venerdì 10 settembre 2004

sabato sera
un Bergman mai visto su RaiTre

Repubblica 10.9.04
Dopo un anno di attesa domani finalmente va in onda "Sarabanda". Anticipato di un´ora all´ultimo minuto
La Rai ha paura di Bergman
L´ultimo film del maestro finisce nella notte di RaiTre
In nome dell´Auditel si decreta che il film "non è adatto ai palati della prima serata tv"
LEANDRO PALESTINI

ROMA - Strana azienda culturale la Rai. Prima si accaparra i diritti dell´ultimo film di Ingmar Bergman, Sarabanda, poi tiene il "gioiello" ben nascosto, quasi a vergognarsene lo chiude in un cassetto per più di un anno. Per paura di un "flop" di ascolti viene relegato a tarda sera nel sabato di RaiTre, dopo il film shock sull´11 settembre 2001: la messa in onda è stata dapprima annunciata per le 23.40, poi dopo una contrattazione con i signori del Palinsesto il direttore di rete Paolo Ruffini anticipa lo "scomodo" Bergman alle 22.30. Dai piani alti giunge un severo giudizio tecnico: «Ingmar Bergman non è per i palati del prime time». Il vicedirettore di RaiFiction Max Gusberti (che pure ha il merito storico di aver promosso gli acquisti di quasi tutti i film di Bergman), avverte che Sarabanda, girato in digitale, è stato trasmesso dalla tv svedese producendo «appena il 12 per cento di share: quale ascolto avrebbe avuto in una prima serata della Rai?».
L´interrogativo è inquietante. Alla Rai hanno inserito ormai il pilota automatico: è l´Auditel a guidare i dirigenti di quella che era, un tempo, la massima azienda culturale del Paese. Più che alla linea editoriale i direttori di rete oggi devono badare ai calcoli di bottega ai numeri dell´audience. Nonostante nel 2002 il direttore generale dell´azienda (lo scettro era in mano ad Agostino Saccà) avesse sborsato 500 milioni di lire per la coproduzione di Sarabanda, dopo un laborioso lavoro di doppiaggio nel 2003 il film è stato "rifiutato" da RaiDue, la rete designata a trasmetterlo. E a RaiUno hanno fatto orecchio da mercante rispetto a una possibile ospitalità dell´ultimo Bergman: la rete di Fabrizio Del Noce ha precisi «vincoli di ascolto», non può rischiare di abbassare la media con prodotti di qualità.
Liv Ullmann e Erland Josephson che, trent´anni dopo hanno dato corpo a un´opera bella e dolente, una sorta di sequel di Scene da un matrimonio, forse non immaginano che per la tv italiana il lavoro del maestro svedese viene considerato una castagna bollente da sacrificare al dio Auditel. E si spera che nessuno racconti la vicenda al vecchio Ingmar Bergman.
«Quando ho saputo che il film di Bergman non trovava una uscita su RaiDue sono stato ben felice di ospitarlo su RaiTre», racconta il direttore Paolo Ruffini: «Sarabanda la prossima settimana verrà presentato al Prix Italia di Catania e potrebbe anche vincere. Dovevamo darlo prima, non avevamo altra scelta. Pensavamo che la seconda serata potesse essere in qualche modo una "protezione" per un gioiello firmato Bergman. Ma, visto che la collocazione alle 23.30 appariva ad alcuni come un orario "offensivo", ieri abbiamo deciso di sacrificare il programma la Superstoria per anticipare l´intera serata di RaiTre». Il film di Bergman si potrà seguire quindi a partire dalle 22.30 (un´ora prima del previsto) e a seguire in Fuori Orario si potrà vedere anche Scene da un matrimonio.
Le polemiche sulla sorte di Sarabanda erano scoppiate lo scorso luglio con la protesta dei produttori svedesi. Il film, considerato come un testamento morale di Bergman, approdò alla rassegna "Cinema ritrovato" di Bologna. Lì si capì la scarsa volontà della Rai di programmare in orari decenti un film bello e scabroso. Tra i temi affrontati da Sarabanda c´è l´odio tra un padre e un figlio, il dolore e la morte, il suicidio e l´incesto: quanto basta per spaventare questa Rai.

Cina
aria nuova a Pechino

Repubblica 10.9.04
IL REPORTAGE
Il quartiere degli artisti è il centro della vita notturna della capitale: il regime tollera
Greenwich Village a Pechino
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
FEDERICO RAMPINI

LA chiamano la primavera culturale di Pechino o la glasnost cinese. L´arte spesso anticipa i tempi e segnala le nuove tendenze politiche: a giudicare da quel che succede nel Greenwich Village di Pechino qualcosa sta cambiando davvero. Il nome non va preso alla lettera. Il centro di questa rivoluzione creativa non assomiglia al quartiere alternativo di New York, né a Chelsea o al Marais parigino. L´esperimento attira un pubblico sempre più largo, nel quartiere, vicino alle gallerie d´arte aprono bar, discoteche e ristoranti.
Per uno scherzo del destino i ragazzi della 798 sono più minacciati dalla speculazione che dal partito unico.


PECHINO. Intorno al quartiere degli artisti ruota la vita notturna dei giovani nella capitale cinese. Il partito, per ora, tollera
Nel Greenwich Village di Pechino "Qui comincia la nostra glasnost"
È un luogo improbabile per veder fiorire l´arte d´avanguardia: una ex fabbrica d´armi costruita dalla Germania Est per i compagni comunisti cinesi, nella grigia periferia della capitale lungo l´autostrada per l´aeroporto. Anzi, ex-periferia. Al ritmo furioso dell´urbanizzazione di Pechino una selva di grattacieli ormai circonda anche la «798» - così si chiama la fabbrica, reperto diroccato dello sforzo bellico della guerra fredda. Sulle sue pareti di cemento scrostate si intravvedono tracce di affreschi dipinti tanto tempo fa per galvanizzare gli operai: faccione di Mao o scenografie da socialismo reale, lavoratori con gli strumenti in mano e lo sguardo all´orizzonte, irreali allegorie sulla costruzione di un futuro migliore. Mentre cammino verso gli hangar che ospitavano le catene di montaggio, da un magazzino laterale sbuca all´improvviso un giovane seminudo che si rotola per terra rovesciando barattoli di pittura: anziché i poliziotti, lo inseguono paparazzi coi flash e ragazzine che sembrano uscite da un concerto di tecnomusic. È una provocazione d´autore, uno happening di arte trasgressiva. Poco lontano in un cortile della fabbrica spuntano statue di dirigenti del partito comunista e a fianco una gigantesca gabbia in cui è rinchiuso un Tirannosauro dipinto di rosso vivace. La metafora si capisce senza fatica.
Della fabbrica 798 si sono impadroniti da due anni i giovani artisti della Pechino alternativa ed è diventato un luogo di culto, un pellegrinaggio obbligato per chi cerca le sorprese della nuova Cina. Perché proprio qui? «Avevo bisogno di molto spazio per creare - dice il pittore Huang Rui, uno dei primi a occupare la 798 due anni fa - affittare un magazzino qui non costava niente. All´inizio non c´era il progetto di creare una comunità di artisti.
Chi se lo sarebbe immaginato che sarebbe successo tutto questo?» Qualcosa è successo senza dubbio. Zhu Ming, artista noto per usare il proprio corpo nelle «performance» visive, al 798 si è esibito nudo in una enorme bolla di plastica trasparente a forma di guscio di lumaca. Gu Dexin ha esposto due container di cervelli e cuori d´animale surgelati. Chen Guang ha proiettato un video ad alto contenuto erotico. Scultura e pittura, cinema-realtà e balletto moderno, design e fotografia: per il linguaggio che usano, i giovani artisti cinesi del 798 potrebbero essere in un loft di Tribeca, in un atelier creativo di Londra o Berlino. Il fatto è che sono cinesi e sono qui perché la censura li lascia fare. Affrontano soggetti come il sesso che erano tabù nel puritanesimo ufficiale della Repubblica popolare cinese - non del tutto superato, visto che il governo di Pechino ha appena annunciato pene fino all´ergastolo per la pornografia su Internet. Ma perfino i burocrati del partito ormai distinguono fra pornografia e arte. I giovani provocatori della 798 da due anni stanno spostando, ogni giorno un po´ più in là, i confini di quello che è tollerato dal regime. L´eccitazione per questo esperimento attira un pubblico sempre più largo. Il 798 diventa un luogo di ritrovo e di vita notturna, un appuntamento mondano. Vi hanno aperto discoteche, bar, ristoranti di Nouvelle cuisine cinese annessi alle gallerie d´arte. In una di queste, Old Factory, si cena accanto alla scultura d´autore: tre statue di monaci buddisti che spazzano il pavimento. Aprono gallerie americani, inglesi, tedeschi, giapponesi. L´idea che l´avanguardia artistica può essere un business - secondo i più cinici - spiega la tolleranza dei leader politici. In vista delle Olimpiadi del 2008 a Pechino fa comodo avere le carte in regola come metropoli cosmopolita, incluso il lusso intellettuale della provocazione d´autore. Si dice che il ministro della pianificazione urbana Long Xingmin e il vicesindaco di Pechino siano diventati i protettori politici della 798, convinti a trasformarla in una copia della Soho di New York. Un´attrazione di alto livello per il turismo internazionale sempre più sofisticato che affluisce in Cina.
Finora la primavera artistica di Pechino è un esperimento tenuto sotto controllo dai vertici dello Stato, sempre pronti al giro di vite se la trasgressione giovanile dovesse cominciare a far paura. A maggio la quinta edizione del Midi Rock Music Festival di Pechino, che stava diventando la Woodstock cinese, è stata cancellata all´improvviso «per problemi di pubblica sicurezza». Ma non sempre questi diktat dall´alto funzionano. Ne sa qualcosa Lin Zhaohua, autore e regista della controversa commedia intitolata «Bagni pubblici» che quest´estate ha fatto il tutto esaurito al teatro Tianqiao di Pechino. «Bagni pubblici» è una sequenza di dialoghi tra personaggi che s´incontrano in una toilette di quartiere - un´istituzione ancora diffusa nonostante il benessere urbano - nel corso degli ultimi trent´anni. Con il tempo cambia la qualità delle toilette, cambiano i personaggi, cambia la natura dei loro dialoghi via via che l´evoluzione capitalistica crea nuovi mestieri e scava le diseguaglianze sociali nel paese. Anche se «Bagni pubblici» non affronta temi politici considerati scabrosi - come il ricordo del massacro di Piazza Tienanmen - tuttavia è una satira pungente della società cinese con i toni amari della black-comedy. Pur senza ricorrere alla censura, il governo all´inizio ha provato a sabotare lo spettacolo in maniera soft. Con discrezione i giornali di Pechino sono stati invitati dall´alto a stroncare «Bagni pubblici», o a ignorarlo. Ma molti critici teatrali si sono rifiutati di obbedire alle direttive. Alla fine di fronte al successo di pubblico perfino il semi-ufficiale segretario generale del Sindacato attori, Yang Qianwu, ha dovuto dare la sua benedizione: «Anche se la pièce contiene molte volgarità questo non significa che sia di cattiva qualità, perché ha un effetto drammatico e catartico».
Gli autori di questa nuova generazione sanno che la glasnost di Pechino ha dei limiti ancora invalicabili. La repressione sanguinosa della protesta studentesca del 1989; i diritti umani calpestati in Tibet; le relazioni con Taiwan; la setta religiosa Falun Gong: sono temi da non toccare per non subire i fulmini della censura. Questo non significa che i giovani della 798 si accontentino di «parlar d´altro» e si rifugino nella provocazione estetizzante fine a se stessa. C´è un´arte impegnata che interpella le carenze della leadership nazionale. Alla 798 Photo Gallery in questi giorni tutti possono visitare una meravigliosa e straziante esposizione fotografica del grande Xie Hailong, che da anni percorre la Cina delle campagne povere con un solo obiettivo: raccogliere le immagini dei bambini che vanno a scuola in condizioni di miseria spaventose. Tetti sfondati, pavimenti di fango, ragazzini vestiti di stracci e senza neppure i quaderni. Sono foto in bianco e nero che sembrano parlare di un´epoca lontana e invece sono scattate ieri, parlano di una Cina dimenticata da chi vive tra i concessionari della Ferrari e i negozi di Armani a Shanghai e Pechino. La mostra di Xie Hailong, «fotografo umanista», non si limita ad alludere. Ai visitatori sbatte in faccia le cifre dello scandalo: 200 milioni di analfabeti, 4 milioni di bambini all´anno che abbandonano la scuola dell´obbligo perché troppo poveri.
Per uno scherzo del destino oggi la minaccia più immediata per la 798 non è la censura del partito unico, ma lo stesso successo dell´arte d´avanguardia.
La zona della fabbrica ha guadagnato valore, il prezzo del metro quadro sale a vista d´occhio, i proprietari progettano speculazioni. Nel piano regolatore la ex fabbrica militare è destinata ad un polo tecnologico e i terreni ora appartengono alla società Seven-Star Huadian Science and Technology Group. Che ha l´intenzione di radere al suolo la 798 per costruire uffici hi-tech e appartamenti di lusso. Gli artisti si difendono con grinta. Uno di loro, lo scultore Li Xiangqun, è anche deputato al Congresso del Popolo e ha presentato al governo un contro-progetto per salvare il quartiere creativo. «Ho visto trasformarsi quest´area - dice - da un cimitero di fabbriche abbandonate a una comunità artistica in piena fioritura. Il futuro dipende dal governo. Non sono ottimista, ma non ci arrenderemo facilmente». Li ha ottenuto una tregua: fino al 31 dicembre 2005 ogni sfratto degli artisti è sospeso. Neanche il potere economico dei palazzinari si rassegnerà docilmente.
L´ex complesso industriale della 798 è così grande che non tutto è diventato Greenwich Village. Con quella sciatteria che rimane un tratto distintivo di Pechino, attorno alle gallerie post-moderne c´è una terra di nessuno di capannoni tuttora occupati da fabbrichette, qualche atelier di vestiti, e artisti-artigiani che con l´avanguardia non hanno niente a che vedere. Lì entro in uno hangar semibuio dove mi accoglie una scena spettrale. Una dozzina di giovani scultori con le tute impolverate lavorano attorno a gigantesche statue di generali della Lunga Marcia maoista. Qui, a differenza dal Tirannosauro rosso, non c´è traccia di satira, non un velo d´ironia.
«Lavoriamo su commissione, queste ce le comprano dei musei di provincia», mi comunica il capomastro. Quando escono da qui le grandi statue dei padri della rivoluzione ancora si mettono in viaggio verso la Cina dove i bambini vanno a scuola a piedi nudi, dove i maiali razzolano tra i banchi, e dai soffitti sfondati piove nelle aule.

Emanuele Severino
la musica nella storia dell'uomo

L'Arena 9.9.04
Amici del Filarmonico. Sala Maffeiana gremita per il noto filosofo che ha tenuto una lezione introduttiva alla stagione 2004 del «Settembre dell’Accademia» Ne è uscita un’accurata indagine sul ruolo avuto dalla musica nella storia dell’uomo
A lezione da Severino
Chiara Zocca

In una Sala Maffeiana affollatissima il noto filosofo e opinionista Emanuele Severino ha tenuto - su invito dagli Amici del Filarmonico - una conversazione sul tema «L’Occidente e la musica» come introduzione all’edizione 2004 del Settembre dell’Accademia Filarmonica. Nel chiarire che la parola “Occidente” contiene in sé anche il significato di declino perché allude al tramonto del sole, Severino ha cercato di indagare il ruolo avuto dalla musica nella storia dell‘uomo, a partire dal grido, strumento di espressione di gioia, dolore o disperazione, che caratterizzava le feste all‘alba della civiltà: grido dapprima dissonante, che in seguito divenne all‘unisono, quindi raggiunse una dimensione disciplinata, probabilmente l’elemento di origine della musica. Se la festa, come luogo in cui l’uomo cerca di «alzare la testa dalla palude», racchiude in sé danza, rievocazione, mito, ed è a suo modo momento di espressione immediato dei sentimenti e delle angosce, si sviluppa allo stesso tempo anche la necessità di un pensiero strutturato: ecco dunque la filosofia, che nasce all‘inizio come critica al mito. Si forma così la tradizione sapienziale greca nella quale si innesteranno poi la rivelazione cristiana e, successivamente, con Avicenna, l’Islam, a dimostrazione che questi mondi e culture non sono così distanti, ma hanno una matrice comune. La musica cristiana ha al suo centro la parola: la musica, come anche l’arte cristiana - continua Emanuele Severino - contengono al loro interno, inconsapevolmente, elementi di critica al cristianesimo. Per l’artista cristiano l’arte è come un altro dio: dunque, viene da chiedersi, Bach cantava per lodare Dio o lodava Dio per cantare? Se l’arte cristiana è una radicale critica alla religiosità, così facendo, essa stessa distrugge alla base l’albero della cultura occidentale. La musica classica non è più la musica della festa, ma un metron, qualcosa di strutturato e di lontano dalla sonorità naturale. La regola, la struttura, finiscono per diventare un altro Dio, ed è perciò che il progressivo incamminarsi verso la demolizione del sistema tonale viene ad aderire con l’assunto nietzschiano che «Dio è morto». Il Novecento è una costante uccisione di Dio, nella dodecafonia che frange l’unità sonora dell’accordo, nella rinuncia al testo teatrale di Antonin Artaud, nell’abbandono della fede religiosa, nella caduta dell’Unione Sovietica: l’Occidente autodistrugge tutte le proprie certezze, precipitando verso un futuro disperato, aggrappato solo alla tecnica che, tuttavia, è incapace di salvare l’uomo. In questa fosca visione del futuro occidentale, nella quale la cultura diviene un rito provvisorio, Emanuele Severino lancia un ultimo dubbio teoretico e forse salvifico: e se, invece che proiettato verso il nulla, l’uomo fosse eterno?

da un convegno di neuroscienziati inglesi
sui bambini "iperattivi"

Yahoo! Salute giovedì 9 settembre 2004
Bambini iperattivi: sostenere le famiglie
Il Pensiero Scientifico Editore

Non è originato da una cattiva educazione il comportamento dei bambini affetti da ADHD, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, ma da una disfunzione genetica complessa che è tuttora oggetto di studi.
Questa la dichiarazione rilasciata dagli studiosi in occasione del
congresso annuale della British Association for the Advancement of Science.

Antonella Sagone

Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, comunemente noto con l’acronimo ADHD, è considerato il più comune disturbo psichiatrico nei bambini e negli adolescenti: colpisce infatti dal 3 al 5 per cento dei bambini in età scolare e generalmente si manifesta prima dei 7 anni. I bambini con ADHD hanno problemi persistenti a mantenere l’attenzione sia a casa che a scuola, a concentrarsi, a stare fermi per più di qualche minuto. Si tratta di un disturbo più complesso della capacità di distrarsi fisiologica dei bambini, che deve presentarsi per almeno sei mesi in maniera continuativa e deve provocare un disagio sino ad una vera e propria compromissione delle attività scolastiche o delle relazioni familiari e sociali. La sindrome, secondo Eric Taylor, del Britain’s Institute of Psychiatry, viene sottostimata (come ad esempio avviene in Inghilterra) o sovrastimata (come negli Stati Uniti), a seconda della cultura di appartenenza. Le terapie, che in genere consistono in cure farmacologiche e terapia comportamentale, non sono risolutive ma possono contenere i sintomi; il rischio di non trattare il disturbo, secondo il ricercatore, può esporre il soggetto a sviluppare più gravi disturbi psichici in età adulta.
Oggi si è potuto verificare come l’iperattività e il disturbo di attenzione siano associati a fattori organici. Ricerche precedenti hanno ad esempio notato come i bambini vulnerabili all’ADHD lo siano anche all’epilessia. A detta di Taylor vi sono anche delle differenze morfologiche nel cervello dei bambini con ADHD: le aree cerebrali coinvolte nell’autocontrollo sono più piccole della media. Spesso in passato, e ancora oggi ove ci sia poca informazione su questo disturbo, si giudica il bambino iperattivo come semplicemente maleducato, viziato o comunque non disciplinato dai genitori, che vengono stigmatizzati per il comportamento del loro figlio. Questo non corrisponde alla realtà, anzi, i ricercatori inglesi hanno notato che i genitori che in passato sono stati essi stessi iperattivi sono più competenti nel rapportarsi a figli con lo stesso problema. Un ambiente caotico, invece, contribuisce ad aggravare il disagio del bambino con ADHD e ad esacerbare le difficoltà sue e di chi gli sta vicino.
“Quello di cui la famiglia ha bisogno”, sottolinea Taylor, “è accettazione e comprensione, per un disturbo che va considerato una sottile e persistente disabilità”. Lo studioso continua osservando che la valutazione di questa condizione non deve essere esclusivamente negativa. Le persone con ADHD, viste in una prospettiva evoluzionistica, hanno una loro funzione nella società umana, dove sono necessari anche gli individui incapaci di piani a lungo termine ma particolarmente reattivi, creativi e veloci nelle risposte.

Riferimento: 2004 BA Festival of Science, 4-11 settembre, Exeter, UK.

lo sguardo dei neonati, la bellezza, la musica

Yahoo! Salute 9.9.04
Psichiatria, Psicologia e Neurologia

È bello ciò che piace o piace ciò che è bello?
Il Pensiero Scientifico Editore
Antonella Sagone

I neonati preferiscono i visi belli? Uno studio presentato al Festival of Science della British Association sostiene di sì. Infatti i neonati, di poche ore di vita, hanno mostrato di soffermarsi con lo sguardo molto più a lungo sull’immagine di un viso gradevole piuttosto che su quella di un viso in tutto e per tutto analogo al precedente ma con requisiti estetici meno apprezzabili.
Gli esperimenti basati sullo sguardo dei neonati sono effettuati da diversi decenni. Fin dalla nascita il bambino, contrariamente a quanto spesso si pensa, è in grado di distinguere notevolmente bene le immagini, specie se poste a una distanza di 20-30 centimetri dagli occhi, cioè la distanza a cui vedrebbe il viso materno mentre viene allattato. Nei primi minuti di vita l’immagine può apparire un po’ sfocata, però già a 15 ore dalla nascita è provato che il neonato sia in grado di distinguere il viso della madre da quello degli estranei. Studiando il tempo che il neonato trascorre fissando una di due immagini contrapposte si è potuto analizzare il grado di interesse che egli manifesta per determinati stimoli visivi, ed è da tempo noto che egli preferisce le rappresentazioni del viso a quelle di altri oggetti.
Lo studio ha rilevato il tempo di fissazione del neonato a ciascuna di due immagini presentate contrapposte, rappresentanti varie tipologie di viso in due versioni, una più “bella” dell’altra. I bambini, alcuni di due giorni di vita ma altri a solo poche ore dalla nascita, hanno speso l’80 per cento del tempo osservando il viso più attraente. “Questo dimostra”, afferma Alan Slater, uno psicologo dell’Università di Exeter che ha condotto la ricerca, “che i bambini nascono già con una rappresentazione molto precisa del volto umano”.
I ricercatori hanno anche esplorato il gusto musicale del neonato, facendogli ascoltare musica ogni volta che fissavano una striscia rossa su uno schermo. I neonati, fissando a lungo la striscia, hanno mostrato di apprezzare Vivaldi, ma molto meno se questo veniva fatto suonare alla rovescia.
”La bellezza non è solo nell’occhio di chi guarda”, afferma Slater. “È nel cervello del bambino già al momento della nascita, e forse anche prima”. Resta da capire se è il neonato ad avere un senso innato del bello, oppure semplicemente se la bellezza è quell’inafferrabile quid che già un neonato preferisce guardare, ascoltare e forse anche apprezzare con gli altri sensi.

Riferimento: 2004 BA Festival of Science, 4-11 settembre, Exeter, UK.