Repubblica 2.2.04
L'ULTIMA PAROLA
Un libro sull'operato di Madre Teresa
PERCHÉ È DIFFICILE DISCUTERE SULLE ICONE
Nessuna lotta è impari come quella contro l'immaginario, poiché l'immaginario non tollera esami o prove razionali e di fronte ad eventuali strappi o difficoltà si affida a nuove elaborazioni mentali e chiude la partita. La scienza ha messo in difficoltà i creazionisti e i tolemaici, gli storici come Le Goff hanno dimostrato che la Chiesa si è costruita un aldilà su misura a seconda delle sue necessità terrene inventando il Purgatorio nel Medio Evo, ma l´aldilà resiste intatto ed eterno nell´immaginazione dei credenti. E la forza della fede produce, nell´aldiqua, ospedali, pellegrini e - sarà osceno dirlo - danaro, molto danaro, come prova la star Padre Pio.
Alle mille sortite volterriane contro le reliquie o certe santificazioni perlomeno dubbie la Chiesa ha tirato dritto per la sua strada, nutrendo il cielo con nuovi santi e beati. Sarà dunque inutile il libretto di Christopher Hitchens (minimum fax) intitolato La posizione della missionaria arrivato a una nuova edizione e che illustra "Teoria e pratica di Madre Teresa". L´autore tenta di smontare il mito della suora di Calcutta che è, secondo lui, colpevole di aver coltivato la sofferenza senza usare nei suoi ricoveri uno straccio di analgesico perché il dolore avvicina a Gesù e non spendendo gli ingenti capitali che le erano pervenuti da ogni parte del mondo. Antimoderna e un po´ fanatica, secondo Hitchens, madre Teresa si era trovata coinvolta in vicende poco pulite accettando soldi da un truffatore, poi condannato, come Charles H. Keating che aveva tentato di difendere scrivendo al giudice. Aveva ricevuto la Legion d´onore da Jean-Claude Duvalier il dittatore di Haiti facendosi fotografare con lui e si era lasciata usare da altri politici (come Reagan) tuonando contro aborto e contraccezione. Pauperista come un frate medievale sembrava fatta apposta per piacere a Giovanni Paolo II che infatti l´ha beatificata alla svelta. Può darsi che Hitchens abbia ragione, ma già da viva la piccola suora era diventata santa nell´immaginario del mondo. Che difficilmente vorrà sentire ragioni. Le icone non si discutono.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 2 febbraio 2004
Cassirer vs Heidegger
Repubblica 2.2.04
FILOSOFIA
ERNST CASSIRER E LA FORZA DELL'UMANESIMO
di FRANCO VOLPI
Tra le fine di febbraio e i primi di marzo del 1929, a Davos, Cassirer e Heidegger ingaggiarono una memorabile disputa su Kant. In realtà fu lo scontro tra due modi di fare filosofia: quello elegante e sfumato dell´eminente umanista, che aveva appena pubblicato la Filosofia delle forme simboliche, e quello violento e travolgente del nuovo astro filosofico, che Essere e tempo aveva d´un colpo reso celebre. Alla sera, in un teatrino improvvisato, gli studenti mimarono la contesa, e il giovane Levinas, imbiancatasi la chioma con della farina, impersonò il canuto Cassirer che le prendeva di santa ragione. A distanza di tanto tempo ci si chiede: Cassirer fu veramente lo sconfitto? Non c´è dubbio che quanto a forza speculativa Heidegger lo sovrastasse, ma le potenze cui il maestro teutonico serviva erano davvero migliori dell´umanesimo che Cassirer impersonava? Dopo un lungo silenzio, da qualche tempo si sta riscoprendo il pensiero di questo grand seigneur della filosofia, anche grazie a studiosi italiani come Massimo Ferrari e Giulio Raio. Quest´ultimo presenta ora il primo tomo degli scritti postumi contenente la quarta parte inedita della Filosofia delle forme simboliche. Al centro sta proprio il tema discusso a Davos: che cos´è l´uomo? E come va compreso in termini filosofici? Come animal symbolicum o come Dasein?
FILOSOFIA
ERNST CASSIRER E LA FORZA DELL'UMANESIMO
di FRANCO VOLPI
Tra le fine di febbraio e i primi di marzo del 1929, a Davos, Cassirer e Heidegger ingaggiarono una memorabile disputa su Kant. In realtà fu lo scontro tra due modi di fare filosofia: quello elegante e sfumato dell´eminente umanista, che aveva appena pubblicato la Filosofia delle forme simboliche, e quello violento e travolgente del nuovo astro filosofico, che Essere e tempo aveva d´un colpo reso celebre. Alla sera, in un teatrino improvvisato, gli studenti mimarono la contesa, e il giovane Levinas, imbiancatasi la chioma con della farina, impersonò il canuto Cassirer che le prendeva di santa ragione. A distanza di tanto tempo ci si chiede: Cassirer fu veramente lo sconfitto? Non c´è dubbio che quanto a forza speculativa Heidegger lo sovrastasse, ma le potenze cui il maestro teutonico serviva erano davvero migliori dell´umanesimo che Cassirer impersonava? Dopo un lungo silenzio, da qualche tempo si sta riscoprendo il pensiero di questo grand seigneur della filosofia, anche grazie a studiosi italiani come Massimo Ferrari e Giulio Raio. Quest´ultimo presenta ora il primo tomo degli scritti postumi contenente la quarta parte inedita della Filosofia delle forme simboliche. Al centro sta proprio il tema discusso a Davos: che cos´è l´uomo? E come va compreso in termini filosofici? Come animal symbolicum o come Dasein?
la religione americana/3:
Nathan Englander
Repubblica 2.2.04
Il Dio che c'è in fondo al mio cuore
Intervista allo scrittore
la religione degli americani
Non saprei dire davvero se credo in Dio. Sarei portato a dire no, se non avessi paura della sua reazione
Nella vita come nei libri cerco di rigettare ogni assolutismo religioso So che la vita è più complessa
Fondamentalismo, ecco una parola che somiglia molto ad alcolismo
Della Bibbia ciò che affascina è la capacità di parlare la lingua dell'eternità
di ANTONIO MONDA
NEW YORK. Nathan Englander accetta di parlare del suo rapporto personale con la religione mentre si sta occupando della traduzione in ebraico di Per alleviare insopportabili impulsi. Il misto di amore e ribellione che contraddistingue il suo rapporto con Gerusalemme e la propria cultura, e le controversie suscitate dal libro all´interno della comunità ortodossa lo hanno frenato per ben quattro anni dal tradurre il testo nella lingua dei suoi padri, e ora che ha finalmente deciso, dopo essere tornato a vivere al di là dell´Atlantico, ha impostato il lavoro con la precisione certosina di chi attribuisce alla parola un valore assoluto, religioso.
Lo incontro nel giorno del suo trentaquattresimo compleanno, nel quale ha deciso di tagliarsi i lunghissimi capelli che scendevano al di sotto delle spalle: «Mi sono reso conto di essere più anziano di Cristo», dice mentre ammira sorridendo la foto che lo ritrae sul retro del libro, «e credo che a questa età solo Gesù possa permettersi di portare dei capelli così lunghi». Il tono con cui pronuncia la frase è meno scherzoso di quanto possa apparire e, come nei suoi racconti, l´ironia svela un rapporto intimo e controverso con la religione, che appare lungi dall´essere risolto.
Non mi aspettavo di iniziare questa conversazione cominciando da Cristo.
«Perché, ritiene che sia un patrimonio esclusivo dei cristiani?»
No, tutt´altro. Ma non è esattamente il primo riferimento che ci si aspetta da chi ha scritto un libro come il suo ed è stato educato secondo i dettami più rigidi dell´ortodossia ebraica.
«Posso risponderti che sia nel libro che nella vita ho cercato di rigettare ogni assolutismo religioso, scoprendo che la vita è più varia, più ricca e più misteriosa di quanto potessi immaginare all´interno di quegli insegnamenti. Anche Cristo appartiene a questa scoperta».
Mi sta dicendo che si sta convertendo al cristianesimo?
«No. Solo che cerco di vedere con sguardo sereno tutto quello che mi circonda, compreso le altre religioni. Per quanto riguarda il cattolicesimo ho voluto documentarmi sul Concilio Vaticano II e ne sono rimasto molto colpito, ed ho sempre creduto in una specie di intima coalizione tra ebrei e cristiani. Ma nello stesso tempo so bene, in fondo al mio cuore, che per gli ebrei e forse anche per me stesso rimarrò sempre un ebreo».
Quando visitò la Sinagoga di Roma, il Papa definì gli ebrei i "nostri fratelli maggiori"
«È una definizione che per alcuni versi mi commuove, ma indica anche una divisione. Mi chiedo se non possa essere altrimenti, e mi vengono in mente i dibattiti su Israele della carne e dello spirito».
Come hanno reagito i suoi genitori alla sua decisione di abbandonare l´ortodossia?
«Li ho sentiti vicini, anche se ho capito che per loro deve essere stato un autentico trauma. Come per mia sorella, che tuttora osserva ogni singolo rito con una fede assoluta».
La sua raccolta di racconti è stata accolta ovunque da uno straordinario successo e da molte polemiche da parte delle comunità ortodosse.
«Mi ha felicemente sorpreso il primo dato, ma non il secondo. Le mie storie cercano di immortalare la confusione che provo rispetto degli insegnamenti che ruotano tutti attorno ad un dato religioso e in molti casi anche politico».
Come definirebbe il rapporto che ha attualmente con la religione?
«Quello di una persona che si è spogliata di tutto, ne prova l´eccitazione ma forse non sa come relazionarsi con la propria nudità».
Ma lei crede in Dio?
«Non lo so. Sarei portato a dire di no se non avessi paura di una sua reazione».
Lei è tornato a vivere a Gerusaleme, ma poi ha scelto di nuovo l´America.
«Il motivo è soprattutto politico: in Israele mi sono trovato a constatare quotidianamente che le mie posizioni divengono automaticamente di estrema sinistra. A molti potrà sembrare paradossale, ma qui in America mi sento meno critico nei confronti del paese, e nello stesso tempo provo un maggiore senso di libertà. Sono tornato poco prima dell´undici settembre ed ho imparato ad amare New York proprio in quella occasione: sono estremamente orgoglioso della mia città».
I tragici conflitti in corso affondano le proprie radici nella religione...
«Nel fondamentalismo, che è proprio quello che rifiuto. Ritengo che il fondamentalismo sia come l´alcolismo: un eccesso assolutamente pericoloso. Sono andato via da Israele quando ho visto in Sharon e Arafat lo stesso tipo di atteggiamento autodistruttivo. So bene che potremmo parlare a lungo dell´estremismo che è presente anche in questo paese, del fatto che è assurdo anche linguisticamente parlare di guerra al terrore e agli estremi, ma prima di ogni altra cosa qui in America c´è la religione della libertà. Ed è questo il motivo per cui non riesco ad accettare i riferimenti a Dio di chi è chiamato a governare questo paese».
La sua infanzia è stata segnata da rigorosi insegnamenti spirituali.
«Le dico con serenità che all´epoca ritenevo che quella fosse la fede. Ripetevo meccanicamente per ore le preghiere che ancora oggi conosco a memoria, ma non ne capivo neanche il senso. C´è stato un momento in cui ho capito che per me si trattava solo di un rito».
Legge ancora i testi sacri?
«Sta scherzando? Certo che li leggo. E li considero l´opera più bella mai scritta: chiunque abbia scritto la Bibbia è Dio».
Conosce anche il Nuovo Testamento?
«Non come l´Antico, ma rimango sempre turbato dall´incipit del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio. E il Verbo era Dio"».
Lo dice da scrittore o da uomo di fede?
«A volte mi chiedo se c´è una differenza. Ma se intende dire quanto è rimasto dentro di me del ragazzo educato alle scritture, le dico che quando richiudo la Bibbia la bacio e sto ben attento alla posizione in cui la colloco nella mia libreria».
Cosa c´è che l´affascina particolarmente della Bibbia?
«La sua complessità, e la capacità di parlare nel linguaggio dell´eternità».
Sta lavorando da cinque anni ad un romanzo, ed attribuisce una importanza fondamentale alla parola scritta.
«Ne ho il massimo rispetto. Di fronte alla scrittura ho un approccio intransigente, imprescindibile, assoluto».
Insomma, è finito in un altro tipo di fondamentalismo...
«Accetto la provocazione, ma so di vivere questo atteggiamento con quel minimo di controllo che non mi fa cadere nel fanatismo. Direi che mi comporto come un monaco che è in grado di resistere all´intolleranza con se stesso. E spero di non essere mai come quelle personalità che vedi passare nel giro di poco tempo dalla dipendenza dal sesso a quella della droga, e poi li vedi improvvisamente con lo yarmulke che invocano Dio in Sinagoga».
Mi sa citare uno scrittore religioso che ama particolarmente?
«Sono molti: la prima persona che mi viene in mente è Isaac Singer, per la sua mescolanza di carnalità e spiritualità. Ma trovo una profonda spiritualità in Kafka, e perfino in Gogol. Ieri sera ho passato un´ora al telefono con Donald Antrim a parlare di quanto alcuni scrittori abbiano nascosto un anelito di spiritualità e forse di divinità all´interno di tematiche che sembrano parlare solo della fragilità umana o della corruzione dello spirito».
Luis Buñuel diceva di essere ateo per grazia di Dio.
«Mi sento di condividere, e sono pronto a rubare la battuta.
Ritiene che ci sia una vita dopo la morte?
«È una domanda che mi mette in crisi. Ancora una volta sarei tentato di dire di no, che si tratta di un´illusione e forse anche di una buffonata, ma se mi chiede dove credo che sia in questo momento mio nonno le rispondo: in paradiso».
Il Dio che c'è in fondo al mio cuore
Intervista allo scrittore
la religione degli americani
Non saprei dire davvero se credo in Dio. Sarei portato a dire no, se non avessi paura della sua reazione
Nella vita come nei libri cerco di rigettare ogni assolutismo religioso So che la vita è più complessa
Fondamentalismo, ecco una parola che somiglia molto ad alcolismo
Della Bibbia ciò che affascina è la capacità di parlare la lingua dell'eternità
di ANTONIO MONDA
NEW YORK. Nathan Englander accetta di parlare del suo rapporto personale con la religione mentre si sta occupando della traduzione in ebraico di Per alleviare insopportabili impulsi. Il misto di amore e ribellione che contraddistingue il suo rapporto con Gerusalemme e la propria cultura, e le controversie suscitate dal libro all´interno della comunità ortodossa lo hanno frenato per ben quattro anni dal tradurre il testo nella lingua dei suoi padri, e ora che ha finalmente deciso, dopo essere tornato a vivere al di là dell´Atlantico, ha impostato il lavoro con la precisione certosina di chi attribuisce alla parola un valore assoluto, religioso.
Lo incontro nel giorno del suo trentaquattresimo compleanno, nel quale ha deciso di tagliarsi i lunghissimi capelli che scendevano al di sotto delle spalle: «Mi sono reso conto di essere più anziano di Cristo», dice mentre ammira sorridendo la foto che lo ritrae sul retro del libro, «e credo che a questa età solo Gesù possa permettersi di portare dei capelli così lunghi». Il tono con cui pronuncia la frase è meno scherzoso di quanto possa apparire e, come nei suoi racconti, l´ironia svela un rapporto intimo e controverso con la religione, che appare lungi dall´essere risolto.
Non mi aspettavo di iniziare questa conversazione cominciando da Cristo.
«Perché, ritiene che sia un patrimonio esclusivo dei cristiani?»
No, tutt´altro. Ma non è esattamente il primo riferimento che ci si aspetta da chi ha scritto un libro come il suo ed è stato educato secondo i dettami più rigidi dell´ortodossia ebraica.
«Posso risponderti che sia nel libro che nella vita ho cercato di rigettare ogni assolutismo religioso, scoprendo che la vita è più varia, più ricca e più misteriosa di quanto potessi immaginare all´interno di quegli insegnamenti. Anche Cristo appartiene a questa scoperta».
Mi sta dicendo che si sta convertendo al cristianesimo?
«No. Solo che cerco di vedere con sguardo sereno tutto quello che mi circonda, compreso le altre religioni. Per quanto riguarda il cattolicesimo ho voluto documentarmi sul Concilio Vaticano II e ne sono rimasto molto colpito, ed ho sempre creduto in una specie di intima coalizione tra ebrei e cristiani. Ma nello stesso tempo so bene, in fondo al mio cuore, che per gli ebrei e forse anche per me stesso rimarrò sempre un ebreo».
Quando visitò la Sinagoga di Roma, il Papa definì gli ebrei i "nostri fratelli maggiori"
«È una definizione che per alcuni versi mi commuove, ma indica anche una divisione. Mi chiedo se non possa essere altrimenti, e mi vengono in mente i dibattiti su Israele della carne e dello spirito».
Come hanno reagito i suoi genitori alla sua decisione di abbandonare l´ortodossia?
«Li ho sentiti vicini, anche se ho capito che per loro deve essere stato un autentico trauma. Come per mia sorella, che tuttora osserva ogni singolo rito con una fede assoluta».
La sua raccolta di racconti è stata accolta ovunque da uno straordinario successo e da molte polemiche da parte delle comunità ortodosse.
«Mi ha felicemente sorpreso il primo dato, ma non il secondo. Le mie storie cercano di immortalare la confusione che provo rispetto degli insegnamenti che ruotano tutti attorno ad un dato religioso e in molti casi anche politico».
Come definirebbe il rapporto che ha attualmente con la religione?
«Quello di una persona che si è spogliata di tutto, ne prova l´eccitazione ma forse non sa come relazionarsi con la propria nudità».
Ma lei crede in Dio?
«Non lo so. Sarei portato a dire di no se non avessi paura di una sua reazione».
Lei è tornato a vivere a Gerusaleme, ma poi ha scelto di nuovo l´America.
«Il motivo è soprattutto politico: in Israele mi sono trovato a constatare quotidianamente che le mie posizioni divengono automaticamente di estrema sinistra. A molti potrà sembrare paradossale, ma qui in America mi sento meno critico nei confronti del paese, e nello stesso tempo provo un maggiore senso di libertà. Sono tornato poco prima dell´undici settembre ed ho imparato ad amare New York proprio in quella occasione: sono estremamente orgoglioso della mia città».
I tragici conflitti in corso affondano le proprie radici nella religione...
«Nel fondamentalismo, che è proprio quello che rifiuto. Ritengo che il fondamentalismo sia come l´alcolismo: un eccesso assolutamente pericoloso. Sono andato via da Israele quando ho visto in Sharon e Arafat lo stesso tipo di atteggiamento autodistruttivo. So bene che potremmo parlare a lungo dell´estremismo che è presente anche in questo paese, del fatto che è assurdo anche linguisticamente parlare di guerra al terrore e agli estremi, ma prima di ogni altra cosa qui in America c´è la religione della libertà. Ed è questo il motivo per cui non riesco ad accettare i riferimenti a Dio di chi è chiamato a governare questo paese».
La sua infanzia è stata segnata da rigorosi insegnamenti spirituali.
«Le dico con serenità che all´epoca ritenevo che quella fosse la fede. Ripetevo meccanicamente per ore le preghiere che ancora oggi conosco a memoria, ma non ne capivo neanche il senso. C´è stato un momento in cui ho capito che per me si trattava solo di un rito».
Legge ancora i testi sacri?
«Sta scherzando? Certo che li leggo. E li considero l´opera più bella mai scritta: chiunque abbia scritto la Bibbia è Dio».
Conosce anche il Nuovo Testamento?
«Non come l´Antico, ma rimango sempre turbato dall´incipit del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio. E il Verbo era Dio"».
Lo dice da scrittore o da uomo di fede?
«A volte mi chiedo se c´è una differenza. Ma se intende dire quanto è rimasto dentro di me del ragazzo educato alle scritture, le dico che quando richiudo la Bibbia la bacio e sto ben attento alla posizione in cui la colloco nella mia libreria».
Cosa c´è che l´affascina particolarmente della Bibbia?
«La sua complessità, e la capacità di parlare nel linguaggio dell´eternità».
Sta lavorando da cinque anni ad un romanzo, ed attribuisce una importanza fondamentale alla parola scritta.
«Ne ho il massimo rispetto. Di fronte alla scrittura ho un approccio intransigente, imprescindibile, assoluto».
Insomma, è finito in un altro tipo di fondamentalismo...
«Accetto la provocazione, ma so di vivere questo atteggiamento con quel minimo di controllo che non mi fa cadere nel fanatismo. Direi che mi comporto come un monaco che è in grado di resistere all´intolleranza con se stesso. E spero di non essere mai come quelle personalità che vedi passare nel giro di poco tempo dalla dipendenza dal sesso a quella della droga, e poi li vedi improvvisamente con lo yarmulke che invocano Dio in Sinagoga».
Mi sa citare uno scrittore religioso che ama particolarmente?
«Sono molti: la prima persona che mi viene in mente è Isaac Singer, per la sua mescolanza di carnalità e spiritualità. Ma trovo una profonda spiritualità in Kafka, e perfino in Gogol. Ieri sera ho passato un´ora al telefono con Donald Antrim a parlare di quanto alcuni scrittori abbiano nascosto un anelito di spiritualità e forse di divinità all´interno di tematiche che sembrano parlare solo della fragilità umana o della corruzione dello spirito».
Luis Buñuel diceva di essere ateo per grazia di Dio.
«Mi sento di condividere, e sono pronto a rubare la battuta.
Ritiene che ci sia una vita dopo la morte?
«È una domanda che mi mette in crisi. Ancora una volta sarei tentato di dire di no, che si tratta di un´illusione e forse anche di una buffonata, ma se mi chiede dove credo che sia in questo momento mio nonno le rispondo: in paradiso».
la critica americana su "The Dreamers"
Repubblica 2.2.04
Esce negli Usa "The Dreamers" dopo molte polemiche su eventuali tagli. E il Museum Of Moving Image dedica al regista una retrospettiva
Bertolucci sbarca in America "La mia lotta contro la censura"
L'entusiasmo del "New York Times", i dubbi del "New Yorker"
"La mia vicenda dice che qui ancora si difende la libertà"
ANTONIO MONDA
NEW YORK - L´uscita di The Dreamers negli Stati Uniti senza alcun taglio è caratterizzata da una vittoria importante di Bernardo Bertolucci nei confronti della censura imposta in primo luogo dal mercato, una retrospettiva completa dei suoi film organizzata al «Museum of Moving Image», ed un riscontro critico dell´ultimo film che va dall´entusiasmo del "New York Times" («Bertolucci è il più grande poeta cinematografico dell´erotismo, del narcisismo e dei bambini viziati») alle riserve del "New Yorker": una recensione a firma di David Denby, intitolata «They like to watch» esalta le «folgoranti idee di regia» (in particolare la scena in cui i protagonisti rivivono al Louvre una sequenza di "Band à part" di Jean Luc Godard) ma critica l´approccio «esplicito» di un «maestro che ha sempre adattato la tecnica alle proprie ossessioni» ricordando che la grandezza dell´"Ultimo tango" non è nelle scene di nudo, ma nella «rabbia e violenza emotiva dell´intera vicenda». Nel passaggio più velenoso dell´articolo arriva a dire che «si pensa con amarezza che il regista dà l´impressione di essere un direttore di circo che invecchia e gioca con la pornografia con degli adolescenti».
All´interno di questo dibattito su un film che lo stesso Denby ha definito come un´opera che «mette la cinefilia al centro della vita» si inserisce il decano della critica americana Andrew Sarris, il quale celebra sul "New York Observer" l´approccio da cinefilo («il lavoro di omaggio e montaggio fatto sul cinema del passato vale il prezzo del biglietto»), ma ritiene che il film non avrà in America lo stesso impatto dell´"Ultimo tango", che fu salutato sul "New Yorker" da Pauline Kael con una recensione che fece epoca: «l´importanza della prima di questo film è paragonabile alla prima rappresentazione della "Sagra della Primavera" di Stravinsky.
«Non commento mai le recensioni, e mi sottraggo alla discussione sia a quelle elogiative che a quelle meno benevole» spiega Bertolucci, «ritengo tuttavia che sia più interessante analizzare la vicenda del mio film riguardo a quello che è successo con la censura».
Cosa intende?
«Che in un primo momento The Dreamers sarebbe dovuto uscire in una versione tagliata. Poi ci sono stati infiniti dibattiti, ma io sono convinto che alla fine la saga sul "rating" si sia conclusa bene».
Lei ha rifiutato di tagliare alcune scene per ottenere la classificazione «R», ma così il suo film ha ottenuto un «NC-17», il divieto assoluto ai minori. Da un punto di vista commerciale è un handicap grave.
«Mi auguro ovviamente di no, e comunque lo vedremo nelle prossime settimane. Ma il discorso importante è un altro: per la prima volta una major accetta di distribuire un film vietato ai minori e quindi scommette sulla libertà espressiva dell´autore. Il dato ha una valenza che va ben oltre la mia vittoria personale e manda un segnale importante a tutte le altre major. The Dreamers esce in America con la Fox Searchlight, la divisione della Twentieth Century Fox che distribuisce il cinema personale e d´autore. Non esiste studio americano che non abbia oggi analoghe divisioni, e non esiste dirigente che non abbia seguito le vicende del film rispetto ad una scelta che influenzerà il rapporto odierno tra libertà di espressione ed esigenze commerciali».
Il film esce in America in un momento segnato da conflitti esterni ed un irrigidimento evidente sul piano delle libertà personali.
«Credo che alla base delle infinite discussioni sulla sorte statunitense del mio film c´era da parte dei miei interlocutori anche la consapevolezza di questo nuovo ordine sociale. Non posso che sottolineare l´importanza rassicurante del risultato, ed un segnale che inevitabilmente è politico in un paese che ha sempre difeso le libertà».
Dreamers ha avuto un´ottima accoglienza in Italia ma un riscontro deludente in Francia.
«Solo in parte: "Liberation" gli ha dedicato la prima pagina, e buona parte delle critiche sono state positive. Perfino "Le Monde", che era stato negativo in occasione del Festival di Venezia ha fatto una vera e propria retromarcia. Nelle sale invece il film è andato meno bene che in Italia, ma è interessante notare come la versione originale in inglese sia stata apprezzata molto più di quella doppiata in francese».
È un film che testimonia un grande amore per il cinema americano, sia di genere che d´autore.
«È un amore che non ho mai nascosto: tra i cineasti odierni penso ad esempio a Scorsese, che considero tra i più grandi in assoluto, o ai registi che cito nel film, come Fuller».
Lei inserisce anche una discussione su chi sia più grande tra Keaton e Chaplin. Oggi come la pensa?
«Per molti anni ho privilegiato Keaton, come esempio di cinema puro. Poi mi sono stato conquistato dalla grandezza di Chaplin. Ora non riesco a fare differenza. Quello che ho capito è che nella vita si cambia».
Esce negli Usa "The Dreamers" dopo molte polemiche su eventuali tagli. E il Museum Of Moving Image dedica al regista una retrospettiva
Bertolucci sbarca in America "La mia lotta contro la censura"
L'entusiasmo del "New York Times", i dubbi del "New Yorker"
"La mia vicenda dice che qui ancora si difende la libertà"
ANTONIO MONDA
NEW YORK - L´uscita di The Dreamers negli Stati Uniti senza alcun taglio è caratterizzata da una vittoria importante di Bernardo Bertolucci nei confronti della censura imposta in primo luogo dal mercato, una retrospettiva completa dei suoi film organizzata al «Museum of Moving Image», ed un riscontro critico dell´ultimo film che va dall´entusiasmo del "New York Times" («Bertolucci è il più grande poeta cinematografico dell´erotismo, del narcisismo e dei bambini viziati») alle riserve del "New Yorker": una recensione a firma di David Denby, intitolata «They like to watch» esalta le «folgoranti idee di regia» (in particolare la scena in cui i protagonisti rivivono al Louvre una sequenza di "Band à part" di Jean Luc Godard) ma critica l´approccio «esplicito» di un «maestro che ha sempre adattato la tecnica alle proprie ossessioni» ricordando che la grandezza dell´"Ultimo tango" non è nelle scene di nudo, ma nella «rabbia e violenza emotiva dell´intera vicenda». Nel passaggio più velenoso dell´articolo arriva a dire che «si pensa con amarezza che il regista dà l´impressione di essere un direttore di circo che invecchia e gioca con la pornografia con degli adolescenti».
All´interno di questo dibattito su un film che lo stesso Denby ha definito come un´opera che «mette la cinefilia al centro della vita» si inserisce il decano della critica americana Andrew Sarris, il quale celebra sul "New York Observer" l´approccio da cinefilo («il lavoro di omaggio e montaggio fatto sul cinema del passato vale il prezzo del biglietto»), ma ritiene che il film non avrà in America lo stesso impatto dell´"Ultimo tango", che fu salutato sul "New Yorker" da Pauline Kael con una recensione che fece epoca: «l´importanza della prima di questo film è paragonabile alla prima rappresentazione della "Sagra della Primavera" di Stravinsky.
«Non commento mai le recensioni, e mi sottraggo alla discussione sia a quelle elogiative che a quelle meno benevole» spiega Bertolucci, «ritengo tuttavia che sia più interessante analizzare la vicenda del mio film riguardo a quello che è successo con la censura».
Cosa intende?
«Che in un primo momento The Dreamers sarebbe dovuto uscire in una versione tagliata. Poi ci sono stati infiniti dibattiti, ma io sono convinto che alla fine la saga sul "rating" si sia conclusa bene».
Lei ha rifiutato di tagliare alcune scene per ottenere la classificazione «R», ma così il suo film ha ottenuto un «NC-17», il divieto assoluto ai minori. Da un punto di vista commerciale è un handicap grave.
«Mi auguro ovviamente di no, e comunque lo vedremo nelle prossime settimane. Ma il discorso importante è un altro: per la prima volta una major accetta di distribuire un film vietato ai minori e quindi scommette sulla libertà espressiva dell´autore. Il dato ha una valenza che va ben oltre la mia vittoria personale e manda un segnale importante a tutte le altre major. The Dreamers esce in America con la Fox Searchlight, la divisione della Twentieth Century Fox che distribuisce il cinema personale e d´autore. Non esiste studio americano che non abbia oggi analoghe divisioni, e non esiste dirigente che non abbia seguito le vicende del film rispetto ad una scelta che influenzerà il rapporto odierno tra libertà di espressione ed esigenze commerciali».
Il film esce in America in un momento segnato da conflitti esterni ed un irrigidimento evidente sul piano delle libertà personali.
«Credo che alla base delle infinite discussioni sulla sorte statunitense del mio film c´era da parte dei miei interlocutori anche la consapevolezza di questo nuovo ordine sociale. Non posso che sottolineare l´importanza rassicurante del risultato, ed un segnale che inevitabilmente è politico in un paese che ha sempre difeso le libertà».
Dreamers ha avuto un´ottima accoglienza in Italia ma un riscontro deludente in Francia.
«Solo in parte: "Liberation" gli ha dedicato la prima pagina, e buona parte delle critiche sono state positive. Perfino "Le Monde", che era stato negativo in occasione del Festival di Venezia ha fatto una vera e propria retromarcia. Nelle sale invece il film è andato meno bene che in Italia, ma è interessante notare come la versione originale in inglese sia stata apprezzata molto più di quella doppiata in francese».
È un film che testimonia un grande amore per il cinema americano, sia di genere che d´autore.
«È un amore che non ho mai nascosto: tra i cineasti odierni penso ad esempio a Scorsese, che considero tra i più grandi in assoluto, o ai registi che cito nel film, come Fuller».
Lei inserisce anche una discussione su chi sia più grande tra Keaton e Chaplin. Oggi come la pensa?
«Per molti anni ho privilegiato Keaton, come esempio di cinema puro. Poi mi sono stato conquistato dalla grandezza di Chaplin. Ora non riesco a fare differenza. Quello che ho capito è che nella vita si cambia».
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