l'Unità on line 24.12.04
Dalle rotative partigiane ai turisti di via Due Macelli:
i traslochi de l'Unità
di Wladimiro Settimelli
la nuova sede è in via Benaglia 25 - 00153 Roma.
Il nuovo numero di telefono dell'Unità è 06 585571.
Mamma mia il trasloco. Una faticaccia. Come spingere un autobus di linea rimasto senza carburante o far salire su uno sgabello l'elefante. Dunque, da Natale, siamo in via Benaglia al numero 25, tra Viale Trastevere e Porta Portese. Lasciamo la sede di via Due Macelli, a due passi da Piazza di Spagna, per tornare di nuovo in un rione essenzialmente popolare, di ceto medio e impiegatizio. Un po' come nella vecchia sede di via Taurini, in San Lorenzo, dove il giornale era piazzato tra ferrovieri, meccanici, operai e suore. Ma anche studenti universitari, insegnanti e bottegai di antico ceppo. Tutti, comunque, di sicura fede antifascista. La gente di San Lorenzo, come racconta la storia, fu l'ultima che si arrese alle squadracce di Mussolini, nei giorni della cosiddetta marcia su Roma.
Ognuno di noi ricorda i traslochi casalinghi e caserecci. Quelli personali, insomma. Sono una tragedia e, in fondo, lasciano tracce indelebili nel cuore e nel carattere.
I traslochi e i cambi di sede del giornale, hanno, ugualmente, sempre mille incredibili risvolti politici e umani. Semplicemente perché il giornale è una creatura viva, una "cosa" che non si ferma e non può fermarsi mai. Poi, nessuno come i giornalisti, gli amministratori, gli archivisti, i tipografi, i dimafonisti, la segreteria di redazione, i grafici e i creativi, riesce ad accumulare come pochi altri, in ogni sede, vere e proprie montagne di carte, cartelle, giornali, riviste, libri, documenti e materiali vari. Tutto, pare sempre straordinariamente importante, intoccabile, indefettibile, necessario, d'obbligo, non perdibile. Si, certo, come si diceva un tempo, tutti i "luoghi collettivi di lavoro", in caso di trasloco, hanno gli stessi problemi. Ma per il giornale, tutto pare mille volte più complicato, difficile, strano, aggrovigliato. È chiaro perchè: nelle diverse stanze sono stati vissuti, in diretta, avvenimenti indimenticabili, legati alla vita quotidiana, alla vita del mondo, minuto per minuto, ai fatti grandi e piccoli che riguardano tutti, ma che, all'interno del giornale, prendono forma, vengono "composti" e aggiornati fino all'ultimo momento possibile, per poi essere "consegnati" ai lettori. È il fascino della professione, del mondo dei giornali e dei mezzi di comunicazione di massa. "È la stampa bellezza", verrebbe da dire, rifacendosi alla celebre battuta di un celeberrimo film.
Le sedi de l'Unità? I traslochi del giornale? In fondo, a pensarci bene, non sono stati così tanti. Vediamo un po'.
Subito dopo la liberazione di Roma, la redazione viene organizzata e allestita in via IV Novembre dove c'è già una buona tipografia: quella dell'Uesisa. Nella stessa sede trovano posto anche le redazioni de Il Paese, Paese Sera e quella di un noto giornale umoristico. I redattori, sono compagni appena usciti dalla Resistenza. Alcuni hanno fatto parte dei Gap romani e altri sono appena tornati dai Gruppi di combattimento del nuovo esercito italiano. I giornalisti e i politici del Pci che dirigono il giornale, sono personaggi straordinari e coltissimi. Alcuni sono tornati dell'emigrazione antifascisti, altri sono appena usciti dalle carceri e dal confino. Il clima, all'interno del giornale, è di grande entusiasmo. Non esistono le "corte" (i riposi), lo stipendio è quello di un operaio metallurgico e, praticamente, si vive tutto il giorno nelle stanze del giornale. Si fa soltanto politica e tutto è rigoroso, intransigente, pieno di impegno ininterrotto. C'è anche tanta fame. La "causa" richiede questo e altro e non c'è nessuno che si tiri indietro.
Ed ecco, finalmente, nel 1956, la redazione viene trasferita in via dei Taurini 19, a due passi dall'Università, dalla stazione ferroviaria (il giornale veniva spedito con i treni e con i camioncini) e dalla grande caserma dell'aeronautica. Insomma, San Lorenzo. Lo stabilimento, grande ed elegantissimo, è, sulla carta, di proprietà della società Gate, ma appartiene al Pci, come il grande stabilimento della redazione milanese. Tutto è stato costruito con le grandi sottoscrizioni nazionali e con l'aiuto dei compagni di tutta Italia. Forse, come ha sempre detto qualcuno sottovoce, anche con qualche soldo arrivato da Mosca. Chi, come il sottoscritto, ha passato metà della vita nella sede di via Taurini, ha anche visto una bella rotativa arrivata in regalo dall'Unione Sovietica. Una rotativa mai montata e mai resa funzionante. Mancava sempre un pezzo che i compagnucci sovietici non mandavano e non hanno mai mandato perchè il Pci non voleva in alcun modo stare "allineato".
Ed è in via dei Taurini che la redazione e la tipografia sono rimaste fino al 1992. Un palazzo straordinario e incredibile, quello del giornale. All'ultimo piano c'era il barbiere e la mensa (erano i vecchi Bettalli che la gestivano) poi l'ambulatorio medico e sotto, al primo piano, il bar. Diciamolo: tutto era stato concepito e sistemato perchè i compagni giornalisti e i tipografi, potessero rimanere barricati a lungo nel palazzo, in qualunque circostanza. Allora, non c'erano i telefonini, niente computer, niente Internet. Le agenzie di stampa che arrivavano da tutto il mondo, venivano "battute" dalle telescriventi. Anche le foto arrivano e si componevano, ombra dopo ombra, su appositi apparecchi per le telefoto. I cronisti, ascoltavano le comunicazioni della polizia e dei carabinieri con una apposita radiolina, per essere "sul posto prima possibile". Il giornale veniva tutto scritto a macchina, composto dalle linotype su righe di piombo, a caldo e con la fusione. Quasi tutti i titoli erano composti a mano. Le telescriventi, nell'apposita sala, battevano tutto il giorno notizie, con un fracasso infernale. Articoli e notizie venivano dettati agli "stenografi" che "raccoglievano" in apposite cabine insonorizzate e poi traducevano e consegnavano il materiale ai giornalisti addetti.
Gli inviati in paesi lontani, per tanto tempo, hanno continuato a mandare i loro pezzi per telegramma. Un "servizio" veniva diviso in una ventina di telegrammi formulati in poche frasi. Il testo veniva poi "arricchito" e sistemato in redazione. Era un lavoro complesso e delicato. In redazione, i giornalisti lavoravano con le macchine da scrivere alte, grosse e pesanti. I titoli venivano scritti a mano su fogli in tre copie e mandati in tipografia. La tipografia... Un mondo indimenticabile fatto di sapori e di odori, di uomini bravissimi e rapidissimi. I tipografi erano capaci di prendere con le mani interi articoli trasformati in righe di piombo, poggiarli e sistemarli all'interno dei contenitori delle pagine, dove tutto veniva organizzato secondo i "menabò". Con quelle loro pinzette, i tipografi erano rapidissimi nel tagliare gli articoli troppo lunghi o "interlineare" i troppo brevi. Il rapporto con i tipografi era bellissimo: a volte di pieno accordo, a volte conflittuale. Poi c'era la grande rotativa: un mostro smisurato di tre piani di altezza, lunga quanto un peschereccio d'alto mare. A quella macchina, lavoravano tipografi del tutto particolari, addetti anche ai "flani", sui quali veniva "soffiato" il piombo fuso. Erano considerati come i fuochisti dei grandi transatlantici: un po' ribelli e un po'anarchici. Ma c'era il compagno Cima, un ex pugile, che sorvegliava l'andamento del lavoro. Erano tempi d'oro e il sabato e la domenica si "tirava" anche un milione di copie che gli "Amici dell'Unità" portavano in ogni angolo d'Italia e in ogni casa. Quando le tirature erano alte, la rotativa "partiva" verso le 18 e tutto il palazzo tremava per le vibrazioni di quella macchina gigantesca. Venivano in tanti a visitarla. Soprattutto delegazioni di compagni.
In via dei Taurini abbiamo vissuto grandi e piccoli avvenimenti, ma sempre straordinari e indimenticabili. Come quella volta che una delegazione di vietnamiti, piccoli, piccoli, aveva portato in regalo una bandiera da combattimento che era stata stesa sulla macchine della tipografia, tra applausi e abbracci. Il legame fra tutti i giornalisti, i direttori, i tipografi e gli amministrativi, era davvero strettissimo, anche se spesso conflittuale dal punto di vista politico. Quante volte, la notte, siamo scesi davanti al palazzo per difendere dagli assalti fascisti l'Unità e Paese Sera? Tante, tantissime volte. All'ingresso del giornale, c'era uno sportello pieno di bastoni. Il portiere suonava un campanello per avvertire dell'assalto squadrista e tutti correvamo fuori, giornalisti, tipografi e amministrativi, e respingevamo l'attacco fra pugni e bastonate. Anche i "brigatisti rossi" ci hanno assalito tante volte. In via dei Taurini, sono entrati Togliatti, i fratelli Pajetta, Enrico Berlinguer, direttori noti e meno noti, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, attori cinematografici e teatrali, grandi scrittori, Sartre, Neruda, Guttuso e perfino Claudio Villa che arrivava, sereno e sorridente, con la sua potentissima moto.
In via dei Taurini, ho visto, un giorno, Maurizio Ferrara saltare su un tavolo e gridare: "Hanno ammazzato Kennedy, hanno ammazzato Kennedy". In via dei Taurini abbiamo seguito la vittoria del Vietnam,la tragedia di Aldo Moro, le conquiste spaziali russe e americane, il terremoto in Irpinia, la strage alla Stazione di Bologna, quella dell'Italicus e quelle di mafia. Abbiamo seguito, minuto per minuto, l'invasione sovietica di Budapest e Praga, la morte di Stalin, quella di Tito e mille altre tragedie del mondo.
In via dei Taurini, dove passavamo intere giornate, il rapporto tra giornalisti e giornaliste era molto stretto. Ne nacquero matrimoni e grandi amori. Anche tragedie: un giorno la moglie del capo servizio dello sport, fece chiamare il marito in portineria. Quando lui arrivò, lei tirò fuori una pistola dalla borsetta e con tre o quattro colpi lo ammazzò come un cane.
Poi, il grande trasferimento in via Due Macelli, direttore Walter Veltroni. Il palazzo di via dei Taurini era stato venduto insieme alla rotativa. I ricordi di via Due Macelli? Tante e tante notizie e un fatto drammatico e angoscioso: la crisi e la chiusura del giornale. Poi, dopo mille problemi, il rilancio e la coraggiosa e straordinaria rinascita. In via Due Macelli, Veltroni, un giorno, prima della chiusura, aveva scritto e pubblicato un bell'articolo sul centro-sinistra, dando così il via ad una serie di incontri politici ad alto livello. Da quegli incontri e da quell'articolo, era nata, poi, una pianta straordinaria: l' Ulivo. Un grande ed esaltante esperimento politico, una cosa unica che aveva di nuovo coagulato passioni e vittorie.
La pianta era nata proprio nelle stanze della direzione del giornale, tra i fumi e gli odori della cucina cinese del pianterreno e il pubblico snob di Piazza di Spagna che camminava svelto per strada, imboccando spesso la galleria con l'ingresso della redazione. A stagioni alterne, per salire e sedersi alle scrivanie, toccava, a tutti, annaspare e nuotare in mezzo a torme di turisti giapponesi segaligni e frettolosi, ma sempre sorridenti. Certi giorni poi, in via Capo Le Case, bisognava evitare le provocazioni dei cattolici integralisti di "Cristo re", con i loro mantelli neri e le bandiere crociate. Spesso, stazionavano proprio sotto la casa nella quale, durante l'occupazione nazista, il gappista Fiorentini aveva messo a punto il piano di attacco contro la compagnia dei nazisti del "Bozen" che passavano, marciando e cantando, proprio in via Due Macelli, per poi andare ad infilarsi in via Rasella.
Qualcuno dice che il palazzo dove abbiamo "abitato" per diversi anni, non portasse per niente bene. Chissà! Noi, comunque, ce ne siamo andati.