mercoledì 21 aprile 2004

Annelore Homberg
è stata ospite di Insider

informazioni ricevute da Licia Pastore

LUNEDI 19 APRILE 2004

ANNELORE HOMBERG
psichiatra e psicoterapeuta

è stata ospite di Giancarlo Santalmassi
nella trasmissione INSIDER

sul tema della riforma della legge Basaglia

L'altro ospite in studio è stato l'on. ANTONIO GUIDI
neurologo e neuropsichiatra infantile
ex CGIL ex ARCI ex membro della direzione del PSI (fino al 1993), poi aderente a Forza Italia
ministro del primo governo Berlusconi
e oggi sottosegretario alla Salute del governo Berlusconi in carica


la registrazione della trasmissione è adesso disponibile sul sito di nessuno.tv

(una volta raggiunta la home di page di nessuno.tv clicca sul link di INSIDER e, nella nuova pagina che si aprirà, su "Guarda l'ultima puntata")
___________________________________

DELLA LIBRERIA AMORE E PSICHE

Vi comunichiamo le date delle lezioni di Maggio a Chieti:

Venerdi 7 Maggio:

Prof. Andrea Masini h.14-16

Prof.ssa Francesca Fagioli h.16-18

Sabato 8 Maggio:

Prof. Andrea Masini h.9-11

Prof. Massimo Fagioli h.11-13

Venerdi 21 Maggio:

Prof. Andrea Masini h.14-16

Prof.ssa Francesca Fagioli h.16-18

Sabato 22 Maggio:

Prof. Andrea Masini h.9-11

Prof. Massimo Fagioli h.11-13


Data la concomitanza della lezione del 22 con la visita all’affresco, vi
comunicheremo al più presto a che giorno verrà spostata quest’ultima.


Un saluto

Libreria Amore e Psiche
via s. caterina da siena, 61 roma
info:06/6783908 amorepsiche2003@libero.itl
i nostri orari: lunedi 15-20
dal martedi alla domenica 10-20

pieghe: la neuropsichiatria australiana

ANSA Martedì 20 Aprile 2004, 19:36
SCIENZA: PIEGHE CERVELLO INDICANO INTELLIGENZA, RICERCA


(ANSA) SYDNEY, 20 APR L'intelligenza di una persona, secondo una nuova ricerca australiana, puo' essere indicata dalla maniera in cui si piega la superficie del cervello, e chi ha un cervello asimmetrico ottiene migliori risultati nei test di abilita' verbale e spaziale. Finora gli scienziati non avevano imparato molto dalle ammaccature e dai solchi sulla superficie del cervello umano, ma l'equipe della cattedra di psicologia e neuropsichiatria dell'universita' di Melbourne ritiene grazie allo studio delle pieghe di poter spiegare alcuni aspetti dei disturbi mentali, e di aiutare a comprendere meglio quali tra i disturbi siano ereditari.
La ricerca guidata dal neuropsichiatra Alex Fornito, appena pubblicata dalla rivista Cerebral Cortex, mette in luce il significato dell'asimmetria e delle variazioni nelle pieghe della superficie cerebrale, presenti nei pazienti psichiatrici.
''Benche' il nostro studio fosse mirato alla soluzione dei problemi ed al pensiero strategico, la nostra attenzione e' stata attirata dalla scoperta che variazioni simili nelle pieghe in parti del cervello possono essere legate ad altre abilita' intellettuali'', scrive Fornito.
Lo studio si era concentrato inizialmente su una parte specifica del cervello chiamata paracingolato (Pc), situata entro una piega esistente solo nel cervello umano. I ricercatori hanno messo alla prova i partecipanti di mano destra (non mancini) con compiti appartenenti sia all'emisfero sinistro, che ospita la conoscenza verbale, sia a quello destro, il cui orientamento e' piu' sulle abilita' spaziali.
E' risultato che la piega Pc era piu' sviluppata nell emisfero destro per alcune persone, ma in misura uguale per altre. Chi aveva la piega Pc nell'emisfero destro ha conseguito migliori risultati nei test cognitivi, rispetto ai partecipanti con Pc simmetrici - questo sia che i compiti fossero 'assegnati' all emisfero sinistro, oppure destro, del cervello.
''Sapevamo gia' che vi e' variabilita' nelle pieghe del cervello, ma la ricerca ci indica che queste hanno relazioni con il comportamento e le abilita' mentali'', dichiara Fornito. E' gia' noto da studi precedenti aggiunge che i pazienti di schizofrenia hanno cervelli piu' simmetrici. (ANSA).

Sartre: il punto di vista del manifesto...

due aticoli ricevuti da P.Cancellieri

il manifesto 21 aprile 2004
SARTRE
Atto unico contro i dominatori
«Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti», pièce teatrale scritta e rappresentata dal filosofo francese nel 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri. Un testo sottratto all'oblio con la prima traduzione italiana nella collana sartriana delle edizioni Marinotti
di CLAUDIO TOGNONATO


Natale del 1940 siamo nel campo di concentramento di Treviri dove Jean-Paul Sartre è rinchiuso dopo la sua cattura a Padoux, Lorena, nel nordest della Francia. Inviato al fronte, la guerra è stata per Sartre una lunga attesa che finirà senza nemmeno sparare un colpo. Sarà fatto prigioniero il 21 giugno 1940, proprio il giorno del suo compleanno, e dopo qualche mese verrà trasferito in Germania, ma riuscirà a evadere nove mesi dopo con un falso certificato medico che fa riferimento alla cecità a un occhio, accompagnato da un contraffatto documento d'identità in cui si fa passare per civile. Dai campi di concentramento nazisti non si evade facilmente, ma il giovane Sartre, che non si limita a essere soltanto un teorico della libertà, riesce a fuggire. La fuga però, era in realtà cominciata durante la stessa prigionia dove si dedica interamente a leggere, scrivere e preparare opere come L'Essere e il Nulla o la trilogia I cammini della libertà. Organizza un seminario su Heidegger, scrive il suo diario (I taccuini della strana guerra), mantiene una copiosa corrispondenza con Simone de Beauvoir alla quale scrive: «se la guerra continuasse a questo ritmo lento e cullante, credo che al momento della pace avrei scritto tre romanzi e dodici opere filosofiche». Questo periodo di forzata «chiusura» si rivelerà, infatti, fondamentale per permettere quella offensiva esistenzialista che furono gli anni Quaranta e Cinquanta. Una articolata macchina filosofica, politica e letteraria preparata, confesserà più tardi, «per fornire una ideologia al dopoguerra». È qui, nella baracca «degli intellettuali» e a richiesta di due preti prigionieri divenuti amici, dove Sartre accetta di scrivere e rappresentare una pièce di teatro, Bariona o il figlio del tuono (Christian Marinotti Edizioni, pp. 117, € 14,50) che solo ora vede la sua prima edizione italiana.
Bariona, un atto unico in sette quadri, è ambientato all'epoca della dominazione romana sulla Giudea. Nel campo di concentramento nazista di Treviri, ai margini della stessa città che diede i natali, nel 1818, a Karl Marx, Sartre sceglie di schierarsi dalla parte degli oppressi, dalla parte degli ebrei. Bariona è il capo di un povero villaggio di montagna che per opporsi e protestare contro l'innalzamento delle tasse decide una sorta di malthusiano «sciopero della natalità»: non si faranno più figli, non ci sarà più nessuno per pagare le tasse, il paese scomparirà e gli esattori romani resteranno a mani vuote. Bariona sa che non può contrastare gli oppressori, sa che la ribellione di un piccolo paese sarebbe stata soffocata nel sangue e propone allora la lenta estinzione come forma estrema di lotta. Anche quando scopre che sua moglie è incinta Bariona non esita e cerca di convincerla che generare la vita è perpetuare la sofferenza umana. Ma ecco che a un gruppo di pastori appare un angelo che annuncia che a Betlemme è nato il Messia. L'intero paese, prima fedele al suo capo, ora gli si rivolta contro. Bariona, il figlio del tuono, rifiuta di recarsi a Betlemme e proclama la libertà dell'uomo davanti a Dio: «Quand'anche l'Eterno mi avesse mostrato il suo volto tra le nuvole io rifiuterei ugualmente di sentirlo poiché sono libero, e contro un uomo libero, Dio stesso non può nulla». A questo punto entrano in scena i Re Magi in viaggio verso Betlemme e Baldassarre (impersonato nella recita dallo stesso Sartre) si rivolge a Bariona in un lungo monologo per dirgli: «Tu soffri e pertanto il tuo dovere è di sperare (...) l'uomo è sempre molto di più di quello che è. Vedi questo uomo, tutto appesantito dalla sua carne, radicato sul luogo dai suoi due grandi piedi e tu dici, stendendo la mano per toccarlo: è là. E ciò non è vero: ovunque sia, un uomo, Bariona, è sempre altrove». Tutto il villaggio decide di mettersi in viaggio per Betlemme tranne Bariona, che partirà solo in un secondo momento e per una scorciatoia con l'idea di uccidere il Messia. Arrivato a Betlemme di nuovo si troverà di fronte Baldassarre-Sartre che in un altro monologo (tutto sartiano) lo convincerà del contrario. Baldassarre dirà che la sofferenza è umana, ma non bisogna ruminarla né rassegnarsi, conviene piuttosto «accettarla come se vi fosse dovuta ed è sconveniente parlarne troppo, foss'anche con sé stessi» (...) «tu non sei la tua sofferenza. Qualunque cosa tu faccia la superi infinitamente, poiché è proprio ciò che tu vuoi che essa sia.» La sofferenza non è più rassegnazione, ma l'accettazione della propria contingenza. Bariona si sentirà allora libero e responsabile della sua scelta. Marcerà contro i soldati di Erode, cercherà di rallentare il massacro di neonati per permettere la fuga di Gesù e morirà prima di vedere nascere suo figlio in un finale dove si coniugano la lotta contro l'oppressore e l'accettazione della vita.
Perché questo lavoro teatrale è rimasto in un secondo piano, non solo in Italia, ma in tutto il mondo? perché non è stata inserito a pieno titolo nel teatro di situazioni? perché la prima pièce di teatro scritta da Sartre è diventata l'ultima? La risposta a queste domande va forse ricercata nel carattere anomalo e perfino discordante di questa che costituisce un'avant première nel contesto della vastissima opera sartriana. Una prima risposta si trova nella lettera che precede il testo, datata 31 ottobre 1962, in cui Sartre precisa: «Se ho preso il mio soggetto nella mitologia del Cristianesimo, ciò non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata, fu un momento, durante la cattività. Si trattava semplicemente, d'accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, in quella sera di Natale, l'unione più vasta di cristiani e di non credenti». Questa avvertenza indica in modo esplicito una chiara presa di distanza dal testo. Si dovrà aspettare fino al 1962 perché Sartre autorizzi l'edizione di Bariona limitata di cinquecento copie fuori commercio e destinate in gran parte ai suoi compagni di prigionia; poi ce ne sarà una seconda, nel 1967, anch'essa fuori commercio. La prima pubblicazione «regolare» è riportata in appendice, a pagina 565 de Les écrits de Sartre, cronologie, bibliographie commentée (1970) di Michel Contat e Michel Ribalka.
Nella nostra (sempre più) cattolica Italia la pièce è stata prontamente recensita dal Corriere della Sera e da Famiglia Cristiana - con titoli quali «Sartre, l'ateo che decise di inchinarsi a Gesù» o «L'ateo che scoprì la Speranza» -, leggendo in questo libro ciò che più volte Sartre stesso ha esplicitamente negato. «A vedermi scrivere un mistero, alcuni avranno potuto vedere che attraversassi una crisi spirituale. No! Un medesimo rifiuto del nazismo mi legava ai preti prigionieri nel campo.» Questo è il movente che lo porta a scrivere una pièce su «un soggetto della mitologia cristiana» come dirà con evidente distacco negli anni Sessanta.
Contat e Ribalka annotano che Sartre non ha mai avuto un'opinione molto alta della sua pièce, la considerava un lavoro non riuscito, scritto in pochi giorni e in circostanze molto particolari: «la pièce non era né buona né ben rappresentata: un lavoro di dilettanti, direbbero i critici, e non è stato altro che il prodotto delle circostanze». Sono proprio le «circostanze» che portano Sartre a scrivere Bariona, dalla quale ne ricaverà un'interessante esperienza per il futuro: «attraverso le luci mi sono rivolto ai miei compagni per parlare della loro situazione di prigionieri, li ho visti all'improvviso attenti e silenziosi e mi sono reso conto di ciò che era il teatro: un grande fenomeno collettivo, religioso.» Questa prima esperienza lascerà il segno e pochi anni dopo diventerà autore di teatro. Prima ancora di L'Essere e il nulla (1943), scriverà Le Mosche (1943), e in seguito una lunga serie di pièces: Porte chiuse (1945), Morti senza sepoltura (1946), La sgualdrina timorata (1946), Il gioco è fatto (1947), Le mani sporche (1948), L'ingranaggio (1946), Il diavolo e il buon Dio (1948), Kean (1954), Nekrassov (1956), I sequestrati d'Altona (1960). Sartre confesserà (Le Parole) che il suo motto fu sempre «mai un giorno senza una riga» e il lungo elenco delle sue opere ne è una testimonianza.
E' noto come Sartre sia sempre stato molto critico con se stesso e i suoi lavori. La scarsa considerazione riservata a Bariona ne è una prova, forse eccessiva. Se quel testo fosse stato scritto nella serenità del suo appartamento parigino sarebbe stato sicuramente diverso, più rifinito e più libero, ma il bisogno, urgente e prevalente, di consegnare un messaggio di libertà ai suoi compagni di prigionia ha prevalso sulla forma e la cura del testo. Nell'introduzione italiana alla pièce Antonio Delogu indica un punto fondamentale che lega la stesura di Bariona all'insieme dell'opera sartriana, l'impegno. Impegno inteso dal filosofo francese «come una missione da vivere con la stessa onestà con cui un cristiano viveva la propria vocazione». Due diverse vocazioni, due impegni fusi nella lotta.

il manifesto 21.4.04
La ricerca di un uomo libero
Tradotto il libro di Bernard-Henry Lévy dedicato a Jean-Paul Sartre
Il secolo in salotto Secondo Lévy, l'amore per la libertà del filosofo considerato l'incarnazione dell'intellettuale impegnato, lo avrebbe spinto nelle braccia dello stalinismo
C. TO.


Pochi si meravigliavano quando in una scena della Battaglia di Algeria, di Gillo Pontecorvo, un ufficiale francese domandava: «cosa ha scritto oggi Sartre?» Erano gli anni Sessanta e Jean-Paul Sartre rappresentava il pensiero anti-istituzionale, la critica inesorabile, l'intellettuale ribelle e scomodo di cui non si poteva fare a meno. Vita e opera hanno lasciato un segno decisivo al punto che Bernard-Henry Lévy designa il ventesimo secolo come Le Siècle de Sartre (Il secolo di Sartre, tradotto da Roberto Salvatori per il Saggiatore, pp. 550, € 25), parafrasando il celebre volteriano Le Siècle de Louis XIV. Forse i secoli non hanno proprietari e non possono ridursi a un personaggio, forse Sartre, che nel 1964 ha rifiutato il Nobel per la letteratura, sarebbe stato contrario a bollare il secolo con il suo nome. Sartre resta comunque un testimone d'eccezione e la sua monumentale opera, che ha contribuito a modellare la sua epoca, continua a suscitare dibattito nei nostri giorni.
Il lavoro di Bernard-Henri Lévy (BHL per i media di oltralpe) uscito in Francia nel gennaio 2000 aveva aperto i fuochi d'artificio per celebrare il ventennale della morte di Sartre. Accompagnato da numerosi articoli in giornali e riviste che parlavano del ritorno a Sartre, della rinascita dell'impegno e del ruolo critico dell'intellettuale, l'operazione ha funzionato e BHL ha venduto migliaia di copie. Si sa che viviamo nell'impero della «razionalità» economica. In Italia l'uscita del libro si proietta invece sul centenario della nascita del filosofo francese che avverrà il prossimo anno.
BHL faceva parte di quei nouveaux philosophes che negli anni `70 hanno duramente polemizzato con lo stesso Sartre. Lévy si definisce un filosofo libertino «figlio naturale di una coppia diabolica, il fascismo e lo stalinismo». Oggi l'immagine del filosofo silenzioso, misurato e saggio non ha successo. Nella società dello spettacolo a vincere è sempre il dandy dalla risposta semplice e pronta. Già la copertina de Il secolo di Sartre nell'edizione italiana è indicativa del personaggio: al volto di Sartre in bianco e nero si sovrappone una foto a colori di BHL di qualche anno fa, quando la sua folta capigliatura era ancora nera. Anni fa il sociologo Pierre Bourdieu aveva sentenziato un lavoro di BHL sull'Algeria «l'antitesi assoluta di ciò che definisce un intellettuale». Ma sarebbe ingiusto dire che Lévy è solo questo. L'autore de Il secolo di Sartre è anche uno scrittore con alle spalle più di 30 opere e un impegno permanente nella difesa dei diritti umani degli oppressi, dalla creazione nel 1980 di «Action International contre la Faim» a quella di «Sos Racisme» nel 1984.
L'edizione francese del libro ha per sottotitolo «una ricerca filosofica» da cui si deduce che non si tratta semplicemente di una biografia, invece nell'edizione italiana il sottotitolo non è più quello ma semplicemente «l'uomo, il pensiero, l'impegno». In realtà Il secolo di Sartre è il tentativo di descrivere, attraverso il racconto di una vita, come la posizione filosofica e politica dell'autore di L'Essere e il Nulla si sia negli anni trasformata. Sartre stesso confessa nelle ultime pagine delle Parole di voler indagare la ragione che l'ha indotto a pensare sistematicamente contro se stesso, al punto di misurare l'attendibilità di un'idea in base al dispiacere che essa gli procurava. La concordanza, il restare fedele a quanto era stato scritto non erano per Sartre valori da rispettare. Spesso ci si chiede a quale Sartre si fa riferimento o qual è quello vero e la risposta non è facile. Le sue opere si costruiscono una sopra l'altra, si sovrappongono e perfino si contraddicono. Si potrebbe dire con Sartre che nel campo dell'umano «il superamento conserva il superato», che ogni affermazione ha dietro di sé una negazione che la sostiene e la giustifica, che il pensiero solo può esistere come mutamento in atto, come pensiero vissuto.
In questo fluire BHL individua due periodi, o meglio due Sarte e si chiede perché «quel uomo libero, il ribelle, il personaggio scintillante... volti le spalle a ciò che costituiva il suo momento di grazia e diventi il grande traviato, complice dei peggiori stalinisti». Secondo Lévy, Sartre «non dice: c'è un evento, ed ecco quale, che ha fatto di me un antidemocratico e una carogna».
Il punto di svolta, spiega BHL, si è prodotto durante la guerra e più precisamente si è cristallizzato in Bariona, la pièce scritta per essere rappresentata nel campo di concentramento durante il Natale, essa «è il luogo in cui, non soltanto si realizza, ma si esprime e si esplicita, tutto il senso della sua conversione.»
In un'intervista concessa a Michel Contat nel 1975 Sartre spiega in che consiste questa «conversione» che ha diviso la sua vita in due: «È in guerra, se vogliamo, che sono passato dall'individualismo e dall'individuo puro di prima della guerra al sociale, al socialismo. È questa la vera svolta della mia vita». Sartre tra i compagni di prigionia si sente sperduto nella massa, partecipa alla vita comunitaria e impara la solidarietà. Con gli anni queste percezioni si consolideranno in un nuovo punto di vista che dalla libertà quasi metafisica si sommergerà nel mondo. Sartre capisce che la libertà, per essere tale, dev'essere sociale.
Quello che per il libertino BHL fa di Sartre «un antidemocratico» è il modo in cui Sartre intende l'impegno, come se la priorità del sociale sull'individuo annullasse la persona.

depressione e «blocco dello scrittore»

Yahoo! Notizie Mercoledì 21 Aprile 2004, 12:30
Antidepressivi possono causare il “blocco dello scrittore”
Di Italiasalute.it


Qualche tempo fa la poetessa americana, Eve Stern, ricevette la diagnosi di depressione maggiore, per curare la quale gli furono prescritti più di 50 tipi diversi di antidepressivi. Uno degli effetti collaterali riferiti, però, fu la totale mancanza di ispirazione, facilmente intuibile se si pensa allo sconquasso chimico che la poetessa dovette subire nel proprio cervello.
La neurologa Alice Flaherty, del Massachusetts General Hospital specializzata in disturbi del movimento ritenne che la mancata ispirazione non fosse, in questo caso, di origine psicologica, bensì attribuibile a cambiamenti della chimica del cervello indotti dai farmaci.
Chiunque abbia sofferto del 'blocco dello scrittore' ha potuto constatare il suo effetto devastante, ma ora alcuni ricercatori stanno indagando per comprendere ancora meglio l'anatomia di questo disturbo.
Secondo la Flaherty i lobi temporali e quelli frontali interagiscono nella capacità di scrivere con meccanismo particolare di tipo 'tira e molla'. I cambiamenti nei lobi frontali producono i sintomi del blocco: la lotta per trovare parole e significati diventa una vera e propria battaglia in cui lo sforzo può determinare ansia e depressione. La dimostrazione di questo rapporto anatomico viene da alcuni casi clinici come la Sindrome De La Tourette in cui una paziente affetta, curata con l'applicazione di un elettrodo per la stimolazione cerebrale la rese improvvisamente una scrittrice. In un altro caso un paziente a cui venne asportato un tumore cerebrale risolse un caso di 'blocco dello scrittore' che lo affliggeva da alcuni anni.
Sulla base di queste scoperte sono ora in corso diversi esperimenti che si avvalgono della Risonanza Magnetica Funzionale (FMRi) una raffinata tecnica di diagnostica per immagini, allo scopo di identificare in maniera definitiva in quali aree dei lobi frontali risieda effettivamente la creatività degli scrittori. Fonte: Comuni-care.it

i padroni del mondo

Rai News 21.4.04

Nel 2003- secondo i dati forniti da Comscore Media Metrix - sono stati 45 milioni gli statunitensi transitati sui siti per cuori solitari spazzando via, nella sola prima meta' dell'anno, i 35 milioni di utenti registrati nel 2002. In ciclopico progresso anche le spese dei sottoscrittori di questi servizi. A giudizio della Associazione dei pubblicitari americani su web, per ogni trimestre del 2003 il danaro versato, per trovare il partner della vita, salira' - complessivamente e in via prospettica - a 100 milioni di dollari, rispetto ai poco meno di 10 milioni di dollari a trimestre di 12 mesi prima.

«cineondata mistica del "cinema della spiritualità"»

Corriere della Sera 21.4.04
Dopo la «Passione» di Gibson un nuovo film religioso ispirato al padre della Riforma. Con Joseph Fiennes e Ustinov
Lutero, l’«eretico liberatore» che divide gli spettatori
di Giovanna Grassi


ROMA - Quattro milioni di spettatori in Germania, buone critiche e molti dibattiti in Usa - dove è uscito nel settembre scorso con ottimi incassi -, dal 30 aprile sarà sugli schermi italiani Luther di Eric Till. Il film ripropone la vita del monaco agostiniano Lutero, che contestò nel sedicesimo secolo la Chiesa Cattolica, fu corifeo della rottura dell’unità dei cristiani, rappresentò la coscienza della Riforma protestante, fu scomunicato da Leone X, bollato come eretico guadagnandosi le etichette - che sono anche quelle di lancio nel mondo della pellicola - di «ribelle, genio, liberatore» (sebbene il film abbia infuocato molti animi in America, specie quelli che bollano Lutero di un acceso antisemitismo). Presentando il film in Usa, il protagonista Joseph Fiennes disse ironicamente: «Spero che il mio personaggio storico non venga confuso con un eroe muscoloso dei tempi moderni o con il segretario della Difesa Usa Donald Rumsfeld, la cui famiglia è di origine tedesca. Comunque, è stato un film di pensiero oltre che, ve lo confermo, d’azione anche per le molte scene faticose, pericolose e spettacolari». Al fianco di Fiennes, sir Peter Ustinov in una delle sue ultime apparizioni pubbliche (nel film è Federico il Saggio): il grande attore accettò anche se ormai molto sofferente il ruolo perché il regista Till, spiegò, era uno dei suoi migliori amici e gli aveva procurato con il film girato insieme Hot Millions una nomination agli Oscar nel 1968 come sceneggiatore . La pellicola, coprodotta dai tedeschi e dagli americani (tra i finanziatori c’è anche la Comunità luterana d’oltreoceano), è interpretata anche da Bruno Ganz (Padre Johann von Staupitz), Alfred Molina (Johann Tetzel), Jonathan Firth (Girolamo Aleandro), Uwe Ochsenknecht (Papa Leone X) e da Claire Cox (l’amore di Lutero, che aveva lasciato il velo e che sposò il monaco e contadino sassone). Ieri, di Luther , si è discusso a Roma con diverse personalità. Il pastore della comunità luterana Alberto Saggese ha sottolineato le inesattezze storiche sostenendo che nel film Lutero «è molto più bello di quanto fosse», mentre il professor Paolo Ricca della Facoltà valdese italiana ha dichiarato: «Finalmente si presenta Lutero in positivo e, poiché ha sempre avuto in Italia una immagine negativa, il film fungerà da opera di alfabetizzazione storica».
Fa parte Luther, come La Passione di Cristo di Gibson e altri film in lavorazione , di una nuova cineondata mistica del «cinema della spiritualità» e del disegno della Fede capace di cambiare il mondo? Ieri, Giovanni Cereti, docente di teologia ecumenica a Venezia, ha dichiarato: «Vediamo nella Passione che Gesù è stato ebreo sino in fondo, come Lutero è stato cattolico. Egli fa parte di un’unica Chiesa e ciò che diceva rifletteva il patrimonio cristiano».

Nietzsche e Schopenhauer

Il Giornale di Vicenza 21.4.04
LIBRI. Terza inattuale tradotta da Giametta
Quando Nietzsche era un "devoto" di Schopenhauer

Da oggi è in libreria, edita da Rizzoli, la terza "considerazione inattuale" di Friedrich Nietzsche, "Schopenhauer come educatore". L’introduzione e la nuova traduzione sono di Sossio Giametta, collaboratore delle pagine culturali del nostro giornale, per la cui cortesia pubblichiamo una parte del saggio di presentazione.
di Sossio Giametta


Volendo scrivere su un'opera di Nietzsche sulla quale Nietzsche stesso ha scritto, bisogna anzitutto rifarsi a ciò che ne ha scritto Nietzsche. Non solo per una cortesia che gli è naturalmente dovuta, ma anche perché i suoi commenti sono spesso giusti, essendo allora anche splendidi nella loro forma ditirambica, e perché anche quando non sono giusti, dicono cose interessantissime, ispirati come sono da motivi grandiosi e variamente utilizzabili. Lo scrigno principale di tali aurei commenti è, come si sa, Ecce homo: l'opera tarda in cui Nietzsche, quasi presagendo il prossimo obnubilamento, volle passare in rassegna, quasi inventariare le sue opere e assicurarle all'avvenire, o, per dirla in un modo che a lui sarebbe certo piaciuto di più, volle ricantarsi la serie folgorante delle sue vittorie.
Che cosa dice Nietzsche in Ecce homo di Schopenhauer come educatore? Dice anzitutto - riunendo alla terza la quarta considerazione inattuale, Wagner a Bayreuth - che non si sente di sostenere che esse «servano tanto a comprendere i due casi, o anche solo a impostarne il problema psicologico» . Quello che egli voleva fare, dice, non era psicologia, ma affrontare «un problema di educazione che non ha precedenti», stabilire «un nuovo concetto dell'autodisciplina, dell'autodifesa», indicare «una via verso la grandezza».
Ma qual è in questo progetto il ruolo dei due a cui le due inattuali sono dedicate, Schopenhauer e Wagner? Niente di troppo diretto, di troppo personale, essi rappresentano semplicemente «un'occasione per enunciare qualcosa, per avere in mano un paio di formule, di segni, di strumenti linguistici in più. Lo stesso ha fatto Platone, servendosi di Socrate come di una semiotica per Platone». Insomma questi scritti «parlano semplicemente di me stesso. Wagner a Bayreuth è una visione del mio futuro; in Schopenhauer come educatore, invece, è iscritta la mia storia più intima, il mio divenire. Innanzitutto il mio voto solenne!? Oh quanto lontano io ero allora da ciò che sono oggi, da dove mi trovo oggi - a un'altezza che mi fa parlare non più con parole, ma con fulmini! - Però avevo avvistato la terra - non mi ero ingannato un momento sulla via, sul mare, sul pericolo - e sul successo! La grande pace del promettere, quello sguardo felice verso un futuro che non resterà una mera promessa! - Qui ogni parola è vissuta, profonda, intima; non vi manca il dolore, il più forte, certe parole sanguinano addirittura. Ma un vento di libertà, della grande libertà, spazza via tutto; la ferita stessa non è un'obiezione. - Anche ammettendo che non tratti, in fondo, di Schopenhauer come educatore, ma del suo opposto, di Nietzsche come educatore, pure questo scritto offre un insegnamento inestimabile sulla mia maniera di concepire il filosofo, come un tremendo esplosivo, che mette tutto in pericolo, su un concetto di 'filosofo' che sta miglia e miglia da quell'altro concetto, che pure comprende in sé un Kant, per non parlare dei 'ruminanti' accademici e degli altri professori di filosofia. - Se si considera che a quel tempo fare il dotto era il mio mestiere, non sembrerà senza significato che in questo scritto compaia improvvisamente un aspro frammento di psicologia del dotto: esso esprime il senso della distanza, la profonda sicurezza su ciò che per me può far parte del compito, e ciò che invece è solo mezzo, intermezzo e lavoro laterale».
Come si vede, abbiamo qui subito un esempio di quegli alti, grandiosi commenti di cui si è detto sopra. Vediamo se è tutto giusto quello che Nietzsche dice. È vero che egli non vuol fare della psicologia, ma affrontare un problema di educazione e indicare una via verso la grandezza. In questo senso, Schopenhauer come educatore, per limitarci alla terza inattuale che qui soltanto ci interessa, è il manifesto di Nietzsche. Ma che Schopenhauer e Wagner fossero solo un'occasione, una, mentre sui due e per i due Nietzsche ha speso il suo sangue e il suo sonno, non è vero, come non è vero che essi fossero per lui solo formule, segni, strumenti. È la vendetta per essere stato, egli, a suo tempo, occasione, formula, segno e strumento di quei due, del morto e del vivo. Nietzsche parla di sé, ma parla anche dei suoi due auctores . Schopenhauer in particolare è, in tutta la "considerazione" dedicatagli, veramente Schopenhauer, l'uomo che per il suo carattere, ma grazie anche alla rendita assicuratagli dal padre, come egli stesso ammette, ha vissuto da pensatore libero e insouciant, non è sceso a compromessi, non si è inchinato al potere, sebbene, nella lunga unbefriedigungszeit, cioè finché non raggiunse la fama, si dimostrasse, come Nietzsche stesso, desideroso di ottenere una cattedra di filosofia e pronto a sfruttare qualsiasi possibilità per emergere, come del resto è ben naturale e umano.
Il richiamo a Socrate è tendenzioso, perché Platone ha voluto soprattutto esaltare, non strumentalizzare Socrate, e non è mai stato ambiguo verso di lui come Nietzsche con Schopenhauer, col quale anzi Nietzsche è stato a tratti negativo e astioso e tutto sommato ingiusto, nonostante il ricorrente lip-service a suo favore. Però, sebbene abbia abbastanza presto, non subito, appuntato delle critiche alla filosofia di Schopenhauer, per tutto un lungo periodo fu e si sentì effettivamente, come appunto in questa considerazione inattuale, un seguace appassionato del maestro di Danzica. Di ciò resta un monumento nella Nascita della tragedia , che con tutta la sua originalità è una filiazione di quei due numi tutelari. Questo non toglie, ad ogni modo, che la presente inattuale parli veramente di lui, Nietzsche, anche e soprattutto di lui, e ne narri la storia intima e il voto solenne: che equivalga dunque a un suo diario. È anche vero, infine, che egli ha un concetto esplosivo del filosofo e che distingue nettamente il filosofo dal dotto, cioè dal filologo, quale egli stesso era allora. Il filologo è poi diventato per lui sempre più una bestia nera, oggetto di violento odio e disprezzo, per la sua incapacità di riconoscere e rispettare la superiorità del filosofo.

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Università di Firenze: un disservizio o un'opportunità?

Repubblica, ed. di Firenze 21.4.04
Autorizzato un solo corso dei quattro chiesti dalla facoltà per chi vuole continuare gli studi
Psicologia, specializzazione ma non per tutti


Stop dopo la laurea triennale, chi vuole continuare a studiare Psicologia dovrà cambiare città, trasferirsi a Bologna, a Roma o a Padova. E´ quanto temono gli studenti di Psicologia di Firenze che si sono riuniti in assemblea ieri mattina per discutere con il preside Saulo Sirigatti il problema del biennio di specializzazione: delle 4 lauree specialistiche che la facoltà di Psicologia di Firenze aveva chiesto di poter attivare soltanto una soddisfa i requisiti minimi ed è stata accettata, le altre 3 non partiranno l´anno prossimo. Il fatto, hanno fatto sapere gli studenti e il preside Sirigatti ha confermato, è che mancano i docenti e le risorse: per attivare le 4 lauree specialistiche erano richiesti almeno 55 docenti, mentre la facoltà di Psicologia ne conta soltanto 44 per più di 7.000 studenti. Ieri mattina durante l´assemblea degli studenti si è costituito un comitato di crisi che valuterà possibili soluzioni e forme di pressione. Dal rettorato fanno sapere che in base ai loro calcoli i posti dell´unica laurea specialistica che sarà attivata dovrebbero essere sufficienti per i primi laureati del triennio.

revisionismo storico: Ernst Nolte

Corriere della Sera 21.4.04
La fine della «guerra civile europea» secondo Ernst Nolte
«Comunismo e nazismo vanno sepolti col Novecento»


Ernst Nolte è nato l’11 gennaio 1923 a Witten nella Ruhr. Ha studiato lingue e filosofia a Münster, a Berlino con Nicolai Hartmann e a Friburgo con Martin Heidegger, per laurearsi dopo un’interruzione degli studi, con Eugen Fink, tesi sull’idealismo tedesco. Nel 1963 pubblica I tre volti del fascismo , testo che diventerà il referente del revisionismo storico e dal quale nasce un sodalizio intellettuale con l’italiano Augusto Del Noce. La sua carriera universitaria inizia come insegnante di storia a Marburgo nel 1964. Nel 1968, contestato dagli studenti, è costretto a tenere le sue lezioni in aule vuote. Nello stesso anno esce La crisi dei regimi liberali e i movimenti fascisti , Nolte fonda inoltre la lega militante conservatrice «Bund Freiheit der Wissenschaft». Nel 1973 cambia ateneo, insegna a Berlino dove è tuttora professore emerito. L’anno dopo pubblica La Germania e la guerra fredda e, nel 1983 Marxismo e rivoluzione industriale.
Ma la vera popolarità, grazie alle feroci polemiche scatenate in patria, giunge con un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 6 giugno 1986. Nolte metteva in dubbio l’unicità storica dell’Olocausto, provocando la cosiddetta lite sulla storia (Historikerstreit) che vide tra i suoi principali oppositori il filosofo Jürgen Habermas. Nel 1987 esce La guerra civile europea 1917-1945 . Ha scritto anche Il giovane Mussolini e testi su Nietzsche e Heidegger.


Nell'aprile e nel maggio 1945 si combatterono le ultime battaglie della guerra civile europea, ma tutti videro in esse soltanto la resistenza disperata dell'esercito tedesco sconfitto, che aveva ormai l'unico obiettivo di portare nella relativa sicurezza dell’«Ovest» la maggior parte possibile della popolazione della Germania orientale. La «coalizione mondiale democratica» celebrò il suo trionfo quando l'8 maggio il general feldmaresciallo Keitel e l'ammiraglio d'armata von Friedeburg firmarono l'atto di capitolazione e tutta la Germania fu occupata dalle truppe delle potenze vincitrici. La potenza sconfitta veniva spesso denominata «il fascismo», ma le appartenenze di partito non giocavano più alcun ruolo: gli abitanti delle regioni tedesche a est dell'Oder e del Neisse furono cacciati tutti, senza minimamente distinguere tra «nazisti» e «non-nazisti»; un trattamento quasi identico fu riservato alle regioni dei Sudeti. I capi del Terzo Reich - quelli che vennero catturati - furono in gran parte condannati a morte e impiccati a Norimberga come criminali di guerra e per «crimini contro l'umanità», le Ss furono dichiarate «organizzazione criminale» e la Nsdap era già stata sciolta; era ovvio che, con il collasso della Germania, il nazionalsocialismo aveva perduto la sua forza e che bisognava soltanto eliminare i suoi residui (...).
La rivoluzione russa dei bolscevichi, nata dalla Prima guerra mondiale, fu l'evento più importante e più gravido di conseguenze del secolo. Essa tentò di realizzare in modo violento il socialismo, un'idea antichissima dell'umanità che Marx ed Engels avevano tradotto in forma moderna. Il tentativo fallì perché questi due autori avevano unito nel loro pensiero realtà inconciliabili: l'unità del mondo, l'idea dell'umanità come di una famiglia e l'eliminazione degli apparati e della reificazione. Esso diede però a innumerevoli uomini una grande speranza e risvegliò in molti altri un odio fino a quel momento sconosciuto, aprendo così la strada a un movimento militante contrario che poteva fondarsi sulla forza ancora indomita del nazionalismo. Questo movimento produsse un'ideologia che si basava più su ipotesi e postulati che su speranze e convinzioni e che nella prassi dimostrò di essere, sia pure in modo diverso, una «macchina per sterminare gli uomini», tanto quanto lo era stato prima il sistema bolscevico.
E così il periodo di tempo che va dal 1917 al 1945 non divenne l'epoca della rivoluzione proletaria mondiale, come Lenin aveva creduto, ma l'epoca del fascismo e della guerra civile europea tra il nazionalsocialismo radicalfascista della Germania e il bolscevismo dell'Unione Sovietica che diventava sempre più statale.
Nel 1947, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, cominciò l'epoca della Guerra fredda nella quale i Paesi dell'Europa giocarono un ruolo soltanto secondario accanto agli antagonisti principali, l'Unione Sovietica con l'economia pianificata e gli Stati Uniti con l'economia di mercato. Possiamo parlare di «una guerra civile mondiale» caratterizzata da un reciproco «potere di conversione, anche se negli Usa a partire dagli anni Sessanta s'impose un pragmatismo non-ideologico e l'ideologia marxista dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti perse forza e credibilità. La libertà economica e intellettuale, legata a un crescente benessere, si dimostrò in definitiva più forte e più attraente; la strategia della distensione, anzi dell'abbraccio, ebbe molto più successo della strategia del confronto militante nella guerra civile europea; nel 1991 l'Unione Sovietica si dissolse, ma la Russia rimase uno Stato grande anche se indebolito. Oggi non è più necessario chiedere che il mondo si allontani sempre più dall'epoca del fascismo e della guerra civile europea poiché questo distacco è da lungo tempo una realtà. Ciò non significa però che il mondo vada verso un futuro libero, o quasi, dai conflitti; semplicemente, è divenuta impensabile e praticamente impossibile una guerra condotta con tutti i mezzi tecnici tra due grandi potenze dello stesso rango.
Sarà possibile dare un giudizio storico definitivo sul socialismo violento che nel 1917 conquistò il potere in Russia, e sul nazionalismo violento, che sotto il nome di nazionalsocialismo si impose in Germania, soltanto quando saranno chiare le conseguenze della «globalizzazione capitalistica» sfrenata e del liberalismo che continua ad avanzare.
Le cose stanno diversamente per quanto concerne il rapporto tra i due totalitarismi più importanti del secolo: possiamo già ora lasciare al dibattito scientifico la discussione sulle sue possibili interpretazioni, ovvero come una relazione tra due realtà contraddittorie, come un parallelismo oppure come un «nesso causale» fra un originale e una copia deformata, o anche come un rapporto maestro-discepolo, come viene formulato o perlomeno accennato da Solzenitsin e da Grossman. A patto però che non si giochi a dadi con i giudizi morali e con quelli storici.
Rende un cattivo servizio al futuro chi cerca di costringere con la forza i grandi e nuovi problemi del XXI secolo entro gli stessi schemi in cui si esprimevano le domande e le emozioni del XX secolo: per esempio, coloro che utilizzano i termini «comunismo» e «fascismo» anche se gli avversari politici non si definiscono più in questo modo ed è possibile riconoscere differenze sostanziali. Certo, nella storia vi sono continuità e renaissances ma, dal 1991, il bolscevismo di Lenin e di Stalin e più che mai il fascismo di Mussolini e di Hitler sono talmente passati che essi dovrebbero ora diventare definitivamente argomenti della riflessione scientifica, invece che oggetti o pretesti per la polemica dei partiti politici.