venerdì 19 settembre 2003

***Iole Natoli

La Stampa VIVEREROMA 19.9.03

Iole Natoli ha lavorato per Ettore Scola e Bellocchio
«Sono stati loro a convincermi di buttarmi dall’altra parte della cinepresa»
di FRANCESCA BELLINO


Dopo essere stata segretaria di edizione per Ettore Scola e Marco Bellocchio per più di dieci anni, Iole Natoli è passata dall’altro lato della telecamera. Con grande passione e buoni risultati. Il suo ultimo lavoro, un cortometraggio di 28 minuti dal titolo «A un millimetro dal cuore», girato a Roma e auto-prodotto insieme a Francesco Lo Mastro, è stato acquistato dalla distribuzione americana Hipnotic dopo una proiezione al Festival dei corti di Palm Spring in California. «La mia prima esperienza come regista risale a una decina d’anni fa - racconta Iole – Ho realizzato un corto intitolato «Inconclusioni», inserito in «Intollerance», un film di 10 corti prodotto dalla Intelfilm che all’epoca ebbe un gran successo. Poi ho continuato per anni a fare il mio lavoro sui set di Scola e Bellocchio e, a un certo punto, sono stati proprio loro a invogliarmi a provare a fare la regista. Così ho tentato e, da qualche mese, ho deciso che mi ci dedicherò a tempo pieno alla scrittura e alla realizzazione di storie. «Buongiorno, notte» di Bellocchio «è stato il mio canto dei cigno…». Iole dunque mette da parte per il momento il suo ruolo di segretaria di edizione per inseguire il suo sogno di sempre: girare un lungometraggio. L’essere stata «memoria storica» di film girati da grandi maestri, da «Capitan Fracassa» a «Concorrenza sleale» per Scola, e da «Il sogno della farfalla» a «L’ora di religione» per Bellocchio, (che interpreta un insegnante di musica in «A un millimetro dal cuore»), le ha insegnato tanti piccoli e grandi segreti del mestiere. «Scola e Bellocchio sono stati due “maestri involontari” per me – racconta la neo regista - è difficile dire cosa mi hanno insegnato. Forse tutto quello che sono ora perché sul set si ruba esperienza e sapere senza accorgersene. Non ricordo dei consigli in particolare, né da parte di loro due, né da altri registi con cui ho lavorato, come Ricky Tognazzi, Roberto Giannarelli. Io sul set pensavo a portare a termine i miei compiti. Credo però di aver assorbito tante cose e le più importanti sono state senza dubbio il modo di gestire il rapporto con la scena e con gli attori e l’utilizzo della tecnica cinematografica solo come rete alla quale aggrapparsi». «Grazie ai loro stimoli – aggiunge - ho capito che mi piacerebbe concentrare la mia ricerca sull’irrazionale. Mi piace approfondire i temi sociali, i rapporti tra uomo e donna, le evoluzioni interiori, le crescite, i cambiamenti delle persone e io miei primi lavori ne sono un esempio». Iole ha le idee chiare e non è lontana dal suo sogno. Sta ultimando la sceneggiatura del suo primo lungometraggio, «In cantina c’è il sole», scritta a quattro mani con Alberto Consarino. Ha già una troupe pronta e vari amici pronti a scommettere su di lei, tra cui Massimo D’Orzi dell’Associazione Il Gigante di Firenze che, insieme ad altre partnership, finanzierà l’opera.

***a Firenze, martedì 23.9

al FIORELLA ATELIER
"Buongiorno, notte" proiezione con Bellocchio


Marco Bellocchio sarà al cinema Fiorella Atelier martedì 23 settembre alle 22.30, prima dell´ultimo spettacolo, per presentare e discutere il suo ultimo film Buongiorno, notte presente all´ultimo Festival del cinema di Venezia e che tante polemiche ha suscitato sia per l´argomento affrontato (la prigionia di Aldo Moro e le scelte dei suoi carcerieri nella tragica primavera del 1978) sia per il «mancato» premio della giuria veneziana, da molti insistitamente previsto. Visti i posti limitati, la prevendita alla proiezione-incontro avrà inizio alla cassa del Fiorella, in via D´Annunzio, dalle 16 del giorno stesso.

***Gabriele Salvatores (dal Mattino del 19.9.03)

(...)
A Venezia si è detto: il cinema italiano è tornato all’impegno civile. È d’accordo?
«C’è una riscoperta di certi temi, senz’altro positiva. Ho visto ”Buongiorno, notte” di Bellocchio e mi è piaciuto molto, ma non lo definirei un film politico. È una tragedia greca, è Eschilo, è uno sguardo personalissimo su temi archetipici che diventa emozione. Che diventa cinema»

la recensione dell'International Herald Tribune

Friday, September 19, 2003

Movie: 'Buongiorno, notte'
Directed by Marco Bellocchio (Italy)
Reviewed by Roderick Conway Morris International Herald Tribune


On March 16, 1978, in their most brazen attack, the Italian Red Brigades slaughtered Aldo Moro's driver and escort, spiriting away the Christian Democrat leader to a hideout. After 54 days, during which the authorities refused to negotiate with the terrorists, despite Moro's increasingly desperate letters pleading with his friends to intervene to save his life, the gang killed Moro in cold blood and left his body in the back of an abandoned car.
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This notorious episode is the inspiration for Marco Bellocchio's "Buongiorno, notte" (Good Morning, Night). The failure of the film to win the Golden Lion at the Venice film festival this year resulted in a threat from Rai Cinema, the movie wing of the national broadcasting corporation, which put up money for the production, to boycott the Venice festival in the future. However, according to the veteran filmmaker Mario Monicelli, president of the Venice jury, the film was never in the running for the top prize.
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In his director's notes, Bellocchio declares: "Since I'm not a historian, I'm not interested in the truth." Thus, he admits, he felt free to invent characters, situations and dialogue. Bellocchio relates his version through the eyes of a young terrorist, Chiara (Maya Sansa), who is not closely based on any of the actual protagonists.
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But even as a fictional drama the film is less than convincing. The terrorists, who were young, naïve, amazingly self-righteous and suffering from the delusion that their actions would spark off a countrywide revolution, are neither frightening nor frightened enough to be credible. And the suspense that drives classic, semi-fictional political thrillers, such as Costa-Gavras's "Z" and "State of Siege," is fatally lacking here.
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Most damaging of all, however, is a series of whimsical dream sequences, offering an alternative, happy ending. This attempt to graft a feel-good factor onto a grim and brutal incident smacks of willful directorial self-indulgence. And for audiences not familiar with the story, Bellocchio's interpretation of it, which never seems quite sure where it is going, will only serve to confuse.

Marco Bellocchio debutterà nell'opera con una regia verdiana

La Gazzetta di Parma 19.9.03

Nella stagione del Teatro Municipale di Piacenza
Il debutto di Bellocchio
col «Rigoletto» di Verdi


Questa mattina al Circolo della stampa di Milano e nel pomeriggio a Piacenza verrà presentata la Stagione musicale 2003-04 del Teatro Municipale di Piacenza, organizzata dalla Fondazione Arturo Toscanini. Tra i protagonisti della stagione è Marco Bellocchio che firmerà la regia del Rigoletto di Verdi il cui debutto è previsto per il 21 marzo 2004 al Municipale di Piacenza. A Bellocchio abbiamo chiesto come rivolto alcune domande in merito a questa esperienza.

Qual è il suo rapporto con la lirica e, in sintesi, la sua idea registica?

«Il mio rapporto con la lirica è limitato perché, in fondo, la mia conoscenza della lirica si riduce ad una ventina di opere. Però profondo, perché, evidentemente, legato a tutta una serie di cose che si intrecciano con la famiglia, con l'educazione e con Piacenza».

Da giovane ha frequentato le Stagioni liriche piacentine?

«Ma no, una frequentazione più che altro sui dischi. Io al Municipale ho visto poche cose. Evidentemente più che mio padre, mia madre aveva una piccola cultura, perché i suoi parenti di Parma andavano spesso al Teatro Regio, e quella piccola cultura io l'ho acquisita con i dischi. E poi perchè mi sono ritrovato, quando ero ragazzo e poi adolescente, una voce tenorile, per cui cantavo, ma siamo sempre attorno a quella ventina di romanze, mi ricordo che cantavo anche in casa, mio padre diceva: canta !…Poi, improvvisamente ho perso la voce, e, quindi, la lirica poi si è sepolta. Non a caso nel primo film è venuta fuori La Traviata. E poi, cosa vuole, facendo quel documentario sul passato, che mi ha molto coinvolto emotivamente, da parte del Municipale e poi della Toscanini, mi è stato offerto di fare questo Rigoletto. E' chiaro che la regia teatrale sarà una novità assoluta perché, è inutile, il mio sguardo, il mio modo di riprendere e di fare immagini, è cinematografico. E li, invece, ci sarà il palcoscenico, tanto è vero che cercherò di fare degli escamotage: cercherò di fare anche la regia televisiva, e poi, certamente, Il Rigoletto è una delle opere che conosco di più. Però, spero di avere un buon rapporto con il direttore d'orchestra (ancora da definire n.d.r.). Sarà un esperienza nella quale dedicherò il massimo del tempo, anche perché non è che si possa fare per mesi e mesi,come capita nel cinema. Ma, però, nel mese di marzo, cercherò di esserci sempre e d'intervenire, direi, con discrezione».

Anche perché c'è il problema che il mondo della Lirica, specialmente in Italia, non ama molto il regista; ognuno vuole mantenere cristallizzato il materiale lirico della propria memoria, e tutti gli interventi registici, in genere, vengono vissuti con fastidio.

«Infatti, io, questo l'ho sempre pensato. Non ho ancora l'idea di che cosa... però, se ci saranno degli interventi, e spero che ci saranno, mi verranno in mente, saranno, però, sempre abbastanza discreti, tenendo in apparenza una fedeltà all'Opera, nessuna attualizzazione, o velleità, che io trovo appunto velleitarie, spesso. No io voglio stare assai fedele all'Opera. L'ideale, sarebbe per me, di riuscire poi a trovare anche delle varianti, una cifra, delle piccole personalizzazioni. Quello giustificherebbe anche una mia regia. E poi queste cose, ormai lo so anche per esperienza, possono nascere prima, ma anche durante. Per questo ho chiesto il massimo di prove prima di andare in scena. Perlomeno nel teatro, con una serie di collaboratori, un certo tempo. Poi, è chiaro, i cantanti magari verranno dopo».

Marco Bellocchio e il suo film a Bobbio

Libertà 19.9.03

Bellocchio: il trionfo “in casa”
Applausi a Schicchi e alle sorelle Letizia e Mariuccia
di Oliviero Marchesi


Una folla impressionante, una sala esaurita molto prima dell'inizio della serata, i gestori del cinema che - a consolazione degli “esclusi” - promettono che il film sarà rimesso in cartellone. E' partito così l'incontro dell'altra sera con Marco Bellocchio al cinema Le Grazie di Bobbio, che ha visto il regista piacentino rispondere alle domande dei presenti dopo la proiezione di Buongiorno, notte il film sul caso Moro che si avvia a diventare forse il più grande successo commerciale di questo maestro della macchina da presa. La serata, che ha visto un nutrito drappello di autorità seduto in platea (il presidente della Provincia Dario Squeri con gli assessori provinciali Vittorio Anelli e Rossana Mazzoni, il Sindaco di Piacenza Roberto Reggi con l'assessore alla cultura Stefano Pareti, il Sindaco di Bobbio Roberto Pasquali e quello di Travo Annibale Gazzola), era inscritta nel calendario di “Incontri con gli autori”, rassegna collaterale al laboratorio Fare Cinema.
Degli “Incontri con gli autori”, l'abbraccio annuale fra Bellocchio e la “sua” Bobbio è tradizionalmente il momento-clou: e lo è stato più che mai ieri sera, con Letizia e Mariuccia Bellocchio (sorelle di Marco) sedute fra il pubblico, una vera ovazione collettiva per l'attore bobbiese Gianni Schicchi Gabrieli (che ha una parte in questo come in quasi tutti i film di Bellocchio), un'altra per i quattro coristi del Coro Gerberto che fanno la loro apparizione canora in Buongiorno, notte.
La sera prima di questa partita giocata completamente in casa, Bellocchio aveva presentato il film in una serata analoga al cinema Jolly di San Nicolò. Due “dibattiti con l'autore” in due sere consecutive possono sembrare tanti per una provincia, ma non in questo caso: e non tanto per la curiosità del pubblico nei confronti di un artista conterraneo catapultato improvvisamente al centro dell'attenzione nazionale, quanto per le passioni collettive che questa pellicola ha saputo scatenare riaprendo una ferita nazionale vecchia di 25 anni fa Non è un caso che quasi tutti gli interventi degli spettatori (tutti elogiativi) prescindano dalla “fiction” e parlino della storia vera che c'è dietro.
«Nel 1978 ero vicesegretario provinciale della Dc. E posso testimoniare che la base del partito, più dei vertici, voleva che si facesse tutto il possibile per salvare la vita di Moro» dice ad esempio Squeri, sentendosi replicare da Bellocchio che «la politica, in quei tragici giorni, non ebbe la fantasia e il coraggio di pensare a una soluzione diversa da quella che purtroppo divenne realtà». Dichiarandosi influenzato dal sensibile anticonformismo del Leonardo Sciascia di L'affaire Moro, il regista risponde «mi aspettavo che succedesse, ma non fino a questo punto» a chi gli chiede come mai tutti - sulle prime pagine dei grandi quotidiani come nei cinema di provincia - stiano discutendo di questo film quasi dimenticandosi che è un film.


Bobbio premia Bellocchio
L'iniziativa questa sera alle 19,30 in piazza Santa Fata


Bobbio - Verrà premiato a Bobbio questa sera Marco Bellocchio. Dopo la delusione alla Mostra del cinema di Venezia, dove il suo film “Buongiorno notte” non ha ricevuto lo sperato Leone d'oro, la città natale del regista consegna un riconoscimento al famoso concittadino. L'iniziativa viene dalla “Ra Familia Bubièiza”. «Indipendentemente dal risultato ottenuto al festival veneziano, per noi bobbiesi Marco Bellocchio è sempre grande - si esprime il Presidente del sodalizio Maurizio Alpegiani -. L'amicizia che da molti anni mi lega al regista mi consente di ringraziarlo personalmente».
L'appuntamento è per questa sera alle 19,30 in piazza Santa Fata. «Sotto il porticato - spiega Albeggiani - abbiamo organizzato un rinfresco aperto a tutti i bobbiesi, dove saluteremo il regista assieme agli allievi partecipanti al corso “Fare Cinema”, svoltosi in questi giorni. A nome del sodalizio che rappresento, questo incontro intende riconoscere il lavoro di Bellocchio, che con le sue produzioni cinematografiche ha reso famoso il nome della città di Bobbio. Non mancheranno all'incontro gli amici Gianni Schicchi, attore in diversi film del regista, e Beppe Ciavatta».
Lo scorso anno il saluto al regista, che da diversi anni tiene un corso sul cinema nella città della Valtrebbia, era stato organizzato in occasione della polentata in piazza a fine di agosto, sempre su iniziativa della “Familia Bubieisa”.

(c) 1998-2002 - LIBERTA'

da Washington

(ricevuto da Paolo Di Tommaso)

The Washington Post, Stati Uniti
http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A31912-2003Sep18.html
tratto da http://www.italieni.it

Revisionismo psicologico


Il rapimento e l'uccisione da parte della Brigate Rosse del segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro, nel 1978, è stato uno degli eventi più traumatici della vita pubblica italiana. La sua morte ha ispirato una serie di libri, film, saggi e articoli. È l'equivalente italiano dell'assassinio di Kennedy. Il nuovo film di Marco Bellocchio, "Buongiorno, notte", finisce con un sogno in cui Moro è vivo e libero.
È come se l'Italia fosse passata dal revisionismo storico al revisionismo psicologico: nel 1978 la sopravvivenza di Moro non sembrava essere la principale preoccupazione degli italiani. Oggi invece si direbbe che non desiderino altro.

un fondamentale risultato della psicologia universitaria britannica...

La Gazzetta di Parma 19.9.03
Shopping, la coppia scoppia
Lo psicologo: Litigio assicurato dopo 72 minuti


LONDRA - Settantadue minuti: è il tempo massimo in cui un uomo ed una donna possono fare shopping insieme senza litigare. Poi, per evitare il peggio, le coppie dovrebbero separarsi. Le donne sono in grado di continuare a fare spese, per altri 28 minuti, mentre gli uomini a quel punto hanno raggiunto il loro limite di tolleranza. A fare il calcolo dei tempi dello shopping in coppia è stata un'équipe di ricercatori dell'università dell'Exeter (sud-ovest Inghilterra) intervistando un campione di oltre 2000 persone.

«Per molte coppie andare a far compere potrebbe rivelarsi un vero disastro», avverte il coordinatore della ricerca, lo psicologo Tim Denison sottolineando che anche nel girare per negozi uomini e donne si comportano in modo totalmente diverso. I primi _ dice _ escono con un'idea precisa di quello che vogliono acquistare, vanno a cercarlo direttamente dove sanno di poterlo trovare e lo comprano immediatamente, le seconde invece preferiscono girare vari negozi alla ricerca dell'articolo giusto, al prezzo giusto, magari con un'idea imprecisa di quello che vogliono.

Come i nostri antenati cavernicoli, gli uomini sono i cacciatori e le donne le raccoglitrici. Per il maschio lo shopping è come una spedizione di caccia ed il momento clou è quello in cui riesce ad ottenere l'articolo voluto, spiega il ricercatore, raccontando che per rilevare il livello di eccitamento da shopping è stata monitorata la pressione sanguigna dei 2.000 volontari. E' così emerso che la pressione degli uomini saliva più velocemente, ma scendeva subito dopo l'acquisto.

Per le donne invece far compere è un divertimento a cui dedicare parecchio tempo. «La pressione sanguigna delle donne _ ha continuato lo psicologo _ è risultata più lenta a toccare il massimo, ma i livelli di eccitamento sono rimasti più a lungo. Le donne traggono più piacere dall'esperienza». Quanto ai prezzi, gli uomini raramente li confrontano, e finiscono per pagare in media il 10% in più rispetto alle donne per un articolo simile.

Per evitare che un'uscita per le spese si trasformi in un litigio, i ricercatori dell'università britannica suggeriscono quindi alle coppie di concordare prima quello che vogliono comprare e di concentrare la prima ora di shopping sulla ricerca di quanto deciso, poi sarebbe bene dividersi ed incontrarsi di nuovo alla fine della «spedizione» .

materialismo, un libro di un ex militante di Potere Operaio

Galileo 18.9.03
LIBRI
La riconciliazione di storia e biologia
di Beatrice Busi


Paolo Virno
Scienze sociali e "natura umana"
Rubbettino, 2003
pp. 95, euro 6,00


1971, Eindhoven: in un insolito agone televisivo, Noam Chomsky e Michel Foucault discutono di "natura umana". L'americano sostiene l'esistenza di competenze innate e specifiche nell'animale umano e postula l'esistenza di una "grammatica universale" in dotazione alla mente individuale; il francese rifiuta la nozione di "natura umana" e rivendica l'origine storico-sociale e non psicologica della facoltà di linguaggio. Il testo di Paolo Virno parte da quello scontro per andare alla ricerca di una "terza via" capace di riconciliare biologia e storia attraverso la "naturalizzazione delle scienze sociali". "Certo, la facoltà di linguaggio è una dotazione biologica innata. Ma non tutto ciò che è innato ha le prerogative di un istinto univoco e dettagliato. La capacità di parlare, pur essendo congenita, è soltanto potenza. […] Ma l'animale potenziale è un animale non specializzato".

Per sostenere la propria posizione Virno si rivolge alla "tradizione della modestia" inaugurata alla fine del XVIII secolo dalle tesi sulla carenza istintuale dell'animale umano di Johann Gottfried Herder e ripresa nel Novecento dal filosofo Arnold Gehlen. Secondo questa tradizione, l'essere umano è sprovvisto di un contesto vitale specifico, che in zoologia viene definito "ambiente", e anzi si trova a svolgere la propria esistenza in un contesto vitale generico, indeterminato, che in filosofia viene chiamato "mondo". L'essere umano nasce sprovvisto di istinti specializzati e può compensare questa mancanza "originaria" solo attraverso delle "protesi culturali", come la tecnica, il lavoro, le organizzazioni sociali, la comunicazione. In questo senso l'organizzazione delle società tradizionali riflette la tendenza "naturale" dell'animale umano alla costruzione di nicchie pseudoambientali, "in cui predomina la ripetitività, la stanzialità, una rigida divisione delle mansioni (dunque una specializzazione socialmente indotta dell'animale umano, di per sé non-specializzato)".

Virno, che fino qui sembra fornirci una spiegazione naturalistica della frattura tra biologia e storia, subito ci dimostra abilmente che è lo stesso presupposto biologico della non-specializzazione a rendere la dimensione storica necessaria e insopprimibile nell'animale umano. Così come ha una spiegazione storica il ritorno alla ribalta della questione della natura umana negli ultimi vent'anni: "la natura umana torna al centro dell'attenzione, non già perché ci si occupi finalmente di biologia anziché di storia, ma perché i tratti biologici invarianti dell'animale umano hanno assunto un inedito rilievo storico nell'attuale processo produttivo". La fase attuale del capitalismo, comunemente chiamata postfordismo, caratterizzata da enormi fenomeni di migrazione, dalla precarizzazione materiale ed esistenziale della forza-lavoro e dalla continua richiesta di innovazione, ha mandato in pezzi la relativa regolarità degli pseudoambienti tradizionali, facendo riemergere il disambientamento e la sprovvedutezza istintuale dell'essere umano. Lo stesso invariante biologico, ovvero la facoltà di linguaggio come potenza indeterminata e creativa, viene messo al lavoro nell'economia della conoscenza: è come se con il postfordismo fosse ritornata la preistoria. Quindi, per essere all'altezza dei tempi, le scienze sociali devono fare i conti con la stessa "natura umana" oltre che con le sue manifestazioni storiche, politiche e culturali. Il testo di Virno è quindi un originale contributo al rinnovamento della tradizione del materialismo storico e il carattere sperimentale ne rende la lettura piena di suggestioni feconde per la ricerca sociale.

Remo Bodei, immaginazione e realtà

Repubblica 19.9.03

Si apre oggi a modena il festival di filosofia
LE NOSTRE VITE MESSE IN PARALLELO
Il cinema, la tv, internet inoculano passioni e idee
di REMO BODEI


Ciascuno di noi vive nell´immaginazione altre vite, alimentate dai testi letterari e dai media. Per loro tramite tentiamo, da una parte, di porre rimedio alla limitatezza dell´esistenza individuale (segnata dal luogo e dalla data di nascita, dal corpo e dalla famiglia, dalla lingua e dalla società), dall´altra, di contrastare il progressivo restringersi del cono dei possibili nel corso degli anni. Siamo, infatti, costretti a conquistare la nostra identità attraverso scelte dolorose, potando una dopo l´altra le successive ramificazioni del nostro essere e cancellando abbozzi di io che avrebbero potuto consolidarsi.
Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe confinata la nostra vita, per renderla più complessa e robusta, dobbiamo intrecciarla e ricombinarla con quella di altri, servirci dell´immaginazione quale antidoto alla povertà di ogni esperienza singola. Le fiabe, i romanzi, le poesie, i libri di storia, i racconti di viaggio, il teatro, il cinema, la televisione o internet ci stanano dalla chiusura in noi stessi, attivano germi che sono in noi in forma latente, spalancano nuovi mondi, inoculano idee, passioni, sensazioni che altrimenti ci resterebbero precluse.
Spezzoni di vite virtuali emergono certo nei sogni o nelle rêveries, dove spesso riempiamo i vuoti reali con i pieni dettati dalla logica del desiderio. Oppure affiorano nelle leggende che - protetti dall´anonimato - molti si creano nei treni o nei bar delle grandi metropoli, inventandosi biografie alternative. Di norma, tale tipo di fantasticherie deprime e immalinconisce, così come infiacchisce il chiedersi spesso cosa sarebbe accaduto se ci fossimo trovati in circostanze diverse, se avessimo agito in maniera differente o incontrato altre persone: siamo ciò che siamo appunto perché ci siamo imbattuti in quelle circostanze, ci siamo comportati in quel modo e abbiamo incrociato quelle persone.
La grande letteratura plasma invece figure che non rappresentano il mero rovescio egoistico delle nostre carenze (come accade nelle banali rêveries) e neppure i pallidi fantasmi di altre vite desiderabili, evocati dalla vanità ferita o dal rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato (come spesso succede tra viaggiatori o avventori dei bar). Esse hanno una consistenza difficilmente usurabile, una presenza che continua a fermentare in noi. Grazie a queste opere, vivo per procura altre vite parallele, mi immedesimo in più biografie: sono Odisseo, Antigone, Socrate, Cesare, Amleto, l´Innominato, Madame Bovary, Anna Karenina, Hans Castorp.
Nel passato erano soprattutto i modelli imposti dalla politica, dalla religione, dalla filosofia, dalla società o dalla famiglia a forgiare sia l´immaginario che la condotta effettiva degli uomini. Sul piano dell´educazione delle élite, intere generazioni sono cresciute nel culto degli eroi di Plutarco, avendo come vite esemplari da imitare quelle di Alessandro Magno, Caio Gracco, Cesare o Bruto e, come ideali, la gloria, il potere e la virtù. Oppure hanno sviluppato la propensione, così viva nel Medioevo, all´imitatio Christi e alla santità. Tutta la filosofia classica, poi, mirava a convertire la vita, a indicare il cammino dell´individuo verso la felicità e l´autonomia. Solo in seguito - quando nella prima età moderna la conoscenza cominciò ad essere perseguita per se stessa - la vita del singolo fu spesso abbandonata a se stessa. Più il pensiero si affinava e più la vita diventava selvaggia, brada, lasciata alla sua crescita spontanea e non esaminata. Per questo i filosofi moderni poterono separare la loro esistenza dalla loro dottrina: Rousseau, autore dell´Emilio, il più bel trattato di pedagogia, mandò i figli in orfanotrofio e Max Scheler, incontrato in un bordello dal rettore della sua università, stupito che un professore di filosofia morale frequentasse simili luoghi, rispose che i filosofi sono come i cartelli stradali, indicano il cammino, ma non è detto che debbano seguirlo.
In cosa differisce l´immaginario del passato da quello del presente? Oggi è enormemente aumentato il peso della letteratura, dei media e delle arti visive, con l´offerta di un repertorio più vasto e articolato di vite e di esperienze. Del resto, già Madame de Staël aveva affermato che ormai non proviamo nulla che non ci sembri di aver già letto da qualche parte. Con il diffondersi dell´alfabetizzazione e dei mezzi audiovisivi (accessibili anche agli analfabeti) il catalogo delle vite parallele accessibili all´immaginazione coinvolge attualmente miliardi di persone.
L´immaginario si è impastato maggiormente con il quotidiano? Certo il transito dai desideri alla realtà appare ora più praticabile e le vite immaginate più a portata di mano. Questo vale soprattutto per l´Occidente, dove i nuovi eroi sono, in particolare, quanti hanno avuto successo o visibilità nei media. Con l´avvento della democrazia, tutti maturano infatti aspettative adeguate all´ideale eguaglianza, che legittima l´ambizione di ciascuno a superare la propria condizione di partenza per scalare i vertici della piramide sociale. Di fronte al presagibile naufragio di quanti non riusciranno mai a far collimare le vite sognate con la realtà, sono state elaborate molteplici strategie di gestione delle frustrazioni, tra cui l´inflazione di vite parallele.
L´immaginazione agisce quindi solo come un servo-meccanismo di compensazione degli smacchi della sorte? In realtà essa non è sempre consolatoria e viene anzi sempre più coltivata fuori del giardino segreto dell´interiorità. Le fantasie di benessere di certi paesi, veicolate dai film o dalla televisione, spingono, ad esempio, milioni di individui a emigrare, in cerca di una vita migliore e il tasso di immaginazione aumenta da quando, grazie ai mezzi di comunicazione di massa, gli scambi tra le culture si sono intensificati e si è formato un folklore mondiale, che sostituisce, sin dall´infanzia, Topolino o i cartoni animati giapponesi alle favole e ai racconti locali. Quante ore al giorno bambini e adulti passano alla televisione, introiettando centinaia di personaggi e migliaia di trame, che sagomano la loro percezione del mondo?
È possibile salvare il senso della realtà dal rischio della sua dissoluzione nella fantasia? O bisogna invece considerare il principio di irrealtà, la saturazione immaginaria dei possibili come un´esigenza insopprimibile e dai lati positivi? Che il romanzo - e l´immaginazione in genere - possa sviare la mente lo sappiamo già da Cervantes, che attribuisce la follia di Don Chisciotte all´assidua lettura dei romanzi cavallereschi. La salvezza non consiste però nel rifiutare l´esperienza dell´irrealtà, nel cercare l´immunità dalla fantasia e dal desiderio. L´ideale sarebbe piuttosto - come in un pianoforte - suonare con la destra, in chiave di violino, la tastiera della realtà, più melodica e continua, e, con la sinistra, in chiave di basso, quella dell´immaginazione, che rappresenta l´accompagnamento necessario, l´integrazione complementare alla realtà.

uno sguardo differente sulla letteratura latina

Repubblica 19.7.03

I GRANDI NEVROTICI DELL´ETÀ CLASSICA
FRANCO MARCOALDI


Pochi possono vantare la conoscenza della poesia latina che ha Luca Canali, traduttore tra gli altri di Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Lucano, Petronio.
Ma a differenza di altri studiosi Canali non si accontenta dell´analisi dell´opera. Vorrebbe andare oltre: penetrare nella psicologia più profonda di questi maestri, nei loro traumi infantili, nei loro incubi ricorrenti, nelle loro turbe e défaillances. Insomma, nella loro vita intima. E visto che gli elementi fattuali di ordine storico non sono sufficienti, si aiuta con la sua fervida immaginazione e con le virtù del narratore, di cui tante volte ha dato prova nel passato.
In Ognuno soffre la sua ombra (Bompiani, pagg. 117, euro 6) mette così sette grandi poeti dell´antichità sul lettino di uno psicoanalista ante litteram, anche in questo caso aiutandosi con figure reali della scienza medica del tempo o ricorrendo al proprio estro. Offrendo da ultimo al lettore altrettanti medaglioni di «grandi nevrotici» dell´età classica: un Catullo dimidiato, lunatico e accidioso; un Lucrezio che combatte il suo umor nero ricorrendo alle sirene della droga; un Virgilio «ombroso fino all´irritabilità»; un Orazio ossessionato dal pensiero della morte; un Properzio incapace di rompere la sterile tenaglia vittima-persecutore; un Lucano affetto da costanti allucinazioni; un Giovenale iroso quant´altri mai.
Tanti colleghi di Canali, a differenza sua accademici implacabilmente occhiuti, probabilmente storceranno il naso per questa operazione che tiene assieme filologia e fantasia, conoscenza e immaginazione. Beh, peggio per loro. Perché è difficile, per il lettore medio, trovare un´occasione altrettanto accattivante per riaccostare con autentico piacere la figura di grandissimi poeti, purtroppo dimenticati tra i libri impolverati delle aule scolastiche.
Non soltanto il risultato di questa veloce cavalcata tra i giganti della poesia latina - inframmezzata dall´appropriata citazione di meravigliosi versi - è godibilissima. Di più: la chiave di volta della nevrosi, efficacemente motivata, ci fa sentire questi classici quanto mai vicini. Mostrandoci come essi soffrissero dei nostri stessi mali. E così viene il desiderio di aprire nuovamente, con spirito diverso, il De rerum natura di Lucrezio, le Satire di Orazio...