lunedì 20 giugno 2005

Da Avvenimenti in edicola dal 17 al 23 giugno

E IO MI DENUNCIO
Elettra Deiana, Prc: “lanciamo una nuova campagna contro la legge 40”
di Simona Maggiorelli

«Una vittoria biblica». Ha scritto a lettere cubitali il comitato Scienza e vita. È finito il connubio diabolico fra radicali e diessini, dice l’anatema dei vescovi. «All’inferno, all’inferno», gridano i cattolici più ligi all’ortodossia della Cei dai microfoni senza filtro di Radio radicale. Uno straniero che mettesse piede oggi per la prima volta in Italia si troverebbe davanti questo scenario tragico, ma anche un po’ grottesco, di millenaristi e savonaroliani usciti dall’ombra. «I toni sono quelli di una rabbiosa rivalsa rispetto alle sconfitte storiche patite sul divorzio e sull’aborto», commenta Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca. Una sconfitta, il fronte referendario continua a ribadirlo da giorni, certamente cocente. Pesa moltissimo sulle spalle dei referendari, che in questi mesi si sono battuti per far cambiare almeno le parti più contraddittorie e impraticabili della legge, quel risicato 25,9 per cento di votanti. Ma pesa ancor più - così dice Piero Fassino - che la sconfitta non sia uscita da un leale confronto con chi ha scelto le ragioni del no, ma sia un risultato estorto con l’escamotage dell’astensione. È stata l’astuta mossa del cardinale Ruini. Capillarmente ripresa e amplificata ogni domenica dagli altari. «Le domande irrisolte, i problemi che pone questa legge così disumana e atroce verso le donne e le persone malate, restano tutte aperte, senza risposta», dice la responsabile cultura dei Ds Vittoria Franco, fra le prime promotrici del comitato referendario. «Abbiamo fatto una campagna per il diritto alla salute, per la libertà di ricerca, manteniamo intatti questi obiettivi - ribadisce la senatrice diessina -, ora spostiamo la nostra battaglia in Parlamento, per difendere diritti acquisiti come quello a una maternità responsabile». Ma con questa maggioranza una battaglia anche solo per migliorare i punti più drammatici della legge 40 sembra già partita chiusa. Basta ripensare all’iter blindato che ha avuto la legge quando un anno fa fu imposta dalla maggioranza facendo dei diktat del Vaticano una bussola politica. «Il dato che è emerso con chiarezza è proprio questo - sottolinea Giovanni Berlinguer -, una fortissima ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche nella politica invita tutti a fare una riflessione seria sui rischi di uno stato etico, addirittura teocratico». Un punto su cui - al di là dell’inadeguatezza dello strumento referendario per una materia come questa e gli imbrogli delle liste elettorali degli italiani all’estero - forse valeva la pena far un ragionamento prima di arrivare a questo smacco, rimproverano i Radicali. «Troppa paura di disturbare le sensibilità della Margherita» - accusa Cappato, che ha denunciato la violazione del Concordato da parte di molti sacerdoti. «Questo è un momento molto buio - dice Maura Cossutta, medico e parlamentare del Pdci -. Un conto è la promozione dei valori da parte della Chiesa, un conto è l’intervento a gamba tesa delle gerarchie nella politica». E aggiunge: «Occorre riflettere nei partiti. Anche a sinistra, alla fine, non si sono impegnati come avrebbero dovuto. In una partita come questa in cui sono in gioco conquiste sociali fondamentali è un affare serio, io credo, se la sinistra delega alla Chiesa la discussione sui valori etici». È arrabbiata e un po’ amareggiata la parlamentare dei Comunisti italiani, come tutte le donne che si sono impegnate a fondo nella battaglia referendaria: «La Chiesa ha giocato un ruolo pesantissimo di interferenza e di condizionamento», denuncia la parlamentare Elettra Deiana di Rifondazione comunista. «Le gerarchie ecclesiastiche hanno fatto un’irruzione sulla scena politica italiana con una forza inaudita». «La Chiesa ha esercitato una pressione psicologica fortissima - aggiunge Vittoria Franco -, c’è stato un grosso condizionamento delle coscienze. E questo mi spaventa, anche perché sono riusciti a fare breccia sulle paure della gente alimentate durante la campagna referendaria dai continui richiami all’eugenetica, ai Frankenstein, a un orrizzonte fantascientifico spaventoso e del tutto irreale, fomentando lo spirito di crociata. Così alla fine hanno perso quelle coppie e quei cittadini che dalla ricerca scientifica speravano di avere una risposta di cura». Uno spirito di crociata che certo non ha attecchito in tutto il paese in modo uguale. E che ha fatto man bassa nei piccoli centri e nelle zone più arretrate: «Nei piccoli paesi, fra la popolazione meno informata - aggiunge Deiana - ha funzionato moltissimo la logica: Dio ti vede, il referendario no». Nell’oscurità di canoniche e sotto il tetto delle chiese hanno trovato riparo certamente non solo i cattolici più ligi, ma anche tanti indecisi. «L’astensionismo - spiega ancora Vittoria Franco - ha fornito una via di uscita a tutte quelle persone che non avevano approfondito l’argomento, per molti l’astensione è stato un modo per mettersi al riparo, per mettersi a posto la coscienza». Ma tant’è, adesso, dopo la sconfitta riprendere la battaglia per la laicità dello Stato, per i diritti civili e delle donne, sarà più difficile. Con le voci che già si fanno più vicine di Giovanardi, di Buttiglione, di Gasparri e di Andreotti, che già sinistramente parla di una «disarmonia fra la legge 40 e la 194». «Il rischio che ora tentino di cambiare la legge sull’aborto c’è ed è ben concreto - dice la giornalista e parlamentare dei Verdi Tana de Zulueta -, ma io non credo che avranno il coraggio di intervenire direttamente sulla legge. Lo faranno nella prassi. Ci sarà qualche uomo di legge zelante che porterà in tribunale un’interruzione di gravidanza sostenendo che è un caso contrario alla legge 40. E questo creerà un clima davvero difficile». E in questo clima poi potrebbe uscire qualche sentenza utile per cambiare materialmente la 194. Un’eventualità che farebbe regredire il paese a ben prima del 1975. E per questo le parlamentari referendarie affilano già le armi. Fuori e dentro il palazzo. «La mossa più efficace in questo momento è ricorrere alla Corte costituzionale» dice de Zulueta. Ma c’è anche chi, come Deiana, pensa già a ripristinare antiche strategie femministe, come l’autodenuncia. «C’è già stato un caso a Cagliari - dice la parlamentare del Prc - di una donna che ha rifiutato di farsi impiantare embrioni malati. La strada è già aperta». Ma un aiuto potrebbe venire anche dall’Europa. «Credo che uno dei fatti più importanti di questa vicenda referendaria - conclude Tana de Zulueta - sia stata la scesa in campo diretta degli scienziati, che hanno aperto i loro laboratori, hanno messo a disposizione le loro conoscenze. Ma, soprattutto, mi pare un fatto rilevantissimo che premi Nobel e scienziati inglesi, belgi, francesi di livello internazionale abbiano firmato un documento sostenendo la non fondatezza scientifica dei principi su cui si basa le legge 40. Fra di loro c’è anche l’ex commissario europeo alla ricerca Philippe Busquin. Un aiuto forte contro questa legge potremmo averlo proprio dall’Europa degli scienziati».

la mente e il tempo

Corriere della Sera 20.6.05
Studio italiano sul funzionamento del cervello
«La mente non si accorge del 15% del tempo reale»

Margherita De Bac
risultati della ricerca
IL MECCANISMO I nostri occhi sono in movimento continuo: si spostano da un’immagine all’altra ogni 3 secondi. Ma quello che percepiamo è un’immagine fissa
LA PERCEZIONE
Un gruppo di ricercatori italo- australiani ha scoperto che grazie a questo meccanismo costruiamo il senso del tempo: il 15% degli attimi fisici, reali, vengono in realtà persi nell’atto della percezione
ROMA - Sono in movimento perpetuo, non si fermano mai. Senza che ce ne accorgiamo i nostri occhi si spostano da un’immagine all’altra ogni tre secondi. Se al loro posto ci fosse una telecamera avremmo la sensazione di assistere a un filmino girato dalla mano malferma di un ubriaco. Eppure la nostra percezione è ben diversa. Noi vediamo immagini fisse. Esempio: la tazza poggiata sul tavolo resta immobile anche se la retina già guarda altrove, a nostra insaputa. È racchiuso in questo meccanismo la chiave del senso del tempo, della successione degli eventi che scandiscono la vita. Il tempo da noi in effetti percepito è diverso da quello fisico. Perdiamo circa il 15% degli attimi, ci sorprendono con i loro calcoli i ricercatori italo-australiani delle università Vita e Salute San Raffaele di Milano, Firenze e Western di Perth. In un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Nature Neuroscience espongono le ultime scoperte sul funzionamento del cervello impegnato a elaborare i segnali che provengono dall’esterno. «Ci domandiamo attraverso quali meccanismi il mondo per noi resta stabile anche se lo rileviamo con sensori estremamente mobili - parte da una semplice domanda per spiegare concetti complicati Maria Concetta Morrone, psicologa della percezione, laureata in fisica, prima firmataria dello studio -. La risposta è che lo scorrere del tempo, così come lo avvertiamo, è fortemente alterato, deformato. È come se avessimo al nostro interno un orologio non sincronizzato con quello posizionato al di fuori». In pratica il sistema dei neuroni non riesce a tenere il passo con gli impulsi inviati dagli occhi che si muovono tanto velocemente. Nel cercare di riorganizzarsi di secondo in secondo il cervello si attarda. Ecco perché tanti attimi gli sfuggono. «Esiste un’analogia molto affascinante tra i risultati del nostro studio e la teoria della relatività di Einstein di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla pubblicazione - fa il suggestivo accostamento David Burr, psicologo dell’università di Firenze -. A una velocità prossima a quella della luce gli orologi segnano il tempo più lentamente. Nello stesso modo si comporta il cervello quando, per controbilanciare il rapido spostamento delle immagini del mondo, vede le distanze relative compresse mentre il suo orologio interno rallenta». I ricercatori italo-australiani hanno scoperto che noi elaboriamo il tempo modificandolo rispetto alla realtà per quanto riguarda la durata e l’ordine di presentazione. Esempio un evento che si compone di A e B diventa B e A.
Ma ci sono ripercussioni pratiche nella vita dei malati, nella cura di alcune malattie caratterizzate anche dalla perdita del senso del tempo, come Parkinson o schizofrenia? «No, siamo appena agli inizi della comprensione, ma andare avanti lungo questa strada è molto importante», riconosce Morrone.

cristianesimo
come è morta la suora 23enne "posseduta"

una segnalazione di Roberto Martina

Corriere della Sera 20.6.05

Romania, esorcismo mortale in un monastero ortodosso su una religiosa di 23 anni «E’ indemoniata»
Crocifissa una suora


La vita di Irina rallentava, loro stringevano un po’ di più le catene ai polsi e alle caviglie. I suoi occhi faticavano a rimanere aperti, loro annodavano più forte il bavaglio. C’era da stare attenti, si ripetevano l’un l’altra, a «quella creatura posseduta dal diavolo» perché anche in quelle condizioni, su una croce improvvisata con vecchi pali, aveva continui «incontri con gli spiriti maligni». Così suor Irina Maricica Cornici è rimasta crocifissa, in un vecchio capanno, per tre giorni e tre notti, finché il suo cuore si è fermato. Aveva 23 anni e il «torto» di essere malata di una schizofrenia che alcune sue consorelle hanno interpretato come «l’intrusione di Satana» nel suo corpo.
Siamo nella provincia romena di Vaslui, monastero ortodosso di Tanacu. Lunedì scorso suor Irina è in preda a una crisi schizofrenica. L’abate Daniel Corogenau e quattro giovani suore emettono una diagnosi: «E’ posseduta dal diavolo». La terapia è automatica: «Serve un atto di esorcismo».
Il calvario di suor Irina comincia quello stesso giorno. Viene lasciata nella sua cella, legata mani e piedi al letto con delle corde, senza cibo né acqua per ore. Ma anche in questo modo «il diavolo» sembra non abbandonarla. Al contrario, ogni volta che qualcuno si avvicina al suo letto lei ha delle reazioni violente. Per questo, quando è ormai notte, si passa a un «rimedio» più duro «contro il demonio». La ragazza viene incatenata a una croce e abbandonata in un vecchio capanno accanto al monastero dalle quattro consorelle alle quali l’abate aveva affidato il compito di «salvarla». Nella sua bocca le suore spingono il lembo di un asciugamano che poi le legano forte dietro la testa. Lei si contorce, respira a fatica. Ma per loro e per padre Daniel è un buon segno: prima o poi gli spiriti maligni se ne sarebbero andati, predicono. Suor Irina resiste fino alla notte fra mercoledì e giovedì. L’autopsia dirà poi che è morta per «insufficienza cardio-circolatoria».
Padre Daniel e le quattro consorelle sono indagate per sequestro e omicidio ma la gente del villaggio di Tanacu li difende. Tanto da organizzare una mini-sommossa quando i rappresentanti del patriarcato ortodosso sono arrivati al monastero per privare padre Daniel del diritto di celebrare messa dopo la morte della suora.

politica
si è conclusa l'assemblea dei "perdenti"

Corriere della Sera 20.6.05
ROMA - Finisce con gli applausi, le grida di evviva, con ...
Fa. Ro.

ROMA - Finisce con gli applausi, le grida di evviva, con Marco Pannella che saluta dal palco dell’hotel Ergife e chiude l’«assemblea dei Mille», l’assemblea che è servita ai radicali per reagire alla sconfitta della consultazione referendaria, per contarsi, per raccogliere forze e idee, anche idee che però non hanno convinto per nulla il grande leader dai capelli bianchi. Come quella avanzata, sabato scorso, da Antonio Tombolini, l’ex vicepresidente dell’Azione Cattolica, che ha appunto suggerito di candidare Pannella «alle primarie dell’Unione». La proposta non ha suscitato emozioni nella platea e Pannella ammette di averla appresa addirittura il giorno dopo, in una domenica mattina utilizzata per preparare il suo secondo intervento, durato un’ora e mezzo e durante il quale di questa sua candidatura alle primarie non v’è stata traccia.
«Ma no, no... ma quali primarie? Ma di che parliamo? Non mi sembra un’idea seria... - dice Pannella - E poi: con chi dovrei presentarmi? Ma no, forza, lasciamo stare. Che qui, piuttosto, c’è da lavorare sodo e io, in questo senso, un’idea vera e realizzabile ce l’avrei». Quale? «Penso a qualcosa che, a questo punto, possa portare tutti noi radicali in un altro luogo, in un luogo che potrebbe essere un nuovo partito, che io chiamerei "Partito d’azione"». E come dovremmo immaginarcelo, questo «Partito d’azione»? «Beh, io immagino un partito liberale, radicale, laico e socialista...».
Pannella invita poi i diessini che si sono battuti nella campagna referendaria, come Turci, Pollastrini, come Cuperlo, «a riflettere sulle potenzialità che noi radicali, anche con un partito d’azione... possiamo offrirvi». L’idea di questo «Partito d’azione» Massimo Bordin, il direttore di Radio Radicale , la conosce da un paio di settimane: «È stato Marco a parlarmene, a prospettarmi l’idea d’un partito d’azione: alle primarie, invece, no, non pensa proprio».
Azione, mobilitazione: ne è convinto anche il segretario Daniele Capezzone. «Per ripartire dopo la sconfitta del 12 e 13 giugno, occorre cominciare a lavorare per la scadenza delle elezioni politiche del 2006». Pannella pensa ad un «Partito d’azione»... «La suggestione di Marco ci piace. A settembre, per questo, organizzeremo un seminario per ragionarci su e poi, il mese seguente, a ottobre, avremo il nostro congresso». Pronti a sciogliere il partito, segretario? «Sì, pronti pure a sciogliere il partito per costruire una cosa nuova».
Convocata, intanto, per oggi, una riunione straordinaria del Comitato nazionale dei radicali italiani. «Noi non molliamo mai», dice Capezzone. Militanti soddisfatti. Baci a Emma Bonino, complimenti a Marco Cappato. Poi facce di intellettuali, di medici e malati. Quella di Luca Coscioni, presidente dell’omonima associazione, collegato in video. Appoggiato a un muro, Salvatore Ferraro, processato e condannato per l’omicidio della studentessa romana Marta Russo. «Aiuto i detenuti in carcere. Anch’io mi batto con i radicali».

da "Time"
Guantanamo

Reporter Associatidi 18 Jun 2005
LE NUOVE TECNICHE DI "TORTURA" UTILIZZATE DAI MILITARI AMERICANI

Washington, 18 Giugno 2005. I successi della popstar sexy Christina Aguilera trasmessi ad alto volume per impedire ai detenuti di Guantanamo di prendere sonno e distruggerli moralmente. E' questa una delle tecniche di "tortura" utilizzate dai militari americani per ottenere confessioni dai circa 520 cosidetti "combattenti nemici". Lo rivela il settimanale "Time" nel numero in edicola da oggi, proprio mentre continua ad impazzare il dibattito su una eventuale chiusura del carcere, con i centinaia di prigionieri mai incriminati e senza difesa legale.
A Guantanamo "Time" dedica la sua copertina rivelando che oltre alle canzoni della Aguilera a tutto volume per impedire ai prigionieri di dormire, vengono utilizzati gavettoni, videocassette con gli attacchi alla Torri Gemelle e viene anche negato il permesso di andare al bagno. Tutto ciò si trova in un documento che "Time" ha ottenuto. Sono 84 pagine di cui il Pentagono ha confermato l'autenticità e in cui vengono spiegate le tecniche utilizzate per ottenere informazioni dai prigionieri, la maggior parte dei quali ex talibani o presunti tali catturati in Afghanistan. Nel documento si parla per esempio del "prigioniero numero 063", Mohammed al Qathami, la cui prigionia viene raccontata quasi minuto per minuto.

A un certo punto, spiega il documento, i responsabili degli interrogatori, per umiliare Qathami, gli impongono di abbaiare e di ringhiare davanti alle foto di altri detenuti. In altri episodi l'uomo viene obbligato a farsela addosso, gli vengono tagliati barba e capelli, o ancora viene fatta entrare nella stanza una donna, per metterlo in difficoltà, o un cane, di cui ha molta paura. Qathami, catturato in Afghanistan, aveva tentato di entrare negli Stati Uniti nell'agosto 2001, un mese prima degli attacchi dell'11 settembre, ma era stato rimandato indietro perché non aveva biglietto di ritorno.

Di qui il sospetto che lui fosse destinato a partecipare all'attacco dell'11 settembre 2001. Nel documento c'è anche la trascrizione dell' interrogatorio in cui lui ammette di lavorare per al Qaeda e per Osama bin Laden. Ma quando gli viene chiesto quale fosse la sua missione, Qathami risponde: "Non me l'hanno detto".Il rapporto segnala infine che ad un certo momento il detenuto ha avuto problemi di disidratazione ed è stato necessario ricoverarlo per diversi giorni in ospedale.

Tutto questo, si diceva, nel momento in cui la "questione Guantanamo" cpntinua a "montare" nel dibattito politico. Ieri, per esempio, è stata al centro dei principali talk show televisivi domenicali con una serie di personalità - non solo dell'opposizione democratica - che iniziano a premere per una sua chiusura, visti i danni che sta arrecando all'immagine degli Stati Uniti all'estero. Davanti alle telecamere della Fox un deputato repubblicano, Duncan Hunter, presidente della commissione Forze Armate, ha addirittura rivelato che il dibattito ha investito in pieno la Casa Bianca, con diversi esponenti della stessa amministrazione del presidente George W. Bush che si dichiarano pronti a chiudere il carcere.

Nei giorni scorsi, poco dopo che Amnesty International aveva definito Guantanamo "il gulag del nostro tempo", Bush aveva reagito stizzito ("un'assurdità") ma aveva anche lasciato cadere un "stiamo esplorando tutte le alternative". Ieri però sia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, sia il vicepresidente Dick Cheney, i due "falchi" del governo, hanno smentito una prossima chiusura della prigione di Cuba. Alla Cnn il senatore, anche lui repubblicano, Chuck Hagel, si è detto pronto ad accettare una chiusura di Guantanamo, ma solo se nel frattempo verrà trovata una alternativa per neutralizzare i terroristi che vogliono colpire gli Stati Uniti.

Sempre alla Cnn, l'ex segretario di Stato Henry Kissinger ha espresso dubbi sull'utilità del carcere, visto il danno di immagine all'estero, ed ha anche messo in guardia sul rischio di creare una nuova generazioni di terroristi antiamericani, che poi era lo stesso argomento usato da Thomas Friedman, il columnist del "New York Times", che una settimana fa aveva posto il problema per primo.

Infine, il magazine settimanale dello stesso "New York Times" aveva ieri un lungo articolo dell'ex direttore del quotidiano, Joseph Lelyveld, in cui si chiedeva dove tracciare la linea tra abusi ed intimidazione nei confronti dei nemici degli Stati Uniti, dopo la tragedia dell'11 settembre.

(New York. Grazie alla redazione di "America Oggi")
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