martedì 12 ottobre 2004

la religione americana

La Stampa 12.10.04
«Sotto Dio»
meglio giurare in silenzio
LETTERE DAL CAMPUS
Maurizio Viroli

«GIURO di essere fedele alla bandiera degli Stati Uniti d'America, e alla Repubblica che essa rappresenta, una nazione sotto Dio indivisibile, con libertà e giustizia per tutti» («I pledge allegiance to the flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands, one nation under God, indivisible, with liberty and justice for all»). Mano sul petto, viso rivolto alla bandiera, in piedi, gli studenti delle scuole americane iniziano così la loro giornata.
Recitare il «pledge of allegiance» non è obbligatorio, ma è l'insegnante a prendere l'iniziativa e a guidare la classe. Non recitarlo comporta per lo studente dover affrontare una pressione psicologica assai forte da parte degli insegnanti, degli altri studenti, e dei genitori.
Il problema sta infatti in quell'«under God». Il padre di una studentessa californiana di terza elementare, Michael Newdow, ha presentato un ricorso contro la formulazione del «pledge of allegiance» perché a suo giudizio l'inciso «under God» viola la separazione fra Stato e Chiesa. Con una maggioranza schiacciante la Corte Suprema ha respinto l'appello e il presidente Bush ha dichiarato a chiare lettere nel secondo dibattito che non nominerà mai alla Corte Suprema un giudice disposto a togliere le parole «under God» dal giuramento di fedeltà.
«Under God» non appare nella formulazione originaria del giuramento, quella del 1892, scritta da un socialista cristiano, Richard Bellamy, autore di romanzi a carattere utopistico, Looking Backward (1888) e Equality (1897). Fu aggiunta nel 1954, in tempo di guerra fredda, sotto la pressione di un gruppi religiosi. Quello che era una pura professione di patriottismo politico divenne così un giuramento patriottico e religioso.
Non è certo il solo esempio di commistione fra religione e politica negli Stati Uniti: «In God we trust» scritto nelle banconote, la mano sulla Bibbia nel giuramento del Presidente, il rituale «God bless America» alla fine di ogni discorso importante e nelle perorazioni che concludono i dibattiti televisivi nella campagna elettorale.
La Repubblica degli Stati Uniti d'America è stata fondata da uomini profondamente religiosi che amavano la libertà e la repubblica e vennero nel Nuovo Mondo per pregare Dio in libertà. Diversamente da quello che è avvenuto in Europa, il clero americano, quale che fosse la sua fede, si è sempre tenuto orgogliosamente lontano dal potere politico, e ha limitato la sua opera all'educazione religiosa e morale. Tutto questo ha reso la religione molto forte nell'animo degli americani e per la grande maggioranza di loro non è un problema il fatto che i ragazzini delle scuole recitino ogni mattina un giuramento solenne che comprende la parola «Dio». Anzi, quando una corte di grado inferiore dichiarò nel 2002 illegale il giuramento di fedeltà, l'opinione pubblica reagì con risentimento e sdegno.
È giusto incoraggiare dei bambini e dei ragazzi a pronunciare un giuramento di fedeltà alla bandiera e alla Repubblica? L'effetto di un rituale di questo tipo è sicuramente di stimolare nei ragazzi sentimenti patriottici. Ma il fatto di recitare un giuramento guidati dall'insegnante può generare un atteggiamento bigotto e conformista, più che veri e propri sentimenti patriottici. Mi ha confessato una studentessa, educata in una famiglia di rigidi principi religiosi e patriottici in un piccolo paese del Midwest, che quando ha dichiarato di non voler recitare il giuramento di fedeltà è nato un caso che ha coinvolto tutta la scuola.
Un atteggiamento intollerante nei confronti di chi, per qualsiasi ragione, non se la sente di pronunciare pubblicamente il giuramento è evidentemente in contrasto con il giuramento stesso che pone l'esigenza della libertà per tutti al primo posto. È difficile, per non dire impossibile, non ferire i sentimenti di chi dissente, fin quando il giuramento di fedeltà avrà la forma attuale.
Un giuramento è un impegno con la propria coscienza e con Dio (per chi ci crede). Potrebbe essere allora più efficace, dal punto di vista educativo, e più rispettoso della libertà individuale, chiedere agli studenti un giuramento silenzioso. In piedi, occhi rivolti alla bandiera (che è giusto sia in classe, meglio se accompagnata dalla Costituzione), ognuno, se vuole, reciti il giuramento in cuor suo. Né la coscienza né Dio hanno bisogno di ascoltare parole, e un impegno preso con la propria coscienza è più forte di qualsiasi recitazione e non costringe nessuno a dire parole in cui non crede.
viroli@princeton.edu

Adonis e Hölderlin

La Stampa 12.10.04
Religiosità, politica e creatività secondo il grande poeta siriano detestato dai fondamentalisti. Domani sarà ospite di «RomaPoesia»
Adonis e la chiave del futuro: «Sarà meticcio o non sarà»
di Mario Baudino

ROMA. SI chiama Ali Ahmad Sai id Esber, ma ben pochi lo conoscono sotto questo nome, tanto che a volte si fa fatica a rintracciarlo negli alberghi. Per tutti è Adonis, e cioè non solo il maggior poeta di lingua araba, ma uno dei grandi della letteratura mondiale. E' nato 74 anni fa in un villaggio siriano, è cresciuto a Damasco, ha lavorato in Libano e da tempo vive a Parigi. Dopo anni d'esilio ora può tornare non solo nel suo Paese ma in tutto il mondo arabo, rispettato come una grande bandiera culturale, anche se è ovviamente inviso ai fondamentalisti. In Italia è pubblicato da Guanda (Memoria del vento, La preghiera e la spada), mentre in questi giorni una sua raccolta di poesie dal lungo titolo (Libro delle metamorfosi e della migrazione nelle regioni del giorno e della notte) esce per Mondadori. Appena arrivato da Francoforte, sarà oggi a Santa Marinella per il festival Mediterranea e domani all’Auditorium di Roma per Romapoesia.
Alla Buchmesse, dove ha tenuto un reading, era uno degli invitati di maggior rilievo nell'edizione in cui il mondo arabo rappresentava l'ospite d'onore. Si è sottratto a ogni polemica, ha accettato l'invito della Lega araba anche se, mi dice, «è un'istituzione piena di errori. E non potrebbe essere diversamente, visto che è lo specchio dei regimi arabi, nei confronti dei quali il mio giudizio è negativo. Ma questa trasferta era importante per la nostra cultura, e qualcuno doveva pur organizzarla. Considerata la situazione, non è stato un cattivo lavoro». Adonis sa dare scandalo politicamente, ma soprattutto lo fa già con lo stesso nome che si è scelto, e che rinvia all'Adone pagano, ai miti del Mediterraneo. «Quando ho scelto di firmarmi così - racconta - non sapevo che sarei poi andato tanto avanti». E tanto avanti significa che il poeta ha ripercorso a ritroso la strada di un lungo passato.
Un solo Dio è troppo, o troppo poco. «Bisogna criticare radicalmente il monoteismo, che ha creato tutte le dittature, di destra e di sinistra. Bisogna riuscire a rimetterlo in questione». Adonis lo fa con i suoi versi luminosi, come questi degli anni Sessanta:
«Il sole dell'amante declina piegato dal sonno
bisogna che l'occulto prenda congedo dal raccolto
che il mio volto si fonda con l'anima del mondo»
e con i suoi saggi, quelli ancora senza titolo che usciranno tra poco per Guanda, quelli di L'Oceano nero che sta per pubblicare in arabo. Non teme lo scandalo? «No, anche perché ho il massimo rispetto della religiosità. Non sono contro la fede degli uomini. La mia critica non è sul piano, appunto, della fede, ma su quello filosofico. Come si può comprendere, in questo secolo, un atteggiamento monoteista?».
Proprio oggi, gli chiedo, una domanda del genere ha senso dentro ciò che si definisce cultura araba? «La cultura araba è espressa dalla lingua, ma all'interno di essa ci sono specificità e differenze importanti. Il nostro avvenire, dico di tutti, è in una sorta di meticciato. L'avvenire sarà meticcio o non sarà. Io non credo all'Est e all'Ovest, credo agli uomini. La cultura, in ogni caso, ha già lasciato indietro la geografia». E la poesia? «A maggior ragione. Anzi direi che oggi poesia non è più tanto lo scrivere nell'accezione tradizionale della parola. E' un modo di poetizzare il mondo. Ci sono romanzi poetici, ci sono filosofi-poeti. La nozione di poesia ha superato le sue dimensioni tradizionali».
E' arrivata l'ora di «vivere poeticamente», secondo il celebre verso di Hölderlin? «Sarebbe straordinario, ma non è facile». Lei ha avuto qualche volta una sensazione del genere? «Sì, nell'amore e nell'amicizia. E in viaggio, quando sono da solo. Il viaggio rappresenta un modo di vivere lo spazio e i luoghi come se si scrivesse una poesia. E' poesia vissuta, come l'amore e l'amicizia, un'appropriazione dello sconosciuto, una scoperta. Oggi persino la nuova astronomia è secondo me una scienza quasi poetica». Sembra suggerire che è più importante una sorta di creatività che non la scrittura. «Una scrittura senza creatività, è vero, non ha importanza. Ma non può essere solo uno strumento. Sono necessarie entrambe». Che cos'è, allora, una poesia? «Un fiume che si scava il proprio letto».

Neuropsicofarmacologi (sic!)
contro la schizofrenia...

Yahoo! Salute 11.10.04
Psichiatria, Psicologia e Neurologia
Uniti contro la schizofrenia
Il Pensiero Scientifico Editore

Diciotto gruppi europei per la difesa della salute mentale si sono uniti sotto la bandiera di INFORMED (International Network For Mental Health Education). Il loro obiettivo? Migliorare l’accesso alle informazioni sulla schizofrenia con l’iniziativa gratuita “Discover the road ahead”, inaugurata nel corso del 17esimo Meeting Annuale dell’European College of Neuropsychopharmacology (ECNP).
La schizofrenia colpisce un europeo su 100. È un grave disturbo mentale caratterizzato da sintomi che rendono difficile per chi ne è affetto distinguere tra esperienze reali e non e organizzare i propri pensieri. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa un terzo delle persone che si ammalano di schizofrenia guarisce, tornando a svolgere la vita precedente alla crisi senza ulteriori ricadute: ma nel quadro della strategia terapeutica possono avere un ruolo decisivo l’informazione e la consapevolezza del malato.
L’iniziativa di INFORMED è stata accolta con favore dal Parlamento europeo: Charles Tannock, parlamentare europeo ed ex-psichiatra, ha commentato: “Sono felice di poter sostenere il lancio dell’iniziativa INFORMED. Ho passato tutta la vita a curare pazienti affetti da schizofrenia e qualsiasi misura possa alleviare le loro sofferenze e informare meglio le famiglie è ben accetta”. Rodney Elgie, presidente della Global Alliance of Mental Illness Advocay Networks (GAMIAN), la principale associazione di pazienti, dal canto suo sottolinea: “Siamo consci che sapere è potere e se un malato affetto da schizofrenia non è informato in merito a ciò che lo ha colpito, alla possibilità di usufruire delle più recenti terapie e ai network di sostegno, la sua vita quotidiana e lavorativa ne risulta notevolmente compromessa. Obiettivo di “Discover the Road Ahead” è quello di ottenere un maggiore e più equo accesso a informazioni di facile accesso e aggiornate, in particolare per quanto concerne le ultime terapie, in modo che coloro che sono affetti da schizofrenia e chi si prende cura di loro possano fare scelte consapevoli”.
Una persona su quattro tra quelle che si prendono cura di un malato afferma di non essere in possesso di alcuna informazione utile e che spesso tali informazioni sono negate o poco diffuse: i volantini informativi non forniscono nozioni sufficientemente dettagliate, d’altra parte internet e i testi specialistici non sono di facile consultazione e intimoriscono molti pazienti.
“Discover the road ahead” fornisce utili informazioni per individuare i primi segni di schizofrenia, affrontare la diagnosi indicando terapie e aiuti disponibili. Il vademecum è stato prodotto da specialisti che hanno affrontato la schizofrenia in prima persona. Il progetto è stato testato in Inghilterra con malati di schizofrenia, che lo hanno definito “diverso, necessario, facile, aperto e accurato”.

Giorello e la nascita di Venere

Corriere della Sera 11.10.04
L' INCONTRO «La nascita di Venere» vista da Zecchi e Giorello
È «La nascita di Venere» il tema del secondo appuntamento per la rassegna di filosofia «Le rotte della conoscenza».
Stefano Zecchi e Giulio Giorello dibattono al Teatro Studio sull' origine del mito di Venere.

Filosofi a confronto

Il testo di Giulio Giorello, qui pubblicato, anticipa i temi che verranno affrontati questa sera, alle ore 17, al Teatro Studio di Milano in un incontro-dibattito tra Giulio Giorello appunto e Stefano Zecchi. Il titolo della serata è «Tra mito e simbolo: la nascita di Venere» ( nella foto, l’opera di Botticelli ) e si inserisce all’interno del ciclo «Le rotte della conoscenza», organizzato dal Piccolo Teatro di Milano (diretto da Sergio Escobar) per l’edizione 2004 del Festival del Teatro d’Europa, dedicato quest’anno al Mediterraneo.

La nuova bellezza di Venere? E' nella matematica
Il rapporto fra mito e scienza simboleggiato dall' esempio di Lucrezio, grande poeta e straordinario scienziato
di Giulio Giorello

Una divinità del mito presiede all' umana impresa della scienza. Poiché «senza te nulla sorge alle rive divine della luce», ti desidero come «compagna nello scrivere i versi che mi appresto a comporre sulla natura delle cose». All' inizio del suo De rerum natura Lucrezio invoca Venere, la dea che «pervade il mare popolato di navi e la terra fertile di frutti». Figura della potenza di amore, Venere dispone le poche lettere dell' alfabeto in modo che il poeta possa comprendere la complessa varietà dei fenomeni riconducendoli agli elementi costitutivi, gli atomi, che turbinano nello spazio vuoto, aggregandosi e disaggregandosi. Essa è signora della vita e della morte, e per questo può donare a chi le si rivolge la facoltà di fare emergere la forma dall' informe, l' ordine dal caos, il descrivibile dall' indescrivibile. Lucrezio - che la tradizione vuole che scrivesse negli sprazzi di lucidità concessi da un' intermittente follia dovuta a un filtro d' amore - era al contempo un grande poeta e uno straordinario «scienziato», capace di lavorare pazientemente sulle parole come di analizzare dettagliatamente le osservazioni di cui disponeva. La sua Venere non è una semplice immagine retorica, bensì la personificazione della forza creativa della ricerca. L' avventura di Lucrezio non è diversa dalla nostra, anche se noi abbiamo telescopi orbitanti o acceleratori di particelle per esplorare la natura delle cose. E Venere, che rappresenta «il piacere degli dei o degli uomini», è oggi la bellezza della macchina e della matematica, del congegno più concreto come della forma più astratta. Il sorriso della dea, come nel quadro di Botticelli, continua ad accompagnarci nella nostra esistenza. Sin dai filosofi della natura del Rinascimento che avevano riscoperto il testo di Lucrezio, Venere che nasce dalla spuma del Mediterraneo viene a simbolizzare l' infinito disvelarsi di una verità che a noi può solo darsi in forma finita. È questa la condizione dell' indagatore umano, quella stessa che così drammaticamente Lucrezio rende quando conclude il suo poema con la desolazione della peste di Atene. La finitezza - dolore e fragilità - è l'altro volto di Venere. Ma che ne è allora del piacere, almeno per gli esseri umani? Esso si alimenta della sua stessa finitezza, della capacità se non di possedere la natura, di saggiarla, provando e riprovando, per tentativi ed errori, come se ogni obiettivo costituisca un nuovo inizio - non diversamente da come può fare il lettore se riprende i primi versi di Lucrezio e soggiace di nuovo alla seduzione di Venere. In questa vicissitudine, che non conosce colpa o peccato e che non ha bisogno di salvezza, facciamo esperienza della gioia della scoperta e della libertà dell' invenzione. Senza presunzione o vanità, ma anche senza (più o meno) compiaciuto abbandono al mistero. Come ai tempi di Lucrezio, è bene che ogni tanto qualcuno si dedichi al compito di «vegliare le notti serene» - a cercare qualche nuova stella, a studiare qualche bizzarra specie animale o vegetale, oppure a tentare di risolvere qualche astruso rompicapo matematico. Poiché strana e sorprendente è la natura della creatività umana, scientifica o artistica, che la Venere lucreziana suscita. Come ha scritto un altro poeta (Percy Bysshe Shelley), «la mente nell' atto della creazione è come un tizzone che si sta spegnendo, cui qualche influenza invisibile, come un vento incostante, restituisce una luminosità effimera».

Giovanna Mezzogiorno:
«per me, che sono atea...»

una segnalazione di Sergio Grom

Repubbica 11.10.04
Giovanna Mezzogiorno è protagonista del film tv in onda stasera e domani su RaiUno
"La mia Monaca di Monza travolta da Chiesa e famiglia"
di SILVIA FUMAROLA

ROMA - «Dovrò invecchiarla un po', sembra una bambina che ha indossato una veste non sua». La perplessità del pittore chiamato a ritrarla, prima di entrare in convento, riassume il senso del destino della nobile Virginia Maria de Leyva. Non li sentirà mai suoi quegli abiti da suora, la giovane aristocratica innamorata della vita, che voleva essere moglie e madre, e che il padre, Don Martino, nella Monza del '600, destinò al convento per non disperdere il patrimonio di famiglia. È lei, la Monaca di Monza, la famosa sventurata di cui scrive Manzoni nei "Promessi sposi": e perché «la sventurata rispose» lo spiega il bel film di Alberto Sironi, Virginia, la Monaca di Monza, interpretato da Giovanna Mezzogiorno, in onda oggi e domani su RaiUno.
[...]
«Virginia non è un personaggio antico, né moderno, è senza tempo, perché nessuno di noi è mai veramente libero: siamo condizionati da ciò che gli altri si aspettano o pretendono da noi» spiega Giovanna Mezzogiorno.
[...]
La Mezzogiorno affida a Virginia l´inquietudine, il coraggio, la rabbia di una donna che non si piega; Bertorelli è un cattivo senza appello, diabolico.
[...]
«Sapevo di lei quello che si studia a scuola», ammette la Mezzogiorno, «immaginavo un personaggio inquietante, misterioso. La sceneggiatura, basata sugli atti del processo e sul carteggio tra la suora e il Cardinale, restituisce invece una Virginia molto più umana. Una donna moderna che commette il peccato di voler esser libera, e libera di amare in un'epoca in cui alle donne non era riconosciuto neanche il diritto di vivere. La Chiesa e il padre diventano i suoi carnefici. Per me, che sono atea, è difficile capire perché non si sia ribellata e non abbia scelto di vivere povera, ma libera. La verità è che Virginia voleva la libertà, ma anche il potere».

citato al Giovedì e al Lunedì
Wojtyla: dio e il diavolo collaborano!

Wojtyla e il comunismo "Un male necessario"
Il nuovo libro del Pontefice: "Il nazismo, furore bestiale"
In "Memoria e identità" la filosofia della storia e gli ultimi 2 secoli in Europa
Cita Goethe: il diavolo come "parte di quella forza che vuole... il male e crea... il bene"
MARCO POLITI

ROMA - La «bestialità» del nazismo, vissuta da chi lottava con l´arma della cultura e della fede perché in Polonia gli esseri umani non diventassero «sottouomini» come voleva Hitler. L´enigma del comunismo, cioè di un «male» forse «necessario al mondo e all´uomo», raccontato da chi ha contribuito più di ogni altro ad abbatterlo. Si preannuncia pieno di spunti profondi il nuovo libro di papa Wojtyla. Si chiamerà "Memoria e Identità", centoquaranta pagine. La Rizzoli lo pubblicherà nei primi mesi del 2005.
Sarà «un magnifico affresco sugli eventi della nostra storia» e sulle chiavi per capirli, annuncia da Francoforte il suo portavoce Joaquin Navarro. Toccherà oltre due secoli di storia europea, dall´Illuminismo al postcomunismo, tratterà di democrazia, diritti umani, libertà, cultura, i concetti non identici di nazione, patria e stato, il rapporto tra Chiesa e Stato, il volume che Giovanni Paolo II ha composto con la pazienza del tessitore partendo da una serie di conversazioni avute nel 1993 a Castelgandolfo con due filosofi polacchi: il sacerdote Jozef Tischner, ora scomparso, e Krzysztof Michalski fondatore a Vienna dell´ "Istituto di Scienze sull´uomo".
Attenzione alle data di uscita del volume. Dovrebbe coincidere la primavera prossima con il pellegrinaggio, che il vecchio pontefice sogna di fare a Czestochowa dopo le tappe ai santuari mariani di Pompei e di Lourdes, quasi per consegnare alla Madonna Nera la "summa" dei propri pensieri sul cristianesimo e l´Europa.
«È un libro non diretto solo ai cattolici o ai cristiani, ma che interessa tutti», spiega Navarro a Repubblica, aggiungendo: «Il mistero dell´uomo, le ragioni del Male, sono il leitmotiv sempre presente nel pensiero di Giovanni Paolo II e in tutta l´opera filosofica e letteraria di Karol Wojtyla». Il Papa «si pone la domanda sull´origine del Male nella storia e scopre elementi di bene anche nel male. Non è un libro di condanna».
Dai brani anticipati da Rizzoli emerge l´attenzione differenziata riservata dal pontefice al nazismo e al comunismo. Due fenomeni da indagare diversamente. Scrive Wojtyla che neanche i contemporanei compresero la reale dimensione del male che imperversava in Europa durante il Terzo Reich: «Vivevamo sprofondati in un´eruzione di male». Dopo la guerra Wojtyla si disse che i dodici anni di nazismo erano da vedersi come «il limite imposto dalla Divina Provvidenza ad una simile follia». Anzi, aggiunge, non era stata soltanto una follia, ma una «bestialità, uno scatenarsi di furore bestiale». Se però il comunismo è durato più a lungo e se dopo la guerra presentava prospettive di ulteriore sviluppo - pensava già allora Karol Wojtyla - «deve esserci qualche senso in tutto questo».
Così senza volerlo Giovanni Paolo II si inserisce nel rovente dibattito fra chi omologa - banalizzandone le radici - i due eventi che hanno segnato tragicamente la storia del Novecento e chi non rinuncia ad analizzare i due fenomeni nella loro interezza. Sulla ripulsa di entrambi i sistemi totalitari da parte di Wojtyla non c´è dubbio alcuno, ma al fenomeno comunista egli dedica l´approccio di uno scrutatore pensieroso. Non è un caso se in proposito evoca il pensatore e scrittore tedesco Goethe, che nel suo dramma "Faust" definisce il diavolo come «parte di quella forza che vuole costantemente il male e crea costantemente il bene». Adombrando, insomma, una sorta di eterogenesi dei fini e di complessità delle spinte interne. Anche se nel loro comportamento le dittature nazista e comunista hanno egualmente cercato di «nascondere all´opinione pubblica (il male) che facevano».
Non si capisce la leadership di Wojtyla senza la sua natura mistica e filosofica. Per questo il tema della verità dell´agire umano e politico e della sua connessione con la libertà resta centrale nella sua riflessione. Anche in "Memoria e identità" il Papa torna sulla questione della libertà che ha il compito di realizzare «la verità sul bene» e che al tempo stesso deve essere sempre «libertà per l´amore». Si comprende così la sua avversione per chi propaganda la libertà, ma si inebria di potenza. Però anche il suo malumore per le democrazie senza valori.


Repubblica, stessa pagina
Cacciari: "Interpreta la storia da una prospettiva teologica"
"Ha visto la caduta della grande eresia"
Sul finire della vita ha voluto riconsiderare tutti gli avvenimenti da lui vissuti. Ha visto il crollo delle grandi bestie, ma non delle ideologie e delle idolatrie
di Alessandra Longo

ROMA - Massimo Cacciari, la sorprende che il Papa parli del comunismo come male necessario?
«No, direi che è ovvio e per nulla scandaloso che Egli interpreti la storia da una prospettiva teologica, secondo la linea della Provvidenza eterna. Anche il più indicibile dei mali rientra nel disegno divino. Tutto ciò fa parte della visione profetico-apocalittica ed escatologica di questo Papa. Forse queste parole, non nuove, possono scandalizzare una coscienza laico-illuminista ma sono quelle che pronuncia ogni cristiano autentico. Con la venuta del Cristo, la storia è giudicata. L´avversario - si dice nell´Apocalisse - è lasciato fare, è lasciato manifestarsi... I mali dunque non cessano, sono ancora permessi, ma non hanno più giustificazione».
Il Papa introduce una distinzione fra male necessario, che può creare, in certe concrete situazioni dell´esistenza umana, occasioni per il bene, e male assoluto, il nazismo, «follia e bestialità».
«Il suo è un invito a riflettere sulla profonda differenza attraverso cui si può esprimere il male. Nazismo e comunismo: ovvero da una parte un´ideologia che affonda le radici nel nazionalismo, nel "terra e sangue" pagano, dall´altra l´ideologia universalistica del comunismo che è il vero nemico della Chiesa, la vera sfida che la Provvidenza manda al cristiano, necessaria in quanto avente un significato, un senso. Oportet haereses esse... Ecco l´eresia da combattere e vincere, il pericolo maggiore, l´insidia mortale, una Gerusalemme celeste costruita con la nostra forza! Le parole di Agostino che possono persino applicarsi al Manifesto di Marx... C´è un sottile significato esoterico nelle parole del Papa che spero non sfugga. Il nazismo era la Resurrezione di Satana, già vista e già vinta, mentre il comunismo è stato l´eresia necessaria, l´avversario interno da sfidare, la Chiesa in casa».
La Divina Provvidenza, dice il Papa, ha deciso "solo" dodici anni di follia nazista mentre il comunismo è durato più a lungo. Come giudica questa distinzione temporale?
«A dir la verità, questa periodizzazione - nazismo breve, comunismo lungo - mi sembra un po´ una caduta in un discorso alto. Dietro tuttavia si cela la questione della differenza abissale tra le due ideologie. Un passaggio importante agli occhi dei teologi e anche per i non credenti».
La destra attuale si attesta su una posizione ben diversa, sulla parificazione dei totalitarismi, l´uno eguale all´altro.
«E´ quel fare di ogni erba un fascio che trovo insopportabile, di un´assoluta stupidità dal punto di vista scientifico-storico e filosofico».
Tornando un passo indietro, davvero si può introdurre la categoria dei mali necessari contro quella dei non necessari?
«Come filosofo potrei dire che ciò appare insensato. Siamo abituati a capire le cause, a ragionare sulle condizioni che determinano gli avvenimenti, la storia. Ma l´approccio teologico va compreso anche dallo storico più laico. Il discorso del Papa mi pare, lo dico tra virgolette, "divertente", stimolante, ci invita tutti a meditare sull´abissale differenza tra paganesimo ed eresia».
Fausto Bertinotti registra e corregge: «Il comunismo - dice - non è stato un male necessario ma un bene da costruire».
«Bertinotti, certamente in buona fede, dice cose di disarmante ingenuità. E´ rimasto ancora alla teoria delle radici dell´albero buone che producono frutti marci. Una teoria che non sta tanto in piedi. Già nel ´68 i più consapevoli di noi l´avevano capito».
Questo libro, queste riflessioni su «Memoria e identità» arrivano adesso. C´è, secondo lei, una qualche ragione che ha spinto il Papa a scrivere ora ?
«Penso che sul finire della vita abbia voluto riconsiderare, a questa altezza, tutti gli avvenimenti da lui vissuti. Ha assistito alla caduta delle grandi bestie, del nazismo e del comunismo, ma non alla caduta delle ideologie e delle idolatrie. E´ l´elemento tragico della sua esperienza, il dramma segreto di questo Papa».