Il Gazzettino 28.4.04 Mercoledì, 28 Aprile 2004
NEL NUOVO CODICE
Nordio: «L'infermità mentale da valutare caso per caso e da curare»
di Maria Pia Codato
Padova. Carlo Nordio, presidente della Commissione ministeriale per la riforma del Codice penale, incaricato di redigere il nuovo progetto, ha dato un'anticipazione sul testo che sarà discusso fra qualche giorno. L'occasione gli è stata offerta dal simposio organizzato (nell'archivio antico del Bo) dall'Università di Padova- Dipartimento di Psicologia generale - sul tema "I paradigmi dell'imputabilità alla luce anche delle nuove acquisizioni della neuropsicologia".«Bisogna innanzitutto premettere il concetto di "punizione". Esistono diverse teorie sul "perchè" si punisce: perchè è stato commesso un reato, al male deve seguire il male, al delitto l'espiazione; per dare un esempio di che cosa accade a chi viola la legge; perchè una persona capisca che ad un reato segue la pena; perchè possa emendarsi sia dal punto di vista morale che da quello sociale; per placare l'allarme sociale altrimenti i cittadini si fanno giustizia da soli. Queste teorie hanno una cosa in comune: presuppongono che vi sia nel soggetto la capacità d'intendere e di volere».Quando si pone, allora, il problema dell'impunibilità?
«Quando il soggetto, nell'attimo in cui compie un reato, non sa quello che fa e non può fare diversamente. In questo caso la punizione è ingiustificata dal punto di vista etico. Un tempo si ricorreva a misure di sicurezza, oggi a quelle di controllo, cura, sostegno. Il Codice Rocco del 1930, anche se è stato modificato in alcuni punti, è ancora attuale. Sostiene che se una persona ha commesso un reato grave e in quel momento era capace d'intendere e di volere è imputabile, altrimenti deve essere mandata in un manicomio, isolata dalla società perchè socialmente pericolosa. Questa rigorosità si è dissolta dalla separazione dei due giudizi: si ritiene che una persona possa essere incapace di intendere e di volere però non essere socialmente pericolosa. Di qui la necessità che il giudice accerti, caso per caso, se vi sia pericolosità sociale e infermità».
Termine, quest'ultimo, che gli psichiatri forensi vorrebbero fosse sostituito con formule alternative come, per esempio, "anomalia psichica", "disturbo psichico". Dottor Nordio, lei per quale ha optato?
«Mi sono attenuto al parere della Società italiana di medicina legale, di Criminologia e di Psichiatria forense le quali, all'unanimità, hanno indicato come unica espressione "infermità". Ho adottato questo termine, anche se un noto psichiatra forense sostiene che è improprio».
Il magistrato veneziano ha concluso sostenendo che la pericolosità di un individuo va valutata volta per volta, che l'infermità deve essere sempre messa in correlazione con il fatto compiuto e ha ribadito che si fa ricorso ad un sistema di controllo, di cura, di sostegno, avendo come obiettivo la guarigione e la rieducazione del soggetto.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
mercoledì 28 aprile 2004
esoterismo 2000
Corriere della Sera 28.4.04
Il Graal, un enigma da 20 secoli. Con decine di teorie
Per la tradizione è il calice in cui venne raccolto il sangue di Gesù. Per alcuni studiosi di esoterismo è un segreto sulla vita di Cristo e significa «sangue reale»
La Storia
di Ranieri Polese
Più di sette milioni di copie negli Stati Uniti; oltre mezzo milione in Italia (Mondadori), vicino al milione in Germania, ecc. ecc. In un solo anno, "Il Codice da Vinci" di Dan Brown si è affermato come il bestseller mondiale numero uno. Che ha appassionato lettori dovunque, ma insieme ha portato al pubblico più vasto argomenti di una discussione storico-teologica che non accenna a finire. Cos’è il mistero del Graal? Perché la Chiesa ha tenuto nascosti gli altri Vangeli? E perché ha sminuito il ruolo di Maria Maddalena, e della donna in genere? Accanto alle folle choccate dalla Passione secondo Mel Gibson, i lettori di Dan Brown costituiscono una variopinta legione di credenti in cerca di nuove verità. Vediamo i punti del Codice da Vinci che hanno suscitato tante domande.
IL GRAAL - Tradizionalmente è identificato con la coppa in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo sulla croce, e che poi portò in Francia. La parola, secondo l'interpretazione più diffusa, verrebbe dal latino gradalis : piatto, coppa. Assente nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli, questo oggetto carico di sacralità appare fra XII e XIII secolo, in poemi scritti nel filone di Re Artù. Delle molte versioni della leggenda, due sono le più importanti, Perceval di Chrétien de Troyes ( prima del 1190) e il Parzivaldel tedesc o Wolfram von Eschenbach (circa 1200-1210). Quest’ultimo introduce una variante: il Graal sarebbe una gemma preziosa; inoltre, nella descrizione dei cavalieri-monaci, Eschenbach appare ispirato dall’esempio dei Templari. Il suo contemporaneo francese Robert de Boron aggiunge un dettaglio: il vaso di Giuseppe d’Arimatea è il calice dell’Ultima Cena.
Riscoperti in età romantica, i poemi del Graal ispirano il poeta Tennyson e i pittori Preraffaelliti. Ma soprattutto è Richard Wagner che con l'ultima sua opera, "Parsifal" (1882), ridà vita alla leggenda. Da Wagner muove le sue ricerche il tedesco Otto Rahn [cfr un altro articolo su Otto Rahn già inserito in "segnalazioni".Ndr], i cui scritti furono usati dalla propaganda nazista. Nel 1920, l’antropologa inglese Jessie Weston descrive il Graal come il lascito di antichi riti pagani della fertilità, travestiti nel Medioevo con elementi cristiani. Dal suo studio avrebbe tratto ispirazione T. S. Eliot per "La terra desolata" (1922).
Nel 1982, tre giornalisti inglesi - Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln - pubblicano "Il Santo Graal". Il testo contiene molte «novità»: a) Graal deriverebbe da Sang Réal, ovvero Sangue Reale; b) non è una coppa o una gemma, ma un segreto che la Chiesa di Roma cercò di occultare: Cristo sposò Maria Maddalena, ne ebbe una figlia, non morì sulla croce, si trasferì con la famiglia in Provenza, da lui deriverebbero i re Merovingi; c) la prima Crociata, guidata da Goffredo di Buglione (discendente dai Merovingi e quindi da Cristo), aveva lo scopo di trovare il segreto nascosto sotto le rovine del Tempio di Gerusalemme; d) custodi del segreto sono stati i Catari, i Templari, i Rosacroce e infine gli adepti della società segreta, il Priorato di Sion (fra i cui maestri figurano Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci, Victor Hugo e Jean Cocteau). Sei anni dopo, Umberto Eco pubblica "Il pendolo di Foucault". Nel 2003, negli Stati Uniti, esce "Il Codice da Vinci" che attinge a piene mani al libro di Baigent-Leigh-Lincoln.
I TEMPLARI - Monaci combattenti, i Cavalieri del Tempio fondarono il loro ordine a Gerusalemme nel 1118, 19 anni dopo la conquista della Città santa. Potenti e temuti, ricchi per lasciti e donazioni, si espansero in tutta Europa. Nel 1307, il re di Francia Filippo il Bello con l’appoggio del Papa, accusò i Templari di eresia, sodomia e riti satanici. Catturati, sottoposti a tortura, molti cavalieri finirono sul rogo. Nel ’700, massoni e illuministi li rivalutarono come martiri del libero pensiero. Secondo vari autori, il segreto dei Templari sarebbe passato ai costruttori di cattedrali (i maçons, da cui la Massoneria) e poi ai Rosacroce del ’600. Anche i Catari, gli eretici del XII-XIII secolo, molto forti in Linguadoca e Provenza, conoscevano il segreto.
GLI ALTRI VANGELI - L'idea di un Cristo diverso dalla tradizione della Chiesa sembrò trovare conferma grazie a due scoperte, quella dei papiri di Nag-Hammadi in Egitto (1945) e poi dei Rotoli del Mar Morto (1947). Si tratta di testi dell’età di Gesù, in particolare quelli egiziani propongono narrazioni della vita del Messia di cui il canone del Nuovo Testamento non serba traccia. C’è un Gesù molto più umano, e Maria Maddalena ha molta più importanza. I Rotoli del Mar Morto, solo da pochi anni messi a disposizione di tutti, addirittura hanno fatto credere a un Gesù affiliato alla setta degli Esseni. Baigent, Leigh e Lincoln usano queste scritture «apocrife» nel loro libro; e lo stesso farà Dan Brown.
MISTERI E BESTSELLER - Con Il Santo Graal del 1982, un nuovo filone d’oro si è aperto per l’editoria mondiale: la storia segreta del mondo, tutto quello che la Chiesa non ci ha mai raccontato, i Quattro Vangeli non sempre avevano ragione. Un fiume in piena che si è arricchito delle riletture della Leggenda del Graal, ha riaperto i processi dei Catari e dei Templari, ha incontrato le rivendicazioni femministe, ha incrociato riti new age. «E’ il filone inarrestabile del Grande Complotto, della Storia Segreta che soddisfa il desiderio di ciascuno di noi di pensare che dietro a ogni avvenimento c’è un direttorio occulto» dice Mario Baudino, che ha da poco pubblicato da Longanesi "Il mito che uccide", documentatissima ricostruzione sulla bizzarra figura di Otto Rahn, che credeva di aver individuato il segreto del Graal nelle grotte dei Pirenei, accanto alle rovine dei castelli catari distrutti dalla Crociata del 1208-29.
Ma cosa c’è di certo? «Niente» risponde Baudino. «Documenti veri non esistono, solo qualche falso ormai smascherato. C’è questo fenomeno di letteratura romanzesca, di avventure, che fa presa sul grande pubblico e produce una serie di seguaci e imitatori». Ma perché il libro sul Graal dell’82 ha avuto meno successo del "Codice da Vinci"? «Penso per la scelta di Leonardo, un pittore e un artista conosciuto da tutti. I tre inglesi, invece, usavano il quadro di Poussin, Pastori d’Arcadia: troppo sofisticato. Dopo che Bill Gates ha ricomprato uno dei codici, Leonardo è diventato famoso come una popstar».
Il Graal, un enigma da 20 secoli. Con decine di teorie
Per la tradizione è il calice in cui venne raccolto il sangue di Gesù. Per alcuni studiosi di esoterismo è un segreto sulla vita di Cristo e significa «sangue reale»
La Storia
di Ranieri Polese
Più di sette milioni di copie negli Stati Uniti; oltre mezzo milione in Italia (Mondadori), vicino al milione in Germania, ecc. ecc. In un solo anno, "Il Codice da Vinci" di Dan Brown si è affermato come il bestseller mondiale numero uno. Che ha appassionato lettori dovunque, ma insieme ha portato al pubblico più vasto argomenti di una discussione storico-teologica che non accenna a finire. Cos’è il mistero del Graal? Perché la Chiesa ha tenuto nascosti gli altri Vangeli? E perché ha sminuito il ruolo di Maria Maddalena, e della donna in genere? Accanto alle folle choccate dalla Passione secondo Mel Gibson, i lettori di Dan Brown costituiscono una variopinta legione di credenti in cerca di nuove verità. Vediamo i punti del Codice da Vinci che hanno suscitato tante domande.
IL GRAAL - Tradizionalmente è identificato con la coppa in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo sulla croce, e che poi portò in Francia. La parola, secondo l'interpretazione più diffusa, verrebbe dal latino gradalis : piatto, coppa. Assente nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli, questo oggetto carico di sacralità appare fra XII e XIII secolo, in poemi scritti nel filone di Re Artù. Delle molte versioni della leggenda, due sono le più importanti, Perceval di Chrétien de Troyes ( prima del 1190) e il Parzivaldel tedesc o Wolfram von Eschenbach (circa 1200-1210). Quest’ultimo introduce una variante: il Graal sarebbe una gemma preziosa; inoltre, nella descrizione dei cavalieri-monaci, Eschenbach appare ispirato dall’esempio dei Templari. Il suo contemporaneo francese Robert de Boron aggiunge un dettaglio: il vaso di Giuseppe d’Arimatea è il calice dell’Ultima Cena.
Riscoperti in età romantica, i poemi del Graal ispirano il poeta Tennyson e i pittori Preraffaelliti. Ma soprattutto è Richard Wagner che con l'ultima sua opera, "Parsifal" (1882), ridà vita alla leggenda. Da Wagner muove le sue ricerche il tedesco Otto Rahn [cfr un altro articolo su Otto Rahn già inserito in "segnalazioni".Ndr], i cui scritti furono usati dalla propaganda nazista. Nel 1920, l’antropologa inglese Jessie Weston descrive il Graal come il lascito di antichi riti pagani della fertilità, travestiti nel Medioevo con elementi cristiani. Dal suo studio avrebbe tratto ispirazione T. S. Eliot per "La terra desolata" (1922).
Nel 1982, tre giornalisti inglesi - Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln - pubblicano "Il Santo Graal". Il testo contiene molte «novità»: a) Graal deriverebbe da Sang Réal, ovvero Sangue Reale; b) non è una coppa o una gemma, ma un segreto che la Chiesa di Roma cercò di occultare: Cristo sposò Maria Maddalena, ne ebbe una figlia, non morì sulla croce, si trasferì con la famiglia in Provenza, da lui deriverebbero i re Merovingi; c) la prima Crociata, guidata da Goffredo di Buglione (discendente dai Merovingi e quindi da Cristo), aveva lo scopo di trovare il segreto nascosto sotto le rovine del Tempio di Gerusalemme; d) custodi del segreto sono stati i Catari, i Templari, i Rosacroce e infine gli adepti della società segreta, il Priorato di Sion (fra i cui maestri figurano Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci, Victor Hugo e Jean Cocteau). Sei anni dopo, Umberto Eco pubblica "Il pendolo di Foucault". Nel 2003, negli Stati Uniti, esce "Il Codice da Vinci" che attinge a piene mani al libro di Baigent-Leigh-Lincoln.
I TEMPLARI - Monaci combattenti, i Cavalieri del Tempio fondarono il loro ordine a Gerusalemme nel 1118, 19 anni dopo la conquista della Città santa. Potenti e temuti, ricchi per lasciti e donazioni, si espansero in tutta Europa. Nel 1307, il re di Francia Filippo il Bello con l’appoggio del Papa, accusò i Templari di eresia, sodomia e riti satanici. Catturati, sottoposti a tortura, molti cavalieri finirono sul rogo. Nel ’700, massoni e illuministi li rivalutarono come martiri del libero pensiero. Secondo vari autori, il segreto dei Templari sarebbe passato ai costruttori di cattedrali (i maçons, da cui la Massoneria) e poi ai Rosacroce del ’600. Anche i Catari, gli eretici del XII-XIII secolo, molto forti in Linguadoca e Provenza, conoscevano il segreto.
GLI ALTRI VANGELI - L'idea di un Cristo diverso dalla tradizione della Chiesa sembrò trovare conferma grazie a due scoperte, quella dei papiri di Nag-Hammadi in Egitto (1945) e poi dei Rotoli del Mar Morto (1947). Si tratta di testi dell’età di Gesù, in particolare quelli egiziani propongono narrazioni della vita del Messia di cui il canone del Nuovo Testamento non serba traccia. C’è un Gesù molto più umano, e Maria Maddalena ha molta più importanza. I Rotoli del Mar Morto, solo da pochi anni messi a disposizione di tutti, addirittura hanno fatto credere a un Gesù affiliato alla setta degli Esseni. Baigent, Leigh e Lincoln usano queste scritture «apocrife» nel loro libro; e lo stesso farà Dan Brown.
MISTERI E BESTSELLER - Con Il Santo Graal del 1982, un nuovo filone d’oro si è aperto per l’editoria mondiale: la storia segreta del mondo, tutto quello che la Chiesa non ci ha mai raccontato, i Quattro Vangeli non sempre avevano ragione. Un fiume in piena che si è arricchito delle riletture della Leggenda del Graal, ha riaperto i processi dei Catari e dei Templari, ha incontrato le rivendicazioni femministe, ha incrociato riti new age. «E’ il filone inarrestabile del Grande Complotto, della Storia Segreta che soddisfa il desiderio di ciascuno di noi di pensare che dietro a ogni avvenimento c’è un direttorio occulto» dice Mario Baudino, che ha da poco pubblicato da Longanesi "Il mito che uccide", documentatissima ricostruzione sulla bizzarra figura di Otto Rahn, che credeva di aver individuato il segreto del Graal nelle grotte dei Pirenei, accanto alle rovine dei castelli catari distrutti dalla Crociata del 1208-29.
Ma cosa c’è di certo? «Niente» risponde Baudino. «Documenti veri non esistono, solo qualche falso ormai smascherato. C’è questo fenomeno di letteratura romanzesca, di avventure, che fa presa sul grande pubblico e produce una serie di seguaci e imitatori». Ma perché il libro sul Graal dell’82 ha avuto meno successo del "Codice da Vinci"? «Penso per la scelta di Leonardo, un pittore e un artista conosciuto da tutti. I tre inglesi, invece, usavano il quadro di Poussin, Pastori d’Arcadia: troppo sofisticato. Dopo che Bill Gates ha ricomprato uno dei codici, Leonardo è diventato famoso come una popstar».
lo sguardo, il vedere, il potere:
Umberto Curi a Firenze
Repubblica Ed. di Firenze 28.4.04
La filosofia come visione il libro di Umberto Curi
Dalla Grecia classica a Orwell l'eterno primato della vista
Una pluralità di testi occidentali che confermano la relazione che esiste fra potere e vedere
Consegnato a miti, filosofie, letterature e arti, il primato della vista si identifica da sempre con il possesso del sapere e l'esercizio del potere. Se in greco antico il lessico del vedere e quello del conoscere sono tutt'uno, e per Platone è "filosofo" chi ama "lo spettacolo della verità", l'equivalenza di teoria e visione che fonda la metafisica occidentale non ha nulla del dato acquietante, anzi si configura come una dolorosa drammaturgia. In un libro che compie un'escursione dalla tragedia a Freud e Orwell, Umberto Curi, storico della filosofia, ospite di "Leggere per non dimenticare" oggi alla Biblioteca comunale (via Sant'Egidio 21, ore 17.30) indaga le ragioni che rendono lo sguardo così potente. Introducono Bruno Accarino e Fabrizio Desideri.
Il testo spazia, in un ampio percorso, dalla mitologia greca a Jeremy Bentham, dal saggio di Freud sul perturbante fino al Big Brother: dalle prime pagine ho scelto le righe che anticipano come il vedere sia sempre carico di potere.
"Nel mondo greco classico, la superiorità della vista rispetto agli altri sensi, e in particolare rispetto all'udito, risulta immediatamente dalla sostanziale identità sussistente fra i termini che designano forme e contenuti del vedere e del conoscere. Direttamente dalla radice greca, o più spesso attraverso la mediazione della lingua latina, quest'uso sopravvive ed è largamente diffuso nelle lingue moderne, dove ciò che è originariamente pertinente alla visione diventa ben presto anche requisito della conoscenza. Così è, ad esempio, per termini italiani come la "chiarezza" o la "perspicuità", o (ancor più nettamente) l'"e-videnza", o per coppie oppositive come "brillante-oscuro", o per metafore come "panoramica" o "illuminazione". Il privilegiamento dell'universo del vedere può essere attribuito ad una convinzione che è profondamente radicata nella tradizione occidentale, fin dalle sue origini nella Grecia arcaica, e che raggiunge poi, sebbene attraverso un itinerario non lineare e assumendo forme differenti, l'età moderna e contemporanea. È possibile attraversare la storia della cultura occidentale soffermandosi su alcune "stazioni", nelle quali più evidente, oltre che teoreticamente più significativo, è l'emergere della forza dello sguardo. Non si tratta soltanto di alcuni importanti documenti del grande repertorio mitologico antico, come quelli riguardanti l'enigmatica figura della Medusa o l'esemplare vicenda del pastore Gige, ma di una pluralità di altri testi - letterari e filosofici, figurativi e cinematografici - i quali pure testimoniano, se adeguatamente interrogati, la persistenza della concezione che riconosce l'inerenza del potere nell'esercizio stesso del vedere. Testi filosofici come la Repubblica di Platone o il Panopticon di Bentham, ma anche scritti come quelli di Freud o il romanzo di Orwell sul Big Brother, possono essere interpretati in questa chiave".
Umberto Curi: La forza dello sguardo, ed. Bollati Boringhieri 2004 € 25,00
La filosofia come visione il libro di Umberto Curi
Dalla Grecia classica a Orwell l'eterno primato della vista
Una pluralità di testi occidentali che confermano la relazione che esiste fra potere e vedere
Consegnato a miti, filosofie, letterature e arti, il primato della vista si identifica da sempre con il possesso del sapere e l'esercizio del potere. Se in greco antico il lessico del vedere e quello del conoscere sono tutt'uno, e per Platone è "filosofo" chi ama "lo spettacolo della verità", l'equivalenza di teoria e visione che fonda la metafisica occidentale non ha nulla del dato acquietante, anzi si configura come una dolorosa drammaturgia. In un libro che compie un'escursione dalla tragedia a Freud e Orwell, Umberto Curi, storico della filosofia, ospite di "Leggere per non dimenticare" oggi alla Biblioteca comunale (via Sant'Egidio 21, ore 17.30) indaga le ragioni che rendono lo sguardo così potente. Introducono Bruno Accarino e Fabrizio Desideri.
Il testo spazia, in un ampio percorso, dalla mitologia greca a Jeremy Bentham, dal saggio di Freud sul perturbante fino al Big Brother: dalle prime pagine ho scelto le righe che anticipano come il vedere sia sempre carico di potere.
"Nel mondo greco classico, la superiorità della vista rispetto agli altri sensi, e in particolare rispetto all'udito, risulta immediatamente dalla sostanziale identità sussistente fra i termini che designano forme e contenuti del vedere e del conoscere. Direttamente dalla radice greca, o più spesso attraverso la mediazione della lingua latina, quest'uso sopravvive ed è largamente diffuso nelle lingue moderne, dove ciò che è originariamente pertinente alla visione diventa ben presto anche requisito della conoscenza. Così è, ad esempio, per termini italiani come la "chiarezza" o la "perspicuità", o (ancor più nettamente) l'"e-videnza", o per coppie oppositive come "brillante-oscuro", o per metafore come "panoramica" o "illuminazione". Il privilegiamento dell'universo del vedere può essere attribuito ad una convinzione che è profondamente radicata nella tradizione occidentale, fin dalle sue origini nella Grecia arcaica, e che raggiunge poi, sebbene attraverso un itinerario non lineare e assumendo forme differenti, l'età moderna e contemporanea. È possibile attraversare la storia della cultura occidentale soffermandosi su alcune "stazioni", nelle quali più evidente, oltre che teoreticamente più significativo, è l'emergere della forza dello sguardo. Non si tratta soltanto di alcuni importanti documenti del grande repertorio mitologico antico, come quelli riguardanti l'enigmatica figura della Medusa o l'esemplare vicenda del pastore Gige, ma di una pluralità di altri testi - letterari e filosofici, figurativi e cinematografici - i quali pure testimoniano, se adeguatamente interrogati, la persistenza della concezione che riconosce l'inerenza del potere nell'esercizio stesso del vedere. Testi filosofici come la Repubblica di Platone o il Panopticon di Bentham, ma anche scritti come quelli di Freud o il romanzo di Orwell sul Big Brother, possono essere interpretati in questa chiave".
Umberto Curi: La forza dello sguardo, ed. Bollati Boringhieri 2004 € 25,00
un salto a Barcellona?
La Stampa 28 Aprile 2004
CINQUE MESI DI EVENTI, MOSTRE E SPETTACOLI
Le voci e il Gigante
di Rocco Moliterni
inviato a BARCELLONA
A vederla a pochi giorni dall’apertura del Forum è una grande sfera di metallo che si apre a spicchi sull’acqua come un’arancia: sarà la struttura portante del Gigante dei Sette Mari, uno dei sei spettacoli permanenti che animeranno fino al 26 settembre la kermesse catalana. Quattro sono invece le grandi mostre allestite nell’area del Forum. La prima, sul tema della diversità, uno degli assi portanti della manifestazione, si chiama Voci, è curata da Vicenç Villatoro, e fa, tra l’altro, sentire come suonano le lingue dei vari paesi del mondo. Dalla Cina arrivano i Guerrieri di Xi’An: la mostra si divide in due sezioni che corrispondono ai due periodi fondamentali della formazione e del consolidamento delle dinastie Qin (221-207 a. C.) e Han (206 a. C.- 220 d.C.). Si vedranno 140 statue che mostrano come la cultura cinese dell’epoca si trasforma nel passare da un periodo di guerra a uno di pace.
Abitare il mondo è la maxi-mostra che su oltre 4 mila metri quadrati cerca di percorrere i vari modi in cui l’uomo ha creato il suo habitat sul nostro pianeta, con i problemi connessi. Vuole evidenziare infatti come le risorse della terra non siano infinite (la sostenibilità è un altro dei temi portanti del Forum) e come questa sia una delle ragioni di conflitto fra i popoli. Alla città come luogo di incontro di culture è infine dedicata la quarta esposizione, con grandi scenografie che ricreeranno angoli di New York, Tokyo e Strasburgo.
Ma il Forum non si esaurirà nell’area lungo il mare, tutta Barcellona ospiterà oltre venti mostre. La più grande, al Museo di storia della città, nel barrio gotico, vedrà arrivare capolavori da tutto il mondo. Si chiama La condizione umana, Il sogno di un’ombra è curata da Pedro Azara, e vuole raccontare come l’umanità nel corso dei secoli ha rappresentato se stessa attraverso le grandi opere d’arte. Tra le centinaia di opere frontoni dei templi greci e De Chirico, statue d’arte africana e fotografie di Cindy Sherman, quadri di Gaspare Traversi e installazioni di Louise Bourgeois.
Tra le altre esposizioni al Centro di Cultura Contemporanea (CCCB) La guerra, racconta come i conflitti sono stati rappresentati dall’uomo. al Museo Picasso Picasso. Guerra e pace. Harald Szeemann è il curatore al Museo Mirò de La bellezza della sconfitta, la sconfitta della bellezza. Bob Wilson ha invece creato le scenografie per l’Immagine del corpo, al museo di cultura precolombiana.
CINQUE MESI DI EVENTI, MOSTRE E SPETTACOLI
Le voci e il Gigante
di Rocco Moliterni
inviato a BARCELLONA
A vederla a pochi giorni dall’apertura del Forum è una grande sfera di metallo che si apre a spicchi sull’acqua come un’arancia: sarà la struttura portante del Gigante dei Sette Mari, uno dei sei spettacoli permanenti che animeranno fino al 26 settembre la kermesse catalana. Quattro sono invece le grandi mostre allestite nell’area del Forum. La prima, sul tema della diversità, uno degli assi portanti della manifestazione, si chiama Voci, è curata da Vicenç Villatoro, e fa, tra l’altro, sentire come suonano le lingue dei vari paesi del mondo. Dalla Cina arrivano i Guerrieri di Xi’An: la mostra si divide in due sezioni che corrispondono ai due periodi fondamentali della formazione e del consolidamento delle dinastie Qin (221-207 a. C.) e Han (206 a. C.- 220 d.C.). Si vedranno 140 statue che mostrano come la cultura cinese dell’epoca si trasforma nel passare da un periodo di guerra a uno di pace.
Abitare il mondo è la maxi-mostra che su oltre 4 mila metri quadrati cerca di percorrere i vari modi in cui l’uomo ha creato il suo habitat sul nostro pianeta, con i problemi connessi. Vuole evidenziare infatti come le risorse della terra non siano infinite (la sostenibilità è un altro dei temi portanti del Forum) e come questa sia una delle ragioni di conflitto fra i popoli. Alla città come luogo di incontro di culture è infine dedicata la quarta esposizione, con grandi scenografie che ricreeranno angoli di New York, Tokyo e Strasburgo.
Ma il Forum non si esaurirà nell’area lungo il mare, tutta Barcellona ospiterà oltre venti mostre. La più grande, al Museo di storia della città, nel barrio gotico, vedrà arrivare capolavori da tutto il mondo. Si chiama La condizione umana, Il sogno di un’ombra è curata da Pedro Azara, e vuole raccontare come l’umanità nel corso dei secoli ha rappresentato se stessa attraverso le grandi opere d’arte. Tra le centinaia di opere frontoni dei templi greci e De Chirico, statue d’arte africana e fotografie di Cindy Sherman, quadri di Gaspare Traversi e installazioni di Louise Bourgeois.
Tra le altre esposizioni al Centro di Cultura Contemporanea (CCCB) La guerra, racconta come i conflitti sono stati rappresentati dall’uomo. al Museo Picasso Picasso. Guerra e pace. Harald Szeemann è il curatore al Museo Mirò de La bellezza della sconfitta, la sconfitta della bellezza. Bob Wilson ha invece creato le scenografie per l’Immagine del corpo, al museo di cultura precolombiana.
Henri Poincaré nasceva 150 anni fa
La Stampa Tuttoscienze 28.4.04
Difese la teoria dei quanti
Poincaré, matematico che tifava per Planck
Fu pioniere della topologia, in meccanica celeste si occupò del problema dei tre corpi, e con Einstein fu un padre della relatività ristretta
Francesco De Pretis (*)
IL 29 aprile saranno centocinquant'anni dalla nascita di Jules Henri Poincaré, una delle più brillanti menti matematiche che la storia della scienza abbia mai conosciuto. Nato a Nancy, città della Lorraine, contesa in quegli anni da francesi e tedeschi, Poincaré dimostrò fin da giovane la sua brillante indole scientifica: discepolo di Charles Hermite, completò gli studi nel 1879 con una memorabile tesi di dottorato sulle equazioni differenziali. Queste equazioni - le cui incognite sono funzioni - erano state trattate sin dalla nascita dell'analisi, già dai suoi fondatori Newton e Leibniz: erano noti metodi di soluzione esatta per particolari classi di queste equazioni ma nessun matematico si era mai posto il problema di creare una teoria che ne affrontasse una trattazione generale: la moderna teoria qualitativa delle equazioni differenziali venne fondata da Poincaré proprio per rispondere a questa esigenza. Il matematico francese introdusse, come soluzioni di equazioni differenziali, nuovi tipi di funzioni trascendenti che chiamò funzioni fuchsiane - in ricordo di Lazarus Fuchs che per primo le aveva studiate - caratterizzate dall'essere invarianti sotto un particolare gruppo di trasformazioni che - con sorpresa dello stesso Poincaré - era identico a quello della geometria non euclidea di Lobatchevsky (della quale, in seguito, fornì un celebre modello bidimensionale): un insospettato legame fra analisi e geometria andava profilandosi. L'approccio geometrico al problema divenne così una costante, un modus operandi che guidò Poincaré nelle sue scoperte: conscio delle importanti ricadute che la geometria aveva avuto nelle proprie ricerche di analisi, per il matematico francese assunse allora importanza determinate l'analysis situs - la moderna topologia - che, nello scritto omonimo del 1895, definì come "la scienza che ci fa conoscere le proprietà qualitative delle figure geometriche, non soltanto nello spazio ordinario ma nello spazio a più di tre dimensioni". La modernità della sua visione è impressionante: Poincaré ridusse i problemi topologici all'algebra, introducendo la nozione di gruppo fondamentale, utilizzato per distinguere le differenti categorie di superfici n-dimensionali: da questa classificazione deriva una congettura che è ancora al centro delle ricerche odierne. Sono da ricordare poi suoi importanti apporti alla teoria dei numeri; con uno scritto del 1883, Poincaré è anche considerato il fondatore dell'Analisi complessa a più variabili: i suoi multiformi interessi però valicarono ben presto la ricerca strettamente matematica per approdare nel campo della fisica. Interessatosi al problema dei tre corpi (come determinare la traiettoria di tre punti materiali - ad esempio il sistema Sole, Terra e Luna - che si attraggono vicendevolmente secondo la legge di gravitazione universale?), lo generalizzò e grazie agli strumenti di analisi che egli stesso aveva approntato, investigò i problemi di stabilità dei modelli che descrivevano il sistema solare: la sua opera "Les méthodes nouvelles de la Mécanique Céleste" (1892-99) è una pietra miliare di quella che oggi definiremo fisica-matematica. Poincaré sostenne con forza e autorevolezza l'ipotesi quantistica di Planck sin dal suo esordio: già nel 1898 si interrogava sulla simultaneità di due eventi temporali e, con lo storico scritto del 1905 "Sur la dynamique de l'éléctron", è considerato, con Einstein e Lorentz, tra i fondatori della relatività ristretta. Consapevole del suo ruolo di uomo di scienza e sempre pronto a interrogarsi sulla ricerca (celebri i suoi saggi di carattere epistemologico) e sul modo di fare ricerca (collaborò anche con psicologi sul tema della "creatività" matematica), Poincaré fu anche pioniere del giornalismo scientifico: scrisse molti articoli di carattere divulgativo quando scrivere di scienza per il grande pubblico non era certo usuale.
(*)Università di Modena
Difese la teoria dei quanti
Poincaré, matematico che tifava per Planck
Fu pioniere della topologia, in meccanica celeste si occupò del problema dei tre corpi, e con Einstein fu un padre della relatività ristretta
Francesco De Pretis (*)
IL 29 aprile saranno centocinquant'anni dalla nascita di Jules Henri Poincaré, una delle più brillanti menti matematiche che la storia della scienza abbia mai conosciuto. Nato a Nancy, città della Lorraine, contesa in quegli anni da francesi e tedeschi, Poincaré dimostrò fin da giovane la sua brillante indole scientifica: discepolo di Charles Hermite, completò gli studi nel 1879 con una memorabile tesi di dottorato sulle equazioni differenziali. Queste equazioni - le cui incognite sono funzioni - erano state trattate sin dalla nascita dell'analisi, già dai suoi fondatori Newton e Leibniz: erano noti metodi di soluzione esatta per particolari classi di queste equazioni ma nessun matematico si era mai posto il problema di creare una teoria che ne affrontasse una trattazione generale: la moderna teoria qualitativa delle equazioni differenziali venne fondata da Poincaré proprio per rispondere a questa esigenza. Il matematico francese introdusse, come soluzioni di equazioni differenziali, nuovi tipi di funzioni trascendenti che chiamò funzioni fuchsiane - in ricordo di Lazarus Fuchs che per primo le aveva studiate - caratterizzate dall'essere invarianti sotto un particolare gruppo di trasformazioni che - con sorpresa dello stesso Poincaré - era identico a quello della geometria non euclidea di Lobatchevsky (della quale, in seguito, fornì un celebre modello bidimensionale): un insospettato legame fra analisi e geometria andava profilandosi. L'approccio geometrico al problema divenne così una costante, un modus operandi che guidò Poincaré nelle sue scoperte: conscio delle importanti ricadute che la geometria aveva avuto nelle proprie ricerche di analisi, per il matematico francese assunse allora importanza determinate l'analysis situs - la moderna topologia - che, nello scritto omonimo del 1895, definì come "la scienza che ci fa conoscere le proprietà qualitative delle figure geometriche, non soltanto nello spazio ordinario ma nello spazio a più di tre dimensioni". La modernità della sua visione è impressionante: Poincaré ridusse i problemi topologici all'algebra, introducendo la nozione di gruppo fondamentale, utilizzato per distinguere le differenti categorie di superfici n-dimensionali: da questa classificazione deriva una congettura che è ancora al centro delle ricerche odierne. Sono da ricordare poi suoi importanti apporti alla teoria dei numeri; con uno scritto del 1883, Poincaré è anche considerato il fondatore dell'Analisi complessa a più variabili: i suoi multiformi interessi però valicarono ben presto la ricerca strettamente matematica per approdare nel campo della fisica. Interessatosi al problema dei tre corpi (come determinare la traiettoria di tre punti materiali - ad esempio il sistema Sole, Terra e Luna - che si attraggono vicendevolmente secondo la legge di gravitazione universale?), lo generalizzò e grazie agli strumenti di analisi che egli stesso aveva approntato, investigò i problemi di stabilità dei modelli che descrivevano il sistema solare: la sua opera "Les méthodes nouvelles de la Mécanique Céleste" (1892-99) è una pietra miliare di quella che oggi definiremo fisica-matematica. Poincaré sostenne con forza e autorevolezza l'ipotesi quantistica di Planck sin dal suo esordio: già nel 1898 si interrogava sulla simultaneità di due eventi temporali e, con lo storico scritto del 1905 "Sur la dynamique de l'éléctron", è considerato, con Einstein e Lorentz, tra i fondatori della relatività ristretta. Consapevole del suo ruolo di uomo di scienza e sempre pronto a interrogarsi sulla ricerca (celebri i suoi saggi di carattere epistemologico) e sul modo di fare ricerca (collaborò anche con psicologi sul tema della "creatività" matematica), Poincaré fu anche pioniere del giornalismo scientifico: scrisse molti articoli di carattere divulgativo quando scrivere di scienza per il grande pubblico non era certo usuale.
(*)Università di Modena
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