mercoledì 30 marzo 2005

oggi
IL GIORNO DI PIETRO INGRAO

Oggi all'Auditorium di Roma

Mercoledì 30 marzo Pietro Ingrao salirà sul palco della Sala Santa Cecilia dell'Auditorium di Roma per festeggiare i suoi novant'anni. L'evento, promosso dal Comune di Roma in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma e il Centro di Studi e iniziative per la Riforma dello Stato, vuole rendere omaggio a uno dei padri della democrazia e della sinistra italiana, che fu Presidente della Camera dal '76 al '79. Fra gli ospiti: Walter Veltroni, Gianni D'Elia, Luciana Castellina e Ettore Scola renderanno le loro testimonianze. La serata, condotta da Gad Lerner, si aprirà alle ore 18 con la lettura di una lettera, fino ad oggi inedita, scritta da Ingrao in risposta a un articolo di Goffredo Bettini del 19 gennaio 1992, pubblicato su Paese Sera in occasione della fine dell'attività parlamentare di Ingrao. La lettera sarà letta da Luca Zingaretti. Si proseguirà con la proiezione di "Tempi moderni. Il cinema di Pietro Ingrao", una lunga intervista al politico realizzata da Mario Sesti. Poi sarà la volta della musica. Per Pietro Ingrao, grande appassionato di Bach, Michelangelo Carbonara, uno dei musicisti più apprezzati della nuova generazione, suonerà "Cinque invenzioni a due e tre voci". A seguire "Preludio e fuga in la minore", di Franz List e le "Quattro sonate" di Scarlatti. Nel Foyer della Sala sarà allestita anche una mostra di quadri ispirati da Ingrao, dipinti da Alberto Olivetti nel '84. Infine saranno esposti fino al 3 aprile materiali fotografici e documentari dell'archivio del Centro studi e iniziative per la Riforma dello Stato - Fondo Pietro Ingrao.


Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti. Info 06/80241281


leggi anche - qui sotto, alla data di ieri e del 27.3 - la lettera di Fausto Bertinotti, le altre lettere dall'inserto di otto pagine di Liberazione uscito domenica 27, e gli articoli dall'Unità di sabato 26 marzo u.s.
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Corriere della Sera 30.3.05
Stasera all’Auditorium con il sindaco la festa di compleanno di uno dei padri della Repubblica
Una storia del Novecento: i novant’anni di Ingrao

LA VITA
Pietro Ingrao è nato a Lenola (Latina) il 30 marzo 1915. Laureato in Giurisprudenza e in Lettere e filosofia, durante la guerra è attivo nella resistenza. Nel ’47 è direttore dell’Unità, dal ’48 deputato comunista. Nel ’92 non si ricandida
IL COMPLEANNO
Oggi Ingrao compie 90 anni e per festeggiarlo escono due pubblicazioni: una serie di ritratti, con prefazione di Rossana Rossanda, per Silvanaeditoriale, e un volume che comprende due lettere: quella inviata da Ingrao a Goffredo Bettini, nel ’92, e la risposta, 13 anni dopo
In alto i calici per Pietro Ingrao che oggi compie novant'anni. Stasera, alle ore 18.00, nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, lo festeggeranno Walter Veltroni, Gianni D'Elia, Luciana Castellina e Ettore Scola. La serata, condotta da Gad Lerner, vuole rendere omaggio, attraverso musiche, testimonanze, filmati e quadri, a uno dei padri nobili della Repubblica, mai fermo e sempre pronto a rimettersi in gioco. Nacque il 30 marzo del 1915 a Lenola, in provincia di Latina, ma sin da ragazzo giunse a Roma per studiare cinema al Centro Sperimentale dove, grazie a Bruno Sanguinetti, Antonio Amendola (figlio di Giovanni) e Mario Alicata, fra gli altri, maturò la sua coscienza antifascista. Laureato in lettere e giurisprudenza, entrò nella Resistenza e, seppure provvisoriamente, dimenticò il cinema e la poesia pagando un costo etico che presumiamo non trascurabile. Negli anni bellici, vissuti fra Roma, la Calabria e Milano, scoprì davvero se stesso: superò l'incantamento adolescenziale, divenne comunista, organizzò la cospirazione. Questa frenesia attivistica e partecipativa lo contraddistinse anche in seguito nei numerosi incarichi professionali e politici da lui ricoperti: direttore dell'Unità nel decennio cruciale delle scelte decisive del dopoguerra; membro della segreteria del partito nel fatidico 1956; presidente della Camera dei Deputati dal 1976 al 1979. C'è sempre stata in Pietro Ingrao una determinazione che gli fa onore: la consapevolezza di chi rinuncia all'illusione di poter conservare, soprattutto nell'agire politico, l'anima immacolata. Da lì scatta la disponibilità a non occultare i propri errori, anche se fossero clamorosi. Ecco perché la sua vecchiaia è così ammirata dai giovani, pronti a riconoscergli il nesso ineludibile fra il pubblico disaccordo proclamato nei confronti della svolta di Achille Occhetto e la recente dichiarazione di voto per Rifondazione Comunista. Eppure, nonostante questi ultimi sviluppi, l'esistenza di Pietro Ingrao sembra essere rimasta incisa nel cuore del Novecento: quando conobbe Laura Lombardo Radice e la sposò in Campidoglio, pochi giorni dopo la Liberazione della Capitale, il 24 giugno del 1944, facendo il viaggio di nozze insieme a lei sulla «circolare rossa», l'unico tram allora funzionante.

Corriere della Sera 30.3.05
In occasione del compleanno escono due omaggi a uno dei padri del Pci.
In una lettera scrisse: «È vero, ho due facce: sto dentro la misura, e la rifiuto»
Poesie e veleni, la Rossanda racconta i 90 anni di Ingrao
Maria Latella

ROMA - Pietro Ingrao raccontato da Rossana Rossanda, ma secondo un canone davvero lontano dagli stereotipi delle epopee politiche. E’ una descrizione intimista, quella della prefazione al libro che racchiude i ritratti di Ingrao disegnati da Alberto Olivetti e pubblicati da Silvanaeditoriale, una delle due pubblicazioni che oggi solennizzano i 90 anni di Ingrao. L’altro racchiude due lettere, una inviata da Ingrao a Goffredo Bettini, nel ’92, l’altra del medesimo Bettini, una risposta tredici anni dopo. Rossanda, invece, descrive. Fotografa, anzi, una mattina dell’estate 1984, «nell’atrio in ombra d’una vecchia casa di Lenola, appoggiata sui dossi del basso Lazio che nascondono il mare di Sperlonga». Già nel racconto della casa di famiglia, c’è un timbro non proprio prevedibile, gli Ingrao narrati per quel che sono, una famiglia di notabili locali, in anni in cui ancora capitava (era anzi piuttosto frequente) che il figlio del sindaco potesse diventare comunista. «Gli Ingrao facevano parte dei signori, i quali oggi sono invece di destra» si immalinconisce la Rossanda.
Pietro Ingrao aveva allora quasi 70 anni, e l’autrice dell’introduzione ai «Nove ritratti» di Olivetti descrive un uomo «...ancora giovane e teso, conchiuso in se stesso. Sembra colto in un passaggio...Riflette certo all’avanzare di un decennio torbido, e forse a distanziarsi dall’attività quotidiana al partito». Quella mattina, con Pietro Ingrao, a Lenola, c’è dunque anche Alberto Olivetti, uno dei giovani amici accolti da Pietro e Laura Ingrao che, ha detto la deputata ds Fulvia Bandoli, hanno sempre avuto un forte senso della famiglia, ma non quello del clan. Alberto Olivetti è oggi professore di estetica all’Università di Siena e dipinge, disegna, proprio come stava facendo anche a Lenola, quella mattina di ventuno anni fa. I due procedono in silenzio, ciascuno chino sulla carta che s’è scelto, uno disegna, l’altro corregge le bozze di un libro scandaloso, una prima raccolta di versi che Ingrao pubblicherà di lì a poco, con Mondadori. Rossana Rossanda ricorda:«Non tutti ne sono felici». Che succede, infatti, se un comunista tutto d’un pezzo a 70 anni si mette a scrivere poesie, pubblicandole, persino? E se quei versi «rivelassero una qualche umana nudità dell’icona politica?» «Ingrao è il partito, il compagno che sale sul podio un poco schivo, con la mano chiede di smettere gli applausi, parla ragionando, senza retorica...Il fascino che esercita su migliaia e migliaia di militanti viene dall’essere il dirigente che più ascolta ed è, assieme, il più assolutamente sicuro. Ingrao è l’alterità e la fedeltà, ben strette assieme, è tutto del suo partito, pretesa ingenua e crudele». Ingrao è un comunista «e non muterà» scrive Rossanda. Però «da quell’estate si concederà di scrivere anche per sé e in suo solo nome».
«Il dubbio dei vincitori» è il titolo dei versi che sta rivedendo, quella mattina, a Lenola. Di lì a poco, ben altri dubbi si abbatteranno sull’uomo che i ritratti tracciati da Alberto Olivetti mostrano fermo o appena aggrottato. Enrico Berlinguer è mancato da poco, in quell’estate 1984, e, scrive Rossanda, «il decennio che Ingrao ha davanti, quello che dovrebbe essere lo sfondo di una acquietata maturità, cova veleni». Pochi anni dopo, il 19 gennaio 1992, Ingrao annuncerà di non volersi più ricandidare alla Camera dei deputati ove sedeva dal 1948. In un affettuoso articolo pubblicato da «Paese Sera», Goffredo Bettini, oggi deputato Ds, scrisse che c’erano, nella vita di Ingrao, «due facce contraddittorie». Rispondendogli con una lunga lettera, rimasta fino ad oggi privata, Ingrao ne convenne:«E’ vero: sto dentro la misura, e la rifiuto».

Panorama.it 29.3.05
Lettera a un maestro di vita e di politica
Il diessino Bettini rende omaggio al grande vecchio della sinistra.
Che il 30 marzo sarà festeggiato all'Auditorium di Roma

di Paola Sacchi

Un’estate di venti anni fa durante una nuotata nel mare di Sperlonga lui, trentenne, non seppe tenere testa a quel settantenne che partì a razzo verso il largo, gridandogli tra una bracciata e l’altra: «Goffredo, ricordati quel comizio... e anche quella riunione». Guai a non ricordarsene, e non solo per il carisma del vecchio Pietro Ingrao, ma soprattutto perché il giovane Goffredo Bettini si era imposto che neppure una sedia dovesse restar vuota mentre il suo maestro parlava. E che spettacolo erano i comizi di quell’eretico capo comunista dalla personalità magnetica, che stabiliva «una comunicazione intima con la piazza», trasmettendo «emozione e forza agli altri».
Così Bettini, 52 anni, deputato ds, presidente dell’Auditorium di Roma, un borghese che nel Pci entrò «per riscattare quel che c’è di ingiusto nella condizione umana», capo morale della Quercia capitolina, definito il «Gianni Letta rosso» per il potere che esercita con eleganza e riservatezza, rende omaggio a Ingrao con una lettera in occasione del suo novantesimo compleanno. Scritta in risposta a quella che Ingrao gli inviò 13 anni fa, quando lasciò la Camera dei deputati, per ringraziarlo di un articolo scritto su Paese sera.
Il carteggio è raccolto in un volumetto, anticipato da Panorama, che l’editore Alberto Olivetti ha realizzato per la serata in onore di Ingrao organizzata il 30 marzo all’Auditorium di Roma. Ci saranno testimonianze del sindaco della capitale, il diessino Walter Veltroni, con il quale Bettini ha riscoperto un feeling «che va ben oltre la politica», di Luciana Castellina e di Ettore Scola, musiche di Bach e Liszt. La lettera di Ingrao sarà letta dall’attore Luca Zingaretti. Ne viene fuori un Ingrao inedito che parla a Bettini anche della comune passione per la buona tavola (piatto preferito è la pasta al forno) e per il cinema. Ma soprattutto per la politica. In cui Ingrao, oggi approdato a Rifondazione comunista, scrive di essere stato «trascinato a pedate dalla resistenza a Hitler». La politica per lui è «il luogo ideale dove si difendono gli umili e gli oppressi». Una sofferenza, la loro, che confessa di sentire «penosamente», «perché pesa a me: mi dà fastidio, mi fa star male». E quindi la politica «in un certo senso non è un agire per gli altri, è un agire per me». Ma Ingrao rivela anche che per lui, che è stato pure uomo delle istituzioni (nel ‘76 divenne il primo presidente comunista della Camera), la politica non può essere tutto: «Caro Goffredo, a fare un po’ di letteratura si potrebbe dire che io sono “scisso”... Sapessi quante volte quell’intervenire nella politica mi appare di una lontananza astrale dai miei stati d’animo più profondi». E conclude con una nota di divertita autocritica: «Questa lettera, lo so, è segnata di narcisismo. E alla mia età ciò è scandaloso... Tu sai che il solo vero consiglio che ho cercato di darti è stato: sforzati di essere libero».
Se Bettini non avesse seguito quel consiglio, non sarebbe probabilmente mai riuscito nella missione impossibile di far dichiarare pubblicamente a Pier Paolo Pasolini, nel 1975, il suo voto al Pci. E non avrebbe coltivato, scrive ancora al suo maestro, insieme alla lezione ingraiana «di incanto e disincanto» anche quella impartitagli dal «salubre scetticismo illuminista» di Gerardo Chiaromonte e dalla cultura classica di Paolo Bufalini, due dirigenti della cosiddetta ala destra del Pci alla quale si contrapponeva l’ala sinistra ingraiana.
Per Bettini, «il Pci è un patrimonio ancora valido per la sinistra dell’oggi. E per fare una buona politica contro la sclerosi del potere».

Il Mattino 29.3.05
Antonio Galdo

Non sarà semplice, per un uomo così refrattario alla retorica dell’autocelebrazione come Pietro Ingrao, reggere ai festeggiamenti previsti per i suoi 90 anni. Ma l’omaggio al Grande Vecchio della sinistra italiana, un nonno più che un padre, può essere considerato un affettuoso e modesto risarcimento a una dirigente politico che non nasconde né dissimula il peso di una sconfitta esistenziale. Ed anzi, con la vitalità di ex cospiratore riesce ancora ad interrogarsi, a cercare i perché, a rintracciare gli angoli nei quali filtra la luce di una possibile rivincita a beneficio delle nuove generazioni. Ma l’unicità di Ingrao non è contenuta nella sua biografia politica, pure così densa e affascinante. Se oggi si dovesse scegliere un personaggio-simbolo attraverso il quale rappresentare, in un romnazo o in una fiction, tutta la parabola del comunismo, il suo incurvarsi tra il Bene e il Male, la scelta non potrebbe non cadere su Pietro Ingrao. All’alba del Novecento, il «secolo terribile», questo giovanotto della provincia ciociara sbarca a Roma con le ambizioni di un intellettuale alla ricerca della sua fortuna e del riconoscimento del talento. Pietro è un ragazzo lunatico, introverso, curiosissimo. Scrive poesie gonfie di retorica anni Trenta, vuole studiare il cinema che significa il sogno americano, gioca molto bene a tennis e non esclude un futuro sportivo. A tutto pensa tranne che alla politica. E quando ci si trova dentro, trascinato dagli eventi, dalla Storia, da un senso di ribellione all’ineluttabile, Ingrao si trasforma perchè, senza alcuna lucida consapevolezza, diventa prigioniero di quella dimensione. Per lui, come per intere generazioni di militanti, la politica diventa il tutto, non una parte come sarebbe naturale. L’epopea del Novecento italiano, l’unicità di un Paese povero, semi-distrutto, privo di qualsiasi credibilità internazionale, che nel giro di pochi anni diventa una rispettabile Nazione, è incomprensibile senza questa chiave umana che Ingrao simboleggia nella durezza mediterranea del suo volto scolpito. La mistica della politica come «scelta di vita» ha prodotto una sorta di sdoppiamento di Ingrao, ed è qui la sua ricchezza letteraria. Il poeta, l’esteta, l’uomo interessato alle «altre» dimensioni, ha dovuto scomparire, autoescludersi di fronte a quella necessità, indivisibile dalla politica, di «stare in campo» (lui preferisce «nel gorgo»), occuparsi di concretezze quotidiane, diventare spietati con l’avversario e, laddove è necessario, anche con il compagno di partito. La ragion politica non ammette sfumature, non concede attenuanti, perchè la debolezza è un regalo al nemico mentre la spietatezza è un codice di comportamento. Poteva un uomo così non perdere la sua battaglia? No, non poteva. Ed è straordinario, per forza e per limpidezza, il modo con il quale oggi Ingrao, novantenne, mette insieme, tassello su tassello, i pezzi frantumati dell’apocalisse comunista. Già, perché il comunismo di Ingrao, ridotto all’osso di una sintesi letteraria prima che politica, è contenuto in questa sua frase autobiografica: «Ho speso un’esistenza battendomi per cose essenziali: il diritto di mangiare, crescere, istruirsi, curarsi, essere creativi nel proprio lavoro». Punto. Quanta più alta è stata l’aspirazione di cambiare il mondo, di rovesciare gli ultimi e trasformarli nei primi, tanto più oggi brucia la ferita di come è maturata la sconfitta, di come la crudeltà dei mezzi è diventata inversamente proporzionale alla grandezza del fine. Il giudizio pesantissimo di Ingrao sul leninismo, spietato come lo stalinismo, la sua critica radicale al comunismo italiano che non ha saputo, con la sua identità del tutto anomala rispetto all’Unione sovietica, prendere in tempo le distanze dalla mostruosità di un regime e dalle sue nefandezze, sono argomenti che ormai devono entrare nei libri di storia. Triturati dalla cronaca perdono il loro significato, e si riducono soltanto a schegge impazzite di quella propaganda che pure appartiene ai modi della lotta politica. Ciò che veramente conta, nel caso di uomo che a novant’anni si guarda indietro senza rinunciare all’orizzonte del domani, è il suo dolore, il dubbio, parola magica nel vocabolario ingraiano, di un errore più pesante dei suoi effetti. Di qualcosa che ha spostato l’asse di una vita condivisa con una comunità più che con i militanti e i dirigenti di un grande partito di massa. L’ultima mossa politica di Ingrao, a conferma di un’esistenza che si è incallita in questa dimensione, è arrivata appena qualche giorno fa. La sua adesione a Rifondazione comunista, annunciata attraverso il classico rituale di un congresso, non è un gesto disperato nè la concessione senile a chi ha saputo meglio adulare il Grande Vecchio. È una scelta. Un’ennesimo tentativo di difendere ciò per cui si è «spesa l’esistenza». I motivi di distacco dalla sua famiglia, il Pci-Ds, sono noti e irrisolvibili: Ingrao non considera più gli eredi del suo partito comunista come una forza della sinistra, non accetta alcuna mediazione con le necessità contemporanea di nuovi conflitti armati per difendere la democrazia ed i suoi valori, non sente il vincolo di un’appartenenza e tantomeno la possibilità di un lessico comune. Vede invece, ed è questa la novità che lo ha portato a un gesto finora sempre escluso (iscriversi a un partito diverso dal Pci), la possibilità di creare una nuova forza di sinistra, molto più larga dell’attuale recinto di Rifondazione, aperta e attraente per quelle nuove generazioni sulle quali il fascino di Ingrao non si è mai spento. Il «compagno disarmato», insomma, vede uno spiraglio per il suo comunismo, per la resurrezione del desiderio di «battersi per cose essenziali». E dice: io ci sto. Con la mia storia, ed i miei novant’anni. Una scelta che non può non destare rispetto e, mai come in questo caso, un semplice saluto di accompagnamento: auguri, onorevole Ingrao.

una lettera al Messaggero
la fontana di via Ettore Rolli

Via E. Rolli
Ridate acqua alla fontana

Ci risiamo! La fontana di via Ettore Rolli, come già un anno fa, è di nuovo all'asciutto da oltre un mese. Ma è possibile che l'Acea, reparto idrico, non ripristini da subito l'erogazione dell'acqua nelle 4 ciotole di detta fontana? Mi affido alla vostra rubrica, che mai delude, per ricevere l'acqua alla bella e moderna fontana di via Ettore Rolli. Grazie di cuore.
Zarmati Alfredo

storia
la verità su Caligola

Corriere della Sera 30.3.05
STORIA
Ma Caligola non era pazzo


«Gli imperatori pazzi mettono in imbarazzo gli storici seri», ha scritto Catharine Edwards, storica. E Aloys Winterling, per riscrivere la biografia di Caligola, considerato nell’immaginario collettivo l’emblema dell’imperatore pazzo, è andato a spulciare i resoconti di tutti gli autori che fino ad oggi si sono occupati di lui. Ed è arrivato a questa conclusione: Caligola non era affatto pazzo. Aveva cercato di instaurare apertamente una monarchia assoluta e l’aveva fatto con il consenso dell’aristocrazia e dei massimi esponenti del Senato. Anzi, sostiene Winterling, l’uomo che fu imperatore romano dal 37 al 41 d.C., non avrebbe fatto altro che assecondare l’opportunismo e la mancanza di scrupoli dell’aristocrazia senatoria. La stessa che, alla sua morte, per scaricare su di lui ogni responsabilità, avrebbe costruito il mito della follia. Il primo a parlare di furor e insania è Seneca, il filosofo che ha conosciuto Caligola personalmente e arriva definirlo «una bestia». Filone di Alessandria parla di «mente disturbata». Plinio il Vecchio e Flavio Giuseppe scrivono di un «comportamento folle», Tacito si sofferma sulla sua «mente ottenebrata». Ma, secondo Winterling, il termine follia sarebbe usato da questi autori più come insulto che come diagnosi clinica. Lo storico fa notare che il diritto romano conosceva perfettamente le implicazioni della malattia, tanto che i pazzi venivano giudicati non colpevoli. Come può dunque essere verosimile l’immagine di un imperatore demente a cui tutti, dal Senato ai governatori, obbedivano come se fosse normale? Soltanto un secolo dopo la sua morte si comincia infatti a parlare di vera e propria malattia mentale. Lo fa Svetonio, descrivendo uno svariato corollario di attacchi di epilessia, spossamenti, ansia, insonnia, incubi notturni. E inventando di sana pianta i rapporti incestuosi che l’imperatore avrebbe avuto con le tre sorelle. Da Svetonio in poi, Caligola incarna la mostruosa aberrazione della tirannide: pretende di essere adorato come un dio, tiene un bordello nel proprio palazzo, nomina console il proprio cavallo e commette crudeltà di ogni tipo. Winterling scava nei documenti alla ricerca della verità e la racconta in un libro che avvince anche chi non ha conoscenze specifiche.

CALIGOLA. DIETRO LA FOLLIA, di Aloys Winterling. Editori Laterza, 18 euro.

capacità giuridica

Corriere della Sera 30.3.05
Como, per il gup era incapace di intendere e di volere e non può essere processata
Accoltellò la figlioletta in chiesa, mamma libera


COMO - Accoltellò la figlia di soli 2 anni sull'altare, riducendo la piccola in fin di vita. A poco più di un anno da quell'episodio la donna, una giovane mamma di 34 anni, è stata prosciolta da ogni accusa perché incapace di intendere e volere. Non solo: quanto prima la donna potrà incontrare nuovamente la bimba, che non vede da 13 mesi. Non ci saranno ripercussioni penali per la donna comasca arrestata dai carabinieri il 24 febbraio 2004, dopo essere stata sorpresa a sferrare tre coltellate contro la figlia. L'episodio avvenne nella chiesa di Lurate Caccivio. La donna, che da alcuni giorni si comportava in modo strano, era uscita di casa con la piccola e, una volta in chiesa, l'aveva accoltellata. Quindi si era ferita a sua volta. La piccola, immediatamente soccorsa, restò in rianimazione per un mese prima di essere dichiarata salva. Ieri mattina il gup Anghileri ha emesso due importanti sentenze su quel tentato omicidio. Decisioni legate alle conclusioni del perito, lo psichiatra Paolo Bianchi, secondo il quale l'accoltellamento fu provocato da un episodio psicotico acuto dovuto a una forte depressione. «Si trattò di un raptus isolato»: la donna, questa è la convinzione del perito, non è socialmente pericolosa. Da qui la decisione, inevitabile, del giudice di dichiarare la non imputabilità della donna perché incapace di intendere e di volere.
La donna presto, potrà lasciare l'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) e incontrare la figlia che, negli ultimi mesi, ha chiesto più volte della sua mamma.

brevi dal web (29.3.05)

Yahoo!Notizie Martedì 29 Marzo 2005, 17:58
Anoressia: Per Vincerla Parte Da Milano Il "Tour Dell'Autostima"

Milano, 29 mar. (Adnkronos Salute) - Anoressia e bulimia colpiscono in Italia tre milioni di persone, soprattutto donne e giovanissimi. Per vincere il disagio parte da Milano il 'Tour dell'autostima', una campagna itinerante organizzata da Dove in collaborazione con 'Donna Moderna' e Associazione Minotauro. Da oggi a giovedi' 31 marzo in via Beltrami, angolo piazza Castello, stazionera' un grande camper con medici e psicologi a disposizione dalle 10 alle 19 per consulenze su misura. L'iniziativa proseguira' per tutto aprile in altre otto citta' italiane. Il van - riferisce una nota dei promotori - fara' tappa a Torino, Genova, Mestre, Bologna, Ancona, Frosinone, Napoli e Bari. L'obiettivo del progetto e' di promuovere una nuova cultura della bellezza reale, non stereotipata e lontana dai modelli irraggiungibili proposti da moda e media. Sul camper le donne che lo desiderano potranno farsi scattare una foto, che servira' a creare la prima grande mappa della bellezza italiana, scrivere la propria 'pillola di autostima' o aderire con una firma al 'Manifesto per la bellezza autentica'. Potranno inoltre incontrare una giornalista di Donna Moderna allo 'Sportello dell'autostima' e raccontare, con un'intervista o un questionario, la propria esperienza in ambito familiare o lavorativo. L'osservatorio continuera' con un forum on line sul sito web del settimanale (www.donnamoderna.com). Per ogni foto o firma lasciata, Dove devolvera' una cifra al 'Fondo per l'autostima' a favore dell'Associazione Minotauro per prevenire i disturbi alimentare. (Red-Opa/Adnkronos Salute)

lescienze.it 29.03.2005
Depressione e insonnia nei malati di AIDS
I pazienti nella fase finale dell'infezione hanno maggiori probabilità di soffrire di insonnia

Secondo un'analisi sistematica di 29 studi sull'argomento, la depressione sembra essere una causa importante di insonnia nei pazienti infetti da HIV. Steven Reid dell'Imperial College di Londra, principale autore dell'analisi, sostiene che "data la prevalenza di ansia e di depressione che accompagna l'infezione di HIV, non è sorprendente che in questi pazienti i disturbi psichiatrici risultino associati con problemi del sonno".
In un articolo pubblicato sulla rivista "Psychosomatic Medicine", i ricercatori spiegano che i pazienti nelle fasi finali dell'infezione di HIV e coloro che hanno subito un qualche tipo di disfunzione cerebrale come risultato della malattia hanno anche maggiori probabilità di soffrire di insonnia. "Gli studi analizzati - afferma Reid - rivelano che, nonostante l'insonnia accompagni frequentemente le persone che convivono con il virus HIV, c'è ancora una considerevole incertezza sulle sue cause e sul suo significato".
Studi precedenti avevano ipotizzato che i pazienti presentassero cambiamenti nei periodi di sonno REM (rapid eye movement) e non-REM, oltre ad altri mutamenti di ritmo, che potevano portare all'insonnia. Ricerche più recenti, invece, si sono basati sulle dichiarazioni degli stessi pazienti a proposito delle proprie abitudini di sonno, della difficoltà di addormentarsi o della frequenza di incubi. Tutti gli studi hanno rivelato una "relazione forte e consistente" fra i problemi psicologici, in particolare la depressione, e l'insonnia. Secondo Reid, per prevenire l'insonnia gli operatori sanitari dovrebbero prestare maggiore attenzione alla diagnosi e al trattamento dell'ansia e della depressione nei pazienti con HIV.

clicmedicina.it 29 marzo 2005
Depressione associata ad aumento del rischio di demenza nell'uomo

Gli uomini con una storia di depressione risalente a molto tempo prima dell'insorgenza di qualunque problema di memoria o comunque della sfera cognitiva sono portatori di un rischio di sviluppare demenza decisamente superiore rispetto agli altri, e ciò è particolarmente valido per il morbo di Alzheimer. Questo fenomeno non viene però osservato nelle donne. D'altro canto, la prevalenza delle manifestazioni cliniche sia di quest'ultimo che della depressione differisce fra uomini e donne. E' noto che il cervello maschile e quello femminile presentano differenze anatomiche e funzionali e sono esposti in modo diverso agli ormoni sessuali nell'arco della vita, ormoni non privi di effetti su queste due malattie. Di conseguenza, il cervello maschile e quello femminile potrebbero reagire a condizioni che causano o favoriscono una patologia in modo completamente differente, il che rispecchia quanto rilevato nel presente studio. Dati la prevalenza della depressione e l'aumento della longevità in tutto il mondo, le implicazioni sanitarie ed economiche di queste osservazioni sono evidenti. Inoltre, la prevenzione dei disturbi depressivi ed il trattamento sia aggressivo che a lungo termine della depressione possono avere un impatto sull'epidemiologia della demenza: ciò risulta particolarmente rilevante negli uomini, dato che essi generalmente ammettono meno facilmente i sintomi della depressione e meno facilmente ricercano il trattamento. (Ann Neurol 2005; 57: 381-7)

laprovinciadilecco.it 29 marzo 2005
Le battaglie di Sirchia Un milione e mezzo di persone malate: gratis le terapie di prevenzione e cura Un piano per combattere l'oscuro male della depressione

ROMA. Un piano nazionale per combattere la depressione che coinvolge i ministeri di Salute, Istruzione, Lavoro e Comunicazioni e le cui linee guida saranno pronte in ottobre: lo ha annunciato il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, aprendo così un nuovo importante fronte dopo la lotta al fumo e all'alcol. Bambini a adolescenti, anziani e donne in gravidanza saranno, secondo il ministro, i principali destinatari del piano, volto a contrastare un disturbo sempre più diffuso, che in Italia colpisce un milione e mezzo di persone e del quale, secondo le stime, almeno cinque milioni di italiani hanno sofferto almeno una volta nella vita. Dopo le battaglie contro il fumo, l'alcol e l'obesità, il ministero della Salute ha individuato nella depressione il prossimo obiettivo di una campagna da mettere in atto su scala nazionale per la prevenzione e la diagnosi precoce. «Voglio arginare il diffondersi della depressione, che è una malattia in costante crescita», ha detto Sirchia. «Sarà un piano condiviso dalle Regioni e sul quale si investirà parte del Fondo sanitario, che ammonta a ben 90 milioni di euro», ha aggiunto il ministro. Saranno inoltre coinvolti nel piano medici di medicina generale, pediatri, consultori per la preparazione al parto e geriatri. Il piano, la cui prima bozza d'intervento è attesa entro il 31 luglio, si articola su cinque livelli: prevenzione della depressione; riconoscimento precoce, trattamento dei casi lievi; trattamento dei casi moderati; trattamento dei casi gravi. Sono già stati costituiti, ha detto ancora il ministro, tre gruppi di lavoro incaricati di preparare le linee guida per le categorie più a rischio di depressione: bambini e adolescenti, donne e anziani. Le linee guida sono attese nel prossimo mesi di ottobre, in modo da poter presentare il piano nella prossima Finanziaria per ottenere i fondi necessari. «Contiamo di cominciare a concretizzare il progetto l'anno prossimo, ma poiché nulla si improvvisa ci vorrà del tempo prima di realizzarlo concretamente», ha osservato Sirchia. Le terapia di prevenzione e cura, ha aggiunto, «non saranno assolutamente pagate dai pazienti o dai loro parenti». Tra le iniziative previste per gli anziani, il potenziamento della figura di custode sociale già attiva a Milano, Torino e Genova. Per bambini e adolescenti si prevede di coinvolgere la scuola, con la collaborazione degli insegnanti nell'identificare i comportamenti-sintomo della depressione. Per le donne in gravidanza, infine, il piano prevede sedute di psicoterapia di gruppo per la preparazione al periodo successivo al parto. Tutto questo nel'ottica di attenuare le situazioni di un «rischio sctrisciante» che interessa sempre più le nostre comunità: troppo spesso si è detto della necessità di prevenire dopo che è scoppiato il «caso». Questa volta si è deciso di agire razionalmente, nel segno della miglior prevenzione.

Yahoo!Salute martedì 29 marzo 2005
Neuroestetica: la base per comprendere l'arte
Il Pensiero Scientifico Editore

Empatia tra cervello e arte: è solo questione di nueroestetica. Non è un gioco di parole, ma una nuova disciplina. Lo scorso febbraio si è tenuto al Berkely Art Museum, all’Università di Berkely in California, il quarto congresso internazionale di neuroestetica. Scultori, pittori, fotografi, neurobiologi, neurologi, psichiatri e psicologi insieme a discutere sulle interazioni fisiologiche e funzionali tra il cervello e il gusto del bello, tra i neuroni e l’estetica. La notizia è stata ripresa sull’ultimo numero della rivista disponibile on-line Plos Biology.
L’oggetto del congresso del 2005 è stato l’empatia nel cervello e nell’arte, in altri termini come si colloca l’abilità dell’uomo di riconoscere e rispondere alle espressioni di altri uomini. Perché davanti ai girasoli di Van Gog tutti si sentono rapiti, tanto da considerarlo un opera d’arte? Perché non succede con uno schizzo di buona fattura fatto da un bravo studente di una scuola d’arte. La differenza, secondo gli artisti, la fa proprio l’empatia: il grado di rapporto emotivo-attrattivo che si genera con un opera d’arte e non con un qualunque prodotto della fantasia di improvvisati artisti.
E a dar manforte a questa ipotesi, si aggiungono anche i neurologi e i neuropsichiatri i quali spiegano che il cervello visivo è composto di una corteccia visiva primaria (situata nella parte posteriore del cervello) che riceve tutti i segnali della retina. Negli ultimi 25 anni si è scoperto che questa area è circondata da molte altre aree visive, ciascuna delle quali è specializzata a elaborare un aspetto specifico della scena visiva: forma, colore, movimento, volti. Queste aree sono deputate sia all’elaborazione che alla percezione. La rete neuronale contribuisce a creare delle “ricostruzioni” visive che sono anche quelle che percepiamo come più belle, perché ne riconosciamo le forme o i colori,. Così la specializzazione funzionale che si trova nell’estetica riflette l’organizzazione cerebrale. Questo, almeno, secondo una ricostruzione meccanicistica e funzionale del cervello.

Fonte: Parthasarantlhy H. Expressing the big picture. Plos Biology 2005;3. www.plosbiology.org

Cork, 1621

Corriere della Sera 30.3.05
La verità e la realtà, diceva Melville, sono più bizzarre ...
Nell’ottobre 1621 i cieli di Cork furono teatro di una spaventosa carneficina aerea

L a verità e la realtà, diceva Melville, sono più bizzarre della finzione. Nell’ottobre del 1621 le cronache di Cork, la vivace città irlandese, riportano - con amore barocco del dettaglio fantastico e minuzioso - una apocalittica battaglia fra due immani stormi di uccelli che da due giorni avevano oscurato il cielo della città e intasato le sue strade con i corpi dei volatili che cadevano dall’alto morti o feriti. Il famoso film di Hitchcock - come l’omonimo racconto di Daphne Du Maurier da cui è tratto - impallidisce dinanzi a quell’antica e sepolta descrizione, perché l’effetto inquietante di quell’attacco assassino degli uccelli agli uomini è in qualche modo mitigato dalla presenza di questi ultimi, dai loro sentimenti, angosciosi ma comunque rassicuranti perché umani. L’atroce carneficina aerea di quei giorni nel cielo di Cork ignora invece quella presenza; fa l’orrore e il gelo di una natura in cui l’uomo è assente, non c’è ancora o non c’è più. La città sottostante alla strage è un cratere spento, in cui precipitano esseri alieni e straziati. I due giganteschi eserciti di uccelli - si trattava di stormi - si erano raccolti già quattro o cinque giorni prima dello scontro, in gruppi separati dai quali ogni tanto una delegazione di 20 o 30 si era recata nel campo avverso, forse a intavolare negoziati evidentemente falliti, se il sabato successivo le due tribù alate si erano affrontate e sbranate in una terrificante battaglia dall’alba al cadere della notte. La cronaca descrive il macello celeste, la nuvola nera dei combattenti squarciata da assalti e ritirate che per un attimo lasciano intravedere il cielo, gli uccelli che si dilaniano con strida assordanti e cadono a capofitto, insudiciando di sangue e di piume le vie. Dopo una tregua domenicale, forse dedicata a riorganizzare le file decimate, il lunedì le due armate di stormi riprendono a scannarsi in aria e alla sera, distruttesi a vicenda, spariscono senza vinti né vincitori, lasciando a terra mucchi di osceni cadaveri - fra i quali pure un corvo e una cornacchia, finiti per caso in mezzo allo scontro - sanguinolenta immondizia del cielo e grottesca allegoria dell’inutilità di ogni guerra, vano carnevale e trionfo della morte. Quel massacro - che il cronista dice confermato da testimoni oculari, tutti «onorati gentiluomini» - sporca il cielo e accentua la seduzione infera che spesso avvolge, nell’immaginario, la figura dell’uccello, col suo occhio maligno e le sue ali più da demone che da angelo. Non è un caso che ad esempio un’analoga fantasia ricorra, in possente stravolta poesia, in un libro scritto da un’autrice che non ha mai avuto sentore di quella dimenticata cronaca di Cork. Nel suo romanzo Una stella chiamata Assenzio - brutto titolo di un libro inquietante e affascinante, che aveva entusiasmato il grande Vanni Scheiwiller ed è passato ingiustamente quasi inosservato - Ambra Vidich Budinich ha narrato un viaggio onirico-iniziatico attraverso tutte le tenebre del sogno, della vita e della morte, in cui una Trieste genialmente deformata dal delirio diviene un paesaggio dell’incubo come la Praga-Perla nell’Altraparte di Kubin. Fra le peripezie del protagonista nei labirinti dell’angoscia c’è anche una misteriosa e malefica ecatombe alata: «Nell’aria, che andava oscurandosi come nell’approssimarsi di un’eclisse, si sentiva una vibrazione minacciosa ... il cielo, fattosi livido, era solcato in tutta la sua vastità da una funerea caduta di uccelli ... che come fossero folgorati nel corso stesso del volo da una misteriosa moria, stavano precipitando con le membra contorte sull’abitato: un istante dopo, infatti, essi avevano cominciato a schiantarsi sul selciato e sui tetti in una scura grandinata che di minuto in minuto si infittiva trasformandosi in uno stillicidio cruento; ancor più lugubre era quella vista su certe case fatiscenti che egli non aveva notate prima e sui cui muri lebbrosi e sulle cui polverose finestre egli vedeva adesso formarsi sempre nuove chiazze nerastre, miste a ciuffi di piume».
Il cronista di Cork non avrebbe mai immaginato che anche gli uomini un giorno avrebbero potuto volare e avrebbero volato per darsi la morte. A distanza di secoli, due scrittori che si ignorano scrivono pressappoco la stessa scena - quasi a suggerire che la poesia scaturisce dal fondo più oscuro e impersonale dell’immaginario e dell’inconscio collettivo e che un autore le presta solo la voce.

Bertinotti sul contratto degli statali e sulle regionali

Agi.it 29.3.05
STATALI: BERTINOTTI, C'E' POCO RISPETTO PER BISOGNI LAVORATORI

(AGI) - Lamezia Terme (Catanzaro), 29 mar. - Il segretario nazionale di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, a Lamezia Terme per una visita all'interno della struttura ospedaliera della citta', non ha voluto commentare le dichiarazioni di Silvio Berlusconi per quanto riguarda il contratto nazionale del pubblico impiego e in particolare sul 'balletto' delle cifre relative all'aumento.
"Questo - ha detto Bertinotti - e' un problema che riguarda i sindacati del pubblico impiego, che hanno fatto qualche sciopero generale contro una politica del governo francamente irrispettosa dei bisogni dei lavoratori, come del resto ha praticato in genere". Bertinotti, comunque, crede che "i lavoratori del pubblico impiego hanno la forza di imporre il rinnovo del contratto su una linea di equita' come quella prevista nella loro piattaforma contrattuale".

Agi.it
REGIONALI: BERTINOTTI, DESTRA IN GRANDE DIFFICOLTÀ

(AGI) - Roma, 29 mar. - Le parole di Berlusconi "mostrano come le destre di governo siano in grande difficolta', sia sul piano nazionale che su quello locale". Lo dice il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, che aggiunge: "Il Polo affida a Berlusconi improbabili tentativi di rimonta nei consensi, ma il Paese reale e' da tutt'altra parte rispetto a quanto vuole farci credere il capo del governo. Addirittura, Berlusconi arriva a smentire i suoi alleati su una materia cosi' seria e cosi' delicata che merita di essere discussa negli incontri con le parti sociali e non attraverso i mezzi di informazione: vale a dire il contratto di lavoro dei dipendenti statali".
Secondo Bertinotti "Berlusconi sa bene che il voto di domenica prossima potrebbe segnare per lui e per tutta la coalizione di destra l'inizio della fine e per scongiurare una piu' che probabile caduta nei consensi alza i toni e tenta disperatamente di giocarsi la carta della bassa propaganda.
Piu' Regioni otterra' l'Unione, piu' Berlusconi dovra' prendere atto del fallimento suo e delle politiche neoliberiste del suo governo?".

291651 MAR 05
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