. Viviamo in una società dove la famiglia ha ancora un enorme potere distruttivo, dove c’è una miseria sessuale tremenda. La gente, a casa, si annulla, assume dei ruoli astratti: i genitori, i figli, non sono più persone con le quali stare bene, ma autorità, sudditi, maschere"" Fagioli è severo anche con quei gruppi di psichiatri che privilegiano l’azione politica rispetto alla terapia. "Loro – dice – pensano che tutti i mali vengano dalla società e che quindi o si fa la rivoluzione o non si può curare nessuno E invece non è vero, non è automatico che tutto si aggiusti, dopo aver risolto i problemi politici ed economici. Ci vuole un interesse specifico per la dimensione psichica. Questo è il nostro compito. La trasformazione politica spetta ai partiti di sinistra. E, nel frattempo, rassegnarsi è un delitto, bisogna lavorare nonostante le istituzioni, nonostante la società. Altrimenti si finisce in un vicolo cieco: devo fare la rivoluzione perché la società mi condiziona, ma siccome la società mi condiziona non posso fare la rivoluzione. Troppo comodo". G. Zi.

sinistra
un intervento di Aprile

APRILE ON LINE
GRANDE ALLEANZA DEMOCRATICA. CHE FARE DOPO LA VITTORIA DI BUSH?

“Solo un San Francesco ci può salvare”. La rivoluzione non violenta di Bertinotti
Progetto, radici, identità, rappresentanza. Il nuovo lessico del segretario di Rifondazione che definisce “atti di sopraffazione” le “spese proletarie” di sabato scorso a Roma

George W. Bush e la sua vittoria bis. Ieri, nel dibattito che si è aperto nel centrosinistra italiano sul voto americano, è intervenuto pure Fausto Bertinotti con un’intervista a “Repubblica”. Come spesso accade in quest’ultimo periodo, i ragionamenti del segretario del Prc aiutano a pensare con idee e spunti mai banali.
Primo problema: qual è la natura della vittoriosa destra oltre Oceano? Dice Bertinotti: “La destra americana vince grazie a una gigantesca operazione ideologico-culturale”. Non trovando consensi sul terreno pragmatico della “guerra preventiva”, quella stessa destra ha investito (come ai tempi della lotta al comunismo) sulla contrapposizione Bene-Male. Ma con una novità: al tradizionale populismo conservatore ha aggiunto la mobilitazione di Chiese fondamentaliste e di circoli culturali radicali.
Secondo problema: come rispondere alla nuova offensiva liberista che si dimostra lungi dall’aver esaurito la propria spinta propulsiva? Bertinotti cita le parole di Norberto Bobbio all’indomani del crollo del Muro di Berlino: ora che il comunismo è caduto, non perdiamo di vista il tema dell’eguaglianza. Di qui la proposta che la sinistra europea ritrovi le ragioni di “essere parte” di un progetto non esercitandosi solo sui “contro”. Sul filo di questa analisi, il segretario del Prc non trova pienamente convincenti neppure le risposte laiche di Eugenio Scalfari che vogliono difendere dubbio e tolleranza da chi vuole imporre il Bene a colpi di accetta: “Quando la Chiesa è in crisi, ci vuole San Francesco. Ci vuole una rivoluzione dolce e non violenta ma pur sempre radicale che ti ripropone con forza il tema dell’eguaglianza”.
Per sfuggire all’accusa di ideologismo fumoso, Bertinotti – in modo davvero imprevisto – arriva perfino a citare “la svolta di Bad Godesberg”, il manifesto programmatico della socialdemocrazia europea del 1959. E, in effetti, rileggendo quelle citazioni, verrebbe da dire: magari la socialdemocrazia dei nostri giorni ritrovasse la forza ideale di quella di 45 anni fa! Il riferimento, anche se “Repubblica” vi fa il titolo ammiccante dell’intervista, serve a far intendere che la sinistra ha bisogno di idealità e proposte. E in questo percorso Bertinotti auspica per l’Europa perfino il recupero dell’etica giudaico-cristiana e della cultura del diritto greco-romana che hanno costituito la forza storica dell’identità del vecchio continente..
Terzo problema: si vince, come sostiene uno stanco refrain, conquistando il “centro”? Qui Bertinotti è categorico: “Io propongo di abolire, sia socialmente che culturalmente, la stessa nozione di “centro”… proviamo a dire quale blocco sociale la sinistra deve rappresentare e difendere. Tutto il resto verrà di conseguenza”.
Se solo un San Francesco (utopico e profetico) ci può salvare, è allora ovvio che le “spese proletarie” di sabato scorso a Roma siano definite dal leader del Prc un “atto di sopraffazione” perché la disobbedienza può a volte diventare un valore ma a condizione di “prefigurare politiche sociali più diffuse e largamente condivise”.
[Al. Ga.]

storie del dominio
Inquisizione

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 9.11.04
Sapremo quante «streghe» italiane sono andate al rogo
Firmato un accordo tra Italia e Vaticano per il censimento congiunto degli archivi dei documenti sull'Inquisizione in Italia. Si getterà nuova luce sul suo operato dopo che, per sette secoli, in nome della Chiesa, ha combattuto «eretici» e persone «scomode»

CITTA’ DEL VATICANO - Italia e Vaticano censiranno insieme gli archivi dei documenti sull’Inquisizione in Italia, come stabilisce un accordo tra le due parti firmato questo pomeriggio. «Il progetto - ha detto il portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls - riguarda non solo il materiale documentario concernente l’Inquisizione romana, conservato negli archivi ecclesiastici, statali e privati, nonchè nelle biblioteche italiane e straniere, ma anche la documentazione dell’Inquisizione spagnola in territorio italiano e quella delle autorità secolari che istruirono comunque processi per eresia, stregoneria e altri delitti contro la fede». «Una così vasta operazione, mai tentata finora, è di grande importanza - ha detto il portavoce vaticano - per rispondere ai nuovi orientamenti della ricerca internazionale sul controllo delle idee religiose nell’Europa medievale e moderna, e si avvale della collaborazione tra il ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede e un gruppo di ricerca delle università italiane, per rendere più facilmente disponibile un grande patrimonio documentario oggi ancora poco conosciuto e disperso in una molteplicità di sedi».
Il censimento, attuato secondo criteri elaborati di comune accordo e con gli strumenti informatici più avanzati, non solo mirerà alla «salvaguardia di questi beni culturali, unici nel loro genere, ma permetterà di approfondire le conoscenze in molti ambiti di ricerca, dalla storia delle dottrine religiose a quella della scienza, delle culture popolari, della santità spontanea, della censura, oltre che dei sistemi di controllo sociale tra medioevo ed età moderna».
Si getterà quindi nuova luce sull’Inquisizione, per sette secoli a servizio della Chiesa, contro le eresie, ma a volte anche contro chi era malvisto dal potere. L’Inquisizione nasce quando, tra la fine del Dodicesimo e il principio del Tredicesimo secolo, la Chiesa ritiene insufficienti per la repressione dell’eresie di catari, albigesi e valdesi, i mezzi ordinari e l’autorità dei vescovi. E’ allora che nomina propri delegati con l’incarico di ricercare e giudicare gli eretici.
I tribunali permanenti dell’inquisizione durante il Trecento si diffondono in tutta Europa e sono affidati in un primo tempo ai domenicani e successivamente anche ai frati minori.
In Spagna l’inquisizione fa un "salto di qualità" nelle sue capacità di indagine e repressione, contribuendo, insieme alle espulsioni di moriscos ed ebrei, all’ obiettivo dell’ uniformità religiosa del paese. Dalla fine del ’400, l’inquisizione spagnola si distinse così nella persecuzione degli ebrei "convertiti", i cosiddetti "marrani", che venivano accusati di essersi fatti battezzare solo per fuggire alle espulsioni forzate ma di restare in realtà fedeli alla loro religione.
Nel Cinquecento, mentre il papato è impegnato nella lotta contro la riforma protestante, l’inquisizione si istituzionalizza in una congregazione romana, competente in materia di ortodossia per tutto il mondo cristiano. Sotto papa Pio IV l’inquisizione diventa sempre più severa, per tornare a fasi di maggior mitezza nei pontificati successivi.
Si distingue, quindi, comunemente tra inquisizione romana, istituita da Paolo III nel 1542 contro la diffusione delle grandi "eresie" del ’500, dal Luteranesimo al Calvinismo, e l’inquisizione spagnola, istituita in Spagna da Sisto V su richiesta di Isabella la Cattolica, con facoltà ai sovrani di Spagna di eleggere inquisitori di loro fiducia sotto un grande inquisitore. L’inquisitore generale di Spagna dal 1483 Tomas de Torquemada, è il domenicano passato alla storia soprattutto per la spietatezza verso gli ebrei, dei quali ottenne l’espulsione dalla Spagna.
Tra i processi celebri del Sant’Uffizio figurano quello contro Galileo Galilei, colpevole di aver sostenuto le tesi copernicane condannate dalla Chiesa e quello contro Giordano Bruno, domenicano e filosofo, accusato di eresia e bruciato sul rogo a Roma nel 1600. Nel 1498 intanto era finito davanti a magistrati pontifici, accusato di impostura ed eresia, il predicatore Girolamo Savonarola, poi impiccato e bruciato sul rogo.
Nel ’900 sono stati sotto la lente del Sant’Uffizio (nuovo nome dell’Inquisizione dal 1908), tra gli altri, il vescovo ribelle Marcel Lefebvre e i teologi Hans Kung, Bernard Haering e Leonardo Boff. Nel 1968 il Sant’Uffizio ha cambiato nome ed è diventato la Congregazione per la dottrina della fede.
Tra le curiosità, anche il contenimento del vizio del tabacco è stato tra le "preoccupazioni" degli inquisitori, come ricordano alcuni manuali del Seicento, come il «De iudice Sanctae Inquisitionis opusculum» di Giovanni Battista Neri: dedica un apposito paragrafo a stabilire se sia peccaminoso o meno per un prete fare uso di tabacco in Chiesa.

sinistra
Bertinotti su violenza ed espropri

Il Messaggero 9.11.09
Il leader di Rifondazione: «Non è vera violenza anche se è da rifiutare»
di MARIO AJELLO

ROMA Fausto Bertinotti sta presentando in Campidoglio, seduto affianco al sindaco Veltroni, il suo nuovo libro «Nonviolenza» (editore Fazi). Con lui ci sono anche i co-autori Marco Revelli e Lidia Menapace, più Piero Sansonetti. Prima e dopo l’intervento del leader di Rifondazione Comunista, la conversazione verte sugli espropri proletari.
Onorevole Bertinotti, secondo lei quali sono state le motivazioni di quei blitz?
«Sono varie. Compresa la volontà di colpire Rifondazione».
Davvero?
«E chissà se, più che di difendere i consumatori, l’intento non sia stato proprio quello di creare inutilmente problemi al nostro partito».
Da parte di chi?
«Di certe minuscole parti del movimento».
Luca Casarini?
«Basta leggere quel che dice sui giornali».
Perchè vogliono colpire il suo partito?
«Perchè quelle frange hanno paura di perdere il controllo, che già in verità non detengono, sulla grande area dell’antagonismo».
Temono il pacifismo di Rifondazione?
«Temono la nostra radicalità non violenta, il nostro modo profondamente nuovo di agire nella società e nella politica».
Gandhi, come si legge nel libro che lei ha appena dedicato alla «Nonviolenza», diceva: «Prima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti combattono. Poi vinci». Si sente in questa situazione?
«Piano con i paragoni. Io mi limito a consigliare, ai cosiddetti espropriatori proletari, autori di un gesto sbagliatissimo e controproducente, di scegliere altre strade. Perchè io il ’77 me lo ricordo. E non vorrei assolutamente rivivere quei tempi molto brutti».
Quindi, gli espropriatori sono dei violenti?
«Sono persone che usano un mezzo estremo. E non condivisibile nel modo più assoluto. L’autoriduzione delle bollette è una buona forma di lotta. Perchè non nasce dal protagonismo esasperato di qualche avanguardia isolata. Ma è un fenomeno socialmente diffuso».
Mentre l’assalto dell’altro giorno è violenza?
«Non mi pare. Ma è comunque un’azione da rifiutare».
Cioè un reato?
«Negli anni ’70, ho visto molte di queste azioni. Non seguite da arresti. L’episodio romano è uno dei tanti comportamenti sociali estremi. Non sta a me dire se è un reato: lo deve, semmai, stabilire un giudice».
E se Pisanu li fa arrestare?
«Sbaglia. Raddoppia il danno: il primo lo hanno fatto gli espropriatori, il secondo lo farebbe la polizia. Non è detto che, se uno sbaglia, va messo in galera».
Ma quelli hanno requisito un ipermercato e una libreria.
«Ci sono tassi di coazione difficili da far entrare nella categoria della violenza. Non voglio fare un paragone. Però, i picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche, per impedire l’ingresso degli operai, che cosa sono: violenza? E i sit-in gandhiani che cosa erano: violenza? L’evoluzione della giurisprudenza ha fatto in modo che la ”muraglia umana”, davanti alle fabbriche, è entrata nel diritto del lavoro. Non come atteggiamento criminale».
Oggi chi sono i violenti?
«A livello planetario, Bush, Sharon...».
Marcos?
«Lui fa una riflessione molto critica sulla violenza. Un suo motto dice così: ”Quel fucile che tu tieni in mano è pericoloso. Oggi è una tua protesi, domani potresti tu diventare la protesi del tuo fucile”. E’ successo in Israele o in Algeria. Il terrorismo di Ben Gurion e quello di Ben Bella, fenomeni su cui non mi sento di dare giudizi ma che comunque hanno portato alla creazione dello Stato di Israele e alla liberazione dell’Algeria, hanno comunque sulla lunga durata innescato il virus della violenza. Di cui oggi, in quei Paesi, sono portatori Sharon o i fondamentalisti alegerini».
Russo Spena, suo amico e deputato, inneggia alla bellezza dell’esproprio. Lo espelle?
«Io non faccio queste cose».
Perchè è gandhiano? Anche il Mahatma, televisivamente, rende: almeno nello spot della Telecom.
«Quella è una pubblicità fuorviante. Gandhi animava le masse, camminando con loro. Non gli piombava addosso dall’altro (in questo caso tramite un video). Non gli inviava precetti dall’esterno».

tendenze al suicidio fra gli adolescenti

Emilianet
Cresce la tendenza al suicidio tra gli adolescenti
L'allarme dal congresso internazionale di Modena dedicato al disagio mentale nell'età evolutiva

MODENA (8 nov. 2004) - Dietro le stragi del sabato sera e le morti per overdose si nasconde una disperata voglia di farsi del male fino a pensare di uccidersi. Una voglia di farsi del male che sta aumentando fra gli adolescenti. Un fenomeno in crescita, in Italia largamente sottostimato.
E' questo l'allarmante quadro che disegnano i neuropsichiatri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e della Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Sinpia) al Congresso di Modena tutto dedicato proprio al disagio mentale nell'età evolutiva.
Secondo i dati del neuropsichiatra Lodovico Perulli In Italia tra i ragazzi dai 15 ai 24 anni, si tolgono la vita 7 su centomila mentre sarebbe di 1,4 l'incidenza fra le ragazze. Inverso il rapporto per i tentativi di suicidio: le femmine sono il doppio dei maschi con 600 casi su 100.000 contro 300.
Sempre secondo gli stessi dati in Italia un ragazzo su quattro e una ragazza su tre pensano al suicidio.
Fra le modalità di suicidio, il 90 per cento sceglierebbe l'avvelenamento da farmaci o da altre sostanze, poi il taglio delle vene, il gettarsi giù da un ponte o da una finestra, l'impiccagione e il soffocamento. I fattori di rischio alla base di un suicidio sarebbero il divorzio traumatico in famiglia, la violenza fisica e l'abuso sessuali subiti dal soggetto, la depressione cronica di uno dei genitori e il consumo di alcol e di droghe.
Myron L. Belfer, Direttore della Divisione Infanzia e Adolescenza dell'Oms, dice che "il fenomeno dei suicidi e dei tentativi di suicidio è molto vasto ma purtroppo è poco indagato. Quando c'é un incidente stradale con una sola persona a bordo, con l'auto che finisce contro un palo o un muro senza che ci siano passanti, deve nascere il sospetto che si tratti di un tentativo di suicidio". Belfer invita a prestare attenzione nei pronto soccorso per scoprire se un incidente non nasconda un tentativo di suicidio e invita i genitori a non sottovalutare alcuni segnali quali l'eccessivo rinchiudersi del giovane in se stesso, il continuo ripetere che il domani non offre prospettive, l'improvviso cambiamento del carattere e poi un'altrettanto improvvisa euforia. Nella donna c'é un segnale in più: la tendenza a bere in modo esagerato.
"Dietro a molti comportamenti anomali di un ragazzo - commenta Ernesto Caffo, Ordinario di Neuropsichiatria Infantile all'Università di Modena e Reggio Emilia, fondatore e presidente di Telefono Azzurro - si nasconde una volontà distruttiva che a sua volta nasconde un disturbo dell'umore non riconosciuto e non trattato. Questo vale anche per molti comportamenti di dipendenza dalle nuove sostanze che vengono usate come auto-cura con effetti devastanti per le competenze mentali dei giovani. Bisogna però arginare il fenomeno e sviluppare nuove competenze nell'ambito di tutte le professioni coinvolte con i ragazzi per cogliere precocemente i segnali di pericolo e sviluppare nelle situazioni più negative interventi mirati. Si deve cercare di riadattare il ragazzo al contesto sociale e al tessuto familiare".

si è aperto a Firenze
il Congresso mondiale di psichiatria

Psichiatria: diminuiscono pregiudizi per i malati
10/11/2004 - 17:27

ANSA.it 10.11.04
Due italiani su dieci a rischio malattia

FIRENZE, 10 NOV - Diminuiscono tra gli italiani i pregiudizi nei confronti della malattia mentale e aumenta la disponibilita' verso le persone affette da tali patologie. Una nuova apertura che si riscontra soprattutto tra i giovani e le persone piu' istruite. A promuovere l'atteggiamento degli italiani e' uno studio condotto dal Dipartimento di psichiatria dell'Universita' di Napoli su un campione di circa 800 persone rappresentativo della realta' nazionale. Lo studio e' stato presentato in occasione del Congresso internazionale dell'Associazione mondiale di psichiatria (Wpa) che si apre oggi a Firenze. Un appuntamento, per la prima volta in Italia, che ha raccolto nel capoluogo toscano oltre 6.000 delegati da ogni parte del mondo. Migliora, dunque, il rapporto degli italiani con l'universo del disagio mentale. Dall'indagine, che riprende uno studio analogo condotto nel 1989, emerge infatti, affermano gli esperti, un cambiamento di atteggiamento rispetto a 15 anni fa verso le persone affette da questo tipo di disturbi: E' cioe' aumentata la tolleranza e la disponibilita' a riconoscere i diritti civili dei pazienti, tanto che ben il 71% del campione sostiene che un paziente psichiatrico ha il diritto di votare (contro il 29% del 1989) e il 20% si dice convinto che queste persone siano in grado di lavorare bene come chiunque altro. Tuttavia, restano ancora degli scogli da superare, soprattutto sul versante dei diritti affettivi: la maggioranza (61%) ritiene infatti che un malato psichiatrico non debba sposarsi o avere figli. E dura da sconfiggere e' anche la preoccupazione circa la ''imprevedibilita''' delle persone con malattie mentali: nonostante i reati commessi da tali soggetti siano in realta' un numero limitato, sottolineano i curatori dell'indagine, una grande percentuale degli intervistati, soprattutto nelle fasce piu' anziane e di livello culturale piu' basso, nutre infatti ancora forti preoccupazioni circa la possibilita' di controllare le reazioni di questi pazienti.
2 persone su 10, in Italia e nel resto dell'Occidente, sono a rischio di ammalarsi di qualche patologia mentale. (ANSA).