Repubblica 17.3.05
Lui e lei, i segreti della differenza
Decifrata la mappa del cromosoma X. I legami con molte patologie
Un grande ricerca internazionale a cui partecipa il nostro Cnr
Lo studio è pubblicato sulla rivista Nature e aprirà grandi prospettive
CLAUDIA DI GIORGIO
ROMA - Due anni fa è toccato al cromosoma Y, che determina il sesso maschile. Oggi a rivelare i suoi segreti genetici è invece il cromosoma X, il secondo cromosoma sessuale degli esseri umani, di cui un consorzio internazionale di centri di ricerca pubblica oggi sulla rivista britannica "Nature" l´analisi più completa e approfondita mai effettuata finora. Svelando, tra l´altro, che la complessità femminile, e alcune delle differenze tra i sessi, dipendono anche dai geni e non solamente dagli ormoni sessuali: tanto che alcuni ricercatori si sono spinti fino a parlare di due genomi umani: uno "per lei" e uno "per lui".
Su "Nature", due articoli sintetizzano il risultato del lavoro di oltre 250 ricercatori, tra cui gli italiani Andrea Ballabio e il gruppo di Michele D'Urso e Alfredo Ciccodicola all´Istituto di genetica ‘‘Adriano Buzzati-Traverso´´ del CNR di Napoli, che sotto il coordinamento del Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge hanno studiato per anni uno dei cromosomi umani più affascinanti e complessi, determinandone il 99,3% della sequenza. Un cromosoma che, da solo, è legato a oltre 300 patologie differenti, più di quante ne siano state identificate in qualunque altro cromosoma, a dispetto del fatto che contiene appena il quattro per cento del totale dei nostri geni.
Le caratteristiche del cromosoma X sono uniche. Le donne ne possiedono due copie, ricevute una dall´ovulo della madre (che contiene obbligatoriamente solo l´X) e l´altra dallo sperma del padre (che può invece avere sia l´X che l´Y: ed ecco perché a determinare il sesso del nascituro è sempre il papà). I maschi invece ne posseggono una copia sola, e questo significa che se su quella c´è un gene difettoso ai maschi manca la possibilità di compensare il malfunzionamento perché sul "loro" Y non c´è la copia corrispondente. È ciò che accade, per esempio, nell´emofilia e nella distrofia muscolare di Duchenne, ma anche di molte malattie genetiche rare oltre che di difetti con conseguenze assai meno gravi, come il daltonismo. In tutti questi casi, la madre è portatrice sana, perché ha due copie del cromosoma X, ma il figlio maschio si ammala perché ne eredita una sola. Le malattie dell´X, insomma, sono quasi sempre malattie esclusivamente maschili, il che ha spesso reso più facile identificarle. Tanto che il cromosoma X si è conquistato un posto di primo piano nella storia della genetica, perché fin dal 1911 (quando il gene responsabile del daltonismo fu il primo gene umano a essere mappato) le indagini che lo riguardano ci hanno insegnato moltissimo sulla biologia umana e sull´origine e lo sviluppo delle patologie.
In realtà, come hanno accertato gli studi dedicati al passato dei due cromosomi sessuali, sull´Y i geni mancano perché si sono perduti nel corso degli ultimi 300 milioni di anni, durante una storia evolutiva particolarissima, che in un percorso segnato da cinque tappe differenti ha portato una coppia di cromosomi primitivi identici e, per così dire, asessuati, a trasformarsi da un lato a un Y piccolo e "impoverito" di geni, ma in cui è rimasto ciò che lo rende decisivo nel determinare la mascolinità dell´embrione, e dall´altro a un grande cromosoma X, con quasi 1100 geni funzionali.
Ma che non per questo funzionano sempre. Le donne, infatti, hanno sì due copie dell´X, ma non le usano tutte e due. Grazie a un meccanismo ancora da chiarire bene, i geni di una delle due copie rimangono in gran parte inattivi, come se fossero stati "congelati", con il risultato che l´attività totale dei geni è più o meno la stessa sia negli uomini che nelle donne: a produrre proteine è sempre un X solo.
Ed ecco la grande sorpresa annunciata dalle ricerche apparse su "Nature", la scoperta che ha spinto i redattori della rivista a intitolare l´editoriale di commento con il verso di una canzone degli U2: She moves in mysterious ways, lei si muove in modi misteriosi. Studiando campioni di tessuto appartenenti a 40 donne diverse, i ricercatori si sono accorti che in tutti i campioni senza eccezione a restare inattivo, (o silenziato, come dicono gli esperti), è solo il 75% dei geni della seconda copia del cromosoma X. Dell´altro quarto, un 15% sfugge permanentemente all´inattivazione, e quindi nelle donne si esprime a livelli doppi che negli uomini, mentre il dieci per cento restante è risultato attivo in alcuni casi e silenziato in altri; i maschi, invece, esprimono tutti una singola copia degli stessi geni. Gli effetti di questa grande variabilità femminile sono tutti da capire, ma, si legge su "Nature", sono "probabilmente rilevanti dal punto di vista medico".
Le conseguenze pratiche di queste ricerche, anche se forse lontane, potrebbero essere cruciali, sia dal punto di vista diagnostico che da quello terapeutico. Nel frattempo, il cromosoma X si conferma un prezioso alleato per esplorare i misteri della nostra evoluzione.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 17 marzo 2005
il nuovo libro di Vittoria Francoper la fecondazione eterologa e per la libera ricerca
Da Avvenimenti n 10, in edicola
Referendum- Da paese all’avanguardia a fanalino di coda. Nel nuovo libro di Vittoria Franco come la legge 40 fa dell’Italia il paese più arretrato d'Europa.
TABÙ IN PROVETTA
Fecondazione eterologa e libera ricerca, ciò che la destra non vuole
di Simona Maggiorelli
Come è potuto accadere che sia passata una legge come la 40? Come è potuto succedere in un paese da molti anni all’avanguardia nella fecondazione assistita come l’Italia? Con tanti centri che, fino all’entrata in vigore di questa legge il febbraio di un anno fa, praticavano la fecondazione eterologa, la conservazione degli embrioni e la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani. Il fatto è che a 46 anni dalla prima proposta di legge in materia, scrive Vittoria Franco in "Bioetica e procreazione assistita" (Donzelli editore), oggi abbiamo "una legge anacronistica, che detta norme vessatorie, piena di paradossi, lontana anni luce dal sentire comune e dai nuovi modelli di vita". E questo perché, scrive la senatrice diessina " su una materia così importante, delicata, nuova, si è giocata una partita di scambio politico all’interno della maggioranza e fra questa e le gerarchie ecclesistiche". Una pagina nerissima della storia italiana e che con il prossimo referendum si spera davvero di poter cambiare. Le ragioni per votare quattro sì sono argomentate con limpido rigore in questo nuovo libro della Franco, che da filosofa e ricercatrice, smonta una ad una le argomentazioni di Chiesa e governo, ma anche di un filosofo progressista come Habermas che, da qualche tempo, ha preso a scrivere contro quella lui chiama “ genetica liberale” e le sue paventate derive. "Dove mai andremo a finire?" si domanda il filosofo tedesco. Prendendo quella che Mary Warnok chiama la posizione del pendio scivoloso, per cui in nome di un rischio remoto si rinuncia a risolvere casi concreti. Così, mentre perfino Habermas si mette a battagliare contro una fantasticata eugenetica, si impedisce a persone con gravi malattie genetiche come la talassemia di mettere al mondo figli sani e si impongono stop inderogabili a quella ricerca che potrebbe trovare una cura a malattie oggi inguaribili. E tutto, scrive Vittoria Franco, nel nome di una "confusione che si fa fra vivente e persona". Attribuire personalità giuridica all’embrione, come fa la legge 40 (nessun’altra legislazione al mondo fa altrettanto), tutelando il possibile nascituro più della madre, è un’operazione che non regge sotto il profilo giuridico e scientifico. La senatrice e responsabile nazionale della cultura per i Ds dedica i capitoli centrali del libro a questo argomento, ricostruendo il dibattito internazionale, proponendo confronti serrati con le altre legislazioni europee, suggerendo percorsi bibliografici e pubblicando in appendice alcune interessanti spigolature del dibattito in Senato. Un paio di punti ci paiono da segnalare in primis: "L’individualità - scrive Franco - è il requisito minimo per attribuire personalità giuridica, ma l’embrione nella prima fase è un’entità costruita da poche cellule indifferenziate. Attribuirgliela, dunque, è più di una forzatura". E poi citando recenti testi scientiifici e filosofici aggiunge: "solo dal momento in cui inizia una vita mentale si può parlare di persona". Habermas, dice la Franco, parla di “inviolabilità dell’embrione” perché sposta il discorso su un piano di metafisica. Ma così appunto, l’embrione diventa "entità intangibile: sacra. E nel nome di un concetto
astratto di sacralità della vita - scrive Franco - si impedisce la vita umana legata alla nascita; il venire al mondo di un essere umano compiuto". Ma c’è dell’altro. Isolando l’embrione come se fosse un’entità autonoma, capace di svilupparsi indipendente dall’utero - denuncia Vittoria Franco -"si torna a considerare la donna come un soggetto privo di dignità giuridica ed etica, come un semplice contenitore di un’entità astratta e superiore". Viene a mancare insomma quel fondamento della libertà femminile che le donne conquistarono con la contraccezione, quando finalmente la sessualità non fu più maternità come ineluttabile destino, ma scelta. E da qui a mettere in discussione la legge sull’aborto, mettendo in pratica le dichiarazioni di Buttiglione, per questa maggioranza, il passo potrebbe essere breve.
Referendum- Da paese all’avanguardia a fanalino di coda. Nel nuovo libro di Vittoria Franco come la legge 40 fa dell’Italia il paese più arretrato d'Europa.
TABÙ IN PROVETTA
Fecondazione eterologa e libera ricerca, ciò che la destra non vuole
di Simona Maggiorelli
Come è potuto accadere che sia passata una legge come la 40? Come è potuto succedere in un paese da molti anni all’avanguardia nella fecondazione assistita come l’Italia? Con tanti centri che, fino all’entrata in vigore di questa legge il febbraio di un anno fa, praticavano la fecondazione eterologa, la conservazione degli embrioni e la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani. Il fatto è che a 46 anni dalla prima proposta di legge in materia, scrive Vittoria Franco in "Bioetica e procreazione assistita" (Donzelli editore), oggi abbiamo "una legge anacronistica, che detta norme vessatorie, piena di paradossi, lontana anni luce dal sentire comune e dai nuovi modelli di vita". E questo perché, scrive la senatrice diessina " su una materia così importante, delicata, nuova, si è giocata una partita di scambio politico all’interno della maggioranza e fra questa e le gerarchie ecclesistiche". Una pagina nerissima della storia italiana e che con il prossimo referendum si spera davvero di poter cambiare. Le ragioni per votare quattro sì sono argomentate con limpido rigore in questo nuovo libro della Franco, che da filosofa e ricercatrice, smonta una ad una le argomentazioni di Chiesa e governo, ma anche di un filosofo progressista come Habermas che, da qualche tempo, ha preso a scrivere contro quella lui chiama “ genetica liberale” e le sue paventate derive. "Dove mai andremo a finire?" si domanda il filosofo tedesco. Prendendo quella che Mary Warnok chiama la posizione del pendio scivoloso, per cui in nome di un rischio remoto si rinuncia a risolvere casi concreti. Così, mentre perfino Habermas si mette a battagliare contro una fantasticata eugenetica, si impedisce a persone con gravi malattie genetiche come la talassemia di mettere al mondo figli sani e si impongono stop inderogabili a quella ricerca che potrebbe trovare una cura a malattie oggi inguaribili. E tutto, scrive Vittoria Franco, nel nome di una "confusione che si fa fra vivente e persona". Attribuire personalità giuridica all’embrione, come fa la legge 40 (nessun’altra legislazione al mondo fa altrettanto), tutelando il possibile nascituro più della madre, è un’operazione che non regge sotto il profilo giuridico e scientifico. La senatrice e responsabile nazionale della cultura per i Ds dedica i capitoli centrali del libro a questo argomento, ricostruendo il dibattito internazionale, proponendo confronti serrati con le altre legislazioni europee, suggerendo percorsi bibliografici e pubblicando in appendice alcune interessanti spigolature del dibattito in Senato. Un paio di punti ci paiono da segnalare in primis: "L’individualità - scrive Franco - è il requisito minimo per attribuire personalità giuridica, ma l’embrione nella prima fase è un’entità costruita da poche cellule indifferenziate. Attribuirgliela, dunque, è più di una forzatura". E poi citando recenti testi scientiifici e filosofici aggiunge: "solo dal momento in cui inizia una vita mentale si può parlare di persona". Habermas, dice la Franco, parla di “inviolabilità dell’embrione” perché sposta il discorso su un piano di metafisica. Ma così appunto, l’embrione diventa "entità intangibile: sacra. E nel nome di un concetto
astratto di sacralità della vita - scrive Franco - si impedisce la vita umana legata alla nascita; il venire al mondo di un essere umano compiuto". Ma c’è dell’altro. Isolando l’embrione come se fosse un’entità autonoma, capace di svilupparsi indipendente dall’utero - denuncia Vittoria Franco -"si torna a considerare la donna come un soggetto privo di dignità giuridica ed etica, come un semplice contenitore di un’entità astratta e superiore". Viene a mancare insomma quel fondamento della libertà femminile che le donne conquistarono con la contraccezione, quando finalmente la sessualità non fu più maternità come ineluttabile destino, ma scelta. E da qui a mettere in discussione la legge sull’aborto, mettendo in pratica le dichiarazioni di Buttiglione, per questa maggioranza, il passo potrebbe essere breve.
Firenzeteatranti e psicoterapeuti contro la depressione
Repubblica edizione di Firenze 17.3.05
Migliaia di studenti partecipano al teatro di Rifredi a una iniziativa di teatranti e psicoterapeuti
Contro la depressione? Scienza e teatro
ROBERTO INCERTI
SCIENZA e teatro, per prevenire la depressione. Per non fare dei ragazzi gli angosciati del domani. La USL 10, la Regione e la Compagnia Pupi e Fresedde che ha sede al Teatro di Rifredi, grazie ad una serie d´incontri, ad uno spettacolo e ad una collaborazione fra teatranti e psicoterapeuti ha creato il progetto Antidoto - curato da Rita Polverini - che affronta i temi del disagio giovanile. Gli incontri a cui partecipano un operatore teatrale e uno della salute mentale sono inseriti in una cornice di «promozione della salute» e hanno lo scopo di far crescere nei ragazzi l´autostima. Al progetto parteciperanno oltre 3.500 fiorentini delle scuole medie e superiori - dai 14 ai 19 anni - che hanno assistito agli incontri e che vedranno lo spettacolo di Pupi e Fresedde Metamorfosi. Ritratto del giovane Franz Kafka in un teatro del ghetto di Praga scritto e diretto dal giovane regista Stefano Massini con gli ottimi attori Roberto Gioffré, Marco Venienti, Stefano Laguni. Lo spettacolo sta spopolando al Teatro di Rifredi nelle matinée per gli studenti ad avrà tre repliche serali da venerdì a domenica (sempre a Rifredi info 0554220361-2).
I fantasmi, le ossessioni di Kafka diventano un modo per vincere le paure, l´insicurezza che spesso attanaglia i ragazzi. Mostrare Metamorfosi è un modo per esorcizzare i timori, l´insicurezza. Fondamentale nel progetto sono stati gli incontri con gli psicologi. La psicoterapeuta Elisabetta Laszlo ha fatto uno studio per capire quali siano i mostri dei ragazzi di oggi. Molti studenti - dopo gli incontri tenuti dalla stessa Laszlo e dell´attrice Patrizia Mazzoni - hanno confessato seppure in maniera anonima i propri incubi. Un quattordicenne ha scritto quasi in maniera kafkiana «mi svegliai trasformato in un giornale vecchio poggiato a terra ai piedi del letto, e quando mia madre entrò in camera non mi riconobbe, lo raccolse e lo buttò nel secchio dei rifiuti. Dopo poco passò il camion della nettezza e venni tirato via per sempre».
Lo spettacolo di Massini - che abbiamo visto in mezzo agli studenti - sa entusiasmare. La scena di forte impatto di Mirco Rocchi profuma di legno come i caffè e i teatri praghesi. Siamo infatti in una notte d´inverno del 1911 al Café Teatro Savoy fra la neve di Praga che, quando cade in scena sa stupire e carpire applausi ai giovani spettatori. Il ghetto è immerso in un silenzio abissale. In scena vediamo i tavoli del locale, la nuvola azzurra generata dal fumo degli avventori, un sipario logoro, una lampada a petrolio, rigide vetrate liberty di sapore mitteleuropeo. Fra poesia, sogno, slanci improvvisi, angosce, è descritto l´incontro fra Franz Kafka e l´attore polacco Jtzach Lowy.
Migliaia di studenti partecipano al teatro di Rifredi a una iniziativa di teatranti e psicoterapeuti
Contro la depressione? Scienza e teatro
ROBERTO INCERTI
SCIENZA e teatro, per prevenire la depressione. Per non fare dei ragazzi gli angosciati del domani. La USL 10, la Regione e la Compagnia Pupi e Fresedde che ha sede al Teatro di Rifredi, grazie ad una serie d´incontri, ad uno spettacolo e ad una collaborazione fra teatranti e psicoterapeuti ha creato il progetto Antidoto - curato da Rita Polverini - che affronta i temi del disagio giovanile. Gli incontri a cui partecipano un operatore teatrale e uno della salute mentale sono inseriti in una cornice di «promozione della salute» e hanno lo scopo di far crescere nei ragazzi l´autostima. Al progetto parteciperanno oltre 3.500 fiorentini delle scuole medie e superiori - dai 14 ai 19 anni - che hanno assistito agli incontri e che vedranno lo spettacolo di Pupi e Fresedde Metamorfosi. Ritratto del giovane Franz Kafka in un teatro del ghetto di Praga scritto e diretto dal giovane regista Stefano Massini con gli ottimi attori Roberto Gioffré, Marco Venienti, Stefano Laguni. Lo spettacolo sta spopolando al Teatro di Rifredi nelle matinée per gli studenti ad avrà tre repliche serali da venerdì a domenica (sempre a Rifredi info 0554220361-2).
I fantasmi, le ossessioni di Kafka diventano un modo per vincere le paure, l´insicurezza che spesso attanaglia i ragazzi. Mostrare Metamorfosi è un modo per esorcizzare i timori, l´insicurezza. Fondamentale nel progetto sono stati gli incontri con gli psicologi. La psicoterapeuta Elisabetta Laszlo ha fatto uno studio per capire quali siano i mostri dei ragazzi di oggi. Molti studenti - dopo gli incontri tenuti dalla stessa Laszlo e dell´attrice Patrizia Mazzoni - hanno confessato seppure in maniera anonima i propri incubi. Un quattordicenne ha scritto quasi in maniera kafkiana «mi svegliai trasformato in un giornale vecchio poggiato a terra ai piedi del letto, e quando mia madre entrò in camera non mi riconobbe, lo raccolse e lo buttò nel secchio dei rifiuti. Dopo poco passò il camion della nettezza e venni tirato via per sempre».
Lo spettacolo di Massini - che abbiamo visto in mezzo agli studenti - sa entusiasmare. La scena di forte impatto di Mirco Rocchi profuma di legno come i caffè e i teatri praghesi. Siamo infatti in una notte d´inverno del 1911 al Café Teatro Savoy fra la neve di Praga che, quando cade in scena sa stupire e carpire applausi ai giovani spettatori. Il ghetto è immerso in un silenzio abissale. In scena vediamo i tavoli del locale, la nuvola azzurra generata dal fumo degli avventori, un sipario logoro, una lampada a petrolio, rigide vetrate liberty di sapore mitteleuropeo. Fra poesia, sogno, slanci improvvisi, angosce, è descritto l´incontro fra Franz Kafka e l´attore polacco Jtzach Lowy.
il numero e le sue forme
una mostra a Firenze
APCOM.it 16.3.05
LA SETTIMANA DELLA SCIENZA
"IL NUMERO E LE SUE FORME" A FIRENZE
Storie di Poliedri da Platone a Poinsot passando per Luca Pacioli
Firenze, 16 mar. (Apcom) - Dopo l'Automobile di Leonardo, Machina Mundi e Pedalando nel tempo, l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze ospita, da domani al 9 ottobre una nuova iniziativa di grande fascino intellettuale: una mostra dedicata al mondo dei poliedri e a quanti, filosofi, scienziati, artisti, hanno indagato sulle "divine proporzioni" che regolano le figure geometriche e sull'ordine matematico che sembra governare la struttura dell'universo. Inaugurata oggi nel contesto della XV Settimana della Cultura Scientifica, "Il Numero e le sue Forme. Storie di poliedri da Platone a Poinsot passando per Luca Pacioli" (www.imss.fi.it è un'esposizione ideata e curata da Romano e Francesca Folicaldi, presentata un anno fa a Fermo (Ascoli Piceno). L'allestimento fiorentino è promosso dall'Istituto e Museo di Storia della Scienza.
La mostra propone un viaggio avvincente tra le forme dei numeri, lungo un percorso che si snoda dalla codificazione di Euclide (III secolo a.C.) alle soglie della geometria non euclidea (XIX secolo). Sono esposti numerosi modelli di figure geometriche, vere e proprie trasposizioni in legno di concetti della geometria a tre dimensioni: dai cinque solidi regolari inscrivibili nella sfera (piramide, cubo, ottaedro, icosaedro, dodecaedro) che Platone considerava come forme strutturali del cosmo, alle figure più complesse elaborate dal Cinquecento in poi: il mazzocchio, i solidi stellati di Keplero (1571 - 1630) e di Louis Poinsot (1777 - 1859).
L'esposizione è arricchita da una suggestiva rappresentazione cosmologica del Mysterium Cosmographicum di Keplero, da immagini e testi esplicativi e da alcuni preziosi volumi della Biblioteca dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza, tra cui La divina proporzione di Luca Pacioli (Sansepolcro, 1445 - 1517).
Il Numero e le sue Forme contiene peraltro espliciti riferimenti al mondo dell'arte, ovvero alla "segreta prospettiva" che nel Rinascimento rivoluzionò il modo di dipingere e di progettare e che ebbe tra i massimi teorici e interpreti Piero della Francesca e Paolo Uccello, Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer.
Il legame tra la geometria dei poliedri e la codificazione della prospettiva lineare rende la mostra particolarmente adatta ad accompagnare la presentazione di un nuovo progetto dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza. Si tratta della Bibliotheca Perspectivae, una biblioteca digitale tematica sulla prospettiva rinascimentale, che mira a soddisfare le esigenze di un settore storiografico a lungo considerato come appendice della storia dell'arte o come 'corollario' di storia della scienza, ma oggi sempre più caratterizzato da una precisa autonomia disciplinare.
LA SETTIMANA DELLA SCIENZA
"IL NUMERO E LE SUE FORME" A FIRENZE
Storie di Poliedri da Platone a Poinsot passando per Luca Pacioli
Firenze, 16 mar. (Apcom) - Dopo l'Automobile di Leonardo, Machina Mundi e Pedalando nel tempo, l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze ospita, da domani al 9 ottobre una nuova iniziativa di grande fascino intellettuale: una mostra dedicata al mondo dei poliedri e a quanti, filosofi, scienziati, artisti, hanno indagato sulle "divine proporzioni" che regolano le figure geometriche e sull'ordine matematico che sembra governare la struttura dell'universo. Inaugurata oggi nel contesto della XV Settimana della Cultura Scientifica, "Il Numero e le sue Forme. Storie di poliedri da Platone a Poinsot passando per Luca Pacioli" (www.imss.fi.it è un'esposizione ideata e curata da Romano e Francesca Folicaldi, presentata un anno fa a Fermo (Ascoli Piceno). L'allestimento fiorentino è promosso dall'Istituto e Museo di Storia della Scienza.
La mostra propone un viaggio avvincente tra le forme dei numeri, lungo un percorso che si snoda dalla codificazione di Euclide (III secolo a.C.) alle soglie della geometria non euclidea (XIX secolo). Sono esposti numerosi modelli di figure geometriche, vere e proprie trasposizioni in legno di concetti della geometria a tre dimensioni: dai cinque solidi regolari inscrivibili nella sfera (piramide, cubo, ottaedro, icosaedro, dodecaedro) che Platone considerava come forme strutturali del cosmo, alle figure più complesse elaborate dal Cinquecento in poi: il mazzocchio, i solidi stellati di Keplero (1571 - 1630) e di Louis Poinsot (1777 - 1859).
L'esposizione è arricchita da una suggestiva rappresentazione cosmologica del Mysterium Cosmographicum di Keplero, da immagini e testi esplicativi e da alcuni preziosi volumi della Biblioteca dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza, tra cui La divina proporzione di Luca Pacioli (Sansepolcro, 1445 - 1517).
Il Numero e le sue Forme contiene peraltro espliciti riferimenti al mondo dell'arte, ovvero alla "segreta prospettiva" che nel Rinascimento rivoluzionò il modo di dipingere e di progettare e che ebbe tra i massimi teorici e interpreti Piero della Francesca e Paolo Uccello, Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer.
Il legame tra la geometria dei poliedri e la codificazione della prospettiva lineare rende la mostra particolarmente adatta ad accompagnare la presentazione di un nuovo progetto dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza. Si tratta della Bibliotheca Perspectivae, una biblioteca digitale tematica sulla prospettiva rinascimentale, che mira a soddisfare le esigenze di un settore storiografico a lungo considerato come appendice della storia dell'arte o come 'corollario' di storia della scienza, ma oggi sempre più caratterizzato da una precisa autonomia disciplinare.
copyright @ 2005 APCOM
la parabola di Massimo Cacciarida comunista dei Quaderni Rossi a prete militante
La Provincia di Como 17.3.05
Il percorso di Cacciari intorno alla croce
Manuela Clerici
La croce - simbolo arcaico dell'armonia cosmica - si trasforma in un segno inaudito, in una follia per il simbolismo pagano, filosofico allorché sulla croce irrompe un Crocifisso: Gesù inchiodato sulla croce. «Questo è lo scandalo, il paradosso e insieme la straordinarietà del segno della croce nella nostra cultura». Attraverso un percorso filosofico e teologico attorno al simbolo della croce, il filosofo Massimo Cacciari - relatore dell'incontro tenutosi l'altra sera al cineteatro San Francesco - ha spiegato, a una platea interessata e attenta, il senso profondo del paradosso del simbolismo cristiano della croce. «Nei Vangeli la croce diventa il segno della sofferenza per eccellenza. Il Dio che soffre in croce del più tremendo dei supplizi è qualcosa di incomprensibile per la ragione. La straordinaria invenzione di Paolo è il Dio sofferente in tutta la sua vicenda umana: Gesù crocifisso che abbraccia in sé tutti i simbolismi precedenti, tutte le dimensioni divino e umano; tutte le modalità dell'essere si concentrano nella figura del crocifisso che soffre nel contenerle tutte, non la quieta croce. La figura del Dio sofferente è in necessaria contraddizione con il semplice ordito cosmico: è appesa a quell'ordito che costantemente la contraddice, ma nello stesso tempo è inseparabile da esso». In questa visione conciliativa, dove umano e divino dovrebbero contenersi, irrompe il grande grido: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?"» Ma è proprio qui - ha fatto osservare Cacciari - che si realizza la conciliazione per eccellenza. «Gesù è l'umano ed è con il divino proprio nel momento dell'abbandono. Rispetto alla teologia paolina, il grande grido è uno scandalo. Ma quella è parola vera di Gesù nel senso teologico del termine perché solo se giunge all'estremo dell'abbandono sono insieme, allora quell'essere è davvero necessario, non potrà mai venire meno. Se fosse un semplice grido che indica la separazione, Gesù dovrebbe scendere dalla croce. Invece Gesù grida l'abbandono confitto in quel simbolo che connette umano e divino nella forma più radicale e indissolubile. È proprio in questa contraddizione, certo uno scandalo, che padre e figlio risultano assolutamente inseparabili. È nel momento in cui il figlio esprime con insuperabile intensità la propria libertà, in quanto liberamente accetta di fare la volontà del padre, che si realizza il legame più indissolubile. Il momento del massimo abbandono, è anche quella della massima vicinanza. Questo legame non ha più nulla di casuale, di transitorio». Certamente si tratta di un sacrificio: «Tutta la tradizione teologica interpreta questo segno come un sacrificio; Dio è messo a morte dall'uomo, egli accoglie liberamente questa morte. E qui insorge la domanda che ci riguarda radicalmente: dopo un tale sacrificio, come è possibile qualsiasi altro? Quando si arriva al sacrificio del logos divino, voluto e liberamente accolto; ebbene questo sacrificio non può che essere pensato come l'ultimo. Dopo questo sacrificio non possiamo che pensare a ogni altro atto analogo come un semplice omicidio. Nulla può più giustificare il sacrificio. Dopo questo evento la storia è desacralizzata».
Il percorso di Cacciari intorno alla croce
Manuela Clerici
La croce - simbolo arcaico dell'armonia cosmica - si trasforma in un segno inaudito, in una follia per il simbolismo pagano, filosofico allorché sulla croce irrompe un Crocifisso: Gesù inchiodato sulla croce. «Questo è lo scandalo, il paradosso e insieme la straordinarietà del segno della croce nella nostra cultura». Attraverso un percorso filosofico e teologico attorno al simbolo della croce, il filosofo Massimo Cacciari - relatore dell'incontro tenutosi l'altra sera al cineteatro San Francesco - ha spiegato, a una platea interessata e attenta, il senso profondo del paradosso del simbolismo cristiano della croce. «Nei Vangeli la croce diventa il segno della sofferenza per eccellenza. Il Dio che soffre in croce del più tremendo dei supplizi è qualcosa di incomprensibile per la ragione. La straordinaria invenzione di Paolo è il Dio sofferente in tutta la sua vicenda umana: Gesù crocifisso che abbraccia in sé tutti i simbolismi precedenti, tutte le dimensioni divino e umano; tutte le modalità dell'essere si concentrano nella figura del crocifisso che soffre nel contenerle tutte, non la quieta croce. La figura del Dio sofferente è in necessaria contraddizione con il semplice ordito cosmico: è appesa a quell'ordito che costantemente la contraddice, ma nello stesso tempo è inseparabile da esso». In questa visione conciliativa, dove umano e divino dovrebbero contenersi, irrompe il grande grido: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?"» Ma è proprio qui - ha fatto osservare Cacciari - che si realizza la conciliazione per eccellenza. «Gesù è l'umano ed è con il divino proprio nel momento dell'abbandono. Rispetto alla teologia paolina, il grande grido è uno scandalo. Ma quella è parola vera di Gesù nel senso teologico del termine perché solo se giunge all'estremo dell'abbandono sono insieme, allora quell'essere è davvero necessario, non potrà mai venire meno. Se fosse un semplice grido che indica la separazione, Gesù dovrebbe scendere dalla croce. Invece Gesù grida l'abbandono confitto in quel simbolo che connette umano e divino nella forma più radicale e indissolubile. È proprio in questa contraddizione, certo uno scandalo, che padre e figlio risultano assolutamente inseparabili. È nel momento in cui il figlio esprime con insuperabile intensità la propria libertà, in quanto liberamente accetta di fare la volontà del padre, che si realizza il legame più indissolubile. Il momento del massimo abbandono, è anche quella della massima vicinanza. Questo legame non ha più nulla di casuale, di transitorio». Certamente si tratta di un sacrificio: «Tutta la tradizione teologica interpreta questo segno come un sacrificio; Dio è messo a morte dall'uomo, egli accoglie liberamente questa morte. E qui insorge la domanda che ci riguarda radicalmente: dopo un tale sacrificio, come è possibile qualsiasi altro? Quando si arriva al sacrificio del logos divino, voluto e liberamente accolto; ebbene questo sacrificio non può che essere pensato come l'ultimo. Dopo questo sacrificio non possiamo che pensare a ogni altro atto analogo come un semplice omicidio. Nulla può più giustificare il sacrificio. Dopo questo evento la storia è desacralizzata».
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