giovedì 24 luglio 2003

dalla tricotillomania alla schizofrenia...

Il Gazzettino Mercoledì, 23 Luglio 2003
LA NOSTRA MENTE
Tra i mali la tricotillomania, la cleptomania, il gioco d'azzardo patologico, l'esibizionismo, il feticismo, il voyeurismo
Le piccole-grandi patologie della vita quotidiana
Queste malattie rispondono, sostanzialmente, allo stesso trattamento farmacologico dei disturbi ossessivi compulsivi
Malattie diverse con radice comune: il concetto di "spettro"
Prof. dott. Antonio Augusto Rizzoli

In fisica "spettro" significa la distribuzione dell'intensità d' una radiazione in funzione dell'energia, della frequenza o di altre grandezze fisiche. Vi sono molte malattie psichiatriche che differiscono tra loro per intensità e ampiezza sintomatologica, ma che sembra abbiano radici comuni. Si è cercato, soprattutto con l'aiuto della genetica, di allineare queste malattie lungo un cosiddetto "spettro".
L'esempio più evidente viene da quello che viene chiamato "Spettro Ossessivo-Compulsivo" e che mette lungo un continuo malattie come le tricotillomania (il vezzo di strapparsi i capelli), la cleptomania, il gioco d'azzardo patologico, la piromania (quello, meno simpatico, di appiccare incendi), l'esibizionismo, il feticismo (l'essere eccitati sessualmente da cose), il voyeurismo (l'essere eccitati sessualmente dal poter ammirare, non visti, nudità altrui), l'anoressia e la bulimia, il dismorfismo corporeo, o quella malattia che fa erompere il soggetto, pieno di tic, soprattutto facciali, in esclamazioni oscene con agitazione psicomotoria e che prende il nome da quel neurologo francese dal nome proustiano di Georges Eduard Albert Brutus Gilles de La Tourette (1855-1909), che la descrisse per primo, entrando a vele spiegate in quell'Olimpo della neurologia, negato a molti. In queste malattie, così diverse, hanno un grande ruolo sia le ossessioni (il dover pensare a certe cose) che le compulsioni (il dover fare certe cose) che sono elementi sintomatologici tipici del cosiddetto Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). E infatti queste malattie sono collegate e vicine al Disturbo Ossessivo Compulsivo in quanto in ognuna di loro esistono, in varia misura, sia ossessioni che compulsioni. Del resto questi disturbi, così eterogenei tra loro, presentano vuoi dei pensieri intrusivi che il soggetto non vorrebbe avere, vuoi dei comportamenti ripetitivi e disturbanti che la persona si sente obbligata a mettere in atto, nonostante essa le critichi e si senta invasa da angoscia. E' interessante notare che tutte queste malattie rispondono, sostanzialmente, allo stesso trattamento farmacologico dei Disturbi Ossessivi Compulsivi (DOC) ove l'accoppiata inibitore del reuptake della serotonina più triciclico (in pratica Maveral più Anafranil) è in grado di guarire perfettamente i pazienti.
Un altro "spettro" in psichiatria è quello dei Disturbi Schizofrenici. Come noto la schizofrenia ( o meglio le malattie raggruppate sotto questo nome) è il grande problema della psichiatria, essendo la malattia più studiata e più controversa del secolo. Nel 1976 Kety introdusse il concetto di "spettro" avendo notato che i figli di genitori schizofrenici, adottati da non schizofrenici, sviluppavano la schizofrenia. In molti disturbi psicotici le alterazioni biochimiche, morfologiche e funzionali , nonché le determinanti genetiche, erano assai simili. Così si considerarono componenti dello "spettro" schizofrenico il Temperamento (tratti) Schizoide e Schizotipico, i Disturbi di Personalità Schizoide e Schizotipico, la Schizofrenia (simplex, disorganizzata, paranoide, indifferenziata, residua), il Distubo Schizoaffettivo, il Disturbo Psicotico Breve, il Disturbo Delirante (forme "atipiche").
Come per lo spettro dei Disturbi DOC anche qui la terapia con i nuovi neurolettici (la clozapina, l'olanzapina, la quetiapina, lo ziprasidone) si è dimostrata perfettamente in grado di combattere e prevenire ogni sintomo e ogni ricaduta apportando in tal modo un altro ed originale contributo, quello farmacologico ("ex juvantibus"), al concetto di "spettro" che è così convalidato.

«Dal mondo egizio all´antica Grecia, ai romani per giungere fino al '900 di Musil»

Repubblica 23.7.03
NEL MITO DI ISIDE E DELLA TRASGRESSIONE

Perché la divinità femminile si impose su tutte le altre
Ecco la dea che sarebbe piaciuta a Hollywood
Nell´enfasi regale sposò il fratello Osiride
Il ritratto che ne fece Apuleio nelle Metamorfosi [l'Asino d'Oro ndr]
Un libro dedicato alla religione dei misteri la racconta nelle diverse epoche
Dal mondo egizio all´antica Grecia, ai romani per giungere fino al '900 di Musil
Una figura femminile tragica e moderna le cui gesta ci affascinano

di NADIA FUSINI
Il mondo del mito è per me un mondo materno, antico e confuso. Ha il tono leggendario della parola materna; in senso letterale, intendo. Mia madre racconta così del suo passato, in modo leggendario; vertigini del tempo si aprono nelle sue storie che mi lasciano come di fronte al mistero ammutolita. Se rimango stordita è perché non capisco se è proprio vero quello che racconta e tra le varie versioni dello stesso episodio non so mai a quale credere, se a quella che vuole che la bisnonna materna fosse fuggita dalle montagne tra Sansepolcro e Arezzo con un artista del circo, o se invece era la sorella della bisnonna e l´amante non era un acrobata, no, era il padrone del circo... E la nonna paterna, o la bisnonna, lei era russa, ma com´era finita in Maremma? Migrazioni di popoli? O di simboli? Pure fantasie? E perché proprio quelle? Di una cosa però sono certa riguardo a mia madre: c´è un contenuto di verità nei suoi racconti, e se non coincide con il loro contenuto di realtà, questo fatto li rende semmai più intriganti.
Non accade la stessa cosa coi personaggi del mito? Il racconto mitico non è in effetti né meno ombroso, né meno confuso. Prendete ad esempio la figura di Iside, le sue storie, o leggende: secondo alcuni Iside è figlia di Ermes, secondo altri è figlia di Prometeo. C´è chi la identifica con Cerere. Altri ancora sostengono che Osiride e Iside sono figli di Zeus e Era, dèi che appartengono a una specie di seconda repubblica, posteriore a quel rimodernamento del cielo che fu opera di Crono. In certe tradizioni, per la molteplicità dei suoi poteri, Iside è chiamata myrionima, e tra i molti nomi il primo è quello di Demetra. Ma è anche chiamata Core-Persefone-Proserpina. In uno dei quattro inni incisi sui pilastri ai lati dell´ingresso del santuario di Iside a Madinet Madi nel Faiyum la si definisce "inventrice di ogni vita." O "Iside salvatrice". In molte leggende la si paragona a Io. Tra gli animali la vacca le è sacra, e quindi intoccabile e perciò esclusa dal sacrificio. Alla dea si offrono piuttosto buoi. O tori e cervi. Ama la pecora, e perciò non si veste di lana: l´Iside di Nemi possedeva una vera e propria parure in puro lino: tunica e mantello, stola; la cintura era d´oro...
Il mistero di Iside lo racconta in modo mirabile il secondo volume sulle Religioni dei Misteri che la Fondazione Valla ha mandato alle stampe a cura di Paolo Scarpi (pagg. XLVII-616, euro 27). Nel primo (recensito su queste pagine da Salvatore Settis) la raccolta di testi, amplissima, e unica al mondo, delle Religioni dei misteri riguardava Eleusi, il dionisismo, l´orfismo. In questo volume Paolo Scarpi, con la collaborazione di Benedetta Rossignoli, raccoglie quanto c´è di conosciuto sui misteri di Samotracia e di Andania e sui misteri di epoca ellenistica e romana: Iside, Cibele e Attis, e il mitraismo. Ci muoviamo prima per mare, in quello che si chiama oggi Mar di Tracia, approdando in un´isola, al di là della quale per i Greci cominciava la barbarie. E´ un´isola straniera, con un´oscura lingua rituale, e dèi oscuri, che Erodoto chiamava Cabiri, che significherebbe "grandi"; il culto dei quali dèi prevedeva la forma dell´iniziazione e della contemplazione, come a Eleusi.
Poi ci ritroviamo in una piccola città della Messenia, nel cuore del Peloponneso, ad Andania. Con Iside dall´Egitto ci apriamo all´immenso mondo imperiale romano, perché i misteri di Iside ebbero una spettacolare fortuna, trasportando l´icona della dea a una fama hollywoodiana.
E´ in questa sezione dedicata a Iside (curata in modo impeccabile da Benedetta Rossignoli) che mi sono attardata condotta con mano ferma dall´eccellente studiosa. E così ho appreso che in origine, all´epoca dei faraoni, i rituali che vedevano come protagonisti Iside e Osiride erano legati al processo di successione dinastica. Si accompagnava così il trapasso nell´Aldilà del faraone e insieme si celebrava l´insediamento del nuovo signore d´Egitto. In origine, al centro del mito e del rito c'era il mistero del potere, e della vita e della morte e della sopravvivenza del potente. In altri termini, affinché con il terremoto della morte non vacillassero le fondamenta stesse della vita si immaginò una storia che vedeva in Iside la sorella - prima che la sposa di Osiride - la quale Iside sposando Osiride lo elevava al trono. Osiride, però, veniva ucciso dal fratello, che a sua volta veniva ucciso dal figlio di Iside e Osiride... L´enfasi sulla consanguineità era centrale nella teologia regale; si risolveva così, con il genos, il problema del passaggio; passaggio di potere, passaggio dalla vita alla morte.
Fu Tolomeo I a rivitalizzare il culto della divina coppia fraterna Iside-Osiride, al fine di ristabilire un nesso di continuità ideale tra le pratiche cultuali della tradizione faraonica e la politica dinastica dei Tolomei: il matrimonio tra Tolomeo II e la sorella Arsinoe, celebrato da Teocrito nell´Idillio 17, ne è esempio. Negli atteggiamenti esteriori e nell´esercizio del potere, Arsinoe anticipa le regine Cleopatra II e III, fino all´ultima discendente dei Lagidi, Cleopatra VII; rispetto a loro i detentori del potere di sesso maschile sono pallide controfigure. Cleopatra VII (tanto per intenderci, quella shakespeariana) vanterà la memoria di una discendenza diretta dalla prima sovrana d´Egitto, vale a dire Iside.
L´elemento fondamentale del rito di passaggio non sparisce nelle trasformazioni posteriori; rimane anzi fortemente impresso nelle successive riprese del mito, mentre lo sviluppo del corpus dottrinario religioso che si compie in età ellenistica è frutto del rimodellamento che trova la sua espressione più completa nell´esperienza narrata da Apuleio nell´undicesimo libro delle Metamorfosi.
Per Apuleio Iside Regina è soprattutto madre, soccorritrice; con tale titolo la invocano gli iniziati ai suoi misteri. E per tali accenti col tempo la pratica cultuale dedicata alla dea subirà una evoluzione in senso cristiano: il suo ruolo di madre in età tardo-antica è avvertito come anticipazione delle prerogative fondamentali della figura mariana. Frequente in età ellenistico-romana sarà la raffigurazione della dea in trono che allatta Oro e proprio questo tipo iconografico produrrà una forma di sincretismo cultuale tra Iside e Maria.
E´, ripeto, in Apuleio - nel più bel romanzo dell´antichità che porta la sua firma: le Metamorfosi o L´asino d´oro - che si documenta appieno la tendenza universalistica che il culto isaico ha ormai assunto, a testimonianza del processo di assimilazione e sovrapposizione intercorso tra Iside e le diverse figure femminili del mondo mediterraneo. Iside è la dea panthea, assimilata e sovrapposta per identità di funzioni e per sfere di competenza ad altre divinità femminili variamente distribuite nel panorama geografico antico dalla Grande Madre frigia di Pessinunte a Ecate, passando per Persefone e Demetra. Nello stesso tempo rimane numen unicum, superiore alle altre dee.
Il vero nome di questa grande divinità è Iside regina, e con tale nome Lucio prega l´essenza divina della realtà tutta al termine della sua metamorfosi; sì, proprio lei, la sorella e sposa del re Osiride, sulla quale in origine si fondava il principio della regalità egiziana, ora è soprattutto madre. Madre della realtà: «Io degli dèi e delle dee rappresento l´aspetto uniforme e col mio cenno governo i culmini radiosi del cielo, i salubri venti del mare, i silenzi carichi di pianto degli Inferi» - così parla Iside, in Apuleio.
Via via leggendo le testimonianze raccolte con acribìa da Benedetta Rossignoli si ha la conferma dell´indeterminazione, dell´inafferrabilità, dell´evanescenza dei misteri. E´ qui che i misteri somigliano ai racconti di mia madre. La tradizione, v´è chi ha detto, è anche e soprattutto tradimento, e sullo sfondo dei misteri di Iside chi abbia l´orecchio iniziato non può non avvertire l'affiorare di un fraintendimento greco e poi greco-romano dei complessi mitico-rituali altri, stranieri; e straniero è l´Egitto. Per non parlare del fraintendimento degli autori cristiani.
Ed è qui che io - educata come sono a pensare che la vera natura di qualcosa coesiste con la sua propria origine, sì che per conoscerne l´essenza si deve riandare alla sua origine; fervida credente nel legame tra Wesen e Ursprung - mi sono detta: ma qual è il gesto di Iside, in origine? Quale il gesto - anzi, l´azione vera e propria, l´atto drammatico che le è proprio?
Iside era la sorella di Osiride e sua sposa. Alla morte di Osiride, per mano del suo Caino, che cosa fa Iside? Vaga alla ricerca del cadavere del fratello-sposo. La sua ricerca straziante fa dire a Erodoto: «Iside nella lingua greca è Demetra». Così Erodoto coglie la somiglianza dell´azione tra le due figure, Demetra in cerca della figlia, Iside del fratello. Ma Iside somiglia a Demetra, quanto somiglia ad Antigone. O se somiglia alla madre, è perché della madre, ma in quanto sorella e sposa, ripete quel gesto fondante dell´identità della creatura vivente che è la restituzione del corps morcelé all´intero dell´immagine. Atto che secondo Lacan pertiene allo sguardo materno in quella "fase dello specchio" assolutamente centrale allo sviluppo umano.
A ognuno dei pezzi del corps morcelé di Osiride Iside diede sepoltura, moltiplicando cenotafi sul corpo del mondo: questo il suo gesto salvifico. Iside raccoglie il corpo spezzettato del fratello-sposo. «L´unico resto di Osiride che Iside non trovò fu il suo membro virile; era stato, infatti, immediatamente gettato nel fiume e mangiato dal lepidoto, dal fagro e dall´ossirinco, che tra i pesci sono, per gli Egiziani, le creature più aborrite. Ma Iside fece una riproduzione in sostituzione dell´organo genitale e consacrò il fallo, e in suo onore gli Egiziani celebrano ancora oggi una festa», racconta Plutarco.
E´ interessante allora osservare come questo "tipo-femmina" (per riprendere un´espressione della sapiente Lou Andreas Salomé, donna particolarmente versata nella conoscenza dei misteri femminili), il tipo, cioè, della "sorella-sposa" venga progressivamente oscurato dal tipo "materno", la sposa che si fa madre e in quanto madre protegge, conserva, raccoglie. E non a caso proprio Lou Andreas-Salomé (lei che si volle sorella e sposa degli uomini che amò, tra gli altri Nietzsche) in un suo scritto che uscì nel 1914 su Imago col titolo Zum Typus Weib, accenna a un "narciso femminile" che si realizzerebbe per certe donne nell´amore fraterno, o sororale per l´uomo. Iside, mi chiedo, non potrebbe essere il "tipo" di questo amore fraterno incestuoso?
Di questo amore potrei fare vari esempi d´epoca moderna. Giovanni e Annabella in «Peccato che fosse puttana» di John Ford è il primo che mi viene in mente. Siamo in Inghilterra in epoca post-shakespeariana, e per un drammaturgo non è facile sopravvivere; sopravvivere, intendo, alla morte di Shakespeare. E cosa fa Ford? Volendo raccontare la storia di un amore impossibile, non scrive la patetica storia di Romeo e Giulietta, divisi per via dell´odio familiare. Scrive, invece, la cruenta tragedia di due giovani che si amano e congiungono nel più tabuico degli amori, perché sono fratello e sorella. E sapete come si discolpa il libertino Giovanni? Dice che proprio perché sono fratello e sorella si devono amare, così è stato deciso nel grembo materno. Pare di sentire Plutarco - che dopo tutto era conosciuto in Inghilterra - quando afferma: «Iside e Osiride, da parte loro, si amavano e la loro unione si compì prima ancora della nascita, nel buio del ventre materno». Un altro esempio è la coppia Tom e Maggie de Il mulino sulla Floss. Siamo nell´Ottocento e la colta, coltissima George Eliot - donna emancipata quante altre mai ai tempi - con tutte le storie che si può inventare, che cosa va a raccontare? L´amore incestuoso, con tragico annegamento, di un fratello e una sorella, la quale muore per salvare il fratello che muore con lei.
Né meno interessante è osservare che tipo di miti (nel senso proprio di storie, di trame) vanno a cercare nel Novecento uomini alla ricerca dell´ "altro stato", uomini votati al "possibile" - uomini come Musil, voglio dire. Il racconto umano quasi sempre prevede padri e figli, come insegnano Aristotele e Freud, ma se ci sono com´è naturale padri e figli in Kakania, nell´uomo senza qualità i figli non combattono i padri. Anzi, Ulrich proclama il proprio amore per il padre. Non ha gelosia. E´ Oreste. E va a cercare la sua Elettra, che si chiama Agathe.
Ma la faccia nascosta di Oreste è quella di Narciso. Oreste è preoccupato di ritrovare la sorella maggiore Elettra e di unirsi a lei, come Narciso alla propria immagine. Narciso non vuole né uccidere suo padre, né giacere con sua madre, vuole non essere figlio di nessuno, essere solo con se stesso, costituire la propria origine.
Cioè a dire, in epoca moderna, la legge della coppia incestuosa è mortifera. Sterile. Più si avvicinano, più il fratello e la sorella si ritrovano soli. Il frutto della fraternità è il vuoto, la solitudine. Mentre l´unione di Iside e Osiride era fruttuosa. Ma a quei tempi e in quei luoghi, come racconta Diodoro Siculo: «La legislazione contemplava il matrimonio tra fratelli per il successo ottenuto da Iside; costei, infatti, sposò il fratello Osiride e dopo la sua morte fece voto con un giuramento di non accettare altra unione coniugale, vendicò l´assassinio del compagno e regnò trascorrendo il resto della sua vita nel più assoluto rispetto delle leggi, divenendo motivo dei più grandi e numerosi benefici per tutti gli uomini». Chissà se era l´Egitto il nuovo regno che Ulrich e Agathe volevano fondare?

storia dell'unione sovietica

Repubblica 23.7.03
Lenin e la nave dei filosofi
I segreti della "nave dei filosofi" così Lenin epurò gli intellettuali

L´ex Kgb svela i documenti sulla deportazione via mare nel 1922 di 300 personalità scomode per il regime
La storia della deportazione di centinaia di intellettuali definiti "controrivoluzionari"Furono cacciati dal loro paese: fecero carriera nei migliori atenei del mondo
Si pose perfino il problema di far pagare ai deportati il biglietto per il viaggio

MOSCA dal nostro corrispondente Aberto Stabile
UNA SERA di settembre del 1922 il mercantile tedesco "Oberburgmeister Haken" salpò dal porto di Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, per una destinazione tenuta segreta, nel Baltico. La nave, che le autorità sovietiche avevano preso in affitto da un armatore tedesco, portava un carico straordinario, anch´esso circondato dal massimo riserbo. Armi? Veleni? Materiale bellico? Niente di tutto questo.
A bordo c´era, invece, il fior fiore degli atenei, delle professioni, dell´intellighenzia, come scrivevano i santoni del potere sovietico nei loro paranoici rapporti: storici, filosofi, letterati, i quali, lungi dall´aver svolto una qualche attività eversiva, venivano accusati d´aver espresso «sentimenti contrari» alla rivoluzione, al comunismo, ai dogmi marxisti. Quanto bastava, in quel tempo di ossessionanti furori, per essere arrestati e condannati all´esilio fuori dalla Russia vita natural durante.
La "Nave dei filosofi", come è stata definita dallo studioso Mikhail Glavatskij in un saggio uscito nel 2002, è oggi una mostra molto istruttiva su una delle pagine più vergognose della storia sovietica. Attraverso i documenti tratti dagli Archivi di Stato, dell´Fsb e del Cremlino, che hanno collaborato alla realizzazione della mostra, si capisce, ad esempio, come la mania persecutoria di uno Stalin, sublimata al punto da concepire lo sterminio sistematico degli oppositori, non fosse un caso di follia individuale, ma il risultato di una prassi e di una tecnica del potere che aveva in Lenin il suo ideatore.
Siamo nella primavera del 1922. Dopo cinque anni di regime rivoluzionario il paese è allo stremo. La carestia infierisce sul Volga, l´arteria vitale della Russia. Il cosiddetto "Comunismo di guerra" non è in grado di sfamare la popolazione. Il malumore si diffonde nelle campagne e nelle città, nelle Università e tra le categorie professionali. Per cercare di puntellare l´edifico che minaccia di crollare, Lenin è costretto a inventarsi la Nuova politica economica (Nep), che di fatto legittima il ritorno all´iniziativa privata.
Ma nel momento stesso in cui il regime sembra aprirsi, ecco evocato il fantasma del «nemico interno», la famigerata borghesia pronta a approfittare della momentanea difficoltà dei bolscevichi per riacciuffare il potere. Questo nemico, opportunista e velleitario, veste i panni dei docenti universitari, degli studenti, degli intellettuali, dei professionisti, dei medici (ecco un altro chiodo fisso del regime, i congiurati in camice bianco) che nelle assemblee d´Istituto, nelle riunioni di categoria e sui giornali clandestini rivendicano maggiore libertà.
Il vertice del partito è colto di sorpresa dalla rivolta della società civile. Ma a Lenin non manca, ancora, la lucidità necessaria per fronteggiare il fenomeno. Con calligrafia minuta, obliqua, supponente, il "lìder maximo", scrive a Kurskij, commissario per la Giustizia, un biglietto in cui propone che nel nuovo codice penale venga allargata la possibilità di applicare la pena di morte, mediante fucilazione, ma al tempo stesso, in determinati casi, di sostituire la pena capitale con l´esilio perpetuo, mediante deportazione.
È chiaro che Lenin pensa già a disfarsi dell´intellighenzia. Tant´è che il 19 maggio scrive al grande architetto dell´apparato repressivo, Felix Dzerzhinskij: «A proposito della deportazione all´estero degli scrittori e dei professori che aiutano la controrivoluzione, propongo l´istituzione di una commissione composta dal Gpu (il servizio di sicurezza dell´epoca, n.d.r.) e da intellettuali, che perlustri le pubblicazioni non comuniste e raccolga informazioni sul lavoro dei docenti e degli scrittori». E propone che a guidare il gruppo di lavoro sia una persona «intelligente, colta e accurata».
Trotskij, spietato, parla di «prevenzione umana». Perché, dice, se la situazione dovesse peggiorare, «saremmo costretti a fucilarli tutti». Con perfetta, spaventosa efficienza vengono istituiti gli Uffici di Collaborazione, un nome un programma, e stilati i primi elenchi di esiliandi.
Il 22 giugno, il Politburo emana l´ordine aberrante di deportare tutti i medici in Asia: alcuni subito, altri dopo un´indagine sulla «diffusione della letteratura illegale», un terzo gruppo a scaglioni. Il 16 luglio, Lenin in convalescenza dopo il primo ictus cerebrale, scrive a Stalin di accelerare le deportazioni. Le liste dei deportati vengono continuamente aggiornate prima di essere sottoposte al vertice. Improvvisamente - ed è un dettaglio che nella tragedia che si sta consumando ha una sua comicità - si pone il problema dei "costi". A pagare il prezzo del viaggio verso l´esilio devono, per decreto, essere gli stessi esuli. Ma la maggior parte di essi non ha più soldi. La dirigenza sottopone allora a Lenin il quesito se deve in questo caso lo Stato affrontare le spese. Alla fine lo farà. Ai deportati sarà permesso di portare soltanto gli effetti personali e l´equivalente di 50 rubli in oro. Alle ambasciate viene ordinato di non assumere personale reclutato nei ranghi degli espatriati.
Ma chi sono le vittime di quest´impressionante macchina repressiva? Storici e giuristi come Aleksandr Kizevetter e Venedikt Mikotin, scrittori e letterati, come Jakop Apushin, Mikhail Osorgin, Yulij Ajkhenvald, filosofi come Nikolaj Losskij, Lev Karsavin, Semion Franck, Nikolai Berdjaev, che nel 30 raggiungerà la cattedra di Teologia di Cambridge, Sergheij Bulgagov, Pjotr Struve, il filosofo e musicologo Ivan Lapshin, il segretario di Aleksandr Kerenski, Pitirim Sorokin, che le sue qualità porteranno ad Harvard.
Sono più di trecento a finire nelle celle della famigerata Butirka. L´unica forma di garanzia per gli arrestati è un breve interrogatorio secondo uno stampato, uguale per tutti. «Cognome: Berdjaev. Nome e patronimico: Nikolaj Aleksandrovich. Età: 48 anni. Origine: ex nobile. Occupazione: scrittore e studioso Stato civile: sposato. Stato patrimoniale: non ho proprietà. Domanda: Dica, cittadino Berdjaev, quali sono i suoi giudizi sulla struttura dello Stato sovietico e sul sistema proletario? Risposta: Per le mie convinzioni non posso avere un punto di vista di classe e ritengo ugualmente limitata ed egoista sia l´ideologia della nobiltà che quella borghesia che quella del proletariato. Il mio punto di vista è quello dell´uomo e dell´umanità cui deve subordinarsi qualsiasi limitazione di classe e di partito».
I primi di settembre, il primo gruppo di deportati prende il treno alla volta di Riga. Un secondo treno parte diretto a Berlino. A fine settembre salpa la nave "Oberburgermeister Haken". Un mese dopo, la nave "Preussen".