lunedì 29 novembre 2004

Buongiorno, notte
Marco Bellocchio sul Financial Times

Financial Times 28.11.04
Good Morning, Night **** - NEW

Superb political thriller, plucked from reality. As the Terror followed the Revolution in France, so the Red Brigades followed the upheavals of late-1960s European dissent. Veteran director Marco Bellocchio dramatises the 1978 kidnap and murder of Italian ex- premier Aldo Moro, presenting the student-terrorists in all their cold, sober, Robespierrian fanaticism. The world blares its headlines outside, but to the kidnappers it is just a cacophonous failure to understand.

storie criminali
chiesa cattolica: la persecuzione antisemita

Repubblica 29.11.04
QUEI BATTESIMI IMPOSTI

La Chiesa e le forzate conversioni degli ebrei
Una storica elenca e analizza i vari episodi di illibertà e di antisemitismo cattolico
Dagli archivi del Sant'Uffizio i documenti su una vicenda che è durata per alcuni secoli
Dal Seicento in poi si accentua la pratica di intimidazione psicologica e fisica
L'ossessione di strappare quante più anime possibili alla condanna dell´inferno
di MARCO POLITI

ROMA. Nell'Anno del Signore 1639 l'ebreo Prospero di Tullio accettò l´offerta di un frate che gli aveva promesso di «ben accomodare» uno dei suoi figli e di farlo battezzare personalmente da papa Urbano VIII se lo avesse offerto in conversione a Santa Romana Chiesa. Raccontano le cronache che l'ebreo si pentì subito, affermando che «haveva burlato», ma era troppo tardi. Per la Chiesa il patto era stato stretto e nel cuore della notte il rettore della Casa dei Catecumeni (l´istituto creato per le conversioni di ebrei e infedeli) fece irruzione nel ghetto di Roma in casa di Prospero, esigendo l'nfante. L'ebreo rispose di no. E qui lasciamo la parola direttamente al rettore Remedio Albani, che così replicò: «Io secondo gli ordini datimi (dissi) che in caso non mi ne desse uno de sua volontà, ne havesse presi tutti quelli che havesse giudicato infanti sotto sette anni, e così non volendo detto Prospero darne uno, ordinai alla corte (cioè agli sbirri, ndr) prendesse uno nella culla, dove viddi che era, e un altro putto che giudicai così nella notte non passar sei anni».
I due bambini, nonostante le proteste del padre e della comunità ebraica, finirono battezzati Urbano Urbani e Anna Urbani in onore del pontefice, «a confusione della maledetta e ostinata canaglia Ebraica. Il tutto a lode dell'Onnipotente Dio Trino e Uno».
Storie troppo lontane? Nel 1816 David Citone ebreo ottuagenario romano abbraccia la fede cattolica. «Per disperazione e miseria», cercando un ricovero nella Casa dei Catecumeni: così diranno i suoi correligionari. Perché «illuminato» da Dio, affermerà lui stesso. Non possiamo saperlo. Risulta però che nel novembre di quell'anno «offre» alla Chiesa cattolica la propria moglie e la nipote Giuditta. La moglie gli sottostà. Ma la nipote ha un padre, Graziadio Citone. Inutilmente. Con undici voti su dodici i consultori del Sant'Uffizio decidono che la potestà sulla piccola continua ad essere del nonno e quindi l'«offerta» è valida. Ma c'è un colpo di scena. A dicembre, mentre la causa è ancora in corso, il vecchio nonno viene preso da un colpo apoplettico.
Graziadio Citone assume dunque pienamente la patria potestà e avrebbe il diritto di rifiutare il battesimo forzato della figlioletta. E tuttavia saltano fuori nuovi cavilli giuridici.
Sostengono le autorità ecclesiastiche che nonno Citone è morto cresimato, baciando «con tenerezza» il crocifisso senza aver mai cambiato parere. E, soprattutto, nel momento stesso della sua offerta aveva trasferito di fatto la patria potestà a Santa Madre Chiesa, che ora poteva disporre della piccola Giuditta ben superando l'opposizione disperata del padre ebreo. Così fu. Nel luglio 1817 Giuditta fu battezzata con il placet dei cardinali del Sant'Uffizio.
L´episodio clamoroso, avvenuto dopo la breve emancipazione napoleonica quando ormai si era rafforzata tra gli ebrei la consapevolezza dei diritti naturali e civili, è uno dei tanti, tragici fatti di battesimo forzato emersi dagli archivi del Sant'Uffizio e del Vicariato di Roma grazie alle ricerche della studiosa Marina Caffiero. E Battesimi forzati (Editore Viella, pagg. 352, euro 22) si chiama la sua ultima opera sugli ebrei convertiti nella Roma dei papi.
Molti conoscono la storia di Edgardo Mortara, battezzato di nascosto, tolto ai genitori a Bologna nel 1858 e poi avviato alla carriera ecclesiastica: evento che suscitò uno scandalo internazionale in piena epoca risorgimentale. Ma è storia praticamente rimossa la «caccia alle conversioni» scatenata con crescente pressione dalla fine del Cinquecento sino all'Ottocento.
Una pratica condotta con l'alternarsi di allettamenti e intimidazioni psicologiche, rivolti specialmente su soggetti deboli come donne e bambini, e robustamente accompagnata dagli internamenti forzosi nella Casa dei Catecumeni: ufficialmente per «esplorare la volontà» dei chiamati in causa. Perché - pochissimi lo sanno - esistevano norme papali che prevedevano l'«offerta» alla Chiesa di ignari congiunti da parte di ebrei convertiti. E c'era ancora di più. La possibilità di «denunciare» la supposta volontà di ebrei, espressa in qualsiasi circostanza dinanzi a testimoni. Se ne servivano anche amanti respinti nei confronti di fidanzate riottose.
Marina Caffiero ha scovato negli archivi episodi incredibili, che si inquadrano nell'ossessione della gerarchia cattolica di strappare quante più anime possibili ai «perfidi Ebrei». C'è Ricca, promessa sposa dell'ebreo Giuseppe Limentani, rapita urlante la sera prima delle nozze perché - diceva una denuncia - avrebbe manifestato la volontà di farsi cristiana. C'è Ester Serena, nonna che chiede il battesimo e offre alla fede cristiana non solo le due nipotine di tre e sei anni, ma anche il feto nascituro della nuora incinta. Fidanzate «offerte» a forza dal promesso sposo catecumeno. Madri incinte sottoposte al lavaggio del cervello per convertirsi ed evitare di perdere il figlio subito battezzato appena nato. Nipoti minorenni sequestrate dallo zio e portate alla Case dei Catecumeni. Atti di violenza fisica o spirituale inseriti nel continuo, sottile e ossessivo argomentare sul valore contrattuale irreversibile di una parola detta o sui «poteri» di un parente rispetto ad un altro.
Risorgono dalla polvere degli archivi personalità fiere come la giovane Mazaldò, offerta alla religione cristiana dal coniuge catecumeno Angelo Francese, e che reclusa nella Casa dei Catecumeni si difende in tutti modi. Lanciando qualsiasi oggetto contro chi la vuole indottrinare. La reclusione riuscirà, però, a fiaccarla. «Di feroce leone è diventata mansueta pecora dell'ovile di Gesù Cristo», scrive soddisfatto nel 1770 il cardinale Albani.
Sullo sfondo si agita, tuttavia, una società complessa, documentata con cura ed equilibrio dalla Caffiero. Tra ebrei e cristiani vi sono molti più rapporti e interazioni di quanto la segregazione del ghetto lascerebbe supporre. Cristiani sono gli avvocati che difendono a nome della comunità ebraica le vittime sequestrate. I papi stessi chiamano talvolta a consulto giuridico dei rabbini. I capi della comunità ebraica sono molto meno passivi di quanto una certa pigra storiografia li dipinga. Con il passare degli anni diventano, anzi, sempre più battaglieri. Posizioni divergenti nel trattare gli ebrei si manifestano tra il Vicegerente della diocesi di Roma (responsabile della Casa dei Catecumeni) e il Sant´Uffizio, che a volte si dimostra garantista e dispone la restituzione dei minori sequestrati.
Emerge, comunque, il quadro di un insistente anti-giudaismo, che unisce popolino e alte personalità ecclesiastiche e che invece di diminuire con l´età moderna si acuisce dopo la Rivoluzione francese. Né va sottovalutato il riproporsi insistente e insidioso del mito antiebraico dell´omicidio rituale. Non è del Medioevo ma del 1761 il volume pubblicato a Venezia dal sacerdote Giovanni Pietro Vitti con l´eloquente titolo Memorie storico-cronologiche di vari bambini, ed altri fanciulli martirizzati in odio di nostra fede dagli ebrei, dove si parla di barbari lupi mannari israelitici che impastano il loro cibo di «sangue, ch´a colpi di ferite, e di trafitture, e di spille spremono da quei teneri corpiciuoli (di bimbi cristiani)».
Torrenti di odio e di veleno cattolico che andranno a ingrossare nel Novecento il fiume esiziale dell'antisemitismo propugnato dal nazi-fascismo e dalla destra reazionaria.

pillole...

Repubblica 29.11.04
Pillola della memoria, la grande corsa

Negli Usa è sfida tra scienziati. Tra due anni i primi risultati dei test
Decine di società al lavoro per mettere a punto un farmaco che aiuti a ricordare
I nuovi scenari aperti dagli studi su una piccola lumaca marina, l'aplysia californicus
Secondo alcuni ricercatori perfino la nicotina avrebbe un'influenza sulla memoria
Il neurologo Steven Siegelbaum: "Per chi indaga sulla mente è un periodo esaltante"
Il premio Nobel Eric Kandel: "Ormai la sperimentazione è vicina al traguardo"
di MARY CARMICHAEL

Affermare che l'Aplysia Californicus è una delle creature meno affascinanti della natura è un eufemismo: questa lumaca marina ermafrodita dalla pelle violacea e maculata quando viene disturbata reagisce emettendo un fluido scuro col quale intorbida le acque intorno a sé. Il suo "cervello", se così lo si può chiamare, è straordinariamente elementare, formato soltanto da qualche migliaio di neuroni di grosse proporzioni. Nonostante tutto, però, tra qualche anno molti potranno essere pesantemente in debito nei confronti di questa bruttissima e piccola creatura.
L'Aplysia in effetti appare alquanto insignificante, ma per gli scienziati che auspicano di trovare grazie a lei un farmaco in grado di potenziare la memoria, è un prodigio in miniatura. Grazie alle ricerche neurologiche del premio Nobel Eric Kandel e di altri suoi colleghi, l´elementare sistema nervoso dell'Aplysia sta aiutando gli scienziati a comprendere in che modo la memoria funziona a livello biochimico: è emerso infatti che le molecole della memoria dei lumaconi marini non sono poi così dissimili da quelle degli esseri umani, tanto che oggi queste creature sono al centro di studi volti a mettere a punto dei farmaci che possano un giorno scongiurare la perdita di memoria che moltissime persone si trovano a dover affrontare a mano a mano che invecchiano.
Se si escludono rimedi di dubbia efficacia, attualmente sul mercato non vi è alcuna pillola in grado di migliorare la memoria, ma sono molte le piccole società biotech al lavoro su sostanze messe a punto nel corso di recentissime ricerche. Alcune di esse si trovano già nelle prime fasi della sperimentazione clinica che potrebbero concludersi «entro due anni, se siamo fortunati» come spiega Kandel, attualmente impegnato al centro di medicina della Columbia University (Cumc) e all'Howard Hughes Medical Institute (Hhmi). Alcuni dei farmaci più promettenti hanno preso origine proprio dagli studi condotti sull'Aplysia, mentre altri sono partiti da fattori ancora più inverosimili, come le conseguenze molecolari del fumo, con una particolare attenzione ai recettori che la nicotina prende di mira. (Chi ha mai pensato che potessero esservi dei benefici nel fumo?). «È un periodo molto esaltante per le ricerche sul trattamento della perdita di memoria» commenta Steven Siegelbaum, neurologo presso il Cumc e l'Hhmi. E ora che le sperimentazioni stanno per concludersi, l'entusiasmo è quanto mai alle stelle.
È stato faticoso, lungo e impegnativo arrivare fino a questo punto: i ricercatori ormai sanno per certo che il cervello - che funziona grazie a una sequenza chimica innescata dai neurotrasmettitori - in un primo tempo immagazzina le informazioni a breve termine nella corteccia prefrontale, e in seguito ne trasforma le parti prescelte in ricordi a lungo termine per mezzo dell´ippocampo, una regione vagamente somigliante a un cavalluccio marino che si trova in profondità nelle pieghe del lobo temporale sovrastanti l'orecchio.
Conoscenze di questo tipo erano del tutto impensabili anche soltanto una trentina di anni fa. «La biologia dell´immagazzinamento dei ricordi era davvero una sorta di buco nero per noi», conferma Kandel la cui idea di risolvere un problema complesso studiando un organismo fin troppo elementare fu accolta con enorme scetticismo. Ma con i suoi studi su una lumaca marina, Kandel scoprì effettivamente qualcosa. Poiché i neuroni dell'Aplysia erano così pochi e di così rilevanti dimensioni, egli fu in grado di identificare le singole cellule nervose responsabili dei singoli comportamenti. Le cellule nervose del lumacone risultarono funzionare grazie ad alcuni degli stessi processi biochimici che fanno funzionare i cervelli di animali molto più evoluti. L'Aplysia californicus, insomma, si rivelò essere un ottimo modello per comprendere i processi molecolari della memoria degli esseri umani. Entrambe le specie, infatti, funzionano grazie all'Amp, adenosin-monofosfato ciclico (ciclyc Adenosine Monophosphate) che modula una proteina detta Creb (Cyclic adenosine monophosphate Response-Element Binding protein): quest'ultima sarebbe una sorta di scultore che nel cervello forma i ricordi rimodellandone le sinapsi, i collegamenti tra i neuroni. Trasformazioni nei livelli dell'Amp ciclico - e conseguenti trasformazioni nei livelli di Creb - influenzano la capacità del cervello di rimodellare e riconfigurare le proprie sinapsi. Meno Creb equivale a meno capacità di formare i ricordi. Il risultato pratico di questa ricerca, così come degli impegnativi test sui topi e sulle cavie, è sfociato nella messa a punto di numerosi nuovi farmaci in corso di perfezionamento presso la Memory Pharmaceuticals, una società fondata tra gli altri da Kandel nel 1998. La sostanza creata in seguito alle scoperte effettuate sull´Aplysia si chiama "Mem1414": poiché l'Amp ciclico, il neurotrasmettitore che determina i livelli di Creb, è solitamente messo fuori uso nel cervello da enzimi detti fosfodiesterasi, l'"Mem1414" inibendo l'attività di questi ultimi incrementa i livelli di Creb, migliorando la memoria a lungo termine nei pazienti che soffrono di disturbi di memoria correlabili all'età avanzata, e allontana altresì le prime fasi dell´Alzheimer, anche se i due disturbi non sono collegati tra loro. Vi sono poi la "Mem1917", una sostanza simile alla 1414, la "MemM1003", che protegge i neuroni dai dannosi accumuli di calcio, e la "Mem3454", una sostanza contro la schizofrenia che prende di mira il recettore che ormai si sa che reagisce anche alla nicotina. I ricercatori ipotizzano che alcuni schizofrenici di fatto allevino i sintomi della loro condizione, compresa la perdita di memoria, autocurandosi con le sigarette.
Le aziende farmaceutiche coinvolte in questi studi sono moltissime. L'Helicon ha un inibitore della fosfodiesterasi tutto suo; la Sention, co-fondata da Mark Bear del Picower Center per l'apprendimento e la memoria del Mit (Massachusetts Institute of Technology), ha messo a punto una sostanza chimica che influisce sull'Amp ciclico e sul Creb. La Cortex Pharmaceuticals, una delle prime società a studiare delle sostanze per il miglioramento della memoria, si sta concentrando altrove, su alcune molecole dette "ampakine" che modulano i "recettori Ampa" nel cervello e che possono rafforzare le sinapsi. Per il momento, i ricercatori sono riluttanti a tessere le lodi di queste sostanze. Ma la corsa alla pillola della memoria, forse, è solo all'inizio.

(copyright Newsweek-la Repubblica traduzione di Anna Bissanti)

Svizzera
ricerca sulle staminali

Repubblica 29.11.04
Il referendum
A favore due votanti su tre, nessun Cantone contrario
Svizzera, sì alla ricerca sulle cellule staminali
di RORY CAPPELLI

ROMA - L´esito non era scontatissimo, nonostante governo e maggioranza avessero raccomandato agli elettori di rispondere sì a tutti e tre i quesiti del referendum: ricerca sulle cellule staminali, nuova perequazione finanziaria tra i cantoni; e nuovo regime finanziario. E per la ricerca sulle cellule staminali non lo era anche perché, come del resto in altre regioni d´Europa e negli Stati Uniti, ancora fortissime sono le resistenze all´uso di embrioni umani nella ricerca. In Svizzera le proteste erano guidate da movimenti come l´Appel de Bale, che l´ha lanciato; da antiabortisti; da alcuni ecologisti; e dalla Conferenza svizzera dei vescovi. Ma il risultato è stato un secco 66,4% di voti favorevoli, con nessun Cantone contrario, con le votazioni in relativo bilico in un solo cantone, Valais, che ha dato parere positivo con il 53,7% dei voti, mentre a Ginevra il "sì" è stato pronunciato dall´84,6% dei votanti.
Soddisfatti ricercatori e scienziati che paventavano il rischio di rimanere esclusi in un ambito fondamentale per la ricerca che sta avendo, e ancor più avrà in futuro, importanti sviluppi: potenzialmente, infatti, queste cellule sono in grado di dare origine a qualsiasi tessuto o organo e, forse, apriranno nuovi orizzonti per la cura di malattie gravi come l´Alzheimer, le patologie del miocardio, il Parkinson. Anche per l´economia della Svizzera è un traguardo, visto l´alto numero di importanti industrie farmaceutiche nazionali.
Nei cantoni elvetici era in vigore una legge che vietava l´utilizzo a scopo di ricerca di embrioni fecondati che non servivano più per la procreazione: nel 2003, però, era stata approvata dal Parlamento una norma che apriva la possibilità alla ricerca sulle cellule staminali umane a partire proprio dagli embrioni soprannumerari, che in Svizzera, secondo alcune fonti, arrivano a circa 200 l´anno. Norma subito contestata da associazioni di difesa per la vita, ma anche da buona parte della sinistra che temeva, e, come tutti i promotori del referendum, teme ancora, che da tali ricerche si passasse poi alla ricerca sulle tecnologie della clonazione. Secondo la vecchia legge gli embrioni soprannumerari dovevano essere distrutti: oggi queste cellule estratte da un embrione umano e ancora senza una funzione precisa, potranno essere sviluppate in, per esempio, cellule del cuore, del cervello oppure del fegato.
Tra le condizioni della legge, quella che prevede il consenso scritto dei genitori donatori degli embrioni; quella che stabilisce l´esistenza di uno specifico progetto di ricerca che dovrà essere certificato per la sua validità scientifica ma anche per il suo rispetto dell´etica; quella secondo la quale non ci dovranno essere alternative al progetto di ricerca presentato; e quella che obbliga ad utilizzare cellule embrionali non hanno più di sette giorni di sviluppo. Un´importante restrizione è quella che stabilisce che non potranno essere prodotti embrioni per la ricerca; che gli embrioni soprannumerari dovranno essere utilizzati per la ricerca; mentre resterà illegale la commercializzazione delle cellule staminali. Pascal Couchepin, capo del Dipartmento Fédéral Intérieur, ha dichiarato che "questa dimostrazione di fiducia nella ricerca è una risposta di speranza: la speranza di poter, un giorno, guarire malattie fino a oggi incurabili".

lo stress...

La Stampa 29 Novembre 2004
STRESS
di Stefania Miretti

SOTTO Natale (punti 12) il bambino di prima elementare (punti 26) viene strattonato dal corso d'inglese alla lezione di tennis (punti 25) da una mamma appena promossa in ufficio (punti 29) e fresca separata (punti 63) perciò a dieta (punti 15). Al ritorno dalle vacanze (punti 13) la giovane coppia appena sposata (punti 53) scopre di essere in attesa di un figlio (punti 40) e progetta l'acquisto di una casa nuova (punti 20) con conseguente accensione di mutuo ipotecario (punti 31). Un qualunque martedì mattina la nonna da poco rimasta vedova (punti 100) e perciò costretta a modificare alcune abitudini personali (punti 24) si accorge di essersi scordata di pagare in tempo i contributi della badante (punti 11): il fatto che proprio in quei giorni sia cambiato il sacerdote della sua parrocchia parrebbe l'ultimo dei problemi e invece... punti 19.
Non sono numeri da giocare al lotto (e chi volesse farlo, tenga comunque presente che un notevole cambiamento nelle proprie finanze, in peggio o in meglio non c’è differenza, vale un importante: punti 38), ma indicatori del nostro malessere quotidiano. Si chiama Scala di Holmes e Rabe, confidenzialmente «la tabella dello stress», stilata nel 1967 e tutt'ora in auge, nonostante, c'è da supporre, nuove ragioni di malessere e più inquitetanti cambiamenti abbiano fatto irruzione nella vita di quasi tutti noi. Volendo comunque fare un rapido conteggio di quanto siate stressati voi e quanto le persone che vi circondano, compreso il collega di lavoro al quale avete sempre invidiato il proverbiale self control, si tratterà dunque di un calcolo approssimativo per difetto. Perché sappiamo che chi si ammala acquisisce punti 53, chi torna con la moglie 45, che sono da sommarsi e non da sottrarre ai 73 totalizzati quando aveva deciso di divorziare, e che acquistare un'automobile a rate può valere 17 punti stress. Ma quanti ne potrà mai totalizzare il passaggio dalla lira all’euro? La visione degli sgozzamenti in tv? Il crollo delle Torri? Il crac della Parmalat, soprattutto per i piccoli azionisti? In generale, ogni cambiamento che ci veda non attori, ma impotenti e spaventati spettatori?
Fatte le debite supposizioni, in molti di noi s’insinuerà il dubbio che per stare bene convenga non fare assolutamente nulla, o il meno possibile: non innamorarsi e non separarsi, non fare figli e non cambiare casa, non fare carriera, Dio ce ne scampi, e neppure cambiare posto di lavoro; non esagerare con le vacanze, che meno se ne fanno e meno ci si stressa, si sa; e dove possibile passare alla clandestinità onde evitare la questione «pratiche burocratiche», come noto stressantissima. Limitandosi, insomma, a incassare il punteggio base che la vita assegna d'ufficio a ciascuno di noi: i lutti, le perdite, la fine del ciclo riproduttivo e di quello lavorativo, l'alternarsi delle stagioni.
Pare un paradosso, e non lo è. O perlomeno è un paradosso col quale i massimi studiosi di stress vengono quotidianamente a patti: «Complete freedom from stress is death», la libertà totale dallo stress è la morte ha chiarito una volta per tutte Hans Selye, lo scopritore, negli anni Trenta, della Sindrome Generale da Adattamento. E tuttavia tali e tante sono le ricadute sociali ed economiche di questa «non malattia» (ogni anno nei paesi dell'Unione Europea si perdono, per causa dello stress, quasi seicento milioni di giornate di lavoro), che trovare un modo per prevenire e curare lo stress, sia pure parzialmente, è diventato uno degli assilli della società sotto stress.
L’editore Carocci ha appena mandato in libreria un saggio piuttosto esaustivo di Jean-Benjamin Stora, psicanalista, psicosomatista e professore di gestione d’impresa parigino (Lo stress, pp. 130, e11,60). Convinto che lo stress sia la caratteristica delle società industriali evolute, Stora concentra la propria attenzione soprattutto sull’organizzazione del lavoro, sorvegliandone i più recenti cambiamenti: dunque, non solo la sofferenza legata alla carriera o alla frustrazione, ai cambiamenti in generale, ma anche quella causato dal mobbing, dal conflitto tra vita professionale e vita familiare (con particolare attenzione al malessere femminile, dal momento che risulta all’autore del saggio, e non solo a lui, che «le donne, qualunque sia la posizione gerarchica che occupano, siano più stressate dei colleghi maschi e soffrano di maggiori disturbi psicosomatici); sugli effetti delle grandi immigrazioni (la mobilità geografica è considerata fattore di stress che causa malattie mentali e disordini somatici), della crescita della flessibilità (meno ore di lavoro producono aumento dello stress, tra l’altro), della globalizzazione dell’economia che impone alle aziende nuovi metodi di gestione del personale.
I rimedi fino ad ora escogitati dalla società sotto stress per curare se stessa sono noti. Quello farmacologico, soprattutto: il frequente ricorso a vitamine e integratori (accolta la lezione della psicosomatica, pare fondamentale «rafforzare» le difese immunitarie dell’individuo sottoposso a stress), nei casi più blandi; gli psicofarmaci, quando i sintomi diventano più evidenti. Stora annota che nella sola Francia si vendono ogni anno più di 25 milioni di scatole di antidepressivi e 75 milioni di scatole di tranquillanti, un primato europeo che i francesi condividono con i cittadini della Repubblica federale tedesca. Sempre più persone ricorrono poi alle tecniche di rilassamento, mentale e del corpo, molto in voga tra i ceti medio-alti: dallo yoga alla meditazione, dallo stretching al pilates. Altri provano a sopravvivere ai cambiamenti andando alla ricerca «di un senso»: ricerca che, quando non sfocia nella «medicina fai da te», vira verso la frequentazione di astrologi, massaggiatori, erboristi, guru. Cresce infine, in tutto il mondo occidentale, il ricorso alle psicoterapie, nella loro accezione più ampia. Un approccio, quest’ultimo, caldeggiato dall’autore del saggio, che lo consiglia in tutti i casi in cui la situazione di stress si aggrava, e cioè: «la volontà viene meno, l’individuo è colpito dalla percezione della sua impotenza, ferito nel suo amor proprio».
E qui si arriva, o si ritorna, al nodo: è curabile, lo stress? Stora ammette il limite: le armi che abbiamo a disposizione parrebbero perlopiù sintomatiche. «Noi siamo in grado trattare lo stress», afferma, «ma il compito di prevenirlo spetta alla società».
Nell’attesa che venga quel giorno, molti, dopo aver sperimentato i possibili «trattamenti», e aver constatato che inserire anche solo un’ora di nuoto e due di psicoterapia nella propria settimana di cittadino mediamente stressato può far schizzare il punteggio personale a livelli intollerabili, rinunciano a qualunque trattamento. Scelgono di non fare nulla, o comunque il meno possibile, e provano a convivere con la propria «non-malattia», confidando nel fatto che sia cronicizzabile come il diabete. E’ lì, a quel punto, dopo aver perso tre lezioni di yoga per sopraggiunti impegni familiari o lavorativi, dopo aver cercato invano parcheggio nei dintorni dello studio dello psicoanalista, che l’individuo viene «colpito dalla percezione della sua impotenza». Appunto.

i suicidi dei giovani in Giappone

rainet.it 29.11.04
Intervista alla professoressa Flavia Monceri :"Atti simili non fanno parte della cultura orientale"

Il 'pensiero occidentale' dei suicidi collettivi in Giappone

Dal 2003 decine di giovani si danno appuntamento su Internet per suicidarsi. L'esperta: "Non hanno nulla dei kamikaze della seconda guerra mondiale. Penso al mal di vivere occidentale"
Togliersi la vita addormentandosi sotto l'effetto letale del monossido di carbonio. Una pratica che si trasforma in rito collettivo in Giappone.
A grappolo, giovani vite si danno appuntamento via web per incontrarsi in luoghi del tutto anonimi e insieme consumare l'atto estremo del suicidio. Internet diventa il luogo dove ritrovarsi, dentro gli angoli oscuri di forum ristretti a pochi eletti si consuma la tragedia per certi versi inspiegabile di decine di adolescenti che decidono di seguire i propri amici in un gioco che non ammette repliche o ripensamenti.
L'11 febbraio 2003 tre giovani, due ragazzi di 24 anni e una ragazza di 22, si lasciarono asfissiare in auto nella prefettura di Saitama, una serie interminabile di citta' satelliti-dormitorio della metropoli di Tokyo, dove piu' di altre si avverte acutamente l'assenza di relazioni sociali.
Da allora proliferano i siti per aspiranti suicidi, dove ci si scambia liberamente informazioni sui posti e sulle tecniche migliori per morire assieme. '' Cerco ragazzi che vogliono morire con me nel tal giorno, nel tal posto e a questo modo'' e' il tema ricorrente delle decine di avvisi che compaiono giornalmente su questi siti.
Uno di questi siti avrebbe ben 8.500 iscritti. Impossibile prevedere dove e quando si consumera' il prossimo rito. Avvolto nel mistero della impenetrabilita' della psiche degli adepti, apparentemente ragazzi normali, si nasconde la ragione (sempre che ci sia) dei suicidi collettivi.
Flavia Monceri, professoressa di Comunicazione Interculturale a Perugia, esperta di cultura orientale non concede spazi a ipotesi che riconducano a un atteggiamento culturale i suicidi di questi giorni: "Non fa parte della cultura giapponese uccidersi senza un motivo. Anzi, la morte volontaria deve nascere da un profondo senso del dovere verso qualcosa o qualcuno. Penso ai piloti che durante la seconda guerra mondiale si lanciavano contro le portaaerei americane".
Insomma tra le piste che andrebbero escluse c'e' quella che vorrebbe ricondurre queste morti a qualche misterioso risvolto della millenaria cultura orientale. "Mi viene da pensare che dietro questi gesti ci sia un gioco, folle o stupido non importa, e dietro questo gioco vedo la presenza invadente di un pensiero ossessivo 'occidentale' piuttosto che orientale. Il disagio della vita, il desiderio di sentirsi per un attimo protagonisti. Sono cose piu' occidentali che orientali."
Il mal di vivere di questi ragazzi potrebbe avere origine lungo la faglia di contatto tra le due culture, quella della loro tradizionale e l'invasione dell'occidente che ha finito per corrompere modelli di vita, ideali, obiettivi.
La professoressa Monceri sottolinea: "E' vero che il concetto della morte per un giapponese e' molto diversa dalla nostra. Per noi la morte e' vissuta in modo drammatico, a Est invece e' vista come un qualcosa di piu' naturale. E' anche vero che e' tipico della cultura giapponese condividere insieme le esperienze e forse in questo senso potrei leggere la volonta' di uccidersi in compagnia, ma l'atto in se' non ha niente a che fare con il comportamento culturale di un popolo".
Suicidarsi collettivamente non e' una cosa nuova. L'atto piu' clamoroso risale al 19 novembre 1978: il suicidio di massa più impressionante di tutta la storia. In Guyana si tolgono la vita col cianuro i 911 membri della setta "Tempio del popolo", guidati dal fondatore, il reverendo Jim Jones. Le vittime sono 293 donne, 398 uomini e 219 bambini. Il giorno precedente alcuni adepti avevano ucciso cinque persone, tra le quali il senatore statunitense Leo Ryan, che guidava una commissione d'inchiesta sulle condizioni di vita dei discepoli di Jones.

Francia
la religione: nuovo alibi del liberalismo

L'Humanité 27.11.09
La religion : nouvel alibi du libéralisme
Sarkozy veut faire de la religion et du communautarisme la réponse aux ravages de la politique ultralibérale.

D’abord militer comme un beau diable pour décomplexer la droite d’être foncièrement de droite, au sein de l’ex-RPR où subsistaient encore des « compagnons » sociaux-libéraux. C’était dans les années quatre-vingt-dix. Ensuite appliquer à grands pas la politique vouée au fric. C’était en tant que ministre de l’Économie et des Finances. L’étape de la conversion de son camp au libéralisme gagnée, il restait à Nicolas Sarkozy de trouver le remède le plus approprié pour soigner les milliers de victimes de sa politique. Sa pilule miraculeuse se nomme religion. Une logique qui va bien au-delà d’une simple volonté électoraliste dans la perspective des échéances de 2007.
Parfois insidieusement, à d’autres moments sans détours, Nicolas Sarkozy s’en explique longuement dans son livre (1) : « Maintenant que les lieux de culte officiels et publics sont si absents de nos banlieues, on mesure combien cet apport spirituel a pu être un facteur d’apaisement et quel vide il crée quand il disparaît. » Construire des synagogues, des églises et des mosquées devient le nec plus ultra pour réduire la fracture sociale, celle qui sévit particulièrement dans les cités populaires, où les politiques de la ville ont parqué les familles d’origine étrangère, les plus pauvres des plus pauvres. « Je suis convaincu que l’esprit religieux et la pratique religieuse peuvent contribuer à apaiser et à réguler une société de liberté », estime l’homme de Bercy, qui va au bout de sa démarche en proposant aux jeunes comme seule solution de croire en Dieu. Car, écrit-il, « il est préférable que des jeunes puissent espérer spirituellement plutôt que d’avoir dans la tête, comme seule "religion", celle de la violence, de la drogue ou de l’argent ».
Dans son livre, Nicolas Sarkozy s’épanche longuement sur l’islam, insiste lourdement sur « les cinq millions de musulmans », entretenant ainsi sciemment l’amalgame entre l’identité d’une personne et sa religion. Cultivant l’image d’un homme ouvert à l’islam, il peaufine sa stratégie d’implication des musulmans dans son projet d’adaptation politique. Parmi eux, essentiellement les jeunes, de plus en plus séduits par des prédicateurs aux discours intégristes. La seule question qui vaille est de se demander pourquoi en sont-ils arrivés là ? Réduire les problèmes à la seule création de mosquées ou de formation des imams revient à s’abstenir de faire l’analyse des facteurs extra-religieux, telles que les conditions sociales, économiques et aussi historiques. « Ainsi, explique Dounia Bouzar, membre du Conseil français du culte musulman, on islamise le diagnostic social pour éviter de remettre en cause la politique de ghettoïsation des banlieues. » L’anthropologue ajoute : « On peut ériger autant de mosquées que l’on veut, cela ne rétablira jamais l’égalité entre les individus. »
Mais Nicolas Sarkozy sait que son ultralibéralisme engendre, et engendrera de plus belle, de grandes inégalités, que seule la spiritualité pourra soigner. Il appelle les autres politiques à ne pas se contenter de parler « d’économie, de social, d’environnement, de sécurité. Nous devons aussi aborder les questions spirituelles ». Pour Nicolas Sarkozy, « la dimension morale est plus solide, plus enracinée, lorsqu’elle procède d’une démarche spirituelle, religieuse, plutôt que lorsqu’elle cherche sa source dans le débat politique ou dans le modèle républicain ». Au final, il feint de s’interroger si la loi de 1905 sur la séparation de l’Église et de l’État n’est pas « obsolète ». Allant plus loin dans sa stratégie de transformation de la société française, il brise le tabou sur le communautarisme en tentant d’y greffer le modèle américain d’organisation des communautés religieuses.
Mina Kaci

(1) La République, les religions, l’espérance. Éditions du Cerf.

ricevuto da Pino Di Maula

se (e quando) non avete di meglio da fare
ecco un modo per passare 5 minuti - spero - senza annoiarsi troppo...
il pdf pesa un po'....

http://www.clorofilla.it/pdf/vorreimanonposso.pdf
(scorri fino a pagina 3)

http://www.eidenai.it/