domenica 11 luglio 2004

un convegno a FIRENZE
«il paradigma di "natura umana" tra scienza e filosofia»

Repubblica, edizione di Firenze 11.7.04
Convegno a Villa Ruspoli
"Natura umana" tra scienza e filosofia


Domani e martedì nell´Aula rossa di Villa Ruspoli, in piazza Indipendenza 9 a Firenze, si terrà il convegno «Humanitas - il paradigma di "natura umana" tra scienza e filosofia», organizzato dall´Istituto italiano di studi umanistici. L´apertura dei lavori, alle 10, sarà di Aldo Schiavone. Seguiranno interventi di Roberto de Mattei, Edoardo Boncinelli, Giulio Giorrello, Luigi Lombardi Vallauri, Roberto Esposito, Carlo Ossola, Claudio Leonardi, Giacomo Marramao. Martedì, sempre dalle 10, sarà la volta di Salvatore Veca, Carlo Galli, Eugenio Mazzarella, Roberto Marchesini.

Manoel De Oliveira a Lecce

Repubblica, edizione di Bari 11.7.04
Il portoghese, 96 anni, in Salento per il festival Negroamaro
Il regista De Oliveira a Lecce "Questa terra è da raccontare"
Il segreto della longevità forse è legato a mia moglie con la quale sono sposato da oltre sessant´anni
È una città antica che dalle sue architetture lascia facilmente trasparire la qualità della vita che offre
di ANTONELLA GAETA


LECCE - Del tempo che porta non si coglie il principio. Manoel De Oliveira è un secolo di filosofia, immagini, pensiero. Aristotele, Bunuel, Deleuze. Parla e i saperi si intrecciano. Il più delle volte sono diventati cinema perché delle arti è la «sintesi perfetta». Il regista portoghese, 96 anni il prossimo dicembre è arrivato a Lecce nella notte, «con una gran fame». Gli è sembrata subito «una città antica che lascia facilmente trasparire dalle sue architetture la qualità del vita che è in grado di offrire. Poco inquinamento, il mare vicino e un ottimo cibo». Al suo fianco c´era Marisa Paredes, tra le muse impertinenti e drammatiche di Almodovar e Marco Abbondanza, direttore del festival "Sete sois sete luas" che si gemella con il Negroamaro della Provincia e approda, per la prima volta a Lecce con le sue produzioni.
Nelle stesse ore a Tricase sono arrivate ieri anche Laura Morante e Maria De Medeiros per l´omaggio poetico al Nobel Saramago. Con la mostra di Fausto Giaccone dedicata alla rivoluzione dei Garofani, la consegna del Premio Lo straniero curato dal critico Goffredo Fofi e da Edoardo Winspeare e la rappresentazione della pièce diretta da De Oliveira, "Mario, ovvero me stesso, l´Altro", il piccolo centro è diventato un "aleph" multilingue di matrice ecumenicamente lusitana. Prima, nell´incontro a Lecce, dialogato in lingua portoghese da De Oliveira e spagnola da Paredes, la sensazione di incontro non babelico è stata la medesima. La grande attrice ha riconosciuto che «stupenda è la possibilità di andare per il mondo» e di «essere più felice qui, in mezzo a persone che apprezzano il suo lavoro, piuttosto che a Hollywood».
A una comune origine di portoghesi, spagnoli e italiani si è appellato De Oliveira, «in attesa di una più compiuta unione europea». Quando di lui, il critico Fofi nel presentarlo ha raffermato di trovarsi al cospetto di un grande maestro capace tra pochi al mondo di rinnovare il linguaggio cinematografico ha contestato che «non è poi così grande dal momento che la sua altezza supera di poco il metro e settanta». Grande lo è stato (ed è) veramente. Quando ha deciso di rallentare i tempi del cinema, di rendere profondo ogni gesto dei suoi attori e di estenuare il senso del movimento. Non sono facili i suoi film, né ha voluto che lo fossero. L´ultimo, "Un film parlato" è proprio un abbraccio a tutti noi mediterranei. Il ritmo incredibile delle sue produzioni è di una pellicola all´anno. Ne ha già pronta un´altra, "Il quinto impero", che va all´origine della sconfitta portoghese all´epoca di Carlo V, quando l´utopia di unione del principe Sebastiano perì nel sangue. «Anche agli Europei di calcio abbiamo perso, del resto» scherza. E a chi gli chiede come si fa a vivere tanto a lungo risponde: «Se sapessi ciò che fa la vita lunga potrei dare la ricetta a tutto il mondo. Forse il segreto è legato a mia moglie con la quale sono sposato da oltre 60 anni». Domani si rimette in viaggio, destinazione isole di Medeiros. Il dodici luglio, come ogni anno.

Luciano Canfora
Alcibiade

Corriere della Sera 11.7.04
La Storia fatta con i se
Ipotesi sul condottiero: come sarebbe cambiato il destino dell'Occidente sotto la sua guida
Alcibiade fosse tornato e avesse salvato Socrate
Atene non richiamò dall'esilio lo stratega nonostante l'appello di Aristofane
Così fu inevitabile la caduta della città. E venne segnata la sorte del filosofo
di LUCIANO CANFORA


Finale delle Rane di Aristofane. Gennaio del 405 a.C., alla festa delle Lenee. Il pubblico è tutto ateniese, perciò i commediografi parlano ancor più volentieri di politica e il pubblico apprezza. Quando Aristofane ha lavorato alla commedia, nei mesi precedenti, erano ancora nell'aria l'esultanza per la vittoria alle isole Arginuse e però anche lo sgomento per l'allucinante processo montato dal perfido Teramene contro i generali vittoriosi. Comunque, mentre l'impero va in pezzi, Atene torna a vincere sul mare. Una domanda è nella testa di tutti: e se facessimo rientrare Alcibiade? Aristofane se ne fa interprete. Alcibiade però non fu richiamato e pochi mesi più tardi Atene avrebbe capitolato. L'ultimo atto era stata un'altra, disastrosa, battaglia navale, quella di Egospotami (agosto 405), combattuta dagli Ateniesi nelle condizioni peggiori e sotto la guida di capi non tutti leali, forse addirittura collusi col nemico.
Alcibiade è il grande assente. Una scena, certo veridica, lo rappresenta ad Egospotami, dove - poco prima del disastro -, pur esule, si fa ricevere dai capi suoi concittadini e li scongiura di non accettare battaglia. E però viene scacciato con la tracotante ingiunzione: «Puoi andare, ora comandiamo noi!».
Aristofane ci aveva tentato. Aveva posto il bruciante problema davanti all'intera città. Nessuna assemblea politica era così affollata come il teatro: dalla scena, Aristofane parlava ad assai più gente che un qualunque politico. Quale la sua trovata? Nelle Rane si svolge, ambientato nel regno dei morti, uno scontro tra Eschilo ed Euripide - l'antico e il moderno - di fronte a un arbitro d'eccezione, il dio del teatro, Dioniso. Si susseguono varie prove, l'ultima è la domanda rivolta a entrambi: che fare con Alcibiade? Eschilo è favorevole a farlo rientrare. E questo equivale a un suggerimento esplicito. Ma, nonostante il successo strepitoso della commedia, non bastò. Il «popolo sovrano», come spettatore applaudiva Aristofane e consentiva con lui, ma come assemblea deliberante avrebbe trascinato il grande esule dinanzi a qualche tribunale.
Perché non lo vollero? Era caduto una prima volta dieci anni prima, nel 415, perché l'avevano incastrato in uno scandalo a sfondo religioso (difficile dire che fosse veramente innocente). Aveva appena portato la città, dapprima incerta e riluttante, alla decisione audacissima di attaccare Siracusa e ampliare l'impero ateniese a Occidente. Lo trascinarono in tribunale mentre era già in mare. Lui non si fece processare, e - da esule - fece alla sua città tutto il male possibile. Mise in ginocchio Atene, ma fu lui stesso a risollevarla, fino alla seconda e definitiva sua caduta (407 a.C.) da cui non valse a risollevarlo neanche la clamorosa, e all'apparenza vincente, iniziativa dell'autore delle Rane .
Non è insensato chiedersi cosa sarebbe accaduto se il bellissimo, spregiudicatissimo e geniale Alcibiade non fosse stato a suo tempo intercettato da un micidiale e squallido processo. In realtà la sua guerra-lampo contro Siracusa poteva aver successo. Così come ebbe successo la riscossa, irresistibile, nella guerra navale, che gli fruttò un trionfale rientro, cui pose fine un incidente provocato da un suo smanioso ufficiale. Il che causò la sua seconda caduta.
E poiché cadde due volte, due sono gli scenarî da ipotizzare: uno maggiore e uno minore. Vediamo il primo. Vincendo contro Siracusa nel 415 a.C. Atene avrebbe esteso verso Occidente il suo impero. Dopo di che, il dominio sulla Sicilia orientale l'avrebbe portata allo scontro con i Punici aspiranti anch'essi al controllo dell'isola. Non è mistero che, tra i progetti che Alcibiade aveva in serbo, c'era anche un attacco a Cartagine. In tal caso, quel successo che - alla metà del secolo - era mancato a Pericle, contro la Persia in Egitto, l'avrebbe conseguito lui, suo nipote, all'altro estremo della sponda meridionale del Mediterraneo. E così la storia stessa dell'Occidente avrebbe rischiato di prendere un'altra piega. In uno scenario del genere sarebbero addirittura venute meno le premesse dello scontro che, centocinquant'anni dopo, terrà in bilico l'intero Occidente: lo scontro romano-cartaginese. Si sa che, al tempo di Augusto, alcuni storici romani si ponevano la domanda perché mai Alessandro Magno non avesse tentato di marciare verso Ovest (Livio sostenne un po' goffamente che i Romani comunque lo avrebbero sconfitto).
Si può dire insomma che Alcibiade avrebbe compiuto, a Occidente, l'impresa cui invece Alessandro nemmeno aspirò. Avrebbe assunto in patria la «tirannide» dopo la vittoria? È probabile che questo pensiero non lo abbia mai abbandonato. Ma non era così ingenuo da voler ferire i suoi Ateniesi proprio là dove la loro sensibilità era più reattiva. Pericle era stato per decenni un «principe elettivo»; lui, coronato di trionfi, avrebbe fatto altrettanto. E invece tutto questo crollò. Un qualche politico di terza fila volle coinvolgere il grande condottiero in uno scandalo, la cui repressione dava soddisfazione al perbenismo dell'Ateniese medio. E il sogno occidentale di Atene svanì.
Atene subì colpi su colpi. Eppure non cadde. Ritornato, Alcibiade sembrò ristabilire le sorti della città che stava correndo senza freni a precipizio verso il baratro. Rientrò da «salvatore». Ma grazie alle mai sopite invidie, al primo insuccesso fu rimosso.
Aristofane fa dire a Eschilo che «il cucciolo del leone» (così designa Alcibiade) era l'unico in grado di salvare ancora la città dalla disfatta. È probabile. Avrebbe impedito dieci anni di dispotismo spartano su tutta la Grecia. Avrebbe risparmiato ad Atene la ferocia dei «Trenta tiranni». Senofonte non avrebbe raggiunto Ciro in Asia per scampare ai postumi della guerra civile. (Non avremmo l' Anabasi ). E nemmeno Socrate avrebbe pagato con la vita le sue compromettenti amicizie politiche. E forse, senza un tale martire, il pensiero occidentale avrebbe preso un'altra piega.

Alcibiade (450-404 a.C.) crebbe in casa di Pericle e divenne seguace di Socrate. Valoroso combattente, nel 422 entrò in politica promettendo grandezza ad Atene. Perciò spinse la sua città a fare lega con Argo contro Sparta, che venne sconfitta a Mantinea (418). Con un piano di espansione in Occidente, decise la spedizione contro Siracusa, ma venne accusato di sacrilegio. Salpò comunque. Richiamato per il processo, disertò. Andò a Sparta e divenne lo stratega anti ateniese, coprendosi di successi. Entrato in urto con il re spartano, fu chiamato dagli ateniesi della flotta di Samo e ottenne due vittorie contro Sparta, ad Abido (411) e a Cizico (410). Venne richiamato ad Atene (407) e assunse il comando delle navi. Ma, accusato di una sconfitta della flotta, andò in esilio. Fu ucciso in Frigia dai sicari di Farnabazo su istigazione di Sparta.

archeologia
una nuova guida alla Roma archeologica

Repubblica, edizione di Roma 11.7.04
Curata da La Regina. In sei percorsi la città antica
Arriva la guida per scoprire la Roma archeologica


Esce in questi giorni in libreria la "Guida archeologica di Roma". Una pubblicazione "Electa" aggiornata da Adriano La Regina, che interessa l´area archeologica centrale della capitale dove si concentrano le più cospicue testimonianze monumentali di Roma antica. Dai Fori con le basiliche, alle biblioteche e tribunali, ai mercati e le sfarzose dimore imperiali, fino ai luoghi sacri. La guida accompagna il turista attraverso sei percorsi tematici: il Foro Romano, il Palatino, il Campidoglio e i musei capitolini, i Fori Imperiali, la Valle del Colosseo e la Domus Aurea. E con l´aiuto di piantine dei percorsi e mappe a colori realizzate sotto la supervisione del sovrintendente archeologico, fornisce una descrizione scientifica dei monumenti. Il volume è inoltre arricchito da piccoli box che illustrano aspetti particolari e curiosi della civiltà romana, schede di approfondimento e antiche immagini.

Cina

La Stampa 11.7.04
«La Cina ha fame di petrolio
Il pianeta cerca altre risorse»
di Roberto Ippolito


Il mondo cammina. E proprio questo preoccupa. E’ il paradosso che affiora dalla conferenza internazionale sul «nuovo ciclo dell’economia globale» promosso a Firenze dall’Aspen, l’associazione attenta all’integrazione atlantica.
(...) La fame di energia è fortissima nella lanciatissima Cina: il boom la divora.
(...) Allarme energia, dunque. E soprattutto allarme petrolio. Questo almeno è il messaggio che viene dalla conferenza dell’Aspen. Un messaggio che invita a riflettere anche se esistono previsioni di segno diverso secondo le quali, invece, il greggio sarà ancora abbondante a lungo.
In ogni caso la Cina consumerà tanta energia. «Credo che il rifornimento di petrolio e di risorse sarà importante per la continuazione della crescita cinese» avverte Fan Gang, direttore del Centro economico di ricerca nazionale di Pechino. Fan Gang stima che il prodotto interno lordo della Cina continuerà ad aumentare «a ritmi dell’8-9% nel 2005 e a ritmi altrettanto sostenuti nei prossimi cinque-dieci anni».
(...) Fan Gang osserva che un eventuale limite alla disponibilità di petrolio si porrebbe «per tutto il mondo e non solo per la Cina; quindi bisogna pensare ad altre risorse».
La Cina come il resto del mondo, pertanto. Proprio per questo motivo Morse considera inadeguata la sua integrazione nel sistema di regole internazionali per gli scambi petroliferi. Senza un miglioramento, sostiene, «ci troveremo di fronte a un’altra crisi petrolifera»: la mancata integrazione finirebbe «per impoverirci tutti».
Fan Gang vede però il suo paese in cammino positivamente sulla scena internazionale, anche grazie all’adesione alla Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio: «Oggi la Cina è molto più sensibile al tema dell’integrazione internazionale rispetto a qualche anno fa».

RaiNet News Scienze
Nel 2007 la prima missione
La Cina e' pronta a conquistare la Luna


Nell'ottobre del 2003 Pechino aveva inviato il suo primo uomo nello spazio. In 90 minuti ha compiuto l'intero giro del pianeta
Dopo aver inviato il suo primo astronauta in orbita, è la Luna il prossimo obiettivo dell'ambizioso programma spaziale di Pechino, secondo quanto ha rivelato in una intervista alla Bbc il capo dell'agenzia spaziale cinese, Sun Laiyan.
Il 15 ottobre dello scorso anno la Cina invio' in orbita il suo primo astronauta. La missione duro' appena 90 minuti: la 'Shenzhou' - letteralmente 'Nave Divina' - ebbe modo di compiere un giro intorno alla Terra e l'impresa e' staa trasmessa in diretta dalla tv cinese. 
La Cina e' il terzo Paese a mandare un uomo in orbita, dopo la Russia, che nel 1961 mando' Yuri Gagarin a fare un giro del pianeta per 108 minuti, e dopo gli Stati Uniti che in seguito alla misione del 'Vostok 1' mandarono Alan Shepard per 15 minuti in volo suborbitale.
Un altro importante obiettivo sarà quello di costruire una stazione spaziale permanente, simile a quella internazionale già in orbita attorno alla Terra. Per questo progetto, Sun Laiyan non ha fornito una scala dei tempi.
Tra mito e scienza la Cina ha realizzato anche un sogno vecchio di millenni: tutti i cinesi conoscono la leggenda di Chang-O, la bellissima donna che prese una 'magica medicina' per volare sulla Luna e diventarne la divinità residente; così come tutti conoscono la storia di Wan Hu, il funzionario imperiale che nel 14esimo secolo tentò di volare mettendo una sedia sopra a 47 canne di bambù piene di esplosivo e morì nel tentativo. 'Oggi - come ha detto l'agenzia Xinhua - quel sogno è diventato una splendente realta'.

depressione e farmaci

Yahoo! Notizie - Venerdì 9 Luglio 2004, 10:14
Depressione maggiore nei bambini e negli adolescenti: gli antidepressivi SSRI-SNRI sono sicuri?
Di Psichiatria.org


(Xagena - Psichiatria) - L’Expert Working Group del CSM (Committee on Safety of Medicines) inglese ha completato la revisione riguardante la sicurezza e l’efficacia degli antidepressivi della classe SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e della classe SNRI (inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina) nel trattamento dei disturbi depressivi maggiori in età pediatrica.
Sulla base dei dati disponibili il CSM ha giudicato non favorevole l’utilizzo della Sertralina, del Citalopram e dell’Escitalopram, mentre la Fluvoxamina è risultata non valutabile.
Solo la Fluoxetina (Prozac) ha dimostrato in studi clinici di avere un rapporto rischio/beneficio favorevole per il trattamento dei disturbi depressivi maggiori nei soggetti di età inferiore ai 18 anni.
La Paroxetina, la Venlafaxina, la Sertralina, il Citalopram e l’Escitalopram sono controindicati nei bambini e negli adolescenti con depressione maggiore.
I pazienti in trattamento con questi farmaci, che presentano una buona risposta, dovrebbero completare il ciclo di trattamento.
La terapia con farmaci SSRI-SNRI non dovrebbe essere interrotta bruscamente.
E’ consigliata una riduzione graduale del dosaggio, soprattutto per la Venlafaxina e per la Paroxetina. ( Xagena )

Fonte: MHRA

Yahoo! Notizie Venerdì 9 Luglio 2004, 15:21
Canada: monitoraggio dei pazienti che assumono Clozapina
Di PsichiatriaOnline.net


(Xagena - Psichiatria) - In Canada è stata inviata una “Dear Health Care Professional”, in cui il Marketed Health Products Directorate ( MHPD ) ed il Theroapeutic Products Directorate ( TPD ) informano di importanti revisioni nella monografia di prodotto riguardante l’antipsicotico Clozapina (Leponex; Clozaril).
A causa del rilevante rischio di agranulocitosi, i pazienti trattati con Clozapina dovranno essere iscritti in speciali registri.
I pazienti dovranno sottoporsi regolarmente a test ematologici in modo da monitorare la loro conta leucocitaria e la conta dei neutrofili.(Xagena)

horror
Galimberti su La Repubblica delle Donne

una segnalazione di Antonella Pozzi

La Repubblica delle Donne 10.7.04
Lettere
Prigionieri del sesso

Scrive Jan Morris in Enigma: "Vestito come sono con i jeans e un maglione, non so proprio a quale sesso i poliziotti crederanno che io appartenga, e devo prepararmi a rispondere in base alla loro decisione.
Tendo l'orecchio per sentire se usano "signore" o "signora", e decidere di conseguenzala mia linea di condotta"
di Umberto Galimberti


"Ecco perché i transessuali hanno fretta".
Buongiorno, sono un ragazzo transessuale, per la precisione un Ftm (Female to Male, da femmina a maschio), e scrivo spinto dalla voglia di fare conoscere a tutti la nostra esistenza e la nostra realtà di difficoltà e disagio. Essere Ftm significa essere nati in un corpo sbagliato; si è biologicamente di sesso femminile ma l'identità di genere intrapsichica è sin dalla prima infanzia quella maschile. Per dirla in parole semplici: siamo dei maschi, dei ragazzi, degli uomini imprigionati per uno scherzetto della natura in un corpo di femmina, di ragazza, di donna. È una discordanza tra sesso e psiche e nulla ha a che vedere con difetti/malformazioni/ambiguità fisiche. Il nostro corpo è perfettamente normale e sano, l'unico GIGANTESCO problema è che non corrisponde a ciò che noi "sentiamo/sappiamo di essere dentro".
Nel periodo di tempo (che purtroppo spesso si protrae per alcuni anni) che intercorre dall'inizio della terapia ormonale, e il cambio definitivo di nome e sesso sui documenti, noi ci troviamo in una condizione di "pseudo-clandestinità", di "non-esistenza", in quanto finalmente appariamo anche all'esterno in tutto e per tutto dei maschi, ma i nostri documenti riportano ancora dati anagrafici femminili. Non è difficile capire quanti e quali problemi ciò comporti. Si va dalla difficoltà/impossibilità di trovare lavoro, a cose più banali, di tutti i giorni: cambiare un assegno in banca, espatriare o viaggiare in aereo, pernottare in albergo, pagare con la carta di credito. Tutte queste situazioni di vita ordinaria per noi sono fonte non solo di grande disagio e violazione della privacy, ma spesso anche di contestazioni/rifiuti/accertamenti sulla nostra vera identità. Un tale con la faccia da Mario che si presenta al check-point in aeroporto o allo sportello di una banca esibendo un documento intestato a Valentina, capite bene che come minimo desta sospetto e allarme.
La soluzione a tutto ciò ci sarebbe: velocizzare e snellire il percorso burocratico e legale (che contempla l'ottenimento di ben due sentenze, la prima di autorizzazione agli interventi e la seconda di cambio anagrafico dei documenti) che comporta forti esborsi economici e gravose quanto ingiustificate e dolorose perdite di tempo (si parla di anni!).
Scrivo questo in risposta al giudice che ieri, rinviando a un mio amico l'udienza per il cambio dei documenti alla fine di settembre (ben sei mesi!) in seguito all'opposizione del PM (non presente in aula), che pretende che il medico che ha effettuato gli interventi chirurgici venga a giurare in tribunale, sostenendo che la cartella clinica prodotta dal richiedente potrebbe essere falsificata (ma come? Si mette in dubbio la validità di un documento ufficiale emesso da un ospedale pubblico? Proprio ora che è sempre più possibile ricorrere all'autocertificazione negli ambiti più vari), ha detto con l'aria di rimprovero: "Non capisco tutta questa fretta che avete voi transessuali".
Forse questa mia lettera servirà a illuminarlo.
Mattia


Speriamo. E questa è anche la ragione per cui pubblico la sua lettera. Per schiodare il cervello dei più che quando sentono "transessualità" pensano "perversione" e spingono i transessuali ai margini della città, ai suoi bordi. E questo per effetto di quel bieco materialismo che assume come zoccolo duro dell'identità la determinazione chiara e precisa dell'orientamento sessuale, senza neppure il sospetto che nessuno di noi è "per natura" relegato in un sesso. L'ambivalenza sessuale, l'attività e la passività sono scritte come differenza nel corpo di ogni soggetto e non come termine assoluto legato a un determinato organo sessuale. Ma questa ambivalenza sessuale profonda deve essere ridotta, perché altrimenti sfuggirebbe all'organizzazione genitale e all'ordine sociale. Tutto il lavoro ideologico consiste allora nel disperdere questa realtà irriducibile, per ridurla alla grande distinzione del maschile" e del "femminile", intesi come due sessi pieni, assolutamente distinti e opposti l'uno all'altro.
Risolta la differenza dei sessi nella differenza degli organi sessuali, il corpo, consegnato alla sua anatomia, rimuove la sua originaria ambivalenza erogena, per iscriversi in quello statuto sessuale che, se da un lato gli consente di entrare senza fraintendimenti nell'ordine sociale, è pur sempre una forma di segregazione, una definizione, vantaggiosa per il controllo sociale, ma devastante per la vita individuale, costretta a negare, per esigenze sociali, una parte profonda di sé. E questo vale sia per i transessuali che cambiano genere, sia per le persone che stanno chiuse e difese in un unico genere come in un bunker.
Spero che la sua lettera aiuti molti, se non a comprendere i transessuali, a riconoscere che l'ambivalenza sessuale è un tratto comune di ciascuno di noi. Rifiutarla è un'amputazione della propria psiche, e questa volta davvero devastante più di quanto, agli occhi della gente ben identificata nella sua sessualità, non sia il cambiamento dei segni somatici a cui i transessuali si sottopongono.