Repubblica 26.10.04
Due giorni di discussioni e scontri, nessuna risoluzione. Italia, Usa per la proibizione completa; Giappone, Cina e Francia favorevoli a studi sulle staminali
Clonazione, il duello blocca l'Onu
In 63 vogliono il bando totale, 20 chiedono quella terapeutica
ARTURO ZAMPAGLIONE
NEW YORK - Due giorni di scontri e discussioni ideologiche al Palazzo di vetro sulla clonazione umana non sono stati sufficienti a risolvere i contrasti tra due schieramenti. Da un lato, appoggiati dal Vaticano, ci sono 63 paesi, tra cui l´Italia, gli Stati Uniti e il Costa Rica (primo firmatario di una mozione presentata alla commissione giuridica dell´assemblea generale) che chiedono il «total ban», la proibizione totale di ogni forma di clonazione.
Da un altro lato, una ventina di stati capeggiati dal Belgio, tra cui Francia, Gran Bretagna, Giappone, India, Cina, vogliono escludere dal divieto le cellule staminali e altre forme di clonazione «terapeutica» (chiamata così per distinguerla dalla clonazione «riproduttiva»), in modo da incoraggiare le ricerche per la cura dell´Alzheimer, del Parkinson, oltre che dei traumi alla spina dorsale.
Il duello tra i due fronti ha portato l´Onu a una fase di stallo. Sono tre anni che si punta alla firma di una convenzione ad hoc; tutti i 191 membri delle Nazioni Unite sono d´accordo per mettere al bando la clonazione «riproduttiva» di essere umani, ma il contrasto sull´inclusione delle staminali blocca ogni decisione. Anche perché la commissione del Palazzo di vetro è abituata a procedere su base consensuale, cioè senza il ricorso al voto.
La rigidità dei due fronti è accentuata dalle elezioni presidenziali americane. George W. Bush e John Kerry hanno posizioni molto diverse sulle cellule staminali: il primo è in favore della assoluta libertà di ricerca, sbandierando l´appoggio ricevuto da Christopher Reeve, il Superman di Hollywood morto all´inizio di ottobre. Il presidente, invece, è contrario per ragioni etiche alla clonazione embrionale e dal 2001 ha limitato i finanziamenti federali agli embrioni già esistenti.
Anche il governo italiano - secondo quanto ha spiegato in commissione l´ambasciatore italiano all´Onu Marcello Spatafora - ritiene che sia falsa la distinzione tra clonazione «riproduttiva» e «terapeutica». Quest´ultima, infatti, viene di solito intesa come la creazione di embrioni umani per scopi di sperimentazione scientifica, dopo di che vengono scartati, «negando loro il potenziale di diventare esseri umani». Spatafora ha ricordato le promettenti ricerche sulle cellule staminali adulte, ricavate dal sangue del cordone ombelicale, mettendo in guardia i sostenitori della clonazione «terapeutica»: «Non c´è ragione - ha detto l´ambasciatore - perché il progresso scientifico debba avvenire a spese della dignità umana». La comunità scientifica internazionale è però allineata sull´altro fronte: non vuole che considerazioni etico-religiose siano d´ostacolo alla ricerca. «Bisogna anche arrivare al più presto al divieto della clonazione "riproduttiva", per neutralizzare le iniziative di medici senza scrupoli», ha insistito il rappresentante del Belgio Marc Pecsteen, proponendo come compromesso (ma inutilmente) tre alternative per la clonazione «terapeutica» a livello dei singoli stati: vietarla, imporre una moratoria o sottoporla a regole severe.
Non è chiaro, ora, come si uscirà dallo stallo. Tre le soluzioni: innanzitutto andare al voto. La seconda strada è quella di un rinvio all´anno prossimo, magari con la creazione di un comitato ad hoc che approfondisca nel frattempo la questione. La terza è di accontentarsi di una dichiarazione politica, la quale, con linguaggio diplomatico, vieti ogni forma di clonazione umana in contrasto con la dignità umana. Una formula ambigua, questa, che ognuno dei due schieramenti potrebbe interpretare come una vittoria.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 26 ottobre 2004
Simona Maggiorelli, su Avvenimenti adesso nelle edicole
ipermercati dell'arte
da Avvenimenti attualmente nelle edicole
Discussioni
A Siena una triplice rassegna che racconta un mondo dell’arte sempre più abitato dalle merci. Fra apologia e critica no global
IPERMERCATI DELL'ARTE
Bonito Oliva, Toscani e Calabrese in una mostra. Ed è polemica
di Simona Maggiorelli
Colori sgargianti e plastificati, scatole di Brillo in gigantografia, l’omino della Michelin che spicca dalla parete all’inseguimento di chi lo guarda. E poi zizagando fra la merda d’artista firmata Piero Manzoni, fra i resti di una maxi-colazione McDonald’s riassemblati in fantasmatica scultura, ci si imbatte nel giallo limone delle Capri batterie di Joseph Beuys, si viene presi nelle maglie meccaniche di un Pesce idraulico, soverchiati da immagini di sparate locandine che, da ogni lato, reclamano attenzione. Una girandola euforica che ti anestetizza con la rappresentazione di un mondo di soli oggetti. Una giostra disforica che ti acchiappa a sorpresa, dove meno te lo aspetti, passeggiando fra monumentali spazi del complesso medievale di Santa Maria della Scala, su per le scalette del turrito Palazzo delle Papasse. E più ancora, c’è tutta una vertigine da fumetto che ti assale, inaspettata, nelle sale del Palazzo pubblico di Siena. La città stessa, dopo aver visitato questi tentacolari e dilaganti Ipermercati dell’arte, organizzati da Achille Bonito Oliva e da Omar Calabrese, sembra apparire, direbbe Marx, come un immane accumulo di merci. In cui l’umano è latinate. E non funziona da via d’uscita dallo stordimento neanche la sezione choc - quasi una mostra nella mostra - dei ritratti di condannati a morte scattati da Oliviero Toscani per una nota campagna pubblicitaria. Alla fine della fiera, la merce - fotografata, esaltata dalla pop art, ironizzata nel cartello di macelleria di Enrico Baj, romanticamente evocata nel tessitoio di Plessi, ferocemente attaccata nei manifesti "Compro dunque sono" di Barbara Kruger - resta l’unica vera e incontrastata protagonista.
Verso la morte dell’arte? In mezzo a oggetti rappresentati, deformati, riprodotti e che portano nomi illustri (Rotella, Palladino, Zuffi, Fabre, Castagnoli), fra le macchine celibi di Panamarenko, il colosseo di tv di Nam June Paik, e le lattine Campbell’s di Warhol, ci viene in soccorso una frase di Duchamp che spicca sulla parete. Ho voluto provocare con il mio orinatoio, dice, e oggi mi sento dire che è bello. "Una frase sconsolata, amara - commenta Omar Calabrese - l’ho voluta inserire perché rende bene il senso del salto che si ebbe a partire dagli anni 50 e 60. Duchamp e i surrealisti ancora non avevano l’immagine della società di massa e di ciò che il boom dei consumi avrebbe portato". Quando Duchamp la pronunciò nel 1917, certamente non immaginava l’avvento di un “mercato globale di oggetti”, incorniciati e venduti a prezzo d’arte. E i suoi objects trouvés? Le sue ruote di bicicletta issate su rami d’albero? Oggetti sì, ma utilizzati, solo come provocazione estetica, senza nessuna critica o apologia della società dei consumi ancora di là da venire. E nemmeno ci aveva beccato troppo Majakovsky, quando diceva che la morte dell’arte sarebbe avvenuta il giorno in cui le poesie fossero finite sulle scatole di fiammiferi. "Sperava nell’avvento di un’estetica di massa - spiega Calabrese - soltanto che Majakovsky la immaginava rivoluzionaria, non omologata al ribasso".
Benvenuti nel mondo pop Il grande salto dell’arte nel magico mondo della merce si ha in America negli anni 60. A ricordarcelo è Achille Bonito Oliva, " fu l’avvento dell’american dream - dice - come sogno continuo di opulenza e di stordimento organizzato dalla merce". La città americana stessa diventa il teatro dell’uomo di massa che resta "irregimentato nell’ingranaggio produttivo di una macchina che funziona senza sosta e che lo rende spettatore passivo". L’arte di quel periodo, allora comincia a restituirne la fotografia a colori forti, diventa tassonomica descrizione " fuori da questo inquadramento - aggiunge – restano solo i versi dell’Urlo di Ginsberg, il montaggio disperato di Burroughs, il cut up. Resta la sfilza di whisky che gli artisti ingurgitavano come tattica per non uscire dalla propria esperienza creativa, e non cadere sbattuti in questo tipo di quotidiano". L’iperrealismo e la pop art restano incollati alla piatta riproduzione del reale. Magari la deformano, ne fanno una cartolina. La loro onda lunga dagli anni 50 e 60 arriva fino ad oggi. Ma è così? È finita la ricerca che tenta di trasformare con fantasia la realtà percepita? Quella che lanciarono i Picasso, i Modigliani, i Matisse che rappresentavano sulla tela l’emozione di un incontro, di un volto, di un rapporto vissuto che lascia una traccia profonda? "Esiste una ricerca che riguarda la fantasia interiore, i sentimenti, la creazione di immagini nuove - ci spiega Calabrese - oggi la praticano singoli artisti. La società contemporanea è così complessa che non si riduce a un’unica tendenza. E non si può fare come per gli anni Dieci che si potevano individuare facilmente come gli anni di Picasso, dell’avanguardia storica". Ma aggiunge: "È anche vero, però, che la potenza della nostra società di massa è così forte che gli artisti è difficile non ne subiscano l’effetto. Se come artista, per esempio, mi metto a fare un’opera che rappresenta o che al contrario contesta il Grande fratello, è difficile che ci possa mettere dentro sentimenti, fantasia. Ma probabilmente quello che faccio è importante lo stesso. Viviamo in una società così brutta e insostenibile che anche questo tipo di reazione serve".
Croce, svastica e Coca Cola Con un titolo forte, Croce, svastica, Coca Cola, Olivero Toscani avrebbe voluto battezzare la mostra, prima di decidere per il più domestico Ipermercati dell’arte. " Perché - spiega - racconta bene i percorsi della storia dell’arte: una volta c’era la committenza della Chiesa, poi c’è stata quella del potere, oggi è l’economia a determinare tutto". Quali margini ci sono allora per la libertà creativa dell’artista? "È un’utopia. Non esiste un’arte che non sia asservita al mercato", provoca il fotografo di tante campagne pubblicitarie scandalo. "Bisogna lavorare in questo ambito e tentare, per come si può, di utilizzarlo. Non sono gli artisti solitari che possono abolire la pena di morte, ma possono farlo le industrie. Per una battaglia che mi interessava come fatto personale ho preso al balzo l’occasione che mi offriva la pubblicità, che è la voce della produzione". Non si nasconde Toscani. Messaggio micidiale il suo, che, a prestargli il fianco, lascia senza prospettive. Ma nel comitato scientifico di questa mostra superazionale e ipermaterialistica, non tutti, la pensano proprio come Toscani . "Oggi si registra un fenomeno particolare - dice Calabrese -. Artisti che lavorano come designer, fotografi, pubblicitari, che fanno altro per preservarsi spazi di autonomia nell’ambito dell’arte. Diversamente da quanto facevano i dadaisti e le avanguardie che si opponevano al mercato per rivendicare romanticamente una distanza dalla realtà, oggi si trovano artisti che entrano nel sociale senza contestarlo in blocco, ma cercando di rendersi autonomi". Fenomeni individuali o anche di gruppo? "Nella sezione della mostra intitolata “consumo contestato” - spiega Calabrese - ci sono molti artisti che attaccano lo stile di vita della nostra società. Si potrebbe pensare che si tratti di arte come impegno. Ma il fatto è che non sono gruppi strutturati. I movimenti organizzati a carattere ideologico sono molto meno forti nel mondo occidentale. Così l’artista tende a sostituirsi ai movimenti. È un fenomeno che ha esempi eclatanti, non solo nelle arti figurative, ma anche nella satira, nel teatro, nel cinema. Pensiamo a The terminal: lì Spielberg fa una feroce denuncia dell’isolamento che si vive nella società contemporanea. Ma non si può certo dire che il regista sia legato a un movimento o a un’organizzazione politica. Non so questo fenomeno sia un bene. A me non pare".
Discussioni
A Siena una triplice rassegna che racconta un mondo dell’arte sempre più abitato dalle merci. Fra apologia e critica no global
IPERMERCATI DELL'ARTE
Bonito Oliva, Toscani e Calabrese in una mostra. Ed è polemica
di Simona Maggiorelli
Colori sgargianti e plastificati, scatole di Brillo in gigantografia, l’omino della Michelin che spicca dalla parete all’inseguimento di chi lo guarda. E poi zizagando fra la merda d’artista firmata Piero Manzoni, fra i resti di una maxi-colazione McDonald’s riassemblati in fantasmatica scultura, ci si imbatte nel giallo limone delle Capri batterie di Joseph Beuys, si viene presi nelle maglie meccaniche di un Pesce idraulico, soverchiati da immagini di sparate locandine che, da ogni lato, reclamano attenzione. Una girandola euforica che ti anestetizza con la rappresentazione di un mondo di soli oggetti. Una giostra disforica che ti acchiappa a sorpresa, dove meno te lo aspetti, passeggiando fra monumentali spazi del complesso medievale di Santa Maria della Scala, su per le scalette del turrito Palazzo delle Papasse. E più ancora, c’è tutta una vertigine da fumetto che ti assale, inaspettata, nelle sale del Palazzo pubblico di Siena. La città stessa, dopo aver visitato questi tentacolari e dilaganti Ipermercati dell’arte, organizzati da Achille Bonito Oliva e da Omar Calabrese, sembra apparire, direbbe Marx, come un immane accumulo di merci. In cui l’umano è latinate. E non funziona da via d’uscita dallo stordimento neanche la sezione choc - quasi una mostra nella mostra - dei ritratti di condannati a morte scattati da Oliviero Toscani per una nota campagna pubblicitaria. Alla fine della fiera, la merce - fotografata, esaltata dalla pop art, ironizzata nel cartello di macelleria di Enrico Baj, romanticamente evocata nel tessitoio di Plessi, ferocemente attaccata nei manifesti "Compro dunque sono" di Barbara Kruger - resta l’unica vera e incontrastata protagonista.
Verso la morte dell’arte? In mezzo a oggetti rappresentati, deformati, riprodotti e che portano nomi illustri (Rotella, Palladino, Zuffi, Fabre, Castagnoli), fra le macchine celibi di Panamarenko, il colosseo di tv di Nam June Paik, e le lattine Campbell’s di Warhol, ci viene in soccorso una frase di Duchamp che spicca sulla parete. Ho voluto provocare con il mio orinatoio, dice, e oggi mi sento dire che è bello. "Una frase sconsolata, amara - commenta Omar Calabrese - l’ho voluta inserire perché rende bene il senso del salto che si ebbe a partire dagli anni 50 e 60. Duchamp e i surrealisti ancora non avevano l’immagine della società di massa e di ciò che il boom dei consumi avrebbe portato". Quando Duchamp la pronunciò nel 1917, certamente non immaginava l’avvento di un “mercato globale di oggetti”, incorniciati e venduti a prezzo d’arte. E i suoi objects trouvés? Le sue ruote di bicicletta issate su rami d’albero? Oggetti sì, ma utilizzati, solo come provocazione estetica, senza nessuna critica o apologia della società dei consumi ancora di là da venire. E nemmeno ci aveva beccato troppo Majakovsky, quando diceva che la morte dell’arte sarebbe avvenuta il giorno in cui le poesie fossero finite sulle scatole di fiammiferi. "Sperava nell’avvento di un’estetica di massa - spiega Calabrese - soltanto che Majakovsky la immaginava rivoluzionaria, non omologata al ribasso".
Benvenuti nel mondo pop Il grande salto dell’arte nel magico mondo della merce si ha in America negli anni 60. A ricordarcelo è Achille Bonito Oliva, " fu l’avvento dell’american dream - dice - come sogno continuo di opulenza e di stordimento organizzato dalla merce". La città americana stessa diventa il teatro dell’uomo di massa che resta "irregimentato nell’ingranaggio produttivo di una macchina che funziona senza sosta e che lo rende spettatore passivo". L’arte di quel periodo, allora comincia a restituirne la fotografia a colori forti, diventa tassonomica descrizione " fuori da questo inquadramento - aggiunge – restano solo i versi dell’Urlo di Ginsberg, il montaggio disperato di Burroughs, il cut up. Resta la sfilza di whisky che gli artisti ingurgitavano come tattica per non uscire dalla propria esperienza creativa, e non cadere sbattuti in questo tipo di quotidiano". L’iperrealismo e la pop art restano incollati alla piatta riproduzione del reale. Magari la deformano, ne fanno una cartolina. La loro onda lunga dagli anni 50 e 60 arriva fino ad oggi. Ma è così? È finita la ricerca che tenta di trasformare con fantasia la realtà percepita? Quella che lanciarono i Picasso, i Modigliani, i Matisse che rappresentavano sulla tela l’emozione di un incontro, di un volto, di un rapporto vissuto che lascia una traccia profonda? "Esiste una ricerca che riguarda la fantasia interiore, i sentimenti, la creazione di immagini nuove - ci spiega Calabrese - oggi la praticano singoli artisti. La società contemporanea è così complessa che non si riduce a un’unica tendenza. E non si può fare come per gli anni Dieci che si potevano individuare facilmente come gli anni di Picasso, dell’avanguardia storica". Ma aggiunge: "È anche vero, però, che la potenza della nostra società di massa è così forte che gli artisti è difficile non ne subiscano l’effetto. Se come artista, per esempio, mi metto a fare un’opera che rappresenta o che al contrario contesta il Grande fratello, è difficile che ci possa mettere dentro sentimenti, fantasia. Ma probabilmente quello che faccio è importante lo stesso. Viviamo in una società così brutta e insostenibile che anche questo tipo di reazione serve".
Croce, svastica e Coca Cola Con un titolo forte, Croce, svastica, Coca Cola, Olivero Toscani avrebbe voluto battezzare la mostra, prima di decidere per il più domestico Ipermercati dell’arte. " Perché - spiega - racconta bene i percorsi della storia dell’arte: una volta c’era la committenza della Chiesa, poi c’è stata quella del potere, oggi è l’economia a determinare tutto". Quali margini ci sono allora per la libertà creativa dell’artista? "È un’utopia. Non esiste un’arte che non sia asservita al mercato", provoca il fotografo di tante campagne pubblicitarie scandalo. "Bisogna lavorare in questo ambito e tentare, per come si può, di utilizzarlo. Non sono gli artisti solitari che possono abolire la pena di morte, ma possono farlo le industrie. Per una battaglia che mi interessava come fatto personale ho preso al balzo l’occasione che mi offriva la pubblicità, che è la voce della produzione". Non si nasconde Toscani. Messaggio micidiale il suo, che, a prestargli il fianco, lascia senza prospettive. Ma nel comitato scientifico di questa mostra superazionale e ipermaterialistica, non tutti, la pensano proprio come Toscani . "Oggi si registra un fenomeno particolare - dice Calabrese -. Artisti che lavorano come designer, fotografi, pubblicitari, che fanno altro per preservarsi spazi di autonomia nell’ambito dell’arte. Diversamente da quanto facevano i dadaisti e le avanguardie che si opponevano al mercato per rivendicare romanticamente una distanza dalla realtà, oggi si trovano artisti che entrano nel sociale senza contestarlo in blocco, ma cercando di rendersi autonomi". Fenomeni individuali o anche di gruppo? "Nella sezione della mostra intitolata “consumo contestato” - spiega Calabrese - ci sono molti artisti che attaccano lo stile di vita della nostra società. Si potrebbe pensare che si tratti di arte come impegno. Ma il fatto è che non sono gruppi strutturati. I movimenti organizzati a carattere ideologico sono molto meno forti nel mondo occidentale. Così l’artista tende a sostituirsi ai movimenti. È un fenomeno che ha esempi eclatanti, non solo nelle arti figurative, ma anche nella satira, nel teatro, nel cinema. Pensiamo a The terminal: lì Spielberg fa una feroce denuncia dell’isolamento che si vive nella società contemporanea. Ma non si può certo dire che il regista sia legato a un movimento o a un’organizzazione politica. Non so questo fenomeno sia un bene. A me non pare".
Ettore Majorana (1906-1938?)
Il Mattino 25.10.04
Majorana, un genio
Guido Trombetti
Oggi alle 16 nell’aula magna della Federico II si inaugura l’annus mirabilis della fisica che cade nel 2005. Cento anni dopo la pubblicazione di tre lavori fondamentali di Einstein. Tali lavori riguardavano la teoria della relatività ristretta, l’ipotesi del «quanto di luce» (per cui ricevette il premio Nobel) e la teoria del moto browniano. Essi cambiarono la storia del pensiero umano. In particolare il lavoro sulla relatività ristretta che poneva le basi della relatività generale. Il tempo per Galileo era assoluto. Cioè i fenomeni che apparivano simultanei ad un osservatore dovevano apparire tali ad ogni altro osservatore. Tale idea veniva rivoluzionata e sostituita da Einstein con una definizione «pratica» di simultaneità. In seguito ad essa eventi simultanei per un osservatore potevano non essere tali per un altro. Si faceva salvo il rapporto di causa-effetto che restava indipendente dall’osservatore. Un simile salto di qualità ha pochi precedenti nella storia dell’uomo. Si comprende allora perché i fisici abbiano deciso di proporre il 2005 come anno mondiale della fisica, con l’alto patrocinio dell’Onu e dell’Unesco.
L’incontro inaugurale (realizzato grazie all’inarginabile entusiasmo giovanile di Bruno Preziosi) fa perno sul ritrovamento di una parte delle lezioni tenute da Ettore Majorana a Napoli tra gennaio e marzo del ’38. Lezioni sulla cui scomparsa si era sviluppato negli anni un piccolo giallo. Del quale anche si parlerà oggi. Furono pubblicate nel 1987, tratte dal manoscritto originale depositato da Amaldi alla Domus Galileiana di Pisa. Il sospetto che fossero incomplete era forte. La novità è che il figlio di Eugenio Moreno, matematico napoletano, ha fornito una copia degli appunti che il padre aveva copiato da quelli lasciati da Ettore Majorana. Fu Caccioppoli ad invitare Moreno a prender nota delle lezioni di Majorana. Le lezioni che egli ha trasmesso ai figli coincidono esattamente con quelle già note (anche nei refusi); peraltro quelle finora ignote sono redatte nello stile proprio di Ettore Majorana. Quella di Majorana è una vicenda che si collega con un filo sottile all’esistenza drammatica di tante grandi menti. Capaci di indagare la profondità dei più riposti meandri del pensiero (scientifico, artistico...) ma incapaci di dare senso comune alla propria esistenza. Galois, Caccioppoli, Pavese, Caffè...
Perché iniziare proprio con Majorana? Soltanto per la curiosità che suscita il mistero sviluppatosi intorno alla sua scomparsa? Rispondiamo con la parole di Enrico Fermi: «Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è gente di primo rango che arriva a scoperte fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso». Nasce a Catania il 5 agosto 1906 da una famiglia di agiati professionisti. Compie studi classici. Si iscrive alla Facoltà di ingegneria. Si trasferisce poi al corso di laurea in fisica dopo un colloquio con Fermi. In realtà seguendo la sua incontenibile passione per la scienza pura. Entra subito nel celebre gruppo dei ragazzi di via Panisperna creato dalla lungimiranza di Orso Maria Corbino intorno ad Enrico Fermi e di cui fecero parte fuoriclasse del calibro di Segrè, Amaldi, Pontecorvo e Rasetti. Nel 1937 è nominato ordinario di fisica teorica presso l’Università di Napoli per chiara fama, «per l’alta fama di singolare perizia cui è pervenuto...», recitava il regio decreto di nomina. Scompare tra il 26 ed il 27 marzo 1938 nel più fitto mistero.
L’attività scientifica di Majorana è contenuta in soli nove articoli. Si vuole che fosse pervenuto a formulare le basi della teoria dei nuclei leggeri. Ne aveva discusso in istituto e Fermi cogliendone l’importanza gli aveva consigliato di pubblicare il lavoro. Non solo non lo fece ma vietò di parlarne nel rapporto su «Lo stato della fisica del nucleo atomico» che Fermi tenne a Parigi il 7 luglio 1932. In quel periodo appare il primo lavoro di Heisenberg (successivamente premio Nobel) sulle forze di scambio. Grande fu l’amarezza di tutto l’ambiente. Majorana non aveva nemmeno permesso che si parlasse delle sue idee! Eppure erano per lo meno contemporanee a quelle di Heisenberg. Le forze di scambio nucleare sono oggi spesso chiamate forze di Heisenberg-Majorana. Viveva sempre più in solitudine. Persino i suoi più cari amici facevano fatica a vederlo. Amaldi che si doleva di un suo certo allontanamento dall’attività di ricerca ricorda: «i suoi interessi filosofici si erano fortemente accentuati tanto da meditare a fondo le opere di vari filosofi, in particolare quelle di Schopenhauer». Il 25 marzo del 1938 parte da Napoli in nave per Palermo. Ha con sé parecchio danaro ed il passaporto. Scrive una lettera a Carrelli, direttore dell’istituto di fisica, in cui manifesta propositi suicidi. Giunto a Palermo spedisce un telegramma ancora a Carrelli per smentire la lettera. «Il mare mi ha rifiutato - dice - ...non mi prendere per una ragazza ibseniana...». Riparte da Palermo la sera del 26 e da allora non se ne sa più niente. Le ricerche, sollecitate dalla famiglia e da Enrico Fermi personalmente a Mussolini sono spasmodiche ma non approdano a nulla.
Sono state fatte e vagliate tutte le possibili ipotesi. Anche le più fantasiose. Le più estreme. Si è lanciato in mare tra Palermo e Napoli. Ciò, stante a testimonianze di passeggeri, non potrebbe essere avvenuto che in acque dove, dicono gli esperti, prima o poi le correnti avrebbero restituito il corpo. Si è rifugiato in un convento per meditare sulle conseguenze agghiaccianti degli studi sull’energia atomica che egli avrebbe previsto. Tesi cara a Sciascia, sostenuta in un suo bellissimo libro. Tesi avvalorata da alcuni testimoni. Avrebbe chiesto di fare un esperimento di vita religiosa alla chiesa del Gesù Nuovo e poi al convento di San Pasquale a Portici. La famiglia chiese l’intervento di Papa Pacelli per sapere se non dove fosse, almeno se fosse vivo. Nulla. È andato in Germania perché simpatizzante del nazismo. È scappato in Argentina. Si è rifugiato sulle montagne del Cilento, giura, nel 1993, Andrea Amoresano, un pastore novantenne. Quella del Cilento era una pista già battuta dalla famiglia con convinzione. In realtà ad oggi non si può concludere che con le parole di Fermi: «Majorana, con la sua intelligenza, se avesse deciso di scomparire e di far scomparire il suo cadavere, ci sarebbe riuscito». O con quelle del Fu Mattia Pascal richiamate Erasmo Recami nel suo bel libro Il caso Majorana: «Chissà quanti sono... nelle mie stesse condizioni. Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca, sul parapetto d’un ponte... e, poi, invece di buttarsi giù si va tranquillamente: in America o altrove».
Majorana, un genio
Guido Trombetti
Oggi alle 16 nell’aula magna della Federico II si inaugura l’annus mirabilis della fisica che cade nel 2005. Cento anni dopo la pubblicazione di tre lavori fondamentali di Einstein. Tali lavori riguardavano la teoria della relatività ristretta, l’ipotesi del «quanto di luce» (per cui ricevette il premio Nobel) e la teoria del moto browniano. Essi cambiarono la storia del pensiero umano. In particolare il lavoro sulla relatività ristretta che poneva le basi della relatività generale. Il tempo per Galileo era assoluto. Cioè i fenomeni che apparivano simultanei ad un osservatore dovevano apparire tali ad ogni altro osservatore. Tale idea veniva rivoluzionata e sostituita da Einstein con una definizione «pratica» di simultaneità. In seguito ad essa eventi simultanei per un osservatore potevano non essere tali per un altro. Si faceva salvo il rapporto di causa-effetto che restava indipendente dall’osservatore. Un simile salto di qualità ha pochi precedenti nella storia dell’uomo. Si comprende allora perché i fisici abbiano deciso di proporre il 2005 come anno mondiale della fisica, con l’alto patrocinio dell’Onu e dell’Unesco.
L’incontro inaugurale (realizzato grazie all’inarginabile entusiasmo giovanile di Bruno Preziosi) fa perno sul ritrovamento di una parte delle lezioni tenute da Ettore Majorana a Napoli tra gennaio e marzo del ’38. Lezioni sulla cui scomparsa si era sviluppato negli anni un piccolo giallo. Del quale anche si parlerà oggi. Furono pubblicate nel 1987, tratte dal manoscritto originale depositato da Amaldi alla Domus Galileiana di Pisa. Il sospetto che fossero incomplete era forte. La novità è che il figlio di Eugenio Moreno, matematico napoletano, ha fornito una copia degli appunti che il padre aveva copiato da quelli lasciati da Ettore Majorana. Fu Caccioppoli ad invitare Moreno a prender nota delle lezioni di Majorana. Le lezioni che egli ha trasmesso ai figli coincidono esattamente con quelle già note (anche nei refusi); peraltro quelle finora ignote sono redatte nello stile proprio di Ettore Majorana. Quella di Majorana è una vicenda che si collega con un filo sottile all’esistenza drammatica di tante grandi menti. Capaci di indagare la profondità dei più riposti meandri del pensiero (scientifico, artistico...) ma incapaci di dare senso comune alla propria esistenza. Galois, Caccioppoli, Pavese, Caffè...
Perché iniziare proprio con Majorana? Soltanto per la curiosità che suscita il mistero sviluppatosi intorno alla sua scomparsa? Rispondiamo con la parole di Enrico Fermi: «Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è gente di primo rango che arriva a scoperte fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso». Nasce a Catania il 5 agosto 1906 da una famiglia di agiati professionisti. Compie studi classici. Si iscrive alla Facoltà di ingegneria. Si trasferisce poi al corso di laurea in fisica dopo un colloquio con Fermi. In realtà seguendo la sua incontenibile passione per la scienza pura. Entra subito nel celebre gruppo dei ragazzi di via Panisperna creato dalla lungimiranza di Orso Maria Corbino intorno ad Enrico Fermi e di cui fecero parte fuoriclasse del calibro di Segrè, Amaldi, Pontecorvo e Rasetti. Nel 1937 è nominato ordinario di fisica teorica presso l’Università di Napoli per chiara fama, «per l’alta fama di singolare perizia cui è pervenuto...», recitava il regio decreto di nomina. Scompare tra il 26 ed il 27 marzo 1938 nel più fitto mistero.
L’attività scientifica di Majorana è contenuta in soli nove articoli. Si vuole che fosse pervenuto a formulare le basi della teoria dei nuclei leggeri. Ne aveva discusso in istituto e Fermi cogliendone l’importanza gli aveva consigliato di pubblicare il lavoro. Non solo non lo fece ma vietò di parlarne nel rapporto su «Lo stato della fisica del nucleo atomico» che Fermi tenne a Parigi il 7 luglio 1932. In quel periodo appare il primo lavoro di Heisenberg (successivamente premio Nobel) sulle forze di scambio. Grande fu l’amarezza di tutto l’ambiente. Majorana non aveva nemmeno permesso che si parlasse delle sue idee! Eppure erano per lo meno contemporanee a quelle di Heisenberg. Le forze di scambio nucleare sono oggi spesso chiamate forze di Heisenberg-Majorana. Viveva sempre più in solitudine. Persino i suoi più cari amici facevano fatica a vederlo. Amaldi che si doleva di un suo certo allontanamento dall’attività di ricerca ricorda: «i suoi interessi filosofici si erano fortemente accentuati tanto da meditare a fondo le opere di vari filosofi, in particolare quelle di Schopenhauer». Il 25 marzo del 1938 parte da Napoli in nave per Palermo. Ha con sé parecchio danaro ed il passaporto. Scrive una lettera a Carrelli, direttore dell’istituto di fisica, in cui manifesta propositi suicidi. Giunto a Palermo spedisce un telegramma ancora a Carrelli per smentire la lettera. «Il mare mi ha rifiutato - dice - ...non mi prendere per una ragazza ibseniana...». Riparte da Palermo la sera del 26 e da allora non se ne sa più niente. Le ricerche, sollecitate dalla famiglia e da Enrico Fermi personalmente a Mussolini sono spasmodiche ma non approdano a nulla.
Sono state fatte e vagliate tutte le possibili ipotesi. Anche le più fantasiose. Le più estreme. Si è lanciato in mare tra Palermo e Napoli. Ciò, stante a testimonianze di passeggeri, non potrebbe essere avvenuto che in acque dove, dicono gli esperti, prima o poi le correnti avrebbero restituito il corpo. Si è rifugiato in un convento per meditare sulle conseguenze agghiaccianti degli studi sull’energia atomica che egli avrebbe previsto. Tesi cara a Sciascia, sostenuta in un suo bellissimo libro. Tesi avvalorata da alcuni testimoni. Avrebbe chiesto di fare un esperimento di vita religiosa alla chiesa del Gesù Nuovo e poi al convento di San Pasquale a Portici. La famiglia chiese l’intervento di Papa Pacelli per sapere se non dove fosse, almeno se fosse vivo. Nulla. È andato in Germania perché simpatizzante del nazismo. È scappato in Argentina. Si è rifugiato sulle montagne del Cilento, giura, nel 1993, Andrea Amoresano, un pastore novantenne. Quella del Cilento era una pista già battuta dalla famiglia con convinzione. In realtà ad oggi non si può concludere che con le parole di Fermi: «Majorana, con la sua intelligenza, se avesse deciso di scomparire e di far scomparire il suo cadavere, ci sarebbe riuscito». O con quelle del Fu Mattia Pascal richiamate Erasmo Recami nel suo bel libro Il caso Majorana: «Chissà quanti sono... nelle mie stesse condizioni. Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca, sul parapetto d’un ponte... e, poi, invece di buttarsi giù si va tranquillamente: in America o altrove».
una ricerca al Sant'Anna di Torino
Repubblica, cronaca di Torino 26.10.04
Ricerca del Sant'Anna su un ormone che fa tornare il desiderio sessuale
Un Viagra in aiuto alle donne
Un ginecologo spiega: "Fondamentale una vita di coppia felice ma il farmaco può aiutare"
VERA SCHIAVAZZI
Un ormone per stimolare la parte limbica del cervello e far tornare il desiderio sessuale femminile, scomparso o attenuato. È il farmaco - diverso e innovativo rispetto al "Viagra per signore" che agisce soltanto a livello locale - che verrà sperimentato al Sant'Anna di Torino (unica sede italiana con Pavia) per restituire alle donne ultracinquantenni il diritto ad una vita sessuale più felice. Per trovare le pazienti giuste e sottoporle ad una sperimentazione "in doppio cieco" (le pazienti riceveranno in ambulatorio un cerotto e una pastiglia, ma uno dei due sarà un placebo, l'altro il farmaco vero) la cattedra C del Dipartimento di ginecologia e ostetricia diretta da Chiara Benedetto ha perfino acquistato spazi pubblicitari sui giornali: "Sei una donna in menopausa?", "Molte incontrano un peggioramento nella vita sessuale in confronto ad un'età più giovane...". Il risultato è stato superiore alle previsioni: "Abbiamo più candidate di quante sia possibile accogliere - spiega il sessuologo Franco Mascherpa - Il problema è sentito, anche se l'aspetto principale è emotivo, non fisiologico. Per questo si è deciso di agire proprio sull'aspetto psicologico: medici di tutto il mondo, infatti, hanno verificato empiricamente che le donne che ricevono un certo tipo di trattamento ormonale per la menopausa, già testato e approvato negli Stati Uniti, dichiarano di avere una vita sessuale migliore. Ma non c'è prova di un'azione diretta del farmaco, che viene prescritto per altri scopi come ad esempio attenuare le vampate di calore, sull'aspetto psicologico. Commenta il professor Carlo Campagnoli: «Non c'è alcun motivo fisiologico per il quale dopo la menopausa la vita sessuale delle donne dovrebbe cessare o peggiorare. Fondamentale è la vivacità del rapporto di coppia, ma se un farmaco può essere temporaneamente d'aiuto per farla ripartire, ben venga».
Ricerca del Sant'Anna su un ormone che fa tornare il desiderio sessuale
Un Viagra in aiuto alle donne
Un ginecologo spiega: "Fondamentale una vita di coppia felice ma il farmaco può aiutare"
VERA SCHIAVAZZI
Un ormone per stimolare la parte limbica del cervello e far tornare il desiderio sessuale femminile, scomparso o attenuato. È il farmaco - diverso e innovativo rispetto al "Viagra per signore" che agisce soltanto a livello locale - che verrà sperimentato al Sant'Anna di Torino (unica sede italiana con Pavia) per restituire alle donne ultracinquantenni il diritto ad una vita sessuale più felice. Per trovare le pazienti giuste e sottoporle ad una sperimentazione "in doppio cieco" (le pazienti riceveranno in ambulatorio un cerotto e una pastiglia, ma uno dei due sarà un placebo, l'altro il farmaco vero) la cattedra C del Dipartimento di ginecologia e ostetricia diretta da Chiara Benedetto ha perfino acquistato spazi pubblicitari sui giornali: "Sei una donna in menopausa?", "Molte incontrano un peggioramento nella vita sessuale in confronto ad un'età più giovane...". Il risultato è stato superiore alle previsioni: "Abbiamo più candidate di quante sia possibile accogliere - spiega il sessuologo Franco Mascherpa - Il problema è sentito, anche se l'aspetto principale è emotivo, non fisiologico. Per questo si è deciso di agire proprio sull'aspetto psicologico: medici di tutto il mondo, infatti, hanno verificato empiricamente che le donne che ricevono un certo tipo di trattamento ormonale per la menopausa, già testato e approvato negli Stati Uniti, dichiarano di avere una vita sessuale migliore. Ma non c'è prova di un'azione diretta del farmaco, che viene prescritto per altri scopi come ad esempio attenuare le vampate di calore, sull'aspetto psicologico. Commenta il professor Carlo Campagnoli: «Non c'è alcun motivo fisiologico per il quale dopo la menopausa la vita sessuale delle donne dovrebbe cessare o peggiorare. Fondamentale è la vivacità del rapporto di coppia, ma se un farmaco può essere temporaneamente d'aiuto per farla ripartire, ben venga».
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