La Stampa 9.3.04
«LA SORGENTE DEL FIUME»
Attimi di bellezza per una Grecia di pioggia e poesia
ROMA. Momenti di bellezza meravigliosa, ne «La sorgente del fiume» di Theo Angelopoulos: una distesa di lenzuola bianche messe ad asciugare palpitanti nel vento, il ricordo «Giorni del '36, notti oscure», la musica di «Amapola», un funerale sull'acqua con bandiere nere che procede solenne e lento su una zattera, le urla atroci della madre sul cadavere del figlio, il dolore civile («Quello che temevamo è accaduto: la democrazia si è suicidata»), e la pioggia che non smette mai di cadere trasformando le strade in rivoli di fango. Nessun regista al mondo fa un cinema più struggente e perfetto, più realista e lirico; nessun autore persegue progetti di tale grandezza. «La sorgente del fiume» è il primo film di una trilogia che vuol narrare gli eventi più importanti che hanno segnato la Grecia nel ‘900, attraverso la vita di due coniugi costretti alla separazione: l'esilio, la lontananza, l'errare, il disfarsi delle ideologie, la morte, le prove della Storia. Per raccontare la Storia, ad Angelopoulos bastano allusioni, note musicali, simboli, immagini evocative, attimi significativi.
PRIME CINEMA
Una Grecia di pioggia e poesia
«La sorgente del fiume» struggente e perfetto
di Lietta Tornabuoni
MOMENTI di bellezza meravigliosa, ne «La sorgente del fiume» di Theo Angelopoulos: una distesa di lenzuola bianche messe ad asciugare palpitanti nel vento, il ricordo «Giorni del '36, notti oscure», la musica di «Amapola», un funerale sull'acqua con bandiere nere che procede solenne e lento su una zattera, le urla atroci della madre sul cadavere del figlio, il dolore civile («Quello che temevamo è accaduto: la democrazia si è suicidata»), e la pioggia che non smette mai di cadere trasformando le strade in rivoli di fango. Nessun regista al mondo fa un cinema più struggente e perfetto, più realista e lirico; nessun autore persegue progetti di tale grandezza.
«La sorgente del fiume» è il primo film di una trilogia che vuol narrare gli eventi più importanti che hanno segnato la Grecia nel Novecento, attraverso la vita di due coniugi costretti alla separazione: l'esilio, la lontananza, l'errare, il disfarsi delle ideologie, la morte, le prove della Storia. Angelopoulos certo non racconta la Storia in vignette e aneddoti cronologicamente ordinati, completati da date o scritte alla maniera televisiva. Come accade nella memoria di ciascuno di noi, gli bastano allusioni, note musicali, simboli, immagini evocative, attimi significativi (due bandiere greche biancazzurre. Uno che va di corsa per le vie della città gettando volantini e gridando «viva il Fronte Popolare», corpi straziati abbandonati inerti dopo la tortura, le barche che salvano i senzatetto dell'inondazione). Il film non fornisce dettagli, ma per capirlo meglio forse è utile ricordare che la prima parte del Novecento portò alla Grecia pronunciamenti e regimi militari come quello di Venizelos, battaglie territoriali per l'Anatolia e la Tracia, guerre civili combattute o scongiurate, colpi di Stato conservatori e dittatura filofascista di Metaxas, restaurazione, occupazione nazifascista, interventi militari francesi e inglesi, reggenza affidata a un arcivescovo: una instabilità perennemente sussultante che frantumava la vita delle persone.
Angelopoulos è autore del soggetto, della sceneggiatura, della regia, è coproduttore insieme con Amedeo Pagani e Jean Labadie. Ha scelto e diretto magnificamente i due protagonisti: specie Alexandra Aidini, ma anche Nikos Poursanidis è davvero bravo come giovane musicista, suonatore di fisarmonica poi emigrato negli Stati Uniti in cerca di fortuna e morto a Okinawa in divisa dell'esercito americano. E' ammirevole come sempre nell'opera di Angelopoulos il modo di collocare nello spazio figure indimenticabili: la ragazza sottile e leggera, i bambini di pessimo umore, ma anche i musicisti sempre in cappotto, cappello, ombrello, anche gli uomini che piangono, sopraffatti dalla desolazione.
«L’amore sfida la storia»
Angelopoulos: credo ancora nell’utopia
di Fulvia Caprara
ROMA. All’indomani delle elezioni che hanno sconfitto i socialisti del Pasok e portato al potere il centrodestra di Costas Karamanlis, il maestro greco Theo Angelopoulos non ha mutato le sue convinzioni: «Gli uomini sono sempre andati avanti con le piccole e grandi utopie. E non poteva essere che così, altrimenti ci sarebbero centinaia di suicidi ogni giorno». Questo per dire che, anche se oggi si trova tra gli sconfitti, l’autore di opere come «La recita», «L’apicoltore», «Lo sguardo di Ulisse», mantiene salde le sue convinzioni e continua a chiedersi, come faceva Marcello Mastroianni nel «Passo sospeso della cicogna», «con quali chiavi sia possibile aprire le porte del sogno collettivo». Una di queste è certo la poesia, strumento fondamentale usato anche in quest’ultima trilogia cinematografica di cui, dopo l’anteprima alla Berlinale, arriva adesso in Italia il primo capitolo, intitolato «La sorgente del fiume». Con i tre film, che si snodano dal 1919 ai giorni nostri, l’autore offre «un riassunto poetico del secolo appena concluso» scegliendo come filo conduttore la forza dell’«amore che sfida il tempo» e «rivendica l’assoluto».
Come interpreta il risultato del voto nel suo Paese?
«C’era da aspettarselo: facendo vincere la destra, la Grecia ha seguito l’esempio della maggior parte dei Paesi d’Europa. Ho votato a sinistra e sono legato, anche sentimentalmente, alla sinistra, ma ho l’impressione che abbia perso perchè, in questa fase, non ha più le parole per fare un discorso nuovo sull’avvenire del mondo. E’ come se si fosse ammutolita e, quando questo accade, le tesi si sbriciolano e si fanno largo i manager. Per questo oggi viviamo nell’epoca dei manager».
Qual è la sua visione del secolo descritto nella trilogia?
«Nella prima parte si assiste ad eventi come l’ascesa del fascismo in Grecia, in Spagna, in Italia, si affermano le dittature e si afferma il comunismo, ma, la cosa singolare è che, in questo secolo di enormi catastrofi e delusioni, ci sono sempre state anche grandi speranze».
Lei ha scelto di parlare della storia con la «S» maiuscola attraverso le vicende di una famiglia e di una coppia. Se avesse avuto a disposizione un budget più elevato, avrebbe girato più battaglie e in modo più epico?
«Al centro della mia storia c’è una donna che attraversa gli avvenimenti del secolo. Perciò il film non è la storia del secolo, ma la storia di lei dentro gli eventi che l’hanno caratterizzato. Quanto al modo con cui ho girato le scene dei conflitti posso dire che il mio non è un film realistico. Anche nella “Recita”, dove era molto presente Brecht, così come il teatro cinese e giapponese, la rappresentazione della guerra è solo indicativa, anzi, ne è un’imitazione. Se volete vedere un vero film di guerra, e non solo, vi consiglio “La sottile linea rossa”, veramente bellissimo».
Il protagonista è un musicista, perchè ha scelto proprio questo mestiere?
«I personaggi al centro delle mie storie sono quasi sempre artisti, registi, scrittori, attori, apicultori, un lavoro che di sicuro contiene una forma d’arte. Credo si tratti di mestieri speciali, insoliti, gli artisti sono persone abituate a lavorare con il nulla, con l’aria».
Nel suo film ci sono riferimenti autobiografici e alla tragedia greca: in che misura?
«Ci sono molte cose di mia madre e della mia famiglia che, proprio come la Grecia, si è trovata a dover vivere spaccata in due parti. Naturalmente ci sono agganci all’”Edipo Re”, ai “Sette contro Tebe” e, soprattutto nel finale, all’”Antigone”».
L'Unità 9.3.04
«La sinistra perde perché è muta»
Parla il regista Anghelopulos dopo la vittoria dei conservatori in Grecia
stralci dall'intervista curata da Gabriella Galluzzi
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è appena arrivato da Atene domenica ha votato per la coalizione di sinistra, Synaspismos, che ha appena superato lo sbarramento del tre per cento
Secondo lei perché la sinistra continua a perdere?
«Perché da tempo ormai le mancano le parole che parlano del futuro, dell'avvenire del mondo. La sinistra ormai è muta. E lo dico da uomo di sinistra che, seppure non sappia bene cosa significhi oggi nella confusione generale, si sente mentalmente a sinistra. Quando finiscono le parole che parlano di speranza, quando i sognatori tacciono, allora arrivano i manager. Ed oggi viviamo in un'epoca dominata dai manager. Nel mio film,
Il passo sospeso della cicogna Marcello Mastroianni dice una frase a questo proposito: "con quali parole si potrà aprire la porta per un nuovo sogno collettivo?"
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Nessuno propone scelte radicali, ma soltanto piccoli assestamenti. Chessò, si parla di aumentare le pensioni del due per cento. E questo può coprire soltanto dei piccoli buchi, ma non basta per colmare il vuoto di una prospettiva politica»
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L'utopia è morta senza appello?
Sa bene come si intitola il secondo episodio della mia trilogia?
La terza ala e racconterà dalla morte di Stalin del '53 fino alla guerra del Vietnam [l'ultimo episodio descriverà dalla caduta del muro di Berlino fino ai giorni nostri]. Il titolo è ispirato ad un poemetto che racconta di un angelo che cammina nella confusione e nel frastuono degli uomini fino, ad un certo punto, ad arrivare a toccare il fango con la terza ala, appunto.Cioé l'utopia, l'impossibile. L'umanità va avanti solo attraverso piccole e grandi utopie. Senza di queste non si potrebbe andare avanti e ci sarebbero soltanto suicidi»