giovedì 6 novembre 2003

"la creazione ansiosa: da Picasso a Bacon":
una mostra di Palazzo Forti a Verona

(ricevuto da Paola D'Ettole)

Il Sole 24ore Domenicale del 2.11.03
Verona
Ansia e crisi, che bellezza!
Da Picasso a Bacon una mostra indaga tensioni e emozioni forti
di Ada Masoero


per ulteriori informazioni clicca QUI

Che cosa hanno in comune James Ensor e Tony Oursler? In apparenza pochissimo se non nulla; in realtà molto. Lo prova una sala della mostra ordinata da Giorgio Cortenova nel suo museo veronese, che in un percorso di quasi 200 opere attraversa l'arte del secolo scorso muovendosi lungo un sentiero trasversale, umbratile e quanto mai coinvolgente: quello tracciato dalla nuova dimensione di estraneità e di spaesamento in cui, sin dall'estremo '800, si trova a vivere l'uomo contemporaneo. Il modello cartesiano di rappresentazione del mondo, di rassicurante limpidezza, crolla infatti sotto i colpi sferrati dal "principio di vita". Dopo Kirkegaard e Nietzsche frana ogni certezza. E, come scrive Cortenova, da allora in poi "l'incubo sotteso al quotidiano" impregna di sé molta parte dell'arte del '900.
La mostra, bella e fortemente ansiogena (ma di un'ansia "positiva", che mette in allarme sensi e mente, e che dunque ci induce a riflettere), è stata divisa dal curatore in sette sezioni dai titoli evocativi, che tuttavia potrebbero anche scindersi e ricomporsi in altro modo, a seconda di chi guidi il gioco. La cifra di tutte le opere esposte è infatti la stessa, ed è nella stragrande maggioranza dei casi di una forza comunicativa che parla da sé. Ma l'intensità del percorso deriva in larga misura anche dagli accostamenti fra opera e opera: la saletta, in cui i teschi e le maschere gessose di Ensor sono posti a confronto con il volto enfiato e sinistramente chiuso in un baule-sarcofago di Tony Oursler, ci rivela molto di più di quanto le opere, separatamente, avrebbero potuto dirci. E così è anche nella sala della sezione dedicata alla "Ferita della materia" (una materia che non è più al servizio dell'artista, pronta a essere plasmata, ma è ormai "autosufficiente", sebbene vulnerata e violentata): qui i rossi e i neri delle plastiche combuste di Burri dialogano, davvero nella stessa lingua, con la materia "lavica" di una scultura di Leoncillo, sorvegliati da due Giudici luciferini di Rouault. E in una saletta lì accanto, Orlan, in un video assai crudo, rinnega la sua stessa identità di persona nella cronaca filmata dell'ennesimo intervento di chirurgia plastica sul suo volto.
Naturalmente i maestri che nel corso dell'ultimo '800 e dell'intero '900 hanno percorso le vie dell'ansia, della frantumazione dell'Io, del quotidiano naufragio esistenziale dell'uomo moderno, ci sono tutti o quasi: c'è Munch, sempre accompagnato dalla Morte; c'è Redon, con i suoi incubi oscuri; c'è Schiele con i suoi corpi lividi in cui Eros si intreccia inscindibilmente a Thanatos; c'è il "necrofilo" Kubin e ci sono Lucien Freud, Louise Bourgeois, con una "bambola" di pezza mutilata, il Picasso di Guernica e Bacon che - come anche Arnulf Rainer - qui rende omaggio a van Gogh, padre di tutti loro. Ci sono Michaux e Wols - con i loro segni frantumati che - e naturalmente i tedeschi (Dix, Grosz, Schad, qui messo felicemente a raffronto con Margherita Manzelli, e Schlichter...). Ecco de Chirico e i suoi nordici "maestri" (Boecklin e Klinger), ed ecco le immagini diversamente allucinatorie di Cagnaccio di San Pietro e di Radziwill, di Gnoli, Estes, Vanessa Beecroft, Deborah Hirsch. La è messa in scena da Lorenzo Viani ma anche da Giacometti, dalla Richier, e dai maestri dell'Art Brut - i veri marginali, malati di mente -, ma nel percorso non mancano le sorprese: come le bellissime e malinconiche (precocemente depresse?) Bambine di Casorati, del 1906, e il "sindonico" Autoritratto di Guarienti; lo spettrale pic-nic di Fred Goldberg e lo splendido video del norvegese Per Maning: un gioco di presenza-assenza di grandissima intensità emotiva.
La creazione ansiosa. Da Picasso a Bacon, Verona, Palazzo Forti, fino all'11 gennaio 2004. Catalogo Palazzo Forti-Marsilio.

ancora sui crocifissi

La Repubblica giovedì 6.11.03
Crocifissi tra la fede e lo Stato laico
di CORRADO AUGIAS


Caro Augias, la questione dei crocifissi nelle aule è scoppiata a livello nazionale, si è cominciato a discuterne! Era uno dei tanti tabù che questa italietta con la i minuscola doveva ancora trovare il coraggio di affrontare. Ho sempre sostenuto la laicità dello Stato; ma non l'ho mai vista nelle scuole. Persino all'università (mi sono laureato l'anno scorso) le aule del Palazzo Liviano (sede di Lettere e filosofia a Padova) hanno un enorme crocifisso con i bracci di un metro per un metro, sopra ogni cattedra. Questa mia lettera vuol essere un grido a favore della rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici. Sono pieno di ammirazione per la Francia, che da cent'anni ritiene scontata la sua laicità. Ma che tristezza sentire parole laiche solo da Rifondazione e Radicali, e che si sia arrivati a questa sentenza per un integralista musulmano! Com'è piccola la nostra Italia!
Claudio Chiancone, Padova

Caro Augias, dovremmo ringraziare il signor Adel Smith per aver dimostrato quanto poco siamo cambiati dai secoli (cosiddetti) bui. Crociate per un simbolo che a quanto pare nessuno si accorge che c'è fino a quando non si vuole toglierlo. Sono atea e insegnante elementare. I miei due figli non sono battezzati, abbiamo voluto lasciarli liberi di scegliere, in qualsiasi momento della vita. La religione secondo me è una cosa intima e delicata. Il "popolo italiano" così poco omogeneo, solidale, coerente a quanto pare ha ancora bisogno di un simbolo per ritrovarsi. Che tristezza. Tolleranza, pace, fratellanza. Parole, parole, parole. Povero Cristo, povero fratello!
Paola Borsio

A seguito delle polemiche sul crocifisso è arrivata una tale quantità di lettere che il solo elenco dei mittenti riempirebbe la rubrica. Per la maggior parte sono del tenore delle due che pubblico. Un dato che, trattandosi di nostri lettori, potrebbe non rispecchiare la generalità degli italiani. L'aspetto più triste mi sembra francamente che quel provvedimento sia scaturito dalla provocazione di un uomo impresentabile come Adel Smith. L'aspetto più umiliante è che in Italia si faccia un tale baccano per problemi che altrove in Europa sono stati risolti alla fine del XVIII secolo. L'aspetto più irritante è che lo stesso Smith potrà a buon diritto chiederci dall'alto di che condanniamo il fanatismo talibano o le leggi religiose contro le adultere in Nigeria.

Anche se le circostanze sono diverse, resta infatti il principio che ogni commistione tra fedi religiose e regole statali è, di per sé, portatore di confusione e di intolleranza. L'aspetto più preoccupante è che un simbolo religioso sia imposto per decreto. Se fossi cattolico credo che vorrei conservare quella croce all'interno della mia coscienza e della mia chiesa, mai chiederei che venisse imposta ad altri per forza di legge. Il documento di un gruppo di associazioni cristiane per la laicità (numerose quelle cattoliche) pochi giorni fa sottolineava (Le Monde, 21 ottobre) come il laicismo sia condizione indispensabile per la crescita del sentimento religioso. Se non si crede alla Francia, soccorre l'esempio degli Stati Uniti, paese nel quale lo Stato non può far entrare manifestazioni e simboli di una qualunque fede nei luoghi pubblici e dove il sentimento religioso è radicato e in aumento.

il cinema di Marco Bellocchio a Ravenna

StradaNove.net
IL CINEMA DI MARCO BELLOCCHIO A RAVENNA
La rassegna è la 5a edizione di un festival cinematografico
dedicato agli autori cinematografici emilianoromagnoli (7-23/11/2003)


RAVENNA, DOPO LE GIORNATE DELLA FICE E IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA HORROR RAVENNA Nightmare, torna ad occuparsi di cinema con un'iniziativa su Marco Bellocchio che inizierà venerdì 7 e si concluderà domenica 23 novembre.
La rassegna è la 5a edizione di un festival cinematografico dedicato agli autori cinematografici emilianoromagnoli: il festival, iniziato nel '99 con Michelangelo Antonioni, è organizzato dal Comune di Ravenna, Assessorato alla Cultura, con la partecipazione della Regione Emilia Romagna ed il contributo della Provincia.

La manifestazione si articola in tre sezioni:

- la rassegna completa dei film e documentari di Bellocchio che verranno proiettati al Cinema Corso e presso la saletta Mesini a partire da venerdì 7 novembre fino a mercoledì 12 novembre (l'ingresso è gratuito). Sabato 8 novembre alle ore 20,30 verrà proiettato il film "Buongiorno notte"; alla fine della proiezione Marco Bellocchio incontrerà il pubblico.

- Convegno di studi, al quale presenzierà il regista, presso la sala convegni di Palazzo Strocchi. Il convegno analizzerà l'opera del regista piacentino nei suoi aspetti più vari: la musica, il rapporto con i classici della letteratura e del teatro, l'impegno politico. Relatori saranno Giacomo Gambetti, Gualtiero De Santi, Giacomo Martini, Tullio Masoni e Roy Menarini.

- A chiusura del convegno, sabato 8 alle ore 13, verrà inaugurata a Santa Maria delle Croci una mostra di oli disegni e storyboard di Marco Bellocchio. La mostra rimarrà aperta fino a domenica 23 novembre(*).

Per informazioni:
0544 482492

(*) la mostra di Parma, intanto, ha chiuso ieri

ancora sul premio di Stresa, il Grinzane, a Marco Bellocchio

Il Riformista 5 Novembre 2003
STRESA. PLEONASMI
Il postino suona troppe volte ma alla fine Bellocchio accetta il premio alla sceneggiatura


Che il postino suoni sempre due volte è un adagio fin troppo scontato nella letteratura e nel cinema. Mai, però, suonerà banale quanto l'assegnazione del primo premio del Grinzane Cinema ad "Ardiente Paciencia" (pubblicato nel 1985) del cileno Antonio Skàrmeta. Vincitore in quanto autore del «romanzo da cui è stata tratta la migliore pellicola», vale a dire "Il Postino" (1994) di Michael Radford, con Massimo Troisi e un'esordiente Maria Grazia Cucinotta. Come dire, buona la seconda, visto che Skàrmeta, opaco filmaker per sua stessa ammissione, aveva realizzato dieci anni prima una versione cinematografica di "Ardiente Paciencia" in proprio, senza grande successo. «La poesia non è di chi la scrive ma di chi la usa», diceva il saggio Neruda.
Sono cortocircuiti - o, meglio, giri a vuoto festivalieri - voluti dallo stesso Giuliano Soria, presidente del "Grinzane Cavour", che ha istituito il "Grinzane Cinema" (conclusosi a Stresa lo scorso primo novembre) per invertire il «rapporto improprio» tra cinema e letteratura. La stragrande maggioranza dei ragazzi, infatti, leggerebbe i libri solo dopo aver visto sullo schermo la trasposizione cinematografica.
Fin qui gli intenti nobili, raggiunti anche brillantemente, visto l'alto numero di studenti che hanno assistito agli incontri con scrittori e registi internazionali, da Vincenzo Cerami a Luis Sepulveda passando per Ermanno Olmi, con tanto di corsi e concorsi per sceneggiatori. Ma in quanto a palmarès ci si potrebbe aspettare qualcosa di più (o semplicemente di meno paludato e retrò) dall'appendice cinematografica del "Grinzane Cavour": la manifestazione letteraria che ha spesso premiato e segnalato in anticipo sui tempi autori poi consacrati al grande pubblico dal Nobel: J.M. Coetzee, Nadine Gordimer, Wole Soyinka, José Saramago, Günther Grass e Vidiadhar S. Naipaul.
«Premi ibridi come questo, tra cinema e letteratura, nascono quando ci sono aziende che non sanno come buttare i soldi - ha ammesso un critico letterario che domani interverrà alla trasferta romana del Grinzane Cavour, in programma alla "Casa delle Letterature", nell'ambito della rassegna I classici del domani - Ben vengano, per carità. Ma spesso non hanno né capo né coda».
Anche con gli altri premi, comunque, la fantasia del "Grinzane Cinema" non ha spiccato il volo. Il «Martini per la critica» a Tullio Kezich, quanto meno, colma un vuoto.
Ma il riconoscimento per la «miglior trasposizione in film tratta da opera letteraria» andato a "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio, tratto da "Il prigioniero" di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, sa di già visto. Un premio tipicamente italiano, nella sua doppia veste consolatoria e ridondante. A dare un tocco di noblesse oblige ci ha pensato poi il presidente della giuria Alain Robbe-Grillet, caposcuola del nouveau roman, teorico dell'irriducibilità delle pagine scritte di un romanzo sul grande schermo.
Se non altro, pur trattandosi, nei fatti, di un premio alla sceneggiatura (che è il sale di qualsiasi trasposizione cinematografica di un'opera letteraria) questa volta Bellocchio l'ha presa meglio di qualche mese fa, quando a Venezia rifiutò di ricevere un premio analogo. Diceva che non ci si riconosceva. Quello di Stresa l'ha ritirato. Repetita iuvant.