La Stampa 29 Novembre 2004
STRESS
di Stefania Miretti
SOTTO Natale (punti 12) il bambino di prima elementare (punti 26) viene strattonato dal corso d'inglese alla lezione di tennis (punti 25) da una mamma appena promossa in ufficio (punti 29) e fresca separata (punti 63) perciò a dieta (punti 15). Al ritorno dalle vacanze (punti 13) la giovane coppia appena sposata (punti 53) scopre di essere in attesa di un figlio (punti 40) e progetta l'acquisto di una casa nuova (punti 20) con conseguente accensione di mutuo ipotecario (punti 31). Un qualunque martedì mattina la nonna da poco rimasta vedova (punti 100) e perciò costretta a modificare alcune abitudini personali (punti 24) si accorge di essersi scordata di pagare in tempo i contributi della badante (punti 11): il fatto che proprio in quei giorni sia cambiato il sacerdote della sua parrocchia parrebbe l'ultimo dei problemi e invece... punti 19.
Non sono numeri da giocare al lotto (e chi volesse farlo, tenga comunque presente che un notevole cambiamento nelle proprie finanze, in peggio o in meglio non c’è differenza, vale un importante: punti 38), ma indicatori del nostro malessere quotidiano. Si chiama Scala di Holmes e Rabe, confidenzialmente «la tabella dello stress», stilata nel 1967 e tutt'ora in auge, nonostante, c'è da supporre, nuove ragioni di malessere e più inquitetanti cambiamenti abbiano fatto irruzione nella vita di quasi tutti noi. Volendo comunque fare un rapido conteggio di quanto siate stressati voi e quanto le persone che vi circondano, compreso il collega di lavoro al quale avete sempre invidiato il proverbiale self control, si tratterà dunque di un calcolo approssimativo per difetto. Perché sappiamo che chi si ammala acquisisce punti 53, chi torna con la moglie 45, che sono da sommarsi e non da sottrarre ai 73 totalizzati quando aveva deciso di divorziare, e che acquistare un'automobile a rate può valere 17 punti stress. Ma quanti ne potrà mai totalizzare il passaggio dalla lira all’euro? La visione degli sgozzamenti in tv? Il crollo delle Torri? Il crac della Parmalat, soprattutto per i piccoli azionisti? In generale, ogni cambiamento che ci veda non attori, ma impotenti e spaventati spettatori?
Fatte le debite supposizioni, in molti di noi s’insinuerà il dubbio che per stare bene convenga non fare assolutamente nulla, o il meno possibile: non innamorarsi e non separarsi, non fare figli e non cambiare casa, non fare carriera, Dio ce ne scampi, e neppure cambiare posto di lavoro; non esagerare con le vacanze, che meno se ne fanno e meno ci si stressa, si sa; e dove possibile passare alla clandestinità onde evitare la questione «pratiche burocratiche», come noto stressantissima. Limitandosi, insomma, a incassare il punteggio base che la vita assegna d'ufficio a ciascuno di noi: i lutti, le perdite, la fine del ciclo riproduttivo e di quello lavorativo, l'alternarsi delle stagioni.
Pare un paradosso, e non lo è. O perlomeno è un paradosso col quale i massimi studiosi di stress vengono quotidianamente a patti: «Complete freedom from stress is death», la libertà totale dallo stress è la morte ha chiarito una volta per tutte Hans Selye, lo scopritore, negli anni Trenta, della Sindrome Generale da Adattamento. E tuttavia tali e tante sono le ricadute sociali ed economiche di questa «non malattia» (ogni anno nei paesi dell'Unione Europea si perdono, per causa dello stress, quasi seicento milioni di giornate di lavoro), che trovare un modo per prevenire e curare lo stress, sia pure parzialmente, è diventato uno degli assilli della società sotto stress.
L’editore Carocci ha appena mandato in libreria un saggio piuttosto esaustivo di Jean-Benjamin Stora, psicanalista, psicosomatista e professore di gestione d’impresa parigino (
Lo stress, pp. 130, e11,60). Convinto che lo stress sia la caratteristica delle società industriali evolute, Stora concentra la propria attenzione soprattutto sull’organizzazione del lavoro, sorvegliandone i più recenti cambiamenti: dunque, non solo la sofferenza legata alla carriera o alla frustrazione, ai cambiamenti in generale, ma anche quella causato dal mobbing, dal conflitto tra vita professionale e vita familiare (con particolare attenzione al malessere femminile, dal momento che risulta all’autore del saggio, e non solo a lui, che «le donne, qualunque sia la posizione gerarchica che occupano, siano più stressate dei colleghi maschi e soffrano di maggiori disturbi psicosomatici); sugli effetti delle grandi immigrazioni (la mobilità geografica è considerata fattore di stress che causa malattie mentali e disordini somatici), della crescita della flessibilità (meno ore di lavoro producono aumento dello stress, tra l’altro), della globalizzazione dell’economia che impone alle aziende nuovi metodi di gestione del personale.
I rimedi fino ad ora escogitati dalla società sotto stress per curare se stessa sono noti. Quello farmacologico, soprattutto: il frequente ricorso a vitamine e integratori (accolta la lezione della psicosomatica, pare fondamentale «rafforzare» le difese immunitarie dell’individuo sottoposso a stress), nei casi più blandi; gli psicofarmaci, quando i sintomi diventano più evidenti. Stora annota che nella sola Francia si vendono ogni anno più di 25 milioni di scatole di antidepressivi e 75 milioni di scatole di tranquillanti, un primato europeo che i francesi condividono con i cittadini della Repubblica federale tedesca. Sempre più persone ricorrono poi alle tecniche di rilassamento, mentale e del corpo, molto in voga tra i ceti medio-alti: dallo yoga alla meditazione, dallo stretching al pilates. Altri provano a sopravvivere ai cambiamenti andando alla ricerca «di un senso»: ricerca che, quando non sfocia nella «medicina fai da te», vira verso la frequentazione di astrologi, massaggiatori, erboristi, guru. Cresce infine, in tutto il mondo occidentale, il ricorso alle psicoterapie, nella loro accezione più ampia. Un approccio, quest’ultimo, caldeggiato dall’autore del saggio, che lo consiglia in tutti i casi in cui la situazione di stress si aggrava, e cioè: «la volontà viene meno, l’individuo è colpito dalla percezione della sua impotenza, ferito nel suo amor proprio».
E qui si arriva, o si ritorna, al nodo: è curabile, lo stress? Stora ammette il limite: le armi che abbiamo a disposizione parrebbero perlopiù sintomatiche. «Noi siamo in grado trattare lo stress», afferma, «ma il compito di prevenirlo spetta alla società».
Nell’attesa che venga quel giorno, molti, dopo aver sperimentato i possibili «trattamenti», e aver constatato che inserire anche solo un’ora di nuoto e due di psicoterapia nella propria settimana di cittadino mediamente stressato può far schizzare il punteggio personale a livelli intollerabili, rinunciano a qualunque trattamento. Scelgono di non fare nulla, o comunque il meno possibile, e provano a convivere con la propria «non-malattia», confidando nel fatto che sia cronicizzabile come il diabete. E’ lì, a quel punto, dopo aver perso tre lezioni di yoga per sopraggiunti impegni familiari o lavorativi, dopo aver cercato invano parcheggio nei dintorni dello studio dello psicoanalista, che l’individuo viene «colpito dalla percezione della sua impotenza». Appunto.