lunedì 26 maggio 2003

Ritalin, un libro

La Repubblica 26.5.03
Autobiografie
Se la cura diventa una droga Diario di una newyorkese
di Alessandra Rota

Il Ritalin è un medicinale che cura l´iperattività. Capita che venga somministrato anche ai ragazzini delle elementari per tenerli tranquilli. Elisabeth Wurtzel non è più una bambina: è bella, bionda, ha 35 anni e ha conosciuto il successo con il libro Prozac Nation, viaggio nell´inferno della depressione metropolitana (il film, con lo stesso titolo, è interpretato da Christina Ricci).
Un giorno il medico le ha prescritto il Ritalin per bilanciare gli effetti degli antidepressivi. Il tunnel Elisabeth lo ha imboccato quando ha provato a sniffarlo invece che a inghiottirlo: otto pillole al giorno inalate con una sporca banconota da venti dollari arrotolata a conetto, le piste sistemate sulla televisione; una pista ogni due ore, poi venti, trenta... Come fosse cocaina. Vertigine, sull´orlo di una felicità (ir)ragiungibile è il lucido racconto di una disperazione consumata ascoltando Brice Springsteen e Neil Young, guardando E.R. e La Dolce Vita di Federico Fellini, provando a finire il saggio da consegnare all´editore.
Meno laido e disperatamente corrotto del mondo descritto da Irving Welsh, lontano dal doppio gioco cronaca-fiction di Bret Easton Ellis, Vertigine è il diario di una newyorkese che il suo "ground zero" lo ha vissuto tra la Florida e il Village, sbriciolando metilfenidato idrocloride.

organicisti anglo-americani...

La Repubblica 26.5.03
Un´asta per avere il cervello del vero "Hannibal il cannibale"
Conteso da scienziati Usa e inglesi. Offerti 38.000 euro E´ gravemente malato
Robert Maudsley, ispiratore del film "Il silenzio degli innocenti", è in carcere da 27 anni. Ha un altissimo quoziente d´intelligenza
Paolo Filo Della Torre

LONDRA - Robert Maudsley, il serial killer famoso per la ferocia dei suoi delitti, è gravemente malato. Gli scienziati inglesi e americani specialisti in ricerche sul sistema cerebrale, vogliono acquistarne il cervello sul quale effettuare esperimenti. Ed è già in corso una macabra asta. Il ministro della Sanità ha ricevuto fino ad ora un´offerta equivalente a 38.000 euro ma si prevedono rilanci fino al doppio della cifra raggiunta.
Maudsley è l´uomo che ha ispirato il personaggio di Hannibal Lecter, nel film "Il silenzio degli innocenti". Non è un criminale come gli altri: pur essendo stato giudicato «malato di mente» quando fu arrestato ventisette anni fa per la prima delle sue quattro uccisioni, ha rivelato negli esami medici ai quali è stato sottoposto un quoziente di intelligenza altissimo. Inoltre è esperto di musica, di poesia e di arte.
A chi lo aveva conosciuto prima del suo arresto, era apparso educato, per nulla violento, addirittura gentile. Quando fu portato dinanzi ai giudici nel 1976, per avere strangolato un operaio, non riuscì a trovare ragioni per il delitto e si disse contrito. Ammise che non c´erano state provocazioni. Non conosceva neppure la sua vittima.
Ma poco dopo essere stato rinchiuso in un carcere equivalente ad un manicomio criminale, a Bradmoor, prese in ostaggio un altro galeotto. Gli spaccò la testa con un bastone, con molta calma gli estrasse il cervello e lo mangiò lentamente con il cucchiaino. Il suo commento: very good, molto buono. Da allora fu sottoposto a sorveglianza speciale ma riuscì a trarre una imboscata ad altri carcerati e ne uccise brutamente altri due. Dopo l´ultimo dei suoi delitti fu messo in isolamento. Due guardiani lo accompagnavano ogni giorno per una passeggiata di un´ora. Lui parlava pochissimo. Da oltre un mese è stato trasferito in infermeria dove è soggetto a controlli medici giornalieri. E´ molto vulnerabile. Ha perso molti chili. Ma spesso rifiuta il cibo. Beve molta acqua e raramente risponde alle domande. Neppure a quelle dei medici. Non sa nulla di ciò che accade fuori, non sa neanche di avere ispirato un film.
Maudsley continua ad ispirare la fantasia popolare. Oltre al film "Il silenzio degli innocenti" sono in programma altre pellicole sulla sua vita fuori dall´ordinario e soprattutto sui fortissimi contrasti nella sua personalità. Tutti vogliono capire se la sua terribile ferocia sia dovuta a suoi istinti o alla sua complessa personalità. Anche il governatore della prigione nella quale "Hannibal" è rinchiuso da 27 anni, non riesce ad dare spiegazioni. Ma ammette che il prigioniero ha rappresentato un pericolo sia per gli altri carcerati che per i guardiani. I suoi comportamenti si erano rivelati spesso «sorprendenti». Anche il suo umore. In certi momenti sembrava sereno e tranquillo. In altri aveva una espressione preoccupata. Forse quelli erano gli attimi nei quali si rendeva conto degli omicidi compiuti. Ma secondo alcuni psicologi che lo hanno esaminato negli ultimi tempi Maudsley puntava sempre a dimenticare i suoi crimini.

l'Observer di Londra: gli antidepressivi spingono alla violenza e al suicidio

La Repubblica 26.5.03
I parenti denunciano: spingono al suicidio. Il governo ordina uno studio
Londra, antidepressivi sotto accusa "Indagine sugli effetti collaterali"
Solo pochi mesi fa gli Usa hanno autorizzato il Prozac anche per i bambini

ROMA - E alla fine, dopo le ripetute segnalazioni di inspiegabili spinte alla violenza a addirittura al suicidi, gli antidepressivi sono finiti sotto "inchiesta". Ci ha pensato il governo inglese, che ha deciso di affidare al Comitato per la sicurezza del farmaco un´indagine volta a verificare appunto gli effetti collaterali degli antidepressivi.
Ne ha dato notizia il settimanale "Observer" di ieri, riferendo che gli esperti governativi avrebbero ceduto alle forti pressioni dell´opinione pubblica, che erano notevolmente cresciute soprattutto dopo un programma dedicato dalla BBC all´argomento. La trasmissione aveva infatti stimolato una serie di telefonate di denuncia da parte di parenti di depressi, dalle quali erano emersi ben 16 casi di suicidio, 47 di tentato suicidio e 92 casi di malati che avevano pensato di compiere atti volenti contro se stessi od altri.
In tutti i casi segnalati i pazienti assumevano antidepressivi del tipo SSRI (selective serotonine reuptake inhibitors), noti anche come "serotoninergici": tra i più noti ci sono il Prozac e lo Seroxat. Solo in Gran Bretagna, scrive l´"Observer", sono state 22 milioni le prescrizioni di antidepressivi lo scorso anno, e la maggior parte di queste erano proprio per farmaci del tipo SSRI.
Al gruppo di studio, che è presieduto dal professor Ian Weller del "Royal Free and University College" di Londra, saranno associati anche alcuni pazienti ed i risultati del lavoro saranno resi totalmente pubblici.
La decisione del governo inglese arriva a pochi mesi dall´autorizzazione americana della somministrazione del Prozac anche ai bambini dagli 8 anni in su. Una notizia che aveva fatto molto scalpore, occupando pagine intere dei giornali, perché la decisione della Food and Drug Administration americana prevede che questi farmaci ora possono essere somministrati anche per il trattamento dei ragazzini con disturbi ossessivo-compulsivi, un problema che negli Usa riguarda ben il 2 per cento degli adolescenti. Una preoccupazione che nasce anche da un effetto collaterale riscontrato dagli stessi studi che hanno costituito la base scientifica per la nuova indicazione dei serotoninergici: i piccoli sui quali i farmaci sono stati sperimentati hanno poi mostrato ritardi nella crescita rispetto al gruppo trattato con il "placebo".
In Italia soffrono di depressione e ansia dai 6 ai 10 milioni di persone. La fascia d´età più colpita è quella tra i 40 e i 50 anni e sono colpite di più le donne degli uomini, rispettivamente nella misura del 20 e del 12 per cento. Tra le donne, in particolare, il problema riguarda l´85 per cento delle neomamme e il 39,4 delle casalinghe.
Anche da noi infine la depressione non risparmia le fasce d´età più giovani: ne soffre il 4-5 per cento degli adolescenti e l´1-2 dei bambini.
(d.d.)

Veronesi, vita morte ateismo. Rossini perplessa...

UMBERTO CHE AMA LE DONNE
Intervista a Veronesi
La vita. La morte. La scienza. La fede. E soprattutto il corpo femminile: "Ne ho a cuore l'integrità", dice l'oncologo, "e mi batto da sempre per tutelarla"
di Stefania Rossini

Ci si aspetta sempre qualche delusione ad avvicinarsi troppo ai grandi contemporanei. Il mito può infrangersi su un dettaglio, scomporsi su una debolezza. Se è vero infatti che nessun uomo è un genio per il proprio cameriere, figuriamoci per il giornalista. Che parte prevenuto, sospettoso, intenzionato a trovare quella crepa che può far vacillare il monumento.
Non va così con Umberto Veronesi. A osservarlo da vicino, a parlare con questo grande vecchio dal corpo ancora atletico e dalla mente senza età, si rinuncia presto alle cattive intenzioni. Da vicino Veronesi non solo conferma la sua bella fama, ma la moltiplica. Il medico ci aveva infatti indotti alla riconoscenza per il dono fatto al corpo delle donne, curandolo dal cancro senza mutilarlo. Il politico ci aveva ammaliato con quella mitragliata di proposte laiche (droghe libere, pillola abortiva, eutanasia, preservativi gratuiti) che lo avevano reso il ministro più popolare dell'ultimo governo di centro-sinistra. Ma l'uomo Veronesi ci regala una sua visione privata del mondo - e del suo senso - altrettanto affascinante. Non c'è una domanda, una sola, a cui Veronesi dia la risposta che darebbe chiunque. Questo anziano scienziato, che compirà presto 78 anni e che ha passato l'esistenza a combattere la morte e la malattia, impersona veramente il contrario del comune sentire. Cioè del conformismo.
Lei, professore, ha toccato come pochi le due grandi energie che muovono il mondo: eros e thanatos. Cominciamo dalla prima. Come mai ha tanto amato il corpo delle donne?
«Ne ho amato l'integrità, che è una delle basi dell'equilibrio del pensiero. Ne ho combattuto l'inutile mutilazione e, quando ho potuto, l'ho sconfitta. Il mio amore per le donne è ideologico, non carnale».
Del corpo femminile ha però scelto il seno.
«Conosco la metafora freudiana e so che chi ama il seno è più attaccato al legame infantile con la madre. Io ho adorato la mia, ne ho profondamente ammirato la forza, la religiosità operosa, la capacità femminile di farsi carico di sei figli orfani di padre. Sono convinto che il senso profondo della mia scelta venga proprio da lì, e questo mi colloca tra gli uomini più evoluti».
Che intende dire?
«Che hanno ragione gli americani quando dividono gli uomini in "tit-man" e "ass-man", quelli che amano le tette e quelli che amano il sedere. Questi ultimi sono alquanto primordiali, vicini ai quadrupedi e ai loro richiami sessuali. Pensi a una vacca: il toro non è certo attratto dalle sue mammelle pendenti, ma dalla rotondità delle natiche».
Invece il "tit-man"?
«Si è messo in piedi e, dalla posizione eretta, ha desiderato frontalmente la donna. Si è così legato ai valori umani della femminilità che sono quelli della procreazione, del nutrimento e dell'allevamento. Il Dna ci dà una sola missione: moltiplicare la specie. Il sogno di un filo d'erba è diventare dieci fili d'erba. Di un bruco diventare dieci bruchi. Di un uomo avere dieci figli».
Lei ha dato un buon contributo...
«Già, con sette figli non ho partecipato al massacro universale della popolazione terrestre».
Quando ha saputo che il suo destino di scienziato si legava al seno?
«Me lo fece capire una giovane paziente che, verso la metà degli anni Sessanta, mi implorò in lacrime di aiutarla. Aveva un piccolo carcinoma e tutti i medici a cui si era rivolta le imponevano l'asportazione totale, altrimenti la mandavano via. Questa era la morale medica: preferire la morte di un paziente alla perdita delle proprie certezze. Ma la ragazza insisteva, doveva sposarsi e sapeva che il rapporto con il partner ne sarebbe stato deteriorato senza scampo».
Senza scampo? Lei ha questa opinione degli uomini?
«Non sempre e non per tutti, fortunatamente. Ma nella maggior parte dei casi un deficit della femmina dà loro un alibi perfetto anche con gli altri, che dicono: "Poveretto, si è dovuto prendere un'altra donna, la moglie ha avuto una mastectomia...". Gli uomini in fatto di sesso sono dei mascalzoni».
Non saranno solo deboli e terrorizzati dal contatto con il dolore?
«Lei è troppo buona. La verità è che l'uomo è poligamo per natura e sfrutta l'occasione di poter spaziare nel mondo femminile con una qualche giustificazione».
Che fine fece quella paziente?
«La operai felicemente. Si sposò ed ebbe molti figli. Quello fu solo il primo passo, il grande studio riconosciuto dall'Organizzazione mondiale della sanità è iniziato dopo, negli anni Settanta. Oggi un medico che facesse una inutile mastectomia sarebbe un criminale».
Non sarà andata sempre così bene. Avrà spesso incontrato anche thanatos, la morte.
«Questa è un'area che tendo a rimuovere, perché la mia è un'esperienza che rende quasi schizofrenico. in me convivono davvero due personalità. La prima si misura in una vita di relazione fatta di volontà, di desiderio di imporre le mie idee nel mondo scientifico e di dare serenità ai miei pazienti».
E l'altra?
«Si nasconde nel mare profondo che si agita dentro di me ed è dominata dal pessimismo più integrale. È la parte che fa perdere le certezze e la fede, che rende nichilisti. Attualmente lo spirito di conservazione fa convivere questi miei mondi. Ogni tanto mi trovo nella disperazione con me stesso, ogni tanto mi rinfranco al pensiero di svolgere un ruolo nello sviluppo di un nuovo pensiero».
Lei che ha visto morire molte persone, può dirlo. Di fronte alla fine, soffre più l'uomo di fede o l'uomo senza fede?
«Se devo dare un giudizio sintetico, non ho dubbi. Muore meglio il paziente senza fede».
È il contrario di quanto si crede...
«Infatti è una credenza senza fondamento. Il laico si sente pienamente un mortale, perché non crede a tutto ciò che la religione gli ha suggerito per consolarlo dell'inesorabilità della fine. Sa che la sua vita è fragile, che deve terminare e vi si prepara nel tempo. Tutti i laici affrontano la morte con distacco, in modo quasi filosofico...».
Posso farle dei nomi che la smentiscono: Pannunzio, Guttuso, Sciascia si sono convertiti in extremis.
«Gli ultimi attimi di vita sono attimi di debolezza e di sconvolgimento totale. Molte cosiddette conversioni si devono allo stordimento dei farmaci, ma anche alle pressioni di chi è intorno al moribondo. Sono sopratutto i familiari a non volersi discostare dalle regole che la società ha codificato intorno alla morte».
Forse perché aiutano a superarne l'impatto.
«È il conformismo che aiuta. Essere nel gruppo e seguirne le regole dà molta sicurezza, purtroppo».
Ma su questo tema lei è davvero così sereno?
«Non ho nessuna paura della morte. Sono sempre stato pronto».
E della malattia, ha paura?
«Neanche. Saprei come combatterla nei suoi aspetti più sgradevoli. Il mio unico grande terrore è quello di perdere le capacità intellettuali. Per sapere se il mio cervello funziona ancora, ogni tanto faccio complicatissimi test di intelligenza. Mi riescono sempre. Naturalmente non li confondo con la creatività, che non appartiene al mondo dell'intelligenza cerebrale, ma a quello della fantasia».
La sua creatività l'ha resa un grande scienziato. Cosa pensa di questa enorme accelerazione dell'autonomia scientifica?
«Ne sono affascinato. Contrariamente a molti, credo che lo scienziato debba avere un suo dovere etico. L'opinione comune è che la scienza non sia né buona né cattiva, e che tutto dipenda dall'uso che se ne fa. Ma l'uomo che ricerca ha la capacità di capire il senso etico di ciò che sta facendo. E di regolarsi di conseguenza».
Non trova però che ci sia un'aspettativa magica nei confronti della scienza? Le si chiede salute, bellezza, immortalità. Non è troppo?
«Perché troppo? Essere sani e belli fa piacere, e anche vivere a lungo è una bella cosa. In quanto all'immortalità, che per ora è una ragionevole aspettativa di vita intorno ai 120 anni, come si fa a non considerarla una conquista?».
E il resto? La clonazione, la duplicazione della vita...
«Questa storia della clonazione è un falso problema. Nessuno penserà mai alla clonazione per avere un figlio, è più facile farlo per via naturale. Se poi una coppia di lesbiche farà una figlia con una madre che dona il Dna e una che dona l'uovo, che sarà mai? Si tratterà al massimo di qualche decina di casi».
Lei che certamente non è un moralista, che pensieri ha sulla guerra che incombe?
«Mix feeling. Questa volta, non riesco a stare con il pacifismo di moda. Ho paura che inconsapevolmente significhi difendere Saddam. E io invece sono un uomo libero, le dittature mi fanno orrore».

Schopenhauer

La Repubblica 26.5.03 Filosofia
Quando Schopenhauer sbottò: "Hegel è un ciarlatano"
di Franco Volpi

«Prima di deridere l´astronomia di Hegel lo scientista dovrebbe immaginare il sorriso di Hegel se lo sentisse parlare di filosofia». Specialmente oggi, questa è la prima raccomandazione da tenere presente nell´accostarsi alla filosofia hegeliana della natura. Perché la tentazione di cadere nello stesso errore dello scientista è grande. In effetti quest´opera ­ parte centrale dell´Enciclopedia delle scienze filosofiche, preceduta dalla Scienza della logica e seguita dalla Filosofia dello spirito (anch´esse tradotte dalla Utet) ­ è stata considerata la parte più caduca del sistema hegeliano. Essa ha qualcosa di artificioso, non vive delle traboccanti intuizioni di Goethe o degli empiti naturalistici del giovane Schelling. Diciamolo pure: possiede ormai, nei suoi contenuti scientifici, un valore prevalentemente storico, tendenzialmente museale.
Già all´epoca, peraltro, l´ammirazione per il vasto sapere messo in campo da Hegel non aveva impedito di rilevare alcuni veri e propri errori in cui egli inciampa. Il giovane Schopenhauer aveva avuto l´ardire di svergognarlo di fronte ai colleghi. Bruciandosi ovviamente la carriera. Scriverà: «Hegel è un ciarlatano, sofista, oscurantista», «uno sciupatore di carta, di tempo, di cervelli». Eppure il philosophus teutonicus per eccellenza rimane un passaggio inevitabile nella storia della filosofia, un pensatore imprescindibile al quale sempre si è tornati e sempre si tornerà. Certo, dopo le sbornie neohegeliane del passato l´interesse per il suo pensiero è rientrato oggi nel suo alveo naturale: la ristretta cerchia degli specialisti. Ma anche nelle facoltà di filosofia Hegel non è più frequentato come un tempo. Eppure la sua filosofia rimane qualcosa di unico e grande: è il tentativo, l´ultimo, di percorrere le mille vie del reale fino ad elevarsi al punto di vista di Dio e comprendere la Totalità. Di dare un nome all´Intero e interpretare tutto come sua necessaria esplicazione.
La presente edizione, che include anche le importanti «Aggiunte», è l´impresa con cui Valerio Verra, compianto grand seigneur della filosofia italiana, ci ha lasciati. Due anni or sono, mentre si accingeva alla correzione delle bozze di questo libro, un improvviso destino lo strappava al suo lavoro.