Repubblica 21.504
LE IDEE
Quando la guerra santa era fatta dai cristiani
Nei Meridiani esce un volume sulle Crociate con i testi più belli e divertenti del dodicesimo e tredicesimo secolo
Nel 1096 folle di pellegrini si misero in movimento, guidati da Pietro l´Eremita che cavalcava un asino a piedi nudi
Le reliquie dovevano produrre miracoli guarigioni, esorcismi ma avevano soprattutto il compito di sacralizzare il mondo
Fu Costantino il Grande a riportare alla luce i luoghi sacri e qualche decennio più tardi furono ritrovate le tre croci
L´imperatore Adriano aveva distrutto la città dove Gesù era stato crocifisso e tutto ciò che lo riguardava era scomparso
di PIETRO CITATI
SE DOVESSI indicare a un lettore italiano di oggi un libro divertentissimo: un libro dove perdersi, piangere, ridere, inorridire, meravigliarsi, non smarrire per un istante il filo dell´attenzione, non avrei il minimo dubbio: "Le Crociate" (Meridiani, Classici dello Spirito, a cura di Gioia Zaganelli, Nora Tigges Mazzone, Cristina Nardella, Eugenio Burgio, Alvaro Barbieri, pagg. LXXVI 1932, euro 49), dove sono raccolti con scrupolo i testi più belli scritti sulle Crociate nel XII e XIII secolo.
Capisco di stupire qualcuno: le Crociate non raccontano una tragica passione religiosa? Il loro vero protagonista non è il sepolcro di Gesù Cristo ? il luogo dove ha posato le sue membra provvisorie per un momento? Noi leggiamo di battaglie, massacri, follie e furori religiosi, luoghi sacri, avventure, scorrerie, amicizie cavalleresche, viaggi per mare e per terra, franchi, bizantini, arabi, turchi, ebrei. Questa è la storia che purtroppo noi conosciamo anche troppo bene, col suo terribile carico di sangue. Eppure, appena abbiamo sfogliato una decina di pagine di questo libro, la storia diventa immaginazione fantastica, invenzione romanzesca, come nel grande ciclo di Alessandro Magno, l´unico al quale il ciclo delle crociate si possa paragonare. Per questo, le Crociate piacciono (o piacevano) tanto ai bambini, e Walter Scott e Robert Louis Stevenson le adoravano. Anche i crociati non sanno mai bene se abitano nella realtà o nell´immaginazione. Il nostro spazio non è il loro. Stanno sempre per scivolare di là, nel mondo dei cieli o in un ciclo cavalleresco. E, per questo, quasi tutti non si preoccupano affatto di raccontare la verità ? questa cosa noiosa. Sia loro sia i narratori dimenticano cosa è accaduto, inventano, ingannano coscientemente o senza saperlo, dicono menzogne, sebbene portino sul petto il segno del Dio della Vera Croce.
La storia delle Crociate era cominciata nel quarto secolo dopo Cristo. Dopo la seconda insurrezione ebraica, l´Imperatore Adriano aveva distrutto l´antica città ebraico-cristiana, dove Gesù era stato crocifisso: tutto era scomparso, i segni della condanna, della morte e della resurrezione, delle lacrime e della gioia; e sopra la rovina aveva edificato una superba città pagana, Aelia Capitolina, con un santuario di Zeus, un tempio di Afrodite e un cimitero. Dopo il 325, Costantino il Grande fece radere al suolo Aelia Capitolina e i templi pagani, e trascinare via, oltre i confini del paese, «l´impura e contaminata» massa di pietre e di legname che portava in ogni molecola il segno dell´empietà. Una religione scompariva: un´altra ne prendeva trionfalmente il posto. Lì sotto, tra le pietre e le rovine, riapparve la città degli ebrei e di Cristo: il Golgotha, il Monte degli Ulivi, e il sepolcro scavato nella roccia dove Giuseppe d´Arimatea, secondo il Vangelo, aveva portato il cadavere sanguinante di Cristo, avvolto in un lenzuolo pulito e intriso di aromi. Come disse Eusebio, «il luogo più sacro che esista sulla terra» tornò nuovamente alla luce: il mondo intero possedeva nuovamente un centro.
Qualche decennio più tardi, furono ritrovate le tre croci: secondo una leggenda, una specie di atto magico permise di identificare la Vera Croce. Durante la settimana santa, una croce veniva innalzata sul Golgotha, adorna d´oro e di pietre preziose. Il vescovo sedeva su uno scanno: davanti a lui stava una tavola coperta da un lino, dove il legno della Vera Croce veniva chiuso in un cofanetto d´argento dorato. Il cofanetto veniva aperto: giungevano i fedeli, si chinavano, toccavano colla fronte e gli occhi il legno, lo baciavano con fervore pieno di lacrime. Sebbene fosse proibito toccarlo, qualcuno cercava di morderlo, di strapparne violentemente un frammento, come se volesse consacrare e salvare la propria vita.
Lì intorno, Costantino fece costruire alcuni grandi edifici: la chiesa del Santo Sepolcro, consacrata nel 336 con solennità inaudite, la Basilica della Resurrezione, «che s´innalzava fino a raggiungere un´altezza vertiginosa», una lunga teoria di porticati. Tutto era splendore, trionfo, esaltazione: mosaici, marmi preziosi, cortine di seta ricamate d´oro e d´argento, candelabri e lampade che versavano onde di chiarore brillante, incensieri che colmavano di profumi la tomba e la basilica. E poi ori, ori, ori, che scintillavano e gettavano luce dai cassettoni della chiesa. La Gerusalemme ebraica di Cristo, con quegli alberi, quelle palme, quei somarelli, quell´aria di sobrietà ascetica era scomparsa sotto l´oro. L´oro è luce: luce scesa dal più alto dei cieli; ma la Gerusalemme di Gesù era stata anche ombra, tenebra, sofferenza, umiliazione, desolazione, che la nuova Gerusalemme cristiano-romana rischiava di dimenticare.
Nel quarto secolo si moltiplicarono i pellegrinaggi verso il Santo Sepolcro: pellegrini da oriente e da occidente, attraverso la Spagna e la Russia, per mare e per terra, di poveri e ricchi, di pii e peccatori. Qualcuno aveva in mente la guarigione, la purificazione, l´espiazione. Ma, per molti, la meta era infinita: abbandonare le ricchezze, la patria, la famiglia, i vicini; e diventare stranieri. Ripercorrevano il viaggio che gli ebrei avevano compiuto lasciando l´Egitto: ma in un modo che gli ebrei non avevano conosciuto. Gli ebrei possedevano un tempo continuo: i cristiani chiedevano a Dio soltanto un viatico, giorno per giorno, momento per momento, istante per istante, senza nessuna certezza di domani - una collezione di frammenti, di passi che si susseguivano sulle terre e sui mari. Qualcuno voleva molto di più: lasciare la patria, per morire nei luoghi stessi dove era morto Gesù, tra il Golgotha, il sepolcro nella roccia, e il Monte degli Ulivi, entrando subito in cielo, con l´anima «intatta e raggiante di felicità». A volte la preghiera veniva ascoltata; e il pellegrino moriva, la sera stessa dell´arrivo a Gerusalemme, nel suo ospizio, appena finita la cena.
Per molti pellegrini del quarto secolo, la religione era soprattutto un luogo. A Gerusalemme, Gesù aveva lasciato tracce dovunque, segnando le pietre con la sua presenza: il pellegrino poteva scorgere l´impronta del suo piede nella chiesa di Santa Sofia, dove era rimasto in piedi di fronte a Pilato, o l´impronta del suo corpo - persino il viso, il mento e il naso - su una colonna del Monte Sion alla quale si era sostenuto durante la flagellazione. Il luogo supremo era il sepolcro nella roccia. Paola, un´aristocratica romana, entrava nel sepolcro, baciava la pietra che l´angelo aveva rimosso e «come se nella sue fede fosse assetata di acque desiderate», lambiva il punto dove il corpo del Signore era stato disteso. Quali lacrime, quale dolore, quali gemiti, quale fervore - ripeteva molti secoli dopo san Bernardo, che non fu mai a Gerusalemme. Paola vedeva cogli occhi dell´anima cosa era successo allora: la pietra rimossa dall´angelo, il corpo disteso e profumato di aromi. Non poteva scorgere la resurrezione che nemmeno il Vangelo osava rappresentare: ma si identificava per qualche attimo senza tempo con quelle membra ferite. Gerusalemme cristiana era unica: soltanto il Cristianesimo - né l´Ebraismo né l´Islam - poteva offrire ai suoi fedeli luoghi divini.
Così Gerusalemme - Gerusalemme d´oro, di rame e di luce, come scrive Franco Cardini - era il centro, l´ombelico della terra, come Delfi era stato l´ombelico della Grecia; e tutti i viaggi che i pellegrini compivano a Gerusalemme, scendendo dall´Irlanda o dalla Russia, erano un viaggio nel centro, nel luogo del fondamento. Là era accaduto tutto, letteralmente tutti gli eventi simbolici che segnano la storia del mondo. Sopra una roccia, chiusa nel Tempio ebraico, Dio aveva creato la terra; là Dio aveva piantato gli alberi dell´Eden: Adamo aveva peccato: Adamo era stato sepolto sotto la collina del Golgotha, e lavato e resuscitato dal sangue di Cristo che, goccia a goccia, cadeva dalla Croce: là Abramo aveva tentato di sacrificare Isacco: Salomone fondato il suo tempio: là era stata innalzata la Croce, e scavato il sepolcro. Là, infine, i morti sarebbero risorti, radunandosi nella nuova Gerusalemme celeste. Come dimenticarla? Come non volgere i passi verso di lei? «Se ti dimentico, Gerusalemme - diceva un Salmo - si dissecchi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se non penso più a te, se non metto Gerusalemme al culmine della mia gioia».
A Gerusalemme, tutto era sacro: perché ogni angolo di terra grondava di reliquie. In primo luogo, la Vera Croce, poi la pietra del Santo Sepolcro, le ciocche dei capelli della Vergine, il sangue di Cristo, i peli della barba di Cristo, la corona di spine, la lancia che spezzò il costato, le ossa di Stefano, i ciottoli raccolti nell´orto del Getsemani, le foglie d´ulivo del Monte, l´olio delle lampade del Santo Sepolcro, - e poi, molto più lontano, sulla strada verso l´Egitto, il balsamo miracoloso sceso dall´albero sotto il quale avevano sostato Giuseppe e Maria e il Bambino. Certo, queste reliquie dovevano produrre miracoli, guarigioni, esorcismi. Ma avevano un compito molto più importante: quello di sacralizzare il mondo, rendendo un doppio del cielo Gerusalemme e tutti i luoghi, a Costantinopoli, in Francia o in Italia o in Spagna, dove le reliquie venivano festosamente e trionfalmente disperse, intere o frantumate in ossicini, foglie o gocce.
Noi, che viviamo millesettecento anni dopo, ridiamo davanti alle sciocchezze dei nostri lontani antenati cristiani. Come? Non si accorgevano che tutte le reliquie erano dei falsi? Che la Vera Croce era un qualsiasi pezzo di legno acquistato dal boscaiolo? Che i ciottoli del Getsemani erano stati raccolti nel greto di casa? Che i peli della barba di Cristo venivano dal barbiere? Dubito molto che i nostri antenati cristiani, che leggevano i Vangeli, san Paolo e Platone mentre noi leggiamo Oriana Fallaci, fossero più sciocchi di noi. Non gli importava molto che le reliquie fossero o non fossero false, perché sapevano (come noi non sappiamo più) che l´immaginazione religiosa è così ricca e feconda che può trasformare un minimo pezzo di legno o una scheggia di pietra o una goccia di ribes nel più grande dei simboli.
Malgrado moltitudini di pellegrini arrivassero a Gerusalemme, il pellegrinaggio cristiano non aveva lo stesso rilievo di quello islamico alla Mecca, dove la Ka´ba, illuminata da una falce di luna, «assomiglia a una giovane sposa che si è tolta il velo e viene condotta in Paradiso circondata dagli ambasciatori». Molti padri della Chiesa, tra cui Gerolamo, Gregorio di Nissa e Agostino, erano contrari ai pellegrinaggi. «Non oserei chiudere l´onnipotenza di Dio in confini troppo stretti, oppure chiudere in una piccola località terrestre Colui che il cielo non può contenere». Ciò che importava - si sarebbe detto più tardi - era la peregrinatio animae. Gerusalemme sta dentro di noi: noi portiamo dentro il cuore l´immobile e mobilissimo centro del mondo: la Vera Croce, il Santo Sepolcro, la lancia che ferisce e guarisce, e persino le gocce del balsamo miracoloso scese dall´albero della Fuga in Egitto, sono immagini della nostra mente, che riproducono i luoghi irraggiungibili.
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Passarono molti secoli. Nel febbraio 638, il califfo Omar conquistò Gerusalemme, penetrando in città sopra un cammello bianco e indossando i suoi abiti di tela rozza, tutta sudata e rappezzata, mentre i generali bizantini sconfitti ostentavano gli abiti più brillanti e sontuosi. La maggior parte della popolazione cristiana esultò, afflitta dall´imperiosissima teologia e dalla paurosa tassazione bizantina. I pellegrini continuarono a giungere, sebbene in numero minore. Alla fine del millennio, diventò califfo un pazzo sciita, Al-Hakim - uno dei pazzi che sopravvengono ogni tanto, come sinistre meteore, nella storia araba - : nel 1003 distrusse una chiesa, poi bruciò croci, perseguitò e lapidò ebrei e musulmani, proibì il Ramadan, e nel settembre 1009 ordinò di radere al suolo la Basilica della Resurrezione e fare a pezzi la roccia del Golgotha e il sepolcro di Gesù, del quale rimase intatto solo un frammento: infine proclamò di essere un´incarnazione di Allah, sostituendo il proprio nome al Suo nelle preghiere del venerdì. Una notte, nel 1021, uscì a cavallo dalla città verso il deserto, dove si perse per sempre.
Quattro anni prima dell´invasione cristiana, un viaggiatore spagnolo raccontò con quale fervore i dotti musulmani, ebrei e cristiani discutevano insieme le loro religioni, così simili, così dissimili. Tra i musulmani si diffuse una leggenda. Nel giorno del giudizio, la Mecca e la Ka´ba e la Pietra Nera, col suo piccolo punto brillante, avrebbero abbandonato il suolo dell´Arabia, discendendo lentamente vicino a Gerusalemme: come la chiamavano gli arabi, Al-Quds. Anche il Paradiso si sarebbe posato con dolcezza presso Gerusalemme: la terra aveva ormai un solo centro, per ebrei, cristiani e musulmani.
Nello stesso periodo, racconta Rodolfo il Glabro, un irrequieto e fuggiasco monaco cluniacense, i pellegrinaggi occidentali verso il sepolcro si moltiplicarono. «Era una folla immensa come mai nessuno prima d´allora aveva osato sperare. Vi andarono rappresentanti della bassa plebe poi delle classi medie, in seguito tutti i grandi, re conti marchesi vescovi e infine, come non era mai accaduto, molte donne della nobiltà insieme con altre più povere». Quelle moltitudini partivano per mare e per terra verso la Terrasanta, perché (Rodolfo il Glabro diceva) attendevano l´avvento dell´Anticristo. Come annuncia l´Apocalisse, un angelo aveva liberato Satana dall´abisso, dove era stato incatenato per mille anni. Ora Satana aveva preso il volto di Maometto: ingannava le nazioni di Gog e Magog e gli ebrei: assediava Gerusalemme, giungeva a sedersi nel tempio di Dio; finché un fuoco disceso dal cielo lo avrebbe gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo per i secoli dei secoli. Allora scomparirà il mare, il sole e la luna. Discenderà dal cielo la città santa, la Gerusalemme celeste: con splendide mura di diaspro, un fiume di acqua viva, e l´albero della vita - l´albero del Paradiso terrestre del quale non abbiamo mai gustato il frutto.
Verso gli inizi dell´undicesimo secolo, nell´Europa occidentale si sviluppò l´idea della guerra santa, il gihad cristiano, che culminò nella prima crociata. Monaci, sacerdoti e papi immaginarono l´idea dei milites Christi: espressione fino allora dedicata ai monaci. Il miles Christi era il vero pellegrino: il nuovo popolo eletto che cercava la Terra Promessa, dove era scavato il sepolcro di Cristo; se moriva in battaglia, quali fossero i suoi peccati, veniva assunto in cielo, come gli antichi martiri della fede. Tutto gli era, in realtà, consentito: l´uccisione, il bottino, la spoliazione del nemico. Solo la Chiesa d´Oriente rifiutò tenacemente quest´idea. All´inizio della Canzone d´Antiochia, la guerra santa cristiana assume un aspetto particolarmente sinistro. Il poeta immagina che il buon ladrone, sulla croce, dice a Gesù: «Se sei Dio, vendicati di tutte le pene che questi perfidi giudei ti fanno subire». Cristo risponde che, sì, egli vuole, egli attende vendetta: ma questa vendetta dovrà attendere ancora mille anni, quando il suo popolo, «i guerrieri di Francia, i cavalieri famosi e i duchi, i principi, i signori, e tutti i baroni, verranno a vendicarlo con le loro spade e i loro spiedi aguzzi». La vendetta di Cristo! Parola orribile: mentre nei Vangeli le torture di Cristo facevano parte di un piano provvidenziale voluto da Dio, e il sangue e la morte di Gesù venivano riscattati dalla luminosa resurrezione.
I mille anni della vendetta attribuita a Cristo si compirono. Nel 1096, folle di pellegrini si misero in movimento. «Tutto l´Occidente - scrisse Anna Comnena, figlia dell´imperatore bizantino - e tutte le tribù barbare che si trovano oltre l´Adriatico e fino alle colonne d´Ercole si stanno muovendo tutte insieme attraverso l´Europa verso l´Asia, portando con sé l´intera famiglia». Li guidava Pietro l´Eremita, che raccontava alle folle di «una lettera caduta dal cielo»: cavalcava un asino a piedi nudi: aveva vestiti laceri e sporchi; la folla gli si schiacciava intorno e strappava i peli dell´asino come reliquie. I sacerdoti impugnavano lo scudo e la spada, divenendo, dicevano raccapricciando gli storici bizantini, «uomini di sangue». Le donne indossavano vesti da uomo: cavalcavano come maschi, stando «spudoratamente a cavalcioni». Tutti portavano palme e croci. Li accompagnavano (almeno nell´immaginazione) animali: sciami di cavallette, che divoravano le viti, rane, rospi, farfalle, uccelli, come se tutto il cosmo volesse redimere ed essere redento. Ogni tanto, apparivano nel cielo santi a cavallo: san Giorgio, san Demetrio, san Dionigi; e moltitudini di angeli su cavalli bianchi e preceduti da stendardi bianchi. Croci si imprimevano miracolosamente nei visi. I pellegrini rubavano, saccheggiavano, bruciavano; e quasi tutti vennero massacrati, dal re cristiano di Ungheria e dai Turchi in Anatolia.
Più tardi si mossero i nobili e i cavalieri, coi verdi elmi splendenti, le croci di seta e d´oro intessute sulle spalle e sui mantelli. La lunghissima marcia si arrestava, quando i crociati andavano in processione, confessavano i peccati, si comunicavano nel corpo e nel sangue di Cristo, distribuivano elemosine. Quando giunsero in Anatolia, ebbero una grande ammirazione per i loro avversari: i Turchi Selgiuchidi. Una leggenda faceva discendere franchi e turchi dalla medesima razza. Qualche volta, i franchi ebbero l´impressione che i turchi fossero i loro doppi: ne esaltavano la prodezza, il coraggio, la distinzione nel portamento, la straordinaria fierezza: quell´insieme di violenza e di follia così simile alla loro; e temevano l´abilità e le finte fughe della loro cavalleria. «Se fossero stati cristiani, sarebbero stati la più splendida delle razze». Tuttavia li massacrarono ferocemente: ad Antiochia trassero fuori dalle moschee i cadaveri dei soldati turchi e li gettarono in una fossa comune, dopo averne mozzato le teste «per conoscere il numero esatto dei nemici uccisi».
I crociati massacrarono soprattutto gli ebrei: dopo averli derubati, volevano costringerli a battezzarsi, giacché il battesimo degli ebrei era uno dei segni della fine dei tempi; ma gli ebrei della Renania rifiutarono, sgozzandosi gli uni cogli altri, in un olocausto sacrificale. Qualche decennio prima, un cronista aveva scritto: «Per consenso unanime i cristiani decisero di liberare radicalmente dai Giudei la loro terra e le loro città. Così essi vennero tutti presi in odio, espulsi dalle città, talora trafitti con la spada, talaltra affogati nei fiumi o uccisi in diverse maniere: alcuni giunsero a togliersi la vita con vari mezzi. Dopo quella giusta vendetta ben pochi ne rimasero nel mondo latino». Questa era, dunque, la giusta vendetta, che nella Canzone di Antiochia Gesù aveva annunciato mille anni prima al buon ladrone.
Il venerdì 15 luglio 1099, i Crociati entrarono a Gerusalemme. Era - dissero - lo stesso momento nel quale «Gesù Cristo nostro Signore accettò di subire per noi il tormento della Croce». Per qualche ora avevano atteso fuori dalle mura, piangendo di commozione e di gioia: da lontano il Tempio mandava luce; finché lo spettro di un soldato sconosciuto, secondo una cronaca provenzale, apparve sul Monte degli Ulivi, incoraggiando i Crociati. Il massacro non ebbe limiti, come mille anni prima durante la distruzione del Tempio ebraico di Gerusalemme da parte dei Romani. Sebbene Tancredi d´Altavilla avesse promesso la sua protezione, circa diecimila persone, fuggite sul tetto della moschea di Omar, furono uccise. Tutte le piazze erano piene di cadaveri. Non si poteva camminare per le strade senza calpestare corpi. Gli ebrei furono arsi vivi nelle sinagoghe: o venduti schiavi in Italia. «Se dirò la verità - scrisse Raymond d´Aguiles - essa supererà la vostra capacità di credere. E quindi vi basti questo: nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava nel sangue fino alle ginocchia e alle briglia. Senza dubbio, fu una punizione divina giusta e splendida il fatto che questo luogo fosse riempito del sangue dei non credenti, poiché per tanto tempo aveva sofferto dei loro atti empi». Poi i crociati si lavarono le membra, cancellarono il sangue che la vendetta aveva richiesto, ed andarono al Santo Sepolcro. Dopo le distruzioni di Al-Hakim, era rimasta solo una parte della grotta scavata da Giuseppe d´Arimatea, o costruita da Costantino. Non vi lasciarono «polvere, pagliuzze, sporcizia o ramoscelli o putridume», mentre piangevano di gioia recitando l´ufficio della Resurrezione.
Cinque mesi dopo, quando Fulcherio di Chartres arrivò a Gerusalemme per le feste di Natale, molti cadaveri erano ancora sparsi per le piazze e le strade della città. Incostanti e volubili come sempre, i crociati si erano annoiati: non avevano avuto voglia di raccogliere tutti i corpi e di bruciarli in un grande rogo. La città, che aveva avuto quasi centomila abitanti, era vuota: poche centinaia di ombre atterrite si aggiravano per le strade, dove qualche decennio prima gli ebrei, i cristiani e i musulmani avevano cercato di fondere la Gerusalemme d´oro, di rame e di luce. Un fetore intollerabile di putrefazione prese Fulcherio di Chartres alla gola, mentre penetrava nelle chiese e nelle moschee.
Poi il fetore scomparve. La città si ripopolò sotto il regno dell´intelligente Baldovino I, fratello di Goffredo di Buglione, sebbene né ebrei né musulmani potessero stabilirsi dietro le mura. Gli abitanti del regno latino di Gerusalemme non furono molti: mai più di centoquarantamila persone, divisi in una lunga fascia di terra lungo il mare, e circondati da milioni di arabi e di turchi. Per lo più venivano dalla Francia. Appartenevano alla piccola nobiltà: non amavano che i grandi feudatari si stabilissero in Terrasanta; e non erano colti, nemmeno i prelati, colle loro vesti sontuose, che indignavano i severi monaci d´Occidente. A poco a poco, si integrarono. Nacque una razza nuova, i franchi d´Outremer. «Noi che eravamo occidentali - scrisse l´incantevole Fulcherio di Chartres - ora siamo orientali. Chi era romano o francese, in questa terra è divenuto galileo o palestinese. Chi era di Roma o di Chartres è ora diventato cittadino di Tiro o di Antiochia. Abbiamo già dimenticato i luoghi in cui siamo nati: molti di noi non li conoscono neppure o non ne hanno mai sentito parlare». Amavano gli strani uccelli d´Oriente, e i corpi leggeri, dorati e lo spirito vivace degli arabi li attraevano, forse, più dei grandi corpi robusti dei guerrieri e delle dame del Nord. Sposarono siriane, armene o perfino arabe, purché queste ultime «avessero ricevuto la grazia del battesimo». Secondo un viaggiatore arabo, Ibn Jubayr, trattavano i contadini del luogo assai meglio degli antichi padroni musulmani.
Costruirono case ricche, mentre nel nord della Francia la vita era semplice e austera: con tappeti e tappezzeria damascata, tavole e scrigni elegantemente intagliati e intarsiati, biancherie immacolate, servizi d´oro e d´argento, porcellane cinesi. Portavano abiti orientali: il burnus di seta, il turbante, il kefieh arabo sull´elmo: le donne il velo e la giacca corta, ricamata da fili d´oro e pietre preziose. Impararono a fare il bagno, consolando le narici una volta disgustate degli arabi. Col soccorso di artigiani bizantini, siriaci ed arabi, ornarono di mosaici i loro palazzi. Quando un inviato dell´imperatore romano-germanico scese a Beirut, ammirò il pavimento marmoreo di una casa, che pareva mosso da una brezza leggera: ebbe l´impressione di sentire sotto i piedi la sabbia del mare. Il soffitto era dipinto coi colori del cielo: sembrava di vedere le nuvole vaganti, il soffio dello zefiro e i pianeti in movimento. La piscina, intarsiata con pietre di varii colori, rappresentava innumerevoli fiori, che si dissolvevano davanti allo sguardo appena li si fissava con attenzione. Né i franchi né l´inviato tedesco sapevano dove abitavano: quella era Grecia e Roma ellenistica, Pompei, rinate sotto l´ombra di Cristo.
Malgrado queste squisitezze arabo-classiche, i franchi non dimenticavano di vivere nei luoghi della Bibbia: immersi nei colori e nei profumi e nelle montagne e nel verde dei libri sacri. Tutto era Bibbia: Bibbia ebraica, cristiana, islamica, fuse in un paesaggio solo. C´erano le grandi tombe ebraiche: le sepolture di Abramo e di Sara, di Rebecca, Giacobbe e Lea, Giona e Jetro, della famiglia regale di Davide; e la sinagoga di Mosé, il palazzo di Salomone, i magazzini di Giuseppe, le stalle di Assalonne, la fontana di Sara. C´era - l´avevano appena ritrovato - il luogo dove Pietro aveva tradito tre volte Gesù: avevano costruito una chiesa, quella di Pietro in Gallicantu: c´era la pietra dove era caduta una goccia del latte di Maria mentre allattava Gesù; il calice verde dell´ultima cena che poi aveva raccolto il sangue sgorgato dal costato del Signore. E poi c´era la Bibbia secondo l´Islam: le vestigia del tronco di palma, dove Maria ebbe le doglie del parto; la moschea sotterranea dove era nato Gesù, con l´impronta delle dita di Maria nella pietra. Come distinguere, come scegliere tra quei luoghi che a volte si contraddicevano? Quali erano i luoghi veramente cristiani? Qualcuno dei franchi, che abitava da più tempo la Terrasanta, pensò che non si poteva, non si doveva scegliere. Tutto profumava di Bibbia, anche i pensieri.
(1 - continua)