mercoledì 4 giugno 2003

su clorofilla.it

SALUTE
Stragi familiari, siamo alla follia. Oms: sarà sempre peggio

Cresce senza sosta il numero dei delitti domestici. Nelle ultime ore una neonata annegata a Milano e uníadolescente accoltellata dal padre a Roma. Intanto l'Organizzazione mondiale della sanità lancia l'allarme depressione. Su Clorofilla il dibattito tra psichiatri: le voci di Bruno, Fagioli e Picozzi
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ancora su Paul Ricouer

Liberazione 4.6.03
Il lavoro della memoria, un dovere etico
L'intellettuale francese Paul Ricouer a Roma
di Tonino Bucci

Il «dovere della memoria», le implicazione etiche nella ricostruzione storica del passato, sono state le questioni centrali affrontate dal filosofo francese Paul Ricoeur, intervenuto ieri alla giornata di studi "La memoria, la storia, l'oblio", organizzata da Prospettiva Persona all'università di Roma Tre con la partecipazione di diversi docenti di discipline filosofiche.
Si è trattato di uno scavo nei problemi delle discipline storiche, fissate nel momento in cui esse nascono dalla «memoria», dall'attitudine a ricordare immagini. Nel ricordo si verifica un'esperienza enigmatica, «una immagine che si dà spontaneamente quale segno non di se stessa presente, ma di un'altra cosa assente» che è stata nel passato. L'immagine funziona a titolo di una traccia di qualcosa che è attualmente assente. Ma è proprio questo lavorare in assenza di oggetto che espone la memoria al rischio della «finzione», della «fantasia» o della «allucinazione». «D'un sol tratto - mette in guardia il filosofo francese - ci viene scagliato contro il temibile problema della frontiera tra la memoria e l'immaginazione, il ricordo e la finzione».
Ma è la distanza temporale rispetto all'evento ricordato, il tratto più tipico e insieme misterioso della memoria. «E' l'enigma dell'enigma - continua Ricoeur - che il passato sia presente nell'immagine come segno dell'assente, ma di un assente che, sebbene non sia più, è stato». La possibilità che esista una storia dipende dalla «sopravvivenza delle immagini» (si sente qui l'eco di Bergson) e dalla capacità di riconoscere le tracce del passato. Lontana dall'essere un deposito passivo dell'anima, la memoria agisce piuttosto come una «ricerca», una «domanda», una «indagine inquietante» in fondo alla quale, soltanto, avviene «il ritorno del passato che noi chiamiamo riconoscimento» e che i Greci definivano anamnesis, «richiamo».
Il passaggio alla storiografia vera e propria chiama in causa l'avvento della -grafia, della scrittura, intesa in senso lato come «inscrizione dell'esperienza umana su un supporto materiale distinto dai corpi: coccio, papiro, pergamena, carta, disco rigido, per tacere di tutte le inscrizioni che non sono trascrizione della parola, dell'oralità: maschere e tatuaggi, disegni, giochi di colore sugli abiti, giardini, steli, monumenti». Da questo momento inizia un processo di liberazione della storia rispetto ai racconti della memoria, scandito in più tappe: la raccolta di documenti, l'atto della spiegazione e, infine, la scrittura di testi. Nello stadio documentativo la memoria entra nella dimensione pubblica del raccontarsi, e «alla sicurezza di se stessi si aggiunge l'accettazione del sospetto dell'altro, la sua diffidenza». Della difesa dal sospetto si incaricano gli archivi, vere e proprie istituzioni della memoria adibite alla catalogazione di ogni sorta di traccia materiale lasciata dall'attività umana e suscettibile di degrado o falsificazione.
Un maggior grado di autonomia rispetto alla memoria, la storia lo conquista sul piano dei metodi utilizzati per la spiegazione del passato: introducendo legami di causa ed effetto tra gli eventi; oppure riordinando i fenomeni - che nell'esperienza umana si presentano confusi e mescolati - su livelli distinti: economici, culturali, sociali, politici. O anche, infine, col produrre diverse «cartografie» degli eventi, ognuna delle quali seleziona gli eventi ritenuti significativi in base a «scale differenti». E' quest'ultima prospettiva a generare la scrittura di storie su scale diverse, di micronarrazioni che, a giudizio del pensiero postmoderno, escluderebbero la possibilità delle grandi narrazioni onnicomprensive, di canoni interpretativi validi per la realtà nel suo complesso. L'atteggiamento storico su piccola scala sfocia non a caso in pregiudiziali antimarxiste, nega che il legame tra fatti sociali e struttura economica possa valere da criterio d'interpretazione degli eventi storici e al suo posto introduce la categoria di «storia delle mentalità». Una categoria che Ricoeur rifiuta per le implicazioni conservatrici, se non reazionarie, ch'essa suggerisce quando si riferisce allo studio delle differenze etniche o delle culture «primitive». La proposta avanzata è invece una «storia della rappresentazione» in grado di collocare le «narrative su piccola scala» in una prospettiva globale, in un «universale contestuale», senza quindi rinunciare - come fanno i postmoderni - a un orizzonte storiografico complessivo. Oggetto del discorso storico - con un rovesciamento dei ruoli - è la memoria collettiva «con i suoi rimossi e le sue resistenze, i suoi assili e le sue negazioni»: una «critica della memoria in unione con una sociologia delle ideologie e delle utopie». Oltre a mettere in campo preoccupazioni di rigore epistemologico, il progetto di Ricoeur si lega anche a istanze etico-politiche, al problema di una «giusta memoria»: in divergenza con quanti «ritengono che il percorso storico può ignorare, o anche ledere una domanda di riconoscimento che viene principalmente dalle vittime dei più grandi crimini». Lo storico non può ignorare che le ricostruzioni del passato, oltre a render ragione delle vittime, hanno funzione di regolare, prognosticare e prescrivere i progetti rivolti al futuro: «a questo titolo egli non rifiuterà il dovere di memoria». Certo, «il filosofo non può offrire che una prudente parola di saggezza» utilizzando tutti gli strumenti a propria disposizione - psicoanalisi in primo luogo - per dirigere il lavoro della memoria contro le resistenze, contro le coazioni a ripetere.

ultime notizie sul caso della «mamma di Cogne»

Corriere della Sera 4.6.03
Cogne, la Franzoni torna davanti ai pm
Interrogatorio chiesto dalla difesa, può slittare il rinvio a giudizio. Il nodo della «superperizia» sul lavoro del Ris
dal nostro inviato Cristina Marrone

AOSTA - Non è ancora finita. Dopo un anno e mezzo di indagini; dopo due sentenze della Cassazione che riconoscono la fondatezza dell’impianto accusatorio contro la mamma di Samuele, ucciso il 30 gennaio 2002; dopo due perizie psichiatriche e diciotto mesi di polemiche che hanno diviso l’opinione pubblica, tornerà ad Aosta Annamaria Franzoni. Tornerà in procura di fronte al pm Stefania Cugge a ripetere la sua verità: «Non sono io l’assassina di mio figlio Samuele». A chiedere l’interrogatorio nei giorni scorsi è stato il difensore della donna, l’avvocato Carlo Taormina che, dopo aver ricevuto l’avviso di chiusura indagini, ha avuto venti giorni di tempo per depositare documenti e domandare supplementi dell’inchiesta. Per legge, se richiesto dalla difesa, la procura è obbligata a sentire la donna. E se dovessero emergere novità rilevanti il pm ha facoltà di disporre nuove indagini da effettuare entro trenta giorni.
La mossa dell’avvocato Taormina potrebbe quindi contribuire a far slittare la richiesta di rinvio a giudizio già pronta sul tavolo del pm che, forte della consulenza dei carabinieri del Ris e dei pronunciamenti della Cassazione ha fretta di chiudere l’inchiesta. Sulla data dell’interrogatorio non ci sono ancora certezze. Probabilmente sarà fissato per venerdì, ma potrebbe slittare anche alla prossima settimana. Taormina è categorico: «Non ho ancora ricevuto nessuna comunicazione sui tempi». Ad Aosta, non appena si è diffusa la voce, polizia e carabinieri hanno cominciato a valutare le migliori soluzioni per proteggere la deposizione dalla mobilitazione dei mass media.
INCIDENTE PROBATORIO - Su binari paralleli va avanti la richiesta da parte della difesa Franzoni di un nuovo incidente probatorio al gip Fabrizio Gandini. Taormina non conferma, ma sul tavolo del giudice (competente fino all’udienza preliminare) ci sarebbe la richiesta della cosiddetta «superperizia» sul lavoro fatto dai carabinieri del Ris, che nel novembre scorso hanno consegnato la loro ultima relazione, e sulla consulenza del medico legale Francesco Viglino, che eseguì l’autopsia sul corpicino di Samuele. Il gip si è riservato di decidere sulla correttezza delle procedure di deposito dei nuovi atti. La procura sembra intenzionata a dare parere contrario.
Se il gip accogliesse l’istanza della difesa, potrebbe anche essere riesumata la salma del bimbo ucciso. Ma soprattutto il pm Stefania Cugge non potrebbe chiedere il rinvio a giudizio prima della fine del lavoro dei super-esperti. E se la mossa di Taormina venisse accolta, i periti avranno almeno due mesi di tempo per consegnare il loro lavoro. Rischia quindi di slittare tutto dopo l’estate.
CONTRO-INDAGINE - Il terzo capitolo è la tanto annunciata indagine difensiva del pool nominato dal professor Carlo Taormina coordinato dal patologo forense Enrico Manfredi D’Argogna. Sulla sicurezza di aver individuato l’arma del delitto e i veri assassini per ora la difesa tace. Il lavoro non sarebbe stato consegnato ufficialmente in procura perché ancora incompleto, ma in sostanza punterebbe a smontare una dopo l’altra le conclusioni dei carabinieri del Ris e del medico legale. In particolare critica la riproduzione realizzata nei laboratori dei carabinieri della camera da letto dove fu ucciso Samuele giudicandola «imprecisa», dimostrando, secondo i loro calcoli, che le misure delle macchie di sangue non sarebbero corrette. Proprio in quella stanza ricostruita sono stati ripetuti all’infinito i movimenti dell’assassino di Samuele, secondo la tesi dell’accusa e della difesa. In base all’analisi del Ris il pigiama si può essere macchiato in quel modo solo venendo indossato da una persona che si trovava prima ai lati del letto e poi a cavalcioni del bambino. La difesa invece afferma che il pigiama si trovava sul letto.
Infine c’è l’arma del delitto, mai ritrovata ma identificata nell’ultima relazione del Ris. Si tratterebbe di un «attrezzo agricolo» dotato di manico, una specie di zappa. Invece, la difesa per ora ha solo annunciato di aver capito con cosa è stato ucciso Samuele. «Il momento è delicato, siamo tenuti al silenzio - spiega Enrico Manfredi D’Argogna - ma posso assicurare che i risultati a cui siamo arrivati sono clamorosi».

L'invasione degli ultracorpi, e Massimo Picozzi

È in edicola e in libreria la ristampa del libro di Jack Finney (Urania collezioni, € 4.90), dal quale fu tratto, nel 1956 il famosissimo film omonimo di Don Siegel, tante volte citato e rivisto da tanti
In questa ristampa il racconto è preceduto da una introduzione dello psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, che tra l'altro scrive:
Sarà presunzione, ma penso che nessuno meglio di uno psichiatra appassionato di fantascienza possa accompagnarvi alla prima pagina del romanzo di Jack Finney...
Il gioco è fatto: vera protagonista del meccanismo è la paranoia. Il libro è eccezionale nella sua modernità; la modernità della disumanizzazione, della impossibilità a riconoscere ed essere riconosciuti. Una descrizione, quella del conoscente e dell'amico trasformato, che sembra tratta dall'esperienza clinica di un reparto psichiatrico, la rappresentazione più inquietante del folle, dell'alienato: al confine tra la vita e la morte, incapace di provare emozioni, solo una caricatura delle emozioni.


la scheda del film:
INVASION OF THE BODY SNATCHERS Titolo italiano: L'INVASIONE DEGLI ULTRACORPI
Produzione: 1956 - Usa, Allied Artists, b/n, 80 min. Regia: Don Siegel Sceneggiatura: Daniel Mainwaring, dall'omonimo romanzo di Jack Finney Produttore: Walter Wagner Musica: Carmen Drago Interpreti: Kevin McCarthy ,Dana Wynter , Larry Gates, King Donovan, Carolyn Jones , Jean Willes, Ralph Dumke, Virginia Christine, Tom Fadden, Kenneth Patterson, Whit Bissel , Richard Deacon, Guy Way, e con la partecipazione di Sam Peckinpah.
Il dottor Miles Bennell, apparentemente in uno stato confusionale, sostiene che la cittadina di Santa Mira è stata invasa dagli alieni che sotto forma di giganteschi baccelli si stanno impossessando dei corpi e della volontà degli uomini. Tempo prima - racconta Miles - l'amico Jack ha mostrato a lui e a Becky (la vedova della quale è innamorato), una copia di se stesso nascosta nella cantina di casa: la copia è in realtà inerte, ma durante la notte prende vita. Jack e la moglie fuggono da Miles e questi sospettando il peggio cerca di avvertire Becky: accorso nella sua abitazione scopre con raccapriccio che nella cantina giace, custodita in un baccello semiaperto, una copia inerte della ragazza. Dallo strano comportamento di alcune persone, e da altre impressionanti scoperte, Miles comprende che i simulacri prendono vita mentre gli uomini dormono e che una volta vitalizzati si sostituiscono agli uomini stessi. Guardandosi attorno, Miles e Becky capiscono che Santa Mira è ormai interamente posseduta dai misteriosi visitatori e che l'unica possibilità di salvezza sta nel non cedere al sonno: occorre fuggire ed avvertire l'umanità del pericolo incombente. Ma la tensione e la stanchezza, fatalmente producono i loro effetti: Becky, sfinita, si abbandona lentamente al sonno e Miles, rimasto solo, fugge e corre per le strade gridando agli indifferenti automobilisti che "loro" sono arrivati... Capolavoro della fantascienza, L'invasione degli ultracorpi venne prodotto in economia in un periodo in cui Hollywood sfornava Kolossal del tipo I dieci comandamenti oGuerra e pace . Il film di Siegel non suggeriva possibilità di salvezza per il genere umano, ma la produzione impose al regista una conclusione più ottimistica (Bennell riesce ad allertare le autorità che intervengono a sventare la minaccia). Gli anni erano quelli immediatamente successivi alla "caccia alle streghe" scatenata da MacCarthy contro i comunisti e i presunti comunisti nel mondo dell'arte e dello spettacolo e, nel film, quel clima parossistico è facilmente avvertibile. Complessa sarebbe, tuttavia, una lettura ideologica della pellicola, dal momento che il discorso potrebbe pendere sia a favore e sia contro un messaggio anticomunista. Noi siamo propensi a credere che il discorso ideologico fosse del tutto estraneo alle intenzioni dello sceneggiatore e del regista e che le valenze "politiche" del film non siano altro che le elucubrazioni "colte" di una critica più o meno schierata sulle posizioni della guerra fredda.
Il film ha avuto due remake: Terrore dallo spazio profondo (1978) e Ultracorpi - L'invasione continua (1993)