Repubblica, ed. di Napoli 10.5.04
LA POLEMICA
Le due linee della salute mentale
di MAURO MALDONATO
In principio era il manicomio. Bisogna partire da lì, da quella perfetta metafora della conditio inhumana che superava ogni concetto giuridico di crimine; da quel luogo dove migliaia di uomini vagavano per tutta la giornata, nudi, sporchi, spesso rannicchiati in un angolo dello stanzone, intirizziti, con lo sguardo perso nel vuoto; bisogna partire da lì, da quello spazio d´eccezione fuori dall´ordine giuridico normale, abitato da esseri spogliati di ogni diritto e ridotti a nuda vita, per capire qualcosa della discussione attuale sulle istituzioni per la "salute mentale".
Non si tratta di ricostruire - in questo mesto compleanno della legge 180 (26 anni) che nessuno sembra voler celebrare - le circostanze storiche, giuridiche e politiche, di un esperimento (per molti versi ancora impensato) che ha consentito a un manipolo di idealisti senza illusioni di chiudere i manicomi e rimediare, almeno un po´, alla nostra colpa e alla nostra vergogna con la restituzione alla libertà di migliaia di vite sommerse e salvate. Non è nostro compito. Né questa la sede. È però tempo - contro il rifiuto intollerante dei semplificatori a buon mercato - di fissare alcuni punti fermi. Dando la parola ai fatti. Ma, soprattutto, tenendoci alla larga dalla retorica aggressiva di chi si pretende titolare della verità. Mai come su questo argomento ogni parola che scriviamo è già una sottomissione, una caduta in questa retorica.
Insidia temibilissima, questa, a cui Sergio Piro non sembra far caso quando ingaggia le sue strane e ricorrenti battaglie contro coloro che in questa città stanno portando avanti il difficile (e interminabile) compito di costruire una rete di strutture per la salute mentale, sporcandosi le mani nel lavoro del giorno dopo giorno e fuori dalla ribalta mediatica. Insomma, facendo le cose, più che enunciarle o annunciarle.
Battaglie strane, dicevo. Perché? Per almeno due ragioni. La prima è che alzando la voce, moltiplicando le parole e agguerrendo il pensiero (con l´illusoria pienezza di chi afferma se stesso) si imbocca la via della rassegnazione, dell´immobilità e della disperazione. Una discussione pubblica, anche quando è fortemente agonistica, è sempre un incontro con gli altri, un entrare in rapporto con gli altri: dunque, un mettersi in condizione, di nuovo, di agire. La seconda ragione è che, ingaggiando questa battaglia, si trascurano i fatti, gli indigeribili fatti che, invece, bisogna tenere in massima considerazione.
Vediamo. A Napoli, il primo gennaio ?94 nell´ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi c´erano ancora 777 pazienti, nel Frullone circa 200. Perché a 16 anni dalla legge 180 che sanciva la chiusura dei manicomi la situazione era ancora quella? (Sbaglio o in quegli anni Piro svolgeva un ruolo istituzionale e scientifico di primissimo piano in città e in regione?). Inoltre, nell´arco di pochi anni si è passati in città, nonostante la scarsità di risorse, da 3-4 a più di 20 Sir (strutture intermedie residenziali: cioè quelle che ospitano le centinaia di persone liberate dal manicomio, più di una in ogni unità operativa). Fu proprio "Repubblica" (sul "Venerdì" di un anno fa) a fare un ampio e positivo servizio su una delle vituperate strutture.
Nei suoi toni intransigenti Piro sembra far rivivere l´antica idea della linea rossa che delimitava la rivoluzione permanente dalla linea nera, quella dei poveri funzionari che difendono l´esistente. Nel suo furore (non si capisce bene motivato da cosa) egli decide di ignorare che un´istituzione è una tensione inesausta e spesso contraddittoria tra "istituito" e "istituente", una complessità vivente costituita da una pluralità di livelli e di individualità. Inoltre, come fa a lamentare l´assenza e la latitanza delle istituzioni e poi, quando le istituzioni ci sono e magari funzionano, squalificarle. Ancora, non è un´enormità far diventare il normale trasloco di un servizio (da via Morghen a non so dove) un rischio per la civiltà e la democrazia? Nientemeno. Per quanto è dato capire il trasferimento ad altra sede non è dipeso dalla Asl, ma dalla decisione del proprietario di affittare i suoi locali a un commissariato di pubblica sicurezza. Dove, però, Piro appare incomprensibile è quando elegge a modello da imitare la realtà della "salute mentale" della Asl di Aversa. Conosco un po´ quel mondo per aver lavorato, per 7 anni e in prima linea, nella zona di Casal di Principe-Villa Literno. Ciò a cui Piro fa riferimento è solo una bella fantasia. Lì si è consumata un´opera di colonizzazione sistematica che ha solo umiliato la professionalità di tantissimi operatori.
Nessuno, caro Piro, crede di vivere in un mondo ideale. Figuriamoci! Ma una cosa è la faticosa e paziente costruzione di soluzioni alle questioni reali, altro ancora la sottile crudeltà di chi brucia con la penna tutto ciò che non è conforme ai propri desideri.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 10 maggio 2004
omicidi in famiglia
i nuovi dati Eurispes
Repubblica.it 8.5.04
Eurispes: un omicidio ogni due giorni fra le mura domestiche
Da maggio ad agosto 2003 il 28% in più rispetto al 2002
Aumentano i delitti in famiglia
Uomini uccidono più delle donne
La convivenza matrimoniale è il terreno più fertile
Gli psichiatri: "Il raptus non esiste, è l'epilogo di un percorso"
ROMA - Un delitto in famiglia ogni due giorni. E in due casi su tre, ad uccidere è un uomo. Così come è avvenuto per la studentessa trovata morta in auto, uccisa forse dal nonno, e per la donna assassinata nel reggiano dal figlio. I dati arrivano da un'indagine dell'Eurispes, relativa al secondo quadrimestre del 2003, elaborata su numeri della Criminalpol.
Nel complesso, da maggio ad agosto sono stati registrati 257 omicidi, ben il 21,8 per cento in più rispetto al quadrimestre precedente. E gli omicidi maturati all'interno della coppia e dei rapporti familiari sono passati da 49 a 55, registrando una crescita del 12 per cento. Nel periodo interessato i tentati omicidi sono stati 23, di cui dieci di coppia.
La maggior parte degli omicidi, 39 su 55, è avvenuta all'interno della coppia. In 30 casi, l'omicida è stato l'uomo. Record al Nord: 26 omicidi su 55. A livello regionale, spicca la Lombardia (21), seguono il Lazio (9), l'Emilia Romagna (5), la Liguria (4). Roma e Milano sono le città dove si registra il maggior numero di omicidi, rispettivamente 5 e 6.
Secondo l'istituto di ricerca, la convivenza matrimoniale è il terreno più fertile nel quale matura la possibilità di uccidere il partner e, talvolta, anche i figli. Alcune volte la molla che fa scattare la violenza è la scoperta di un tradimento o la non accettazione della separazione. In atri casi, si è registrata una situazione di conflittualità preesistente o disagi economici.
"E' proprio fra le mura di casa che si consuma la maggior parte degli omicidi", osserva il presidente della Società italiana di psichiatria forense, Giancarlo Nivoli. E secondo il parere di alcuni psichiatri le cosiddette "tragedie della follia" non arrivano mai all'improvviso. Per Nivoli, ad esempio, "ogni delitto è scatenato da una costellazione di fattori che agiscono insieme, come un'orchestra".
"Il raptus non esiste" anche secondo lo psichiatra Tonino Cantelmi, dell'università Gregoriana di Roma. Esiste invece "una lunga catena di dolore e sofferenza che non viene intercettata e che a un certo punto si spezza". Saper riconoscere questi segnali e poter chiedere aiuto, ha aggiunto Cantelmi, farebbe evitare molti dei delitti in famiglia.
Eurispes: un omicidio ogni due giorni fra le mura domestiche
Da maggio ad agosto 2003 il 28% in più rispetto al 2002
Aumentano i delitti in famiglia
Uomini uccidono più delle donne
La convivenza matrimoniale è il terreno più fertile
Gli psichiatri: "Il raptus non esiste, è l'epilogo di un percorso"
ROMA - Un delitto in famiglia ogni due giorni. E in due casi su tre, ad uccidere è un uomo. Così come è avvenuto per la studentessa trovata morta in auto, uccisa forse dal nonno, e per la donna assassinata nel reggiano dal figlio. I dati arrivano da un'indagine dell'Eurispes, relativa al secondo quadrimestre del 2003, elaborata su numeri della Criminalpol.
Nel complesso, da maggio ad agosto sono stati registrati 257 omicidi, ben il 21,8 per cento in più rispetto al quadrimestre precedente. E gli omicidi maturati all'interno della coppia e dei rapporti familiari sono passati da 49 a 55, registrando una crescita del 12 per cento. Nel periodo interessato i tentati omicidi sono stati 23, di cui dieci di coppia.
La maggior parte degli omicidi, 39 su 55, è avvenuta all'interno della coppia. In 30 casi, l'omicida è stato l'uomo. Record al Nord: 26 omicidi su 55. A livello regionale, spicca la Lombardia (21), seguono il Lazio (9), l'Emilia Romagna (5), la Liguria (4). Roma e Milano sono le città dove si registra il maggior numero di omicidi, rispettivamente 5 e 6.
Secondo l'istituto di ricerca, la convivenza matrimoniale è il terreno più fertile nel quale matura la possibilità di uccidere il partner e, talvolta, anche i figli. Alcune volte la molla che fa scattare la violenza è la scoperta di un tradimento o la non accettazione della separazione. In atri casi, si è registrata una situazione di conflittualità preesistente o disagi economici.
"E' proprio fra le mura di casa che si consuma la maggior parte degli omicidi", osserva il presidente della Società italiana di psichiatria forense, Giancarlo Nivoli. E secondo il parere di alcuni psichiatri le cosiddette "tragedie della follia" non arrivano mai all'improvviso. Per Nivoli, ad esempio, "ogni delitto è scatenato da una costellazione di fattori che agiscono insieme, come un'orchestra".
"Il raptus non esiste" anche secondo lo psichiatra Tonino Cantelmi, dell'università Gregoriana di Roma. Esiste invece "una lunga catena di dolore e sofferenza che non viene intercettata e che a un certo punto si spezza". Saper riconoscere questi segnali e poter chiedere aiuto, ha aggiunto Cantelmi, farebbe evitare molti dei delitti in famiglia.
El Greco a Londra
Ha successo a Londra la rassegna dell'Artista cinquecentesco
Quando Cézanne copiava El Greco
Tra Ottocento e Novecento la sua opera fu al centro di accanite discussioni tra critici
di ANTONIO PINELLI
Londra. El Greco è uno dei pochi maestri del passato che possa vantare una fama davvero universale, come dimostrano le strabocchevoli folle di visitatori che lo scorso inverno si accalcavano nelle sale del Metropolitan di New York e oggi accorrono alla National Gallery londinese, rischiando estenuanti file pur di non perdere la seconda ed ultima tappa di questa magnifica mostra monografica (El Greco, a cura di D. Davies, fino al 23 maggio). Non tutti sanno, però, che l´enorme popolarità di cui oggi gode questo pittore è un fatto relativamente recente, che ha scarso riscontro nella fama tardiva da lui conseguita in vita. Fama limitata e, in apparenza, effimera, tanto da scolorire rapidamente dopo la sua morte, condannando il suo nome ad oltre due secoli di perfetto oblio.
El Greco nacque a Creta nel 1541 e si formò nella sua isola, che allora era un possedimento veneziano, divenendo un tipico "madonnero" di scuola neo-bizantina. Sui 25 anni, spinto dalla voglia di ampliare i propri orizzonti, si spostò in Italia, dove trascorse quasi un decennio tra Venezia e Roma, entrando in contatto con Tiziano, Tintoretto, Michelangelo e la raffinata cerchia culturale della potente famiglia Farnese, senza però ottenere il pieno successo professionale cui aspirava. Approdato in Spagna nel 1576, la sua speranza di divenire pittore di corte andò presto delusa, tanto che dovette ripiegare su Toledo, città prospera ma esclusa dal grande circuito delle committenze regie. Vi si stabilì definitivamente, facendone la propria base operativa per il mezzo secolo scarso che ancora gli restava da vivere, e fu qui che poté gustare i frutti di una reputazione ormai consolidata, ma che sembrava destinata a relegarlo nel modesto Pantheon delle glorie locali. Finché nella seconda metà dell´800, proprio come accadde a Piero della Francesca e a Botticelli, un animoso manipolo di critici e di collezionisti lo riportò clamorosamente alla ribalta individuando in lui una sorta di prototipo dell´artista moderno. Maestri sulla cresta dell´onda, come Delacroix o Sargent, si fecero un vanto di possedere copie o repliche autografe di suoi capolavori, mentre il giovane Cézanne manifestò tutta la sua ammirazione per lui, copiando con grande applicazione uno dei suoi ritratti più famosi, la Dama con il mantello di pelliccia.
Questa riabilitazione, tuttavia, fu a lungo contestata negli ambienti più conservatori, perché nei decenni a cavallo tra '800 e '900 l´essere pro o contro El Greco era divenuto una discriminante tra chi era a favore e chi avversava l´arte contemporanea. A critici di punta come Fry o Dvoràk si contrapposero studiosi di bieco stampo positivista, che non esitarono a spiegare il febbrile cromatismo, le forzature prospettiche e le contorsioni delle sue figure esageratamente allampanate come il frutto di anomalie percettive di un soggetto afflitto da grave astigmatismo.
Tutto risulterà più chiaro, se si tiene presente che dietro a questa disputa su di un pittore vissuto ben tre secoli prima infuriava la ben più attuale battaglia a favore o contro la verosimiglianza nelle arti figurative. Dal canto loro, Fry e i suoi sodali non esitavano ad additare nella programmatica distorsione ottica cui El Greco sottoponeva le sue figure l´origine della scomposizione dei piani operata da Cézanne e portata ad estreme conseguenze dal Cubismo.
Oggi l´eco di questa battaglia, persa dagli antimodernisti, si è ormai affievolita. Resta comunque istruttivo constatare retrospettivamente quante tappe cruciali della battaglia in favore del "moderno" abbiano visto la questione di El Greco in prima linea. Come quando Franz Marc, impegnato a stendere con Kandinsky il manifesto del Cavaliere Azzurro, esaltava il pittore per l´arroventato misticismo dei suoi quadri. O come quando Picasso, proprio nell´impostare le sue rivoluzionarie Demoiselles d´Avignon, aggiungeva alla già deflagrante miscela composta dalla scheggiatura dei piani appresa da Cézanne e dal brutale sintetismo della scultura africana, la polvere pirica dei più arditi contorcimenti anatomici immaginati da El Greco in un quadro - L´apertura del quinto sigillo - che oggi figura tra gli oltre 80 capolavori presenti in mostra.
Non si può nascondere, tuttavia, che tuttora proprio la polvere sollevata da questa "battaglia per la modernità" offuschi alquanto l´esatta percezione di cosa davvero si celi dietro lo stile sfoggiato da El Greco. Uno stile che trae spiegazione dalla temperatura altissima con cui il fiammeggiante talento del pittore ha saputo portare al punto di fusione la singolarissima miscela composta dai fulgidi ed astratti stilemi bizantini, profondamente assorbiti durante il suo apprendistato di "madonnero" cretese, e dalle sconvolgenti novità apprese in Italia - l´acceso colorismo e il concitato luminismo dei Veneti, le torsioni e gli avvitamenti del manierismo michelangiolista.
Il paradosso è che tutto ciò sia sostanzialmente giunto a piena maturazione soltanto in Spagna. Quella Spagna in cui El Greco si trapiantò, ma senza integrarvisi completamente, tanto che continuò imperterrito a firmare le sue tele con il proprio nome greco - Doménikos Theotokópoulos. Dal canto suo, la Spagna ricambiò questa riluttante integrazione con un soprannome - El Greco, si badi bene, non El Griego - che a ben guardare riassume perfettamente la duplice identità, sia nazionale che culturale, del pittore: quella cretese e quella italiana. E ciò a dispetto del fatto che oggi gli spagnoli, grazie alla potenza persuasiva dell´arte, credano di veder riflesso nella sua pittura, corrusca e ardente, un frammento della propria identità più profonda.
Quando Cézanne copiava El Greco
Tra Ottocento e Novecento la sua opera fu al centro di accanite discussioni tra critici
di ANTONIO PINELLI
Londra. El Greco è uno dei pochi maestri del passato che possa vantare una fama davvero universale, come dimostrano le strabocchevoli folle di visitatori che lo scorso inverno si accalcavano nelle sale del Metropolitan di New York e oggi accorrono alla National Gallery londinese, rischiando estenuanti file pur di non perdere la seconda ed ultima tappa di questa magnifica mostra monografica (El Greco, a cura di D. Davies, fino al 23 maggio). Non tutti sanno, però, che l´enorme popolarità di cui oggi gode questo pittore è un fatto relativamente recente, che ha scarso riscontro nella fama tardiva da lui conseguita in vita. Fama limitata e, in apparenza, effimera, tanto da scolorire rapidamente dopo la sua morte, condannando il suo nome ad oltre due secoli di perfetto oblio.
El Greco nacque a Creta nel 1541 e si formò nella sua isola, che allora era un possedimento veneziano, divenendo un tipico "madonnero" di scuola neo-bizantina. Sui 25 anni, spinto dalla voglia di ampliare i propri orizzonti, si spostò in Italia, dove trascorse quasi un decennio tra Venezia e Roma, entrando in contatto con Tiziano, Tintoretto, Michelangelo e la raffinata cerchia culturale della potente famiglia Farnese, senza però ottenere il pieno successo professionale cui aspirava. Approdato in Spagna nel 1576, la sua speranza di divenire pittore di corte andò presto delusa, tanto che dovette ripiegare su Toledo, città prospera ma esclusa dal grande circuito delle committenze regie. Vi si stabilì definitivamente, facendone la propria base operativa per il mezzo secolo scarso che ancora gli restava da vivere, e fu qui che poté gustare i frutti di una reputazione ormai consolidata, ma che sembrava destinata a relegarlo nel modesto Pantheon delle glorie locali. Finché nella seconda metà dell´800, proprio come accadde a Piero della Francesca e a Botticelli, un animoso manipolo di critici e di collezionisti lo riportò clamorosamente alla ribalta individuando in lui una sorta di prototipo dell´artista moderno. Maestri sulla cresta dell´onda, come Delacroix o Sargent, si fecero un vanto di possedere copie o repliche autografe di suoi capolavori, mentre il giovane Cézanne manifestò tutta la sua ammirazione per lui, copiando con grande applicazione uno dei suoi ritratti più famosi, la Dama con il mantello di pelliccia.
Questa riabilitazione, tuttavia, fu a lungo contestata negli ambienti più conservatori, perché nei decenni a cavallo tra '800 e '900 l´essere pro o contro El Greco era divenuto una discriminante tra chi era a favore e chi avversava l´arte contemporanea. A critici di punta come Fry o Dvoràk si contrapposero studiosi di bieco stampo positivista, che non esitarono a spiegare il febbrile cromatismo, le forzature prospettiche e le contorsioni delle sue figure esageratamente allampanate come il frutto di anomalie percettive di un soggetto afflitto da grave astigmatismo.
Tutto risulterà più chiaro, se si tiene presente che dietro a questa disputa su di un pittore vissuto ben tre secoli prima infuriava la ben più attuale battaglia a favore o contro la verosimiglianza nelle arti figurative. Dal canto loro, Fry e i suoi sodali non esitavano ad additare nella programmatica distorsione ottica cui El Greco sottoponeva le sue figure l´origine della scomposizione dei piani operata da Cézanne e portata ad estreme conseguenze dal Cubismo.
Oggi l´eco di questa battaglia, persa dagli antimodernisti, si è ormai affievolita. Resta comunque istruttivo constatare retrospettivamente quante tappe cruciali della battaglia in favore del "moderno" abbiano visto la questione di El Greco in prima linea. Come quando Franz Marc, impegnato a stendere con Kandinsky il manifesto del Cavaliere Azzurro, esaltava il pittore per l´arroventato misticismo dei suoi quadri. O come quando Picasso, proprio nell´impostare le sue rivoluzionarie Demoiselles d´Avignon, aggiungeva alla già deflagrante miscela composta dalla scheggiatura dei piani appresa da Cézanne e dal brutale sintetismo della scultura africana, la polvere pirica dei più arditi contorcimenti anatomici immaginati da El Greco in un quadro - L´apertura del quinto sigillo - che oggi figura tra gli oltre 80 capolavori presenti in mostra.
Non si può nascondere, tuttavia, che tuttora proprio la polvere sollevata da questa "battaglia per la modernità" offuschi alquanto l´esatta percezione di cosa davvero si celi dietro lo stile sfoggiato da El Greco. Uno stile che trae spiegazione dalla temperatura altissima con cui il fiammeggiante talento del pittore ha saputo portare al punto di fusione la singolarissima miscela composta dai fulgidi ed astratti stilemi bizantini, profondamente assorbiti durante il suo apprendistato di "madonnero" cretese, e dalle sconvolgenti novità apprese in Italia - l´acceso colorismo e il concitato luminismo dei Veneti, le torsioni e gli avvitamenti del manierismo michelangiolista.
Il paradosso è che tutto ciò sia sostanzialmente giunto a piena maturazione soltanto in Spagna. Quella Spagna in cui El Greco si trapiantò, ma senza integrarvisi completamente, tanto che continuò imperterrito a firmare le sue tele con il proprio nome greco - Doménikos Theotokópoulos. Dal canto suo, la Spagna ricambiò questa riluttante integrazione con un soprannome - El Greco, si badi bene, non El Griego - che a ben guardare riassume perfettamente la duplice identità, sia nazionale che culturale, del pittore: quella cretese e quella italiana. E ciò a dispetto del fatto che oggi gli spagnoli, grazie alla potenza persuasiva dell´arte, credano di veder riflesso nella sua pittura, corrusca e ardente, un frammento della propria identità più profonda.
in un reparto di psichiatria
Kataweb Notizie 09 mag 2004 - 19:54
Maradona: Ospedale Italiano di Baires tenterà il suo recupero
Buenos Aires. Entro domani Diego Armando Maradona verrà trasferito nel reparto di psichiatria dell'Ospedale Italiano di Buenos Aires, che si farà carico del tentativo di recuperare l'ex fuoriclasse del Napoli alla vita normale. Lo ha rivelato il responsabile del servizio di psichiatria dell'ospedale, Hector Marchitelli, intervistato dal quotidiano Clarin.
Fino a ieri vari ospedali e centri di recupero dalla droga non avevano accettato di prendersi cura di Maradona, ritenuto paziente troppo 'scomodo'. Nelle ultime ore il medico curante di Diego, Alfredo Cahè, si è messo in contatto con Marchitelli e la situazione pare essersi sbloccata. "Non c'è nulla di sicuro al 100 per cento - ha puntualizzato Marchitelli - però ci siamo offerti di aiutare Maradona. Ora tutto è nelle mani della famiglia di Diego: l'ultima parola spetta a loro".
Della questione si sta occupando l'ex moglie del 'Pibe de Oro', Claudia Villafane, che ha scelto l'ospedale del Centro Italiano (ce ne sono quattro, due a Buenos Aires, una a Entre Rios e una in Uruguay a Punta del Este) dove far ricoverare il paziente. Maradona, che si trova ancora nella clinica Suizo Argentina di Buenos Aires, aveva ricevuto un'offerta di aiuto, e di ricovero, anche da parte di un centro specializzato nella cura delle tossicodipendenze di Montevideo, gestito dalla locale Associazione Spagnola. Ma Claudia sembra aver preferito l'Ospedale Italiano di Buenos Aires, ritenendo quel reparto di psichiatria la struttura più adatta per far curare l'ex marito. (Spr)
Maradona: Ospedale Italiano di Baires tenterà il suo recupero
Buenos Aires. Entro domani Diego Armando Maradona verrà trasferito nel reparto di psichiatria dell'Ospedale Italiano di Buenos Aires, che si farà carico del tentativo di recuperare l'ex fuoriclasse del Napoli alla vita normale. Lo ha rivelato il responsabile del servizio di psichiatria dell'ospedale, Hector Marchitelli, intervistato dal quotidiano Clarin.
Fino a ieri vari ospedali e centri di recupero dalla droga non avevano accettato di prendersi cura di Maradona, ritenuto paziente troppo 'scomodo'. Nelle ultime ore il medico curante di Diego, Alfredo Cahè, si è messo in contatto con Marchitelli e la situazione pare essersi sbloccata. "Non c'è nulla di sicuro al 100 per cento - ha puntualizzato Marchitelli - però ci siamo offerti di aiutare Maradona. Ora tutto è nelle mani della famiglia di Diego: l'ultima parola spetta a loro".
Della questione si sta occupando l'ex moglie del 'Pibe de Oro', Claudia Villafane, che ha scelto l'ospedale del Centro Italiano (ce ne sono quattro, due a Buenos Aires, una a Entre Rios e una in Uruguay a Punta del Este) dove far ricoverare il paziente. Maradona, che si trova ancora nella clinica Suizo Argentina di Buenos Aires, aveva ricevuto un'offerta di aiuto, e di ricovero, anche da parte di un centro specializzato nella cura delle tossicodipendenze di Montevideo, gestito dalla locale Associazione Spagnola. Ma Claudia sembra aver preferito l'Ospedale Italiano di Buenos Aires, ritenendo quel reparto di psichiatria la struttura più adatta per far curare l'ex marito. (Spr)
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