lunedì 8 novembre 2004

sinistra
«dobbiamo realizzare un intellettuale collettivo»

una segnalazione di Thomas e di Emiliano Eusepi

L'Unità 8.11.04
Rifondazione
Bertinotti: la sinistra ricostruisca la sua ideologia
[...]

ROMA. La sinistra, dice il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, «ha bisogno di ricostruire una sua ideologia. Da dove partire? Dalla nonviolenza, dall'idea che un nuovo mondo è possibile e dai principi dell'uguaglianza. Dobbiamo realizzare un intellettuale collettivo che sia organico ai movimenti. C'è stata una rivoluzione conservatrice. E cioè l'uscita da destra dal recinto del pensiero unico. Loro dicono: noi siamo il bene, chi si oppone a noi è il male e deve essere demolito. È un'idea estremista del mondo ma è un'idea che li tiene insieme». Secondo Bertinotti, «la nuova destra ha scelto la via della riedizione dello Stato etico». E ora, conclude, «cerca nel sacro la soluzione dei problemi di consenso creati dal neoliberismo»
[...]


Repubblica 8.11.04

Gad, è polemica sul centro
[...]

[...]
La ricetta di Fausto Bertinotti è diversa: «La sinistra ha bisogno di ricostruire una sua ideologia. Da dove partire? Dalla nonviolenza, dall'idea che un nuovo mondo è possibile e dai principi dell'uguaglianza. Dobbiamo realizzare un intellettuale collettivo che sia organico ai movimenti», sostiene il leader di Rifondazione in un'intervista a Liberazione. «C'è stata una rivoluzione conservatrice - prosegue - E cioè l'uscita da destra dal recinto del pensiero unico. Loro dicono: noi siamo il bene, chi si oppone a noi è il male e deve essere demolito. È un'idea estremista del mondo ma è un'idea che li tiene insieme» [...].


Il libro

di Bertinotti-Menapace-Revelli

QUESTO POMERIGGIO
Lunedì 8 novembre
, alle 16.00, nella Sala della Protomoteca del Campidoglio verrà presentato il libro
"Nonviolenza: le ragioni del pacifismo"
(ed. Fazi) di Fausto Bertinotti, Lidia Menapace e Marco Revelli. Ne discuterà con gli autori il sindaco Walter Veltroni. Coordina il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti


7 novembre 2004
LIBERAZIONE A PAGINA 10!
L'UNITÀ A PAGINA 2!

ringraziando Eros Cococcetta ed altri compagni e compagne

L'articolo di pagina 10 di Liberazione del 7 novembre 2004:

Al dibattito sulla nonviolenza il leader comunista avverte sui pericoli della vittoria di Bush
Ingrao: «Ho paura per il mondo come in quei giorni del '42»

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http://www.liberazione.it/giornale/041107/pdf/XX_10-NMO-01.pdf


«Il secolo che abbiamo alle spalle dette l'impressione che Hitler avesse vinto. Mi ricordo quel maggio e giugno in cui pensavamo tutto perduto. Ora è diverso. Però attenti. Negli Usa ha vinto l'uomo della guerra preventiva. Appena usciamo da qua, ricordiamoci, ricordate alla gente questa paura. Ma anche la speranza: la guerra preventiva, noi, i popoli del mondo non la faremo passare. E' questo il mio augurio». E' un Pietro Ingrao molto turbato per le sorti del mondo quello che parla davanti a una platea di duemila persone. Una folla, richiamata dal tema della nonviolenza, che accoglie l'anziano leader della sinistra e il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, con applausi a scena aperta. Li acclama come simboli di una politica non astratta, ma capace di toccare il cuore del cambiamento: la trasformazione prima di tutto, soprattutto dell'essere umano. Ingrao cammina e parla lento. Ma i pensieri vanno veloci, connettono passato e presente: «Ho un ricordo dolce di quel maggio del '45, quando arrivò la notizia che Hitler si era ucciso, che la guerra era finita». Bertinotti si alza e lo abbraccia: insieme hanno lanciato la sfida, il sogno della pratica politica della nonviolenza. Insieme ne costruiscono il ragionamento. «Senza sogni non si vince - dice il segretario del Prc -. Sia la nonviolenza l'inizio del nostro sogno». Le persone presenti in sala si alzano in piedi ad applaudire.

E' venerdì sera a Roma. L'iniziativa è organizzata nel centro Dionisya, presso villa Piccolomini, dalla libreria "Amore e psiche". La libreria ha dodici anni di vita, tutti legati al lavoro trentennale dello psichiatra Massimo Fagioli, alla sua proposta dell'analisi collettiva. Quando Sonia Marzetti e Luca Bonaccorsi iniziano a preparare la serata non pensano a un tale successo. Ma lavorano tosto e a poco a poco le adesioni diventano sempre più numerose, tanto da richiedere una sala più grande. Neanche questa è sufficiente. Nella sala accanto viene allestito uno schermo che trasmette l'incontro in diretta. Da una parte ci sono mille persone, dall'altra altrettante. Quando Bertinotti entra in sala viene accolto con un'ovazione. «Non mi capitava da tanto tempo di essere così emozionato. Di aver paura mi capita spesso, ma di essere così emozionato no». Gli uomini e le donne presenti ridono, ascoltano attenti. Molti di loro hanno letto gli atti del convegno dedicato alla nonviolenza del Prc e il saggio di Bertinotti Per una pace infinita. Fanno domande molto difficili. Chiedono di declinare la nonviolenza in termini filosofici, antropologici, psicoanalitici. Interrogano il confine tra il bene e il male.

In sala sono presenti Fagioli e il regista Marco Bellocchio. E' presente anche la sorella di Ingrao, Giulia. Giulia prende la parola prima di Pietro. Chiede, in modo semplice, netto, una cosa difficilissima, ma non impossibile: far diventare la nonviolenza il punto di partenza per la trasformazione dell'essere umano. E' la richiesta di una politica che tocca il cuore delle cose. La sua identità.

A sdrammatizzare ci pensa Pietro Ingrao: «Perbacco quanto parlate difficile» dice tra le risate liberatorie. E lancia la proposta di raccogliere in un libro gli interventi della serata. Lui ci vuole pensare. Sono questioni grosse che richiedono tempo. Una cosa però ha molto chiara: l'attualità. La preoccupante attualità: «La mia generazione ha commesso degli errori. Ma è stata anche una protagonista importante: della lotta sociale, della pace. E' un impegno che fa onore a questo paese. Ha aiutato a sconfiggere il nazifascismo. Badate: è stata proprio dura. Eravamo a un pelo dalla rovina. Io, ora, mi sento di nuovo in ansia. Sento l'ansia perché vedo tornare un'esperienza umana che ha già stravolto il Novecento. La vittoria di Bush è sconvolgente. Netta. E a me spaventa. Questo uomo è colui che ha compiuto il rilancio grave e terrificante della guerra. La nostra riflessione sulla nonviolenza è chiamata a confrontarsi con questo elemento. Siamo minacciati».

Ritorna il filo rosso della memoria: «Mi ricordo l'emozione che provai quando giunse la notizia della fine della guerra. Mi viene in mente ogni volta che sfoglio le Lettere dei condannati a morte della Resistenza. Erano lettere scritte quasi tutte da giovanissimi. Si possono sintetizzare in poche parole, semplici: "Sto per morire, fatevi coraggio". Oppure: "Muoio, con una speranza per voi". Queste frasi rendono bene quella che a me sembrava la novità del Novecento. Mi ingannavo: pensavo che quella esperienza terribile avesse segnato un confine. Poi la delusione, ancora una volta. Dopo quell'esperienza era nata una parola: disarmo. Ora è scomparsa. Ne sono nate altre due. Guerra e aggiungo: guerra preventiva. E' quello che mi spaventa di più. La guerra non è più neanche mascherata come difensiva. E' diventata preventiva. E chi l'ha teorizzata ha vinto. Fausto - Ingrao si rivolge direttamente al segretario del Prc - quando hai scritto i libri sulla nonviolenza, non lo pensavamo ancora. Invece è accaduto. Parte decisiva della vittoria di Bush è venuta dalle fasce sociali che non sono ricche. Io oggi sono davanti a questa angoscia: i nostri hanno votato l'uomo della guerra preventiva. Mi sento imbarazzato a ricordare queste verità davanti a una platea così calda e direi fidente».

«Che fare allora?» si chiede Ingrao. «Bertinotti ha il merito, in parte ce lo ho anche io, di aver ritirato fuori quelle due paroline: non violenza. Non le pronunciava più nessuno. Neanche quel Papa che pure io rispetto. Sono turbato. Ma vedere questa sala mi piace. Mi dà speranza. Che facciamo? Come rendere quelle due paroline un po' matte, forse un po' ridicole se sentite pronunciate durante un comizio, un modo per impedire che la guerra preventiva vada avanti? Spero ardentemente che non ce la facciano. La speranza siete voi».

Quando Ingrao finisce di parlare, la tensione è forte. Il clima conviviale è però immutato. Si parla di Bellocchio, del suo cinema che da Pugni in tasca a Buongiorno, notte ha chiuso con il bisogno di mettere in scena personaggi violenti. «Attento - scherza Ingrao - che prima di fare la politica, volevo diventare regista». Bertinotti: «Mi trovo tra un Ingrao che se avesse fatto il regista, avrebbe fatto anche meglio. E un regista che si commenta da solo. Anche se - continua il gioco Bertinotti - se devo scegliere tra i suoi film e sentire Bellocchio che parla del proprio cinema, corro a vedere i film». Ancora risate e applausi. Ancora la voglia di stare insieme. «E' solo l'inizio di un percorso» ripetono in molti alla fine, mentre Bertinotti e Ingrao si salutano e salutano i presenti. Un inizio niente male.

Angela Azzaro
angela. azzaro@liberazione. it

L’UNITA’ del 7 Novembre 2004, pagina 2
Libreria «Amore e Psiche» di Roma lui e Ingrao davanti a mille persone a discutere di non violenza
Bertinotti, più Gandhi che Marx


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ROMA Un grande evento culturale, un incontro e un confronto di alto valore e spessore politico da cui non sono emerse incompatibilità, anzi convergenze sul tema della “non violenza”.
Cos Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista, parla dell'incontro e confronto, promosso dalla libreria “Amore e Psiche”, avuto insieme a Pietro Ingrao con l'Analisi Collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli, con oltre mille persone «dotate di una fantastica capacità di relazionarsi con il mondo e con la politica».
Con trent’anni di ritardo, essendosi tenuto stretto il marxismo e il comunismo a lungo, Fausto Bertinotti metaforicamente si fa l’analisi per abbracciare il verbo della nonviolenza e Gandhi. Le piacevoli sorprese sulla strada di una nuova cultura di sinistra che Bertinotti, più di altri da questa parte, sta cercando e praticando. E, in fondo, dimostra che ci sono basi da cui partire.
Tanta emozione mista ad imbarazzo per la qualità degli interventi e delle domande. «Sono state due ore intense e piene di emozione - racconta Bertinotti - È accaduto l'inimmaginabile, mai avrei pensato di trovarmi di fronte ad una platea con tanti giovani così competente ed attenta, preparata e piena d'interesse per la politica che al contrario non sa parlare alla gente ed ai giovani: penso che abbia funzionato l'argomento, la scintilla è stata la non violenza».
Ed ecco allora il feeling che si stabilisce dopo un'oretta tra il politico di professione ed una platea di gente comune, tanti giovani, psichiatri e psichiatre, architetti, avvocati, medici, insegnanti e cineasti come Marco Bellocchio.

«Seppure questa fantastica realtà fa ricerca sulla psiche e sul profondo dell'essere umano - osserva ancora Bertinotti - è capace di relazionarsi con la cultura, con la politica, con quel che accade nel mondo». Insomma, sono lontani davvero gli anni in cui la sinistra non riconosceva e osteggiava l'Analisi Collettiva nata spontaneamente nel 1975 a Villa Massimo: oggi è un fatto e una realtà storica innegabile. «Dialogo e confronto con questa realtà? Caspita se sono possibili - precisa Bertinotti - anche se quest'area culturale è costruita sull'indagine del profondo dell'essere umano, sulla psiche umana». Non si tratta dunque di qualcosa di astratto e astruso.
«Tutt'altro - continua entusiasta Bertinotti - Ci accomuna una ricerca: la prassi della non violenza, come renderla pratica quotidiana».
Insomma un incontro tra esperienze diverse ma ricco di convergenze. «Indubbiamente è stato un grande evento culturale per la città e la politica», conclude il leader di Rifondazione Comunista.
(v.c.)

Liberazione del 7 novembre 2004
pagg. 2-3
ELOGIO DELL'IDEOLOGIA
Intervista a Fausto Bertinotti di Piero Sansonetti

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Fausto Bertinotti è convinto che la vittoria di Bush sia il risultato di una vera e propria "rivoluzione" compiuta dalla destra americana. Ed è anche convinto che per fronteggiare questa rivoluzione di destra ci sia un solo modo: la sinistra deve tornare - diciamo così - all'ideologia.
Cioè deve ricostruire un suo sistema di pensiero, di interpretazione del mondo, di progetto universale. Una nuova ideologia della sinistra, secondo Bertinotti, ha tre pilastri:
l'altermondialismo (cioè la certezza che un altro mondo è possibile), la non violenza, e l'aspirazione all'uguaglianza.

Partiamo da una rapida lettura dei giornali di questi giorni. Il più autorevole quotidiano europeo, "Le Monde", venerdì ha messo in prima pagina questo titolo: "La rivoluzione conservatrice assicura la rielezione di George W. Bush". Bertinotti, sei d'accordo?

Si, sono d'accordo. La vittoria di Bush è la sanzione elettorale di un lungo processo: la costruzione di una politica rivoluzionaria di destra...

La parola rivoluzionaria è molto forte. E' appropriata?

Nel nostro linguaggio, no. Nel nostro linguaggio "Rivoluzione" vuol dire trascendimento della società capitalistica, e allora non va bene. Se invece alla parola rivoluzione diamo un significato non marxista, allora quella di Bush è una rivoluzione: è una rottura con il passato, con il paradigma che fin qui ha usato la destra.

Qual era il paradigma?

Dopo il crollo del muro di Berlino si è sprigionata una spinta che puntava a cancellare le ideologie. Questa spinta proveniva soprattutto dall'America. E ha avuto successo. Ha dissolto le ideologie. E' stato un passaggio fondamentale della storia recente. Cosa si intendeva per ideologie? Si intendeva una idea del mondo, articolata, precisa, che desse risposte alle domande fondamentali della politica e della civiltà. Via tutto: demonizzato, demolito, tabula rasa. E' nato così il pensiero unico che ha dominato gli anni novanta. E questo - il pensiero unico - era il paradigma della destra. Chi è restato fuori dal pensiero unico? Solo piccole minoranze, che io definirei "resistenziali" (come noi di Rifondazione) le quali comunque sono state messe fuori dalla grande scena politica, e cioè, ad esempio, dalla possibilità di governare. Il pensiero unico ha divorato tutto: idee, tendenze, modi di vedere, capacità critiche. Il pensiero unico è lui stesso un'ideologia, nato dal dissolvimento delle altre ideologie, ma ha la capacità di non sembrare tale. Si presenta non come ideologia ma come senso comune, e si presenta con la forza dell'assioma, del punto di vista indiscutibile. Cosa dice questo assioma? Semplicemente che con la caduta del comunismo scompaiono tutte le idee e le aspirazioni che il comunismo portava, e sostanzialmente scompare l'aspirazione all'uguaglianza. Quindi gli Stati perdono gran parte delle proprie incombenze e dei propri poteri, e al mercato viene assegnato il compito di diventare il regolatore di tutto e di essere la Weltanschauung - l'anima e il cervello - della politica moderna. Questo diventa il punto di partenza incontestabile di ogni possibile discussione.

Tu mi stai descrivendo quello che è successo negli ultimi quindici anni. Le elezioni americane però segnano uno scarto. Non è successo che il pensiero unico si è rotto e la nuova ideologia bushista è andata oltre?

Esattamente. E' successo proprio così. Il bushismo è un'uscita da destra dal pensiero unico. Capisci cosa hanno fatto? Prima hanno costruito il campo del pensiero unico, hanno annientato le ideologie che si opponevano, hanno chiuso tutti dentro quel recinto, e poi hanno detto: adesso basta, ora realizziamo noi una nuova ideologia, di destra, partigiana, che spariglia di nuovo il gioco. In questo senso parlo di rivoluzione conservatrice. Bush ha fatto questo. Ha detto: pensiero unico? Ciarpame, lasciamolo all'Europa. Noi costruiamo una nostra idea del mondo che supera tutte le contraddizioni. Ce ne infischiamo se il liberismo ha prodotto crisi e non ricchezza, ce ne freghiamo se le tensioni nel pianeta anziché ridursi si sono acuite, noi abbiamo un mandato che ci viene da Dio e lo portiamo avanti. Come? Con il mercato, con la guerra, con le crociate ideologiche, con qualunque cosa serva a farci prevalere. Perché? Chi ci da il diritto? Il diritto ci deriva dal semplice fatto che noi siamo il bene e il resto è male. E' male chiunque e qualunque cosa si opponga.

Qualunque cosa si opponga all'Occidente?

Direi di più: qualunque cosa si opponga al dominio imperiale degli Stati Uniti. E' una idea assolutamente estremistica, ma è un'idea compatta del mondo. Ed è un'idea che è riuscita a unificare attorno a se tutta la destra americana e ha portato a quel clamoroso successo elettorale. Perché? Perché loro dopo avere nel decennio scorso demolito la politica e teorizzato la necessità di demolire la politica, poi sono tornati per primi alla politica, e l'hanno ricostruita sulla base di un'idea etica assoluta. Il massimo dell'ideologia. Quella che dicevamo prima: il bene contro il male.

Secondo te in questa ideologia c'è una "vision"? Voglio dire: è un'idea che corrisponde alla certezza che solo un governo nordamericano del mondo, e un accentramento delle risorse in Occidente, può produrre sviluppo e aumento della ricchezza, e dunque poi garantire la salvezza del mondo? C'è questa idea salvifica, o invece è solo "difesa del bottino"?

Questo secondo me è incerto. Loro non sono portatori di un'idea ottimistica del mondo. Quando metti così in rilievo l'idea del male da battere, l'accento va sulla necessità dello scontro, non sul fine dello scontro. Non vedo un fine. Il fine viene in qualche modo assorbito dalla speranza di vittoria contro il male. Cosa nascerà da quella vittoria è molto vago. Loro, in quella costruzione ideologica, possono omettere di dire che tipo di assetto del mondo e delle società vogliono. L'obiettivo è più semplice: la sconfitta del male. La guerra entra come elemento permanente perché è una lotta tra la vita e la morte. Porta la politica sul piano dell'assoluto. Cosa dicono gli americani ai poveri? Dicono: "ti capisco, tu stai male, d'accordo. Io non ti offro un miglioramento, ti offro di stare dalla parte giusta, dalla parte di Dio e dalla parte dei vincitori. Accontentati".

Allora introduciamo un altro tema complicato. Quello del diritto. A me sembra che la nuova ideologia della destra abbia rovesciato l'idea del diritto che era stata al centro del pensiero della borghesia in questi ultimi secoli.

Si, c'è una svolta. Tutto l'assetto politico istituzionale viene trasformato, in questa nuova logica. Lo sviluppo del pensiero borghese era arrivato al suo punto più alto nella definizione dello Stato di diritto e della democrazia rappresentativa. Filosofi di sinistra, come Habermas e Balibar, sono ripartiti da lì per ragionare sul futuro della nostra civiltà. Dal recupero di questo momento alto del pensiero borghese. La nuova destra fa l'operazione esattamente opposta: demolisce sistematicamente quel pensiero politico borghese. Dice: "questa roba non solo non ci appartiene ma nemmeno ci interessa. Noi siamo oltre". La nuova destra ha scelto la via della riedizione di uno Stato etico. Diverso dallo Stato etico di un tempo, quello basato sulla doppia sovranità, la sovranità religiosa e quella statuale, come era avvenuto in Europa prima della secolarizzazione. Il nuovo stato etico funziona riassumendo in una sola figura le due autorità: il comandante, il guerriero, la sua virtù; è lui che garantisce la lotta contro il male, insieme come politico e come autorità etica. Bush ha usato recentemente il termine "crociata", non in senso metaforico ma in senso proprio: la crociata, come quelle del medioevo. La crociata richiede la ridefinizione della organizzazione complessiva della società. E per ridefinire bisogna innanzitutto decidere qual è il soggetto centrale. Qual è il soggetto, cioè colui che dà legittimità? E' il popolo degli Stati Uniti d'America. E in questo modo la nuova destra coopta il popolo e annulla le differenze tra popolo e governo.

Cerchiamo di capire i confini di questa rivoluzione. E' un fatto che riguarda solamente l'America o tutto l'occidente?

In Europa per ora quel modello non può funzionare. Anche per i molti anticorpi che abbiamo. Siamo un po' vaccinati contro lo Stato etico. Però è indicativo il fatto che da qualche parte, anche in Europa, si inizi a pensare in quel modo. Prendiamo l'esempio del presidente del Senato, che non è cattolico, eppure spinge alla ricerca delle radici cristiane dell'Europa. Cosa è questa ricerca? Il sacro - il vero sacro - con tutto ciò non c'entra niente: è solo un pretesto per poter fissare una identità che permetta il governo del consenso. Mi spiego meglio: in una dimensione puramente economica e sociale, e laicamente politica, i conservatori non possono governare. Le destre, nude - cioè confinate nelle sfere del sociale, dell'economico e del politico - perdono. Le politiche neoliberiste sfasciano, producono dissenso, non aggregano. E allora hanno bisogno di una supplenza - di un "vestito" - di un grande integratore: il "sacro". Dietro al sacro si maschera questo obiettivo: costruire una ideologia conservatrice. La destra non trova nessun'altra strada per costruire questa ideologia.

E la sinistra? Ha bisogno anche lei di una ideologia? E' questo che le manca? E esistono le condizioni per ricostruire un'ideologia?

Secondo me sì. Le manca l'ideologia, le serve e si può costruire. Noi abbiamo dei semilavorati non disprezzabili che possono essere la base di questa ideologia. Stiamo meglio di quanto stessimo nell'89. Il crollo dei regimi comunisti dell'est ha lasciato tutto il movimento operaio orfano, tanto quello comunista che quello socialdemocratico, perché con quei regimi è crollato un pezzo del movimento operaio. Anche quelli che erano più critici verso il comunismo sovietico sono rimasti orfani. Faccio qualche esempio. Io credo che la socialdemocrazia svedese, che costruì quel capolavoro che è stato il compromesso sociale in Svezia, non avrebbe potuto potuto fare niente di quello che ha fatto se non ci fosse stata l'Unione sovietica. Naturalmente noi lo diciamo adesso, allora non potevamo dirlo. Un altro esempio, più drammatico: se noi leggiamo le lettere dei condannati a morte della Resistenza ci accorgiamo di come veniva percepito Stalin: come il simbolo di una liberazione. Lo dico senza problemi avendo io fatto una lotta spietata contro lo stalinismo. Però le cose erano così. Come superiamo la condizione di orfani? Questo è il problema. Detto in modo un po' grossolano, un po' impreciso, ma che serve a capirsi: la dialettica oggi è tra chi vuole tutto buttare, della nostra storia e del nostro patrimonio ideale e teorico, e chi vuole conservarne l'essenziale. Chi voleva disfarsi del patrimonio ideologico del passato per fare qualcosa di diverso, è stato travolto poi dalla furia del "disfarsi". Cosa è rimasto fuori da questa furia? Noi di Rifondazione, cioè la resistenza al pensiero unico. Ma anche noi siamo stati percepiti come il partito delle lotte, della radicalità, del conflitto sociale, non come il partito di una ideologia. Questa è la storia degli anni novanta. Poi però le cose sono cambiate.

Quando sono cambiate?

Con la nascita del movimento altermondialista, dei no-global. Del pacifismo di massa. Le forme di riflessione critica che si erano elaborate dentro il nostro campo - il campo della resistenza - a quel punto sono state riportate in un nuovo campo. Qual è questo nuovo campo? Quello dell'altro mondo possibile.

Ne devo dedurre che il movimento alermondialista è un movimento ideologico?

Evidentemente no, tutto si può dire meno che è un movimento ideologico in senso classico. Però è il primo fenomeno di massa che introduce un'altra idea del mondo. In questo senso apre al ritorno dell'ideologia. E' un paradosso, no? Il movimento realizza le condizioni per poter pensare alla costruzione di una ideologia. E infatti esercita una straordinaria attrazione non solo sulla sinistra radicale ma su pezzi significativi del mondo politico che precedentemente si era collocato dentro il pensiero unico e dentro la demolizione delle ideologie: correnti di partiti socialdemocratici europei, settori importantissimi dei sindacati. In questo quadro la sinistra radicale è collocata in una posizione di assoluto privilegio e di grandissima responsabilità: c'è in lei il combinato disposto di resistenza-radicalismo-innovazione-apertura ai movimenti, che le può consentire di guidare il processo di costruzione di una nuova ideologia. E' nella posizione migliore per mettere mano ai "semilavorati" e iniziare a perfezionarli. Però le manca ancora qualcosa. Le manca l'intellettuale collettivo. Quello che Gramsci chiamava l'intellettuale collettivo…

Non è una piccola mancanza…

No, me ne rendo conto.

L'intellettuale collettivo è il partito?

No, alla costruzione dell'intellettuale collettivo il partito deve partecipare, deve avere un ruolo importantissimo. Ma l'intellettuale collettivo non può essere il partito. Questo intellettuale collettivo, usando i vecchi parametri, dovrebbe essere organico al movimento. Dovrebbe essere costruito in relazione al movimento. E' questo che ci manca. Noi non abbiamo la determinazione in questo campo. I conservatori americani l'hanno avuta. Hanno investito soldi, idee, uomini, forze nei centri di costruzione del loro nuovo estremismo di destra. E ne è nata l'ideologia vincente bushista. Hanno anche avuto il coraggio di stare in minoranza, di sfidare il senso comune, il political correct, le regole, il clintonismo, eccetera. A noi è mancata finora questa determinazione.

Quali sono i pilastri di una ideologia di sinistra per il futuro?

Primo, la nonviolenza: cioè la critica radicale del potere, l'ipotesi di nuovi stili di vita, la messa in discussione delle relazioni nel profondo del profondo. L'idea della nonviolenza comporta lo stravolgimento della vita reale. Poi c'è il secondo pilastro, e cioè "l'altro mondo possibile". Il terzo pilastro è quello di sempre: l'idea di uguaglianza.

Tutto questo, e la vittoria di Bush, non mettono in discussione la prospettiva di governo della sinistra?

Secondo me no. Per una semplice ragione: non si può pensare che l'occidente si definisca per espansione e conquista del modello americano. Bisogna impedirlo, no? Dico l'occidente perché, fuori dell'occidente, gli Stati Uniti non hanno facilità di espansione: l'America latina e l'India stanno scegliendo vie lontane dagli Usa, e poi c'è Islam, che è contro gli Usa fino al terrorismo e alla guerra. L'Europa è in mezzo. Cosa fa? Pensare all'altra Europa vuol dire porsi il problema del governo. L'ipotesi di un passaggio di governo ha senso solo in questa prospettiva: progettare una ridefinizione dell'Europa. Se l'idea di occidente diventa quella di una civiltà contro le altre, occidente contro il resto del mondo, l'Europa è perduta. Se invece attraverso l'Europa si può immaginare di sconfiggere questa idea e costruire nuove relazioni, cambia tutto.

Questa intervista esce il sette novembre. Giorno famoso. Quel giorno, 87 anni fa, i rivoluzionari russi presero il palazzo d'inverno e avviarono il comunismo. Che mi dici al proposito?

Bertinotti ci pensa un attimo, sorride, mi guarda negli occhi e poi fa lui una domanda:

E se non avessero avuto torto a provarci?
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dalla LIBRERIA AMORE E PSICHE

Ci scusiamo per l’inconveniente, ma la cassetta dell’incontro con Bertinotti
è ancora in fase di montaggio, non è pertanto possibile vederla qui da noi
al momento. Vi faremo sapere al più presto quando sarà pronta, nel frattempo
l’incontro è ancora disponibile in streaming sul sito

www.mawivideo.it

Un caro saluto a tutti



Libreria Amore e Psiche
via s. caterina da siena, 61 roma
info:06/6783908 amorepsiche2003@libero.it
i nostri orari: lunedi 15-20
dal martedi alla domenica 10-20
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la videoregistrazione dell'incontro
del 5 novembre 2004 con

FAUSTO BERTINOTTI

e
PIETRO INGRAO

è disponibile su

MAWIVIDEO

da dove può essere visto e scaricato
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...e nel frattempo, il manifesto...

il manifesto 6.11.04
Trame per snodare il perturbante
Oggi e domani al centro congressi di Torino il primo convegno dedicato a «Contaminazioni. Voci e leggende metropolitane nell'epoca di Internet»: tramandate a voce, hanno segnato lo spirito del tempo
MARIA TERESA CARBONE

È passato quasi un quarto di secolo da quando, nell'agosto del 1980, uscì sul paginone culturale della «Repubblica» un lungo articolo di Italo Calvino, quasi un racconto in forma di reportage, titolato «La mano che ti segue». Ancora più cupo suonava l'occhiello: «L'incubo della violenza: storia vera di una ragazza sconosciuta». Calvino parlava di una vicenda ambientata in una Parigi notturna: protagonista una giovane donna (lo scrittore le assegnava un nome fittizio, Yvonne) inseguita e assediata nella sua auto da una banda di loubards, in fuga disperata, quando già i malviventi erano riusciti ad agganciare la macchina con catene di ferro. Un terribile ritrovamento concludeva la storia: «Con le gambe che le tremano, scende, gira intorno alla vettura. La prima cosa che vede è una specie di strascico che s'allunga al suolo. Una delle catene dei loubards è rimasta impigliata al mozzo di una ruota. Al termine della catena c'è attaccato qualcosa. Yvonne si china, fa per raccogliere l'oggetto, lancia un grido e si copre gli occhi. Lì per terra c'è una mano. Il polso troncato è stretto nel braccialetto d'acciaio cui è legata la catena». Dopo un quarto di secolo, la maggior parte dei lettori riconoscerebbe subito nella storia della povera Yvonne una delle più classiche leggende metropolitane, molto diffusa in tutto il mondo anglosassone e rimbalzata anche da noi, se non altro per i suoi echi cinematografici, da Mad Max di George Miller in poi. Del resto, lo stesso Calvino, che la presentava come una vicenda davvero accaduta, non escludeva del tutto che si trattasse di «una leggenda della metropoli moderna, che si tramanda di bocca in bocca». Era insomma, e non a caso, proprio la sensibilità di un autore che aveva amato con passione le fiabe classiche a individuare e addirittura a dare un nome, in anticipo sui tempi, a una delle nuove forme di tradizione orale della nostra epoca. Nel periodo successivo, e soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, le leggende metropolitane sarebbero diventate anche in Italia oggetto consapevole di studio e di analisi: a contribuire a questa diffusione furono le raccolte dello studioso americano Jan Harold Brunvand (pubblicate dalla casa editrice Costa & Nolan), i saggi dello storico Cesare Bermani (in particolare Il bambino è servito, edito da Dedalo nel `91), l'attività del Centro per la raccolta delle voci e delle leggende contemporanee, che nacque nel 1990 e che diventò un punto di riferimento per tutti i ricercatori della materia. Ma intanto, l'idea stessa di questo patrimonio di storie contemporanee, passate di bocca in bocca, si impose e si diffuse ben al di fuori dalla cerchia degli studiosi, trovando spazio sui giornali e alla televisione e incontrando infine, dalla metà degli anni Novanta in poi, un nuovo e formidabile mezzo di circolazione, la rete.
Contaminazioni - Voci e leggende metropolitane nell'epoca di Internet è il titolo del primo convegno italiano sull'argomento, che si tiene oggi e domani al Centro congressi di Torino, per iniziativa del Centro per la raccolta delle voci e delle leggende contemporanee, in collaborazione con il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, e con la partecipazione di numerosi esperti, italiani e stranieri, da Paolo Toselli, autore fra l'altro del recentissimo Storie di ordinaria falsità (Rizzoli 2004) a Jean-Bruno Renard, docente di sociologia all'università di Montpellier, al «grande pioniere» Cesare Bermani, che riproporrà nel suo intervento, Il presente inventato, un tema centrale nell'analisi dei miti contemporanei: il loro rapporto con la politica e la vita sociale.
Perché l'interesse delle leggende metropolitane non consiste (solo) nella loro capacità di raccontare in modo avvincente una ipotetica quotidianità, ma soprattutto nel mettere in luce, proprio grazie al meccanismo della fabula, i timori e le tensioni che attraversano la nostra società. Ha osservato a questo proposito un altro dei partecipanti al convegno torinese, Lorenzo Montali, come una delle funzioni delle leggende sia quella di aiutare un certo gruppo a familiarizzarsi con una realtà nuova o con oggetti sociali in qualche modo indefiniti o estranei, al punto che in certi casi il mito può addirittura trasformarsi in uno dei modi attraverso cui un gruppo costruisce il proprio sapere. Ma in parallelo, le leggende esprimono anche l'angoscia di fronte al nuovo, un'angoscia che può sconfinare con il pregiudizio, con il razzismo: interessante (e inquietante) da questo punto di vista può essere la recente leggenda sulla «Smiley gang» - a Torino ne parlerà Peter Burger, dell'università di Leiden - che, nata in Olanda e poi passata anche in Belgio e in Francia, ha seminato il panico su una presunta banda di stupratori di origine straniera.

il manifesto 6.11.04
CONVEGNO A NAPOLI
L'interpretazione tra psicoanalisi filosofia, letteratura
NICOLETTA MARTINELLI

Partite da Trieste - città a cui sono fortemente legati, se non proprio gli inizi, certamente i primi più decisivi impulsi alla diffusione della psicoanalisi in Italia - le giornate di studio dedicate al cinquantenario della Rivista di psicoanalisi toccano oggi Napoli e avranno come tappa finale Roma, ai primi di dicembre. Le pubblicazioni delle Rivista cominciarono all'inizio del 1955 per iniziativa di Cesare Musatti, dopo che una precedente Rivista italiana di psicoanalisi, fondata a Roma da Edoardo Weiss nel 1932, dopo solo due anni fu costretta dalle autorità fasciste, su pressione delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, a chiudere senza nemmeno poter distribuire in libreria gli ultimi due numeri stampati. Oltre a un convegno, la giornata triestina ha previsto la proiezione di un video di Mario Rizzarelli sulla Vienna di Edoardo Weiss, primo a praticare la psicoanalisi in Italia a partire dal 1918, e l'inaugurazione di una mostra documentaria, curata da Anna Maria Accerboni Ravanello alla Saletta Mostre del Teatro Verdi di Trieste. Mentre l'iniziativa del Centro veneto di psicoanalisi è stata l'occasione per ripercorrere inizi e fasi della storia della Rivista, l'appuntamento napoletano sarà votato a indagare I luoghi della interpretazione, con interventi - tra gli altri - di Agostino Recalbuto, Nestore Pirillo, Pierluigi Rossi, Felice Cimatti e Sarantis Thanopulos. Se è ovvia l'importanza della scrittura per la trasmissione, la divulgazione e la stessa costruzione di una disciplina scientifica, è ancora più decisiva per la psicoanalisi, che oscilla tra racconto orale e scrittura dei casi clinici, tra ricostruzione di una verità storica e costruzione di una corenza narrativa, affidata all'esercizio della interpretazione.
Spesso considerata una scienza di confine, la più scientifica delle discipline umanistiche e la più umanistica delle discipline scientifiche, la psicoanalisi è nata, più ancora che come una talking cure, come una writing cure. Essa germogliò infatti letteralmente in un medium di scrittura: gli incessanti e innumerevoli scritti scientifici, epistolari, autoanalitici del suo fondatore. E non poteva essere altrimenti se, come è stato spesso rilevato, lo stesso dispositivo della scrittura ha qualcosa di intimamente comune con quello instaurato dalla situazione analitica, già per il solo fatto di creare una relazione del tutto peculiare con se stessi, collocando chi scrive in margine ai propri pensieri. Lo scritto, notava infatti Freud, è in origine il linguaggio dell'assente. E la interpretazione - di cui oggi si parlerà al convegno napoletano - sia essa rivolta a testi artistici, filosofici, o al racconto di sé degli analizzati, è un momento imprescindibile, che non necessita di mobilitare una intenzione, perché governa in ogni istante la naturale attitudine della mente umana verso ogni oggetto che colpisca le nostre percezioni.

Gianrico Carofiglio

Repubblica 8.11.04
Parla Gianrico Carofiglio
"I miei giudici gente piena di dubbi"
E il suo terzo romanzo finirà sul grande schermo

BARI - Gianrico Carofiglio, classe 1961, è sostituto procuratore antimafia a Bari. Alto come un pivot, è cintura nera di karate quarto dan. Sposato, due figli, spiega che la passione per la scrittura è nata da ragazzino, ma solo quando è arrivato alla soglia dei quarant´anni ha deciso che era il momento di mettersi alla prova. «Dopo un´estate da dimenticare ho capito che dovevo sedermi e scrivere la storia che avevo in testa. Così ho scritto Testimone inconsapevole. Nove mesi, per chi ama le metafore. Ho inviato il manoscritto a vari editori, mi ha risposto Elvira Sellerio. Il libro è andato benissimo, ma non pensavo di farne un seguito. Me lo ha chiesto espressamente la signora Sellerio, con un tono che non lasciava alternative: gentile ma fermo, molto siciliano... Noi arrestiamo per estorsione per molto meno».
Lei firma la sceneggiatura dei film con Francesco Piccolo e Domenico Starnone.
«Ero curioso di capire come si scrive per la tv, e volevo imparare una cosa nuova. La costruzione della storia, quando penso a un libro, è visiva: immagino le scene e monto il "mio" film, come fanno i lettori».
Perché un avvocato come protagonista?
«Per cambiare. Quello dei tribunali è un ambiente che conosco bene, avrei dovuto scrivere ancora di un magistrato? Che noia».
I giudici, nei suoi romanzi, non fanno una gran figura: salva solo la pm, che ricorda Ilda Boccassini.
«La pm Mantovani è un´idealista, una donna determinata nel lavoro ma con una sua fragilità, una persona complessa. Piace molto anche a me. Ma non è vero che li tratto male. Vede, il magistrato deve avere doti che normalmente uno non immagina: la fantasia, prima di tutto. E poi deve nutrire dubbi».
Carofiglio, i suoi dubbi, li riversa nelle pagine dei libri; mentre pensa alla terza avventura dell´avvocato Guerrieri, l´ultimo romanzo Il passato è una terra straniera (Rizzoli), diventerà un film per il cinema. Lo annuncia con un certo orgoglio: «Sarà una grande coproduzione internazionale, non posso dire di più».
(s. f.)
un comunicato ricevuto da Annalina Ferrante

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LE RELAZIONI DI ANNA HOMBERG E MARCELLA FAGIOLI

AL CONVEGNO


"Gli aquiloni volano con il vento: Il primo anno di vita"
tenutosi a Roma il 28 ottobre scorso

Dr.ssa Annelore Homberg:
L'identità personale del primo anno di vita

Dr.ssa Marcella Fagioli:
La realtà biologica umana

i due testi citati
nella relazione di Marcella Fagioli:

La Repubblica
01-06-04, pagina 18, sezione COMMENTI
Lettere
Il manifesto contro il dolore Domenico Gioffrè, Mario Luzi, Tullio De Mauro, Silvio Garattini, Rita Levi Montalcini, Franco Mandelli In occasione della "Giornata nazionale del sollievo" celebrata domenica, desideriamo rendere pubblico il manifesto "Contro il dolore non necessario". Il dolore è nei suoi aspetti morali e fisici intrinseco all' esperienza dell' uomo. Ma, concentrandoci sulla sofferenza del corpo, non possiamo non recriminare quanta parte di essa sia dovuta a incuria, inesperienza, poco amore per il malato. Il dolore può arrivare al punto di rendere desiderabile la morte. I suoi confini sono indifesi e aperti a ogni estrema soluzione. Perché il dolore insostenibile logora insieme con il corpo l' equilibrio morale e psichico di chi ne è colpito, degrada il suo contegno, annienta la sua dignità. Questo dolore iniquo vogliamo combattere; esso è puramente distruttivo. I suoi effetti sono spesso atroci, le premure solidali e affettuose non bastano ad alleviarli. Si rende pertanto necessario e doveroso adottare provvedimenti terapeutici per controllare e ridurre la sofferenza fisica in modo da evitare che la persona nella sua totalità sia miseramente avvilita e degradata. Occorre dunque una svolta culturale nel campo della nostra medicina, che trasformi l' opera del medico da "curare" in "prendersi cura" nel rispetto di due fondamentali diritti del malato: non soffrire dolori inutili e mantenere la propria dignità e un tenore decoroso di vita durante la malattia. Vizi politici italiani sulle elezioni europee Alfonso Lentinello alfonso.lentinello@poste.it Vorrei far notare ai nostri rappresentanti politici, tutti, che le elezioni a cui andiamo incontro si chiamano "europee". Perché allora si parla solo ed esclusivamente di problemi squisitamente nazionali? E neanche di problemi economici, ma solo di problemi politici tutti italiani! Incidenti, finito l' effetto patente a punti Antonio di Gennaro Napoli Negli ultimi giorni una serie di gravissimi incidenti: cinque persone investite sulle strisce pedonali, uno scontro frontale con due morti. Sembra proprio che l' effetto patente a punti stia scemando. Soprattutto nelle città i controlli scarseggiano, gli automobilisti se ne rendono conto e tornano all' antico. Basta mantenersi nei limiti di velocità per vedersi superare da chiunque, camion compresi. Del resto, tutti i provvedimenti seri sui temi della circolazione, in Italia sono sempre finiti in barzelletta. A proposito, quanti usano, le luci di giorno in autostrada? E il giubbotto riflettente? Tasse in diminuzione? Non per chi compra casa Daniela Carlotti d_carlotti@yahoo.it A proposito di diminuzione delle tasse. Peccato che l' ultima Finanziaria abbia aumentato l' imposta di registro sulle compravendite immobiliari. In pratica, sono aumentate le tasse sull' acquisto delle case. In un momento in cui i prezzi del mattone sono alle stelle, e ciò nonostante molte persone, scottate dalla Borsa e deluse dai titoli di Stato, fanno enormi sacrifici per comprare casa, cosa fa il nostro governo? Aiuta i cittadini riducendo almeno le tasse sull' acquisto della prima casa? Vara misure per calmierare i prezzi? Interviene sulle agenzie immobiliari che raddoppiano le provvigioni facendole pagare sia a chi compra che a chi vende? No! Aumenta le imposte. Grazie!I processi Sofri a "Reperto Raiot" Sabina Guzzanti Vorrei rispondere alla lettera di Enzo Sellerio, che contesta un passaggio del mio spettacolo. Mi accusa di non so quale "omissione", ricordandomi che "in tre dei sette processi Sofri è stato assolto e dopo la condanna definitiva ha scelto la via del carcere a quella di un facile e comodo espatrio". Come ha ricordato Valentini su Repubblica, Sofri ha avuto 11 gradi di giudizio. è stato giudicato da 99 giudici, fra togati e popolari. Solo una volta è stato assolto e un' altra la Cassazione ha annullato la condanna ordinando un nuovo giudizio. In tutto due verdetti favorevoli e 9 sfavorevoli compreso quello definitivo, che poi è l' unico che conta. è stato fatto anche ricorso alla Corte di giustizia europea che lo ha respinto perché "irricevibile". Aggiungo che trovo discutibile affermare che "Sofri ha scelto il carcere", tutti i detenuti l' hanno "scelto", cioè non sono fuggiti; evidentemente la latitanza non è considerata dai più un "facile e comodo espatrio". Per motivi di spazio non posso confutare le affermazioni di Sellerio una per una come vorrei. Mi limito a dire che il senso di quello che affermo in "Reperto Raiot" è inequivocabile e finora largamente condiviso dal pubblico. Premesso che sarei felice se Sofri uscisse di galera perché ritengo che il carcere sia uno strumento inutilmente crudele quasi per chiunque, è insopportabile che ci si occupi di giustizia solo quando riguarda persone potenti o famose e che vengano spacciate per battaglie di principio delle campagne che hanno come unico scopo la salvezza di uno solo e ignorano tutti gli altri che si trovano nelle stesse condizioni.

La Repubblica
24-05-04, pagina 35, sezione CULTURA
Il processo psicoanalitico: intervista a Jorge Canestri
Perché vado in analisi
'Quel che determina il trattamento non è l' obiettivo, impossibile da stabilire, ma il punto di partenza' Cosa vuol dire 'lavoro di trasformazione e qual è lo sco della terapia analitica? La relazione dello studioso argentino Non ci sono i pazienti, ma il paziente, lo stesso vale per l' analist La nostra è la scienza del particolare Soltanto un ciarlatano può promettere una guarigione. Noi possiamo solo dare la possibilità di cambiare
MILANO LUCIANA SICA

Cos' è il processo psicoanalitico? Che vuol dire lavoro di trasformazione? Qual è la finalità della cura analitica? Lo chiediamo a un allievo di Willy e Madeleine Baranger, a uno studioso decisamente versato per le più sottili disquisizioni di natura teorica: è Jorge Canestri, psicoanalista argentino di sessantun anni, in Italia dal '76, l' anno del golpe militare nel suo Paese. Con Jacqueline Amati Mehler e Simona Argentieri, ha scritto La Babele dell' inconscio, un saggio di un certo successo ristampato di recente da Cortina. Il concetto di processo e il lavoro di trasformazione era il titolo della sua relazione al congresso milanese. Un tema nevralgico per la psicoanalisi, su cui la letteratura è ampia, e i modelli teorici anche molto diversi. Lei lo definisce un "progresso attraverso il cambiamento", e però - quasi paradossalmente - non verso qualcosa ma da qualcosa~ Da cosa, dottor Canestri? «Dal punto in cui si trova il paziente quando chiede una consultazione e comincia un' analisi, vivendo una condizione più o meno acuta di sofferenza. Lo stato iniziale possiamo immaginarlo come uno stato primitivo, e in ogni caso il processo ha inizio da lì, da quel punto in poi: sappiamo da dove si parte, ma la direzione della cura - pensata, è ovvio, in termini di miglioramento - non ha né può avere un obiettivo prestabilito una volta per tutte. Di fatto è "qualcosa" che probabilmente si determinerà strada facendo, secondo quello che i francesi chiamano l' après coup, e cioè la risignificazione - ma solo a posteriori - di quanto è accaduto durante il percorso analitico». Non a caso lei cita Machado, i due famosi versi dei Cantares: Caminante no hay camino,/se hace camino al andar~ Ma può davvero bastare l' idea - per quanto suggestiva - del "fare strada", senza nessun riferimento più preciso a un obiettivo finale? «Si potrebbe dire genericamente che l' obiettivo finale è il raggiungimento di uno stato di salute, ma a quel punto bisognerà almeno chiedersi cosa s' intende per salute, nozione non proprio facilissima da definire. In che consiste, infatti, la salute? Può bastare forse la scomparsa dei sintomi per "star bene"? La stessa ambizione di eliminare radicalmente i tratti psicopatologici è a volte del tutto irrealistica. Pensi ai pazienti gravi, gente che magari a diciassette anni è stata ricoverata in manicomio e ora ne ha cinquanta: in questi casi è molto improbabile, se non impossibile, l' uscita definitiva da uno stato patologico». In certi casi, è vero, è forse già tanto evitare il suicidio, ma - mi permetta d' insistere - rimane l' impressione che, in analisi, l' obiettivo della cura è da sempre troppo indefinito. Un certo rifiuto del concetto di "malattia" porta anche a respingere la nozione di "guarigione", che pure non andrebbe sbrigativamente liquidata~ è un' impressione che a lei sembra totalmente sbagliata? «In parte sì, perché già Freud si prefissava di trovare una cura utile a certe patologie come l' isteria, "malattie" che non avevano una base organica ma procuravano comunque una grande sofferenza, e che la psichiatria tradizionale non era in grado di affrontare~ Il punto è che, strada facendo, Freud capì che la scomparsa isolata del sintomo non implicava una condizione di benessere mentale e che quindi il concetto stesso di guarigione andava profondamente ripensato». Ci sono autori, come Meltzer, che pensano al trattamento analitico privilegiando l' idea di una riorganizzazione complessiva della personalità. A lei non sembra un' idea, anche questa molto suggestiva, ma in fondo del tutto sfuggente? «Dipende: è sempre il punto di partenza del singolo paziente a determinare il percorso di un trattamento, o in altre parole l' incidenza che ha sul processo psicoanalitico la patologia che l' analista prende in considerazione. Vede, non ci sono i pazienti, ma il paziente, non esistono gli analisti, ma l' analista, questo è il punto. Le generalizzazioni non stanno in piedi, non reggono proprio, ed è questa la ragione di fondo per cui, da Popper a Grunbaum, la "scientificità" della psicoanalisi è stata messa duramente sotto accusa: perché appunto non si tratta di una scienza del generale, ma dello squisito particolare. Noi possiamo tentare delle nosografie, e infatti distinguiamo tra depressi, nevrotici ossessivi, isterici, psicotici~ ma sappiamo anche che queste elencazioni un po' astratte sono molto relative~». Perché? «Perché non ci sono mai due casi uguali, perché ogni essere umano è un sistema complesso, molto sui generis, e guarda caso sono proprio le neuroscienze a esserci di grande supporto quando descrivono il cervello di ogni soggetto, anche dal punto di vista dei collegamenti nervosi, come qualcosa in tutto simile all' impronta digitale: e cioè qualcosa di unico e irripetibile. Oggi sappiamo anche che il cervello comincia a organizzarsi prestissimo, già in fase prenatale~». Se questo è vero, si può dire che i fattori ambientali agiscano sull' organizzazione del cervello, e dunque della mente, sin dall' inizio della vita? «Sì, e purtroppo con una buona dose di casualità. Voglio dire che se si è fortunati, si potrà fare un certo percorso più o meno armonico, ma se invece si è sfortunati quel percorso sarà distorto sin dall' inizio, e nessuno potrà restituire quello che disgraziatamente non si è avuto~ Era una pura fantasia della guarigione quella che gli antichi chiamavano la restitutio ad integrum, il ritorno a una sorta di ideale stato originario. Questo purtroppo non è possibile, solo un ciarlatano potrebbe garantire un risultato finale di questo genere~». Più realisticamente, cos' è che voi analisti potete garantire? «Più realisticamente, ed è quello che facciamo, possiamo migliorare le condizioni complessive del soggetto, concedergli la possibilità di non ripetere gli stessi meccanismi sbagliati, e dunque di cambiare, ma sempre tenendo conto di come quel soggetto stava prima dell' analisi». Il problema è che a volte i vostri pazienti non sembrano cambiare affatto. A lei non capita mai di sentire frasette del tipo "Quello sta in analisi da una vita e sta peggio di prima"? «Mi è capitato molte volte. è così: in analisi si può anche non cambiare, a volte si può addirittura peggiorare, senza dubbio registriamo dei fallimenti terapeutici~». Ci sarà almeno un modo per scongiurarli, tenendo conto di quello che significa impegnarsi in una cura, tra l' altro molto costosa, come l' analisi? «Innanzitutto l' indicazione deve essere giusta, nel senso che ci sono pazienti per i quali l' indicazione dell' analisi non è quella corretta. L' analista dovrebbe essere sempre una persona esperta, ma in ogni caso ci sono incontri che funzionano e altri che non funzionano. Capita che il lavoro di un analista - anche molto brillante - con quel particolare paziente non ottenga risultati, questo è possibile, e allora l' analista dovrebbe avere la correttezza di dire: mi dispiace, ma questo lavoro non sta procedendo nel verso giusto, cercherò di orientarla verso un altro collega, o anche verso un' altra terapia~». Dovrebbe dirlo, ma lo fa davvero? Non è contemplata l' ipotesi dell' analista che s' intestardisce anche quando non vede nessun miglioramento del suo paziente? «Ammetto che non sia un' ipotesi del tutto astratta. Ma c' è anche il chirurgo estetico che insiste con una serie di lifting che comunque vengono malissimo: cioè pazzi ce ne sono dappertutto, anche nella psicoanalisi».
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