venerdì 12 dicembre 2003

Marco Bellocchio venerdì sera a Milano

Corriere della Sera 12.12.03
L’INCONTRO
Marco Bellocchio parla del sequestro Moro


Marco Bellocchio alle 17 è al Centro Culturale Cascina Grande di Rozzano (Mi) per parlare del suo film «Buongiorno notte» sul sequestro Moro. Il regista propone la sua lettura del rapimento e dell’omicidio dello statista da parte delle Brigate Rosse.
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un po' di teologia?
verginità e peccato originale, papi e madonne

La Repubblica 12.12.03
L'Immacolata, il peccato e i misteri della fede
lettera a CORRADO AUGIAS


Gentile Augias, mi occupo di Medioevo, nella cui prima metà venne elaborato il concetto di concepimento immacolato sul quale circolano molte imprecisioni. In teologia i significati di concezione di Maria sono due: attivo e passivo. Nel primo essa, per intervento dello Spirito, concepisce verginalmente Gesù. Nel secondo è essa stessa concepita miracolosamente dai suoi genitori sterili. Non a caso l'evento, presente nel Protovangelo di Giacomo, si diffuse, a partire dall'VIII secolo, come "festa della Concezione di Anna", in Oriente.

L'Occidente ne è tributario: la festa dell'Immacolata appare nel 1060 in Inghilterra per passare poi sul continente. Mentre in Oriente la nozione di macchia originaria trasmessa da Adamo è estranea, questi travaglieranno per secoli i teologi cattolici. Già nell'XI secolo la concezione di Maria dovette essere difesa elaborando la formula della verginità perpetua contro chi la supponeva perduta col parto o con la successiva vita coniugale. Nel XII secolo anche la concezione passiva con immunità dal peccato fu rifiutata addirittura da quel san Bernardo che passa per devotissimo di Maria. La quale, secondo lui, è stata concepita secondo le ordinarie vie della procreazione umana che, sostiene Agostino, è sempre macchiata di concupiscenza.

Sicché non solo Maria avrebbe contratto il peccato originale, ma la Chiesa non può né dichiarare santa né venerare tale concezione di Maria. Ancor più duro il XIII secolo: il privilegio dell'esistenza d'una completa immunità dal peccato originale avrebbe annientato il Cristianesimo nella sua radice, la Redenzione. Questa, infatti, se per una esenzione perdeva l'universalità, perdeva anche ogni necessità. Ometto il seguito ma non la riflessione di quanto, per contrastare l'ignoranza dei cattolici sulla loro dottrina, sia penoso ricorrere a esiguità di dottrina.

Raffaele Iorio, Bari
raffaele_iorio@libero.it


Chi non appartiene a una fede deve accostarsi con discrezione ai suoi misteri, anzi meglio è se si astiene del tutto dal commentarli. Colpisce comunque l'ignoranza di tanti cattolici su un dogma centrale nella loro religione. Sulla base di informazioni raccolte su libri concludo le osservazioni del professor Iorio ricordando che il dogma dell'Immacolata (nel senso di concepita senza peccato originale) venne proclamato da Pio IX l'8 dicembre del 1854. Sono gli anni in cui papa Mastai, dopo la Repubblica romana del '49, accentua i suoi atteggiamenti antiliberali che culmineranno nel celebre documento antimodernista del "Sillabo" (1864). Lì si esclude, per esempio, che il papa possa conciliarsi con progresso, liberalismo, civiltà moderna. Pio IX è anche il papa che convoca il concilio Vaticano I (giugno 1868) che proclamerà il dogma dell'infallibilità pontificia.

Il dogma dell'Immacolata concezione, particolarmente arduo per chiunque non partecipi a quella fede, va quindi inserito in questo periodo del pontificato che porterà papa Mastai a opporsi con tutte le forze e ogni possibile accordo internazionale alla possibilità di perdere il potere temporale. Anche in quel caso gli era sfuggito, nonostante le preveggenti esortazioni di Cavour, quale vantaggio sarebbe stato per lui e i suoi successori limitarsi al solo esercizio spirituale del potere.


le due lettere a Corrado Augias che seguono sono state segnalate da Paolo Izzo

La Repubblica 7.12.03
Immacolata concezione e fecondazione assistita


Silvio Manzati, da Verona

La discussione parlamentare sulla fecondazione mi ha fatto ricordare che domani sarà la festa dell'Immacolata concezione, cioè il concepimento senza macchia, pulito, di Maria. Ma ci sono dei concepimenti sporchi? Il Papa, i cardinali, i vescovi, i preti, le suore, i cattolici in genere considerano sporco il proprio concepimento? Il concepimento attraverso la fecondazione assistita viene considerato sporco alla pari di quello che avviene per mezzo di una normale unione sessuale? L'8 dicembre festeggerò anche la mia Immacolata concezione, perché sono stato concepito in modo non meno pulito di Maria.

La Repubblica 9.12.03
Immacolata concezione la confusione eterologa


Cristina Marolda, da Bruxelles

Desidero rispondere alla lettera del signor Silvio Manzati a proposito di Immacolata concezione e fecondazione assistita. Il lettore purtroppo fa una grande confusione - come ahimè la maggior parte dei cosiddetti "cattolici" che non si curano di studiare il catechismo - tra il dogma sulla verginità della Madonna e quello dell'Immacolata concezione. Quest'ultima, infatti, non riguarda il concepimento di Gesù Cristo - divino, quindi per definizione puro, forse al massimo "eterologo" - bensì il concepimento stesso di Maria, Immacolata, cioè "senza macchia", concepita senza peccato originale perché destinata a ricevere nel suo grembo il figlio di Dio. Quale "atea fervente" come amo definirmi, credo fermamente nello studio delle religioni per poter disquisire in materia a ragion veduta. In un paese ove vige la più grande ignoranza e la totale estraneità alla cultura laica, non deve stupire la passività prona del legislatore di fronte ai dettami della Chiesa, come appunto sta accadendo con la legge sulla fecondazione assistita, tipica di tutti i tempi bui. In ogni caso, la figura di Maria presenta numerosi e interessanti interrogativi filosofici e morali per chiunque volesse dilettarsi di epistemologia mariana.

chi dice di picchiare le donne?

La Stampa 12.12.03
«Solo le persone abbiette usano le mani
ma anche in Occidente ci sono uomini prepotenti e maneschi»

Il presidente della Casa della Cultura islamica di Milano


[...]
«PERCHÈ mai un islamico dovrebbe picchiare la moglie? Per sport? Per ubriachezza? Dia retta a me: ammesso che questo Kamal Mostafa sia davvero un imam, quando ha scritto quelle cose doveva aver preso un colpo di sole: non c'è, non dico un versetto, ma neanche una sola riga in tutto il Corano che prescriva una cosa del genere. E chi sostiene il contrario è soltanto un poovero ignorante». Spiritoso, pragmatico e in fondo «laico» come ogni buon imprenditore lombardo, Mohamed De Nova, italo marocchino, titolare di una fiorente azienda di import-export, è considerato uno dei più vivaci animatori della Casa della cultura Islamica, di Milano, di cui da anni presiede il direttivo: un luogo da non confondere con il Centro islamico di viale Jenner, dove intellettuali come De Nova non sono sempre ben visti. Nell'ambiente è indicato come un esperto «islamista», profondo conoscitore del Corano. Anche se lui precisa: «Io sono un islamico, nel senso che sono prima di tutto un credente». Ed è per questo, forse, che di fronte alla notizia dell'imam di Fuengirola (Malaga, Costa del Sol) accusato di aver scritto in un libro che picchiare le mogli e le donne in generale per un un bravo musulmano è un diritto, all'inizio trasecola, poi scoppia in una fragorosa risata e infine si arrabbia.
Eppure dottor De Nova, è proprio così: questo Mohamed Kamal Mostafa è un imam che ritiene l'uomo in diritto di sottomettere la donna «psicologicamente e fisicamente».
«Non ho idea dove questo presunto imam abbia trovato una prescrizione del genere. Nel Corano si prevede molto chiaramente l'uguaglianza nei diritti e nei doveri tra donna e uomo».
Da certe immagini e dalla condizione delle donne in alcuni paesi islamici, non si direbbe.
«I Paesi islamici sono tanti e diversi tra loro. In Marocco, Algeria, Siria, le donne spesso non portano il velo e hanno gli stessi diritti dell'uomo sul lavoro, come in casa o in politica. Certo, in Arabia Saudita le cose vanno diversamente: ma non si può fare di ogni erba un fascio. E' come dire che dato che in Sicilia c'è la mafia, tutti gli italiani sono mafiosi. Ma via»
Torniamo al Corano: dunque mai si prevede la sottomissione della donna verso l'uomo?
«Mai, davvero: questa storia non sta nè in cielo nè in terra. C'è invece un versetto che dice: ‘’O voi credenti, proteggete voi stessi e i vostri famigliari’’. Ovvero: proteggete anche vostra moglie. Di più: ‘’State attenti a non commettere errori o peccati che possano costarvi l'inferno’’».
Eppure l'imam di Malaga sostiene il contrario.
«Non so cosa dica questo imam ma voglio far presente che l'Islam permette e prevede il divorzio come soluzione per le crisi famigliari irreversibili. Non si capisce quindi perchè mai allora il Corano dovrebbe prescrivere il predominio dell'uomo sulla donna»
In nessun caso?
«In nessuno. L'unica autorità cui siamo sottomessi noi musulmani è Dio, il Signore, Allah. Non ad altri esseri umani. E se un uomo vuole obbligare la propria donna a fare qualcosa di contrario alla sua volontà, questa ha il diritto e il dovere di denunciarlo».
Come la mettiamo col chador?
«E' una libera scelta delle donne portarlo. Se non vogliono, il marito non le può obbligare e chi lo fa è soltanto un ignorante».
Però un versetto del Corano prevede l'obbedienza della donna verso l'uomo. Come va inteso, allora?
«Diciamo che va inteso tra virgolette nel senso che l'obbedienza è prevista per una pacifica convivenza nel matrimonio. Ed è sottinteso che vale anche il contrario: anche l'uomo deve ‘’obbedire’’ alla donna. Faccio un esempio: se l'uomo a mezzanotte si sveglia e vuole gli spaghetti, è giusto che la donna lo mandi a quel paese. Non è questa l'obbedienza prevista dal Corano. In realtà è più un concetto vicino al rispetto che al comando».
Se la donna non obbedisce, botte?
«Solo le persone abiette usano le mani. E purtroppo, mi sembra non sia solo una prerogativa del mondo musulmano. Anche da noi in occidente ci sono uomini prepotenti e maneschi».
Si, ma nessuno lo teorizza.
«Ne siete proprio sicuri?»

Nuove Edizioni Romane

Paolo Izzo ha scritto: «Vi segnalo [...] il lungo inserto culturale di Repubblica, dedicato alle favole e intitolato "Storie per chi le sogna". Tra i numerosi articoli viene citato il libro di Roberto Piumini "Il cuoco prigioniero", edito da Nuove Edizioni Romane. Dallo stesso libro è anche tratto il film di animazione "Totò sapore" in uscita per Natale»

La Repubblica 12.12.03 pag. 53
da "Storie per chi le sogna"

«Scommettiamo maestà che se cucinerò un cibo che sia tondo come il mondo?» la pizza napoletana, secondo Roberto Piumini, nasce da un patto tra Totò Sapore e il re Borbone che lo aveva spedito in galera (Il cuoco prigioniero, Nuove edizioni Romane, euro 7,75)

Pagina 59 - Spettacoli
Uscirà il 19 dicembre il quarto film d'animazione della Lanterna Magica
La pizza del cantastorie Totò fa gola anche alla Miramax
Le musiche del cartone animato sono firmate dai fratelli Edoardo e Eugenio Bennato
di RITA CELI


ROMA - Pizza e mandolino, Pulcinella e le strade chiassose sono i consumati luoghi comuni che si associano a Napoli. Ma sono anche i punti di forza di Totò Sapore, il film d'animazione che con ironia, musica (dei fratelli Bennato) e un ritmo incalzante racconta la storia della pizza napoletana. Gli ingredienti sono semplici: Totò, un cantastorie che sogna di diventare cuoco e che consola le pance vuote degli amici raccontando di ricchi pranzi e leccornie, una giovane fanciulla, re, regine e una strega cattiva che vive nel vulcano, Vesuvia, invidiosa dei napoletani sempre allegri e di buonumore malgrado la fame. La strega organizza un piano per rovinare Totò e portare alla rovina la città: con l'aiuto di Vincenzone regala al giovane quattro pentole che per magia trasformano qualsiasi schifezza in cibo squisito. Poi toglie i poteri ai tegami, facendo finire Totò in prigione e provocando una guerra con i francesi. Il cantastorie ha però un amico fedele, Pulcinella, che lo aiuterà a uscire dai guai e che lo aiuterà a inventare la fantastica pizza.
Realizzato dalla "Lanterna Magica" (al quarto lungometraggio dopo "La Freccia Azzurra", "La gabbianella e il gatto" e "Aida degli alberi"), sarà nelle sale dal 19 dicembre distribuito da Medusa in 150 copie. La regia è di Maurizio Forestieri che è anche l'autore di tutti i personaggi escluso Pulcinella, disegnato da Lele Luzzati e doppiato da Lello Arena. La sceneggiatura è di Umberto Marino e Paolo Cananzi, ispirata al racconto "Il cuoco prigioniero" di Roberto Piumini [Nuove edizioni Romane, euro 7,75].
Una favola animata con 220 mila disegni fatti a mano da 350 persone in tre anni di lavoro, scenografie dello spagnolo Marcos Mateu Mestre che ha ricostruito in 3D una Napoli immaginaria del ?700. E le voci di Pietra Montecorvino (Vesuvia), Mario Merola (Vincenzone), Marco Vivio (Totò) e Francesco Paolantoni che doppia le quattro pentole magiche. «Doppiare un cartone animato» ha detto il comico napoletano, «è stato un sogno, la soddisfazione della parte infantile di ogni attore. In più il film rappresenta e lo stereotipo raccontato con ironia».
Un sogno realizzato anche per i fratelli Bennato. «Totò mi assomiglia moltissimo» spiega Edoardo, «una sorta di meraviglioso alter ego che suona in contemporanea tamburello, chitarra e batteria». «Penso che lo stereotipo pizza e mandolino» aggiunge Eugenio «siano ancora vincenti e rappresentino nel mondo il made in Italy. E poi dobbiamo scrollarci di dosso il provincialismo: il nostro Totò può competere con il vincente Nemo». Una favola pronta ad affrontare anche l'America per la produttrice Maria Fares: «La Miramax mi ha appena chiamato per visionare il film per un'eventuale uscita americana, come aveva già fatto con "La Freccia Azzurra" che aveva distribuito in otto milioni di copie».

ISLAM
due articoli dal Sole 24ore di domenica 7.12

i testi di entrambi gli articoli sono stati inviati da Paolo Izzo

Rispettiamo donne e diritto
Cambiare il sistema senza stravolgere il nostro credo di musulmani: non mancano i segni di apertura
di Shirin Ebadi


Mercoledì prossimo l'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi riceverà a Oslo il Nobel per la pace. Laureata in giurisprudenza all'Università di Teheran, è stata tra le prime a ricoprire la carica di giudice. In seguito alla rivoluzione islamica del 1979 le donne furono escluse dalla magistratura e Shirin Ebadi scelse allora di diventare avvocato. Durante la presidenza di Muhammad Khatami ha difeso numerosi giornalisti e prigionieri politici

L'Islam non è la religione del terrorismo, l'Islam e i diritti della persona non sono incompatibili. Il Nobel per la pace che mi sarà assegnato mercoledì a Oslo è un chiaro messaggio: finalmente il mondo si preoccupa delle donne musulmane. Ma i nostri diritti non sono trascurati soltanto nel mondo islamico. In Europa si discute del velo e i francesi vorrebbero vietarlo nelle scuole. Ritengo assurdo questo divieto, almeno tanto quanto l'obbligo dell'"hejab" imposto in alcuni Paesi musulmani. Dovremmo avere il diritto di vestirci come vogliamo, così come ce l'hanno gli uomini: secondo voi sarebbe possibile obbligarli, con la forza, a indossare la cravatta, oppure a privarsene? Gli uomini hanno sempre potuto scegliere se mettere o meno la cravatta e non capisco perché l'Occidente non lasci alle musulmane la libertà di scegliere di velarsi.
Tra i molti Paesi in cui è professato l'Islam, l'Iran rappresenta un caso particolare: le donne sono molto attive e il 63% della popolazione universitaria è composta da ragazze. Abbiamo partecipato alla rivoluzione islamica del 1979, sorelle e fratelli hanno contribuito insieme alla vittoria di questo regime. Purtroppo la condizione attuale non è facile: molte di noi hanno conseguito una diploma di studi superiori ma non sono state in grado di trovare un impiego; la cultura maschilista del nostro Paese conferisce maggiori possibilità professionali agli uomini e il diritto di famiglia non ci tutela in modo soddisfacente. Un uomo iraniano può, per esempio, divorziare dalla moglie senza alcuna giustificazione, senza nemmeno avanzare un pretesto. Mi auguro che, in futuro, queste norme giuridiche discriminatorie siano accantonate, in modo da rispettare le nostre esigenze.
Per certi aspetti il diritto di famiglia in vigore fino al 1979, e cioè fino alla caduta dello scià, tutelava le donne in misura maggiore, ma queste garanzie non contribuirono granché a risolvere le nostre difficoltà. Ai tempi della monarchia, per esempio, per le mogli avere il divorzio non era un'impresa così complicata. Ma che vantaggi può ottenere dallo status di divorziata una casalinga, senza copertura assicurativa, in un Paese in cui la pensione del marito non è reversibile? Senza mezzi di sostentamento, come fa una cinquantenne a separarsi dal marito? Il diritto al divorzio deve essere necessariamente accompagnato dalla tutela economica e sociale delle divorziate.
In altri termini, ai diritti politici devono essere abbinate opportunità in ambito economico e sociale. Le iraniane possono votare ed essere elette dal 1963, grazie a una riforma introdotta da Muhammad Reza Shah. Come già avveniva al tempo della monarchia, all'indomani della rivoluzione islamica del 1979 alcune iraniane furono elette in Parlamento. Oggi le deputate sono tredici e tra i vicepresidenti della Repubblica islamica vi è Masumeh Ebtekar, incaricata dell'organizzazione per la protezione dell'ambiente.
Ma che senso ha poter diventare vicepresidenti se poi, per chiedere il passaporto e lasciare il Paese, un'iraniana ha bisogno del permesso del marito? Immaginate proprio il caso di Masumeh Ebtekar o di una qualsiasi altra rappresentante di un'organizzazione: se si deve recare all'estero per partecipare a una conferenza internazionale, per rappresentare l'Iran di fronte al mondo, avrà bisogno del permesso del marito. Se il coniuge non è d'accordo, allora la donna impegnata ai vertici della Repubblica islamica dovrà rinunciare. Dobbiamo continuare a lottare per maggiori diritti, sfatando quello che è per molte un mito: non è vero che il regime dello scià ci garantiva maggiori prerogative, tant'è che il permesso del marito per il rilascio del passaporto è proprio un'eredità della monarchia.
Il problema risiede della cultura patriarcale che caratterizza la società iraniana. Non è colpa soltanto degli uomini: vi sono donne miopi complici del maschilismo, mentre alcuni uomini lottano per la libertà e la giustizia, e quindi per cambiare alcune regole. Tra queste il prezzo del sangue: il nostro ordinamento giuridico prevede che, in caso di uccisione di una donna, il prezzo del sangue, e cioè il risarcimento dovuto alla sua famiglia, sia la metà rispetto a un uomo. Si tratta di una questione a lungo dibattuta. Tenuto conto del nostro rilevante contributo all'economia del Paese, noi iraniane stiamo lottando affinché, in termini di risarcimento, non vi siano differenze tra uomini e donne. Sebbene i conservatori ritengano che si tratti di un dogma islamico e pertanto indiscutibile, molte autorità religiose, tra cui l'ayatollah Sanei, hanno cominciato a discuterne e ad ammettere un uguale risarcimento per la famiglia dell'uomo e della donna uccisi.
In quanto giurista, il mio obiettivo è perseguire il cambiamento del sistema rispettando il nostro credo religioso. Il conferimento del Nobel mi ha confermato che la strada finora seguita è quella giusta e mi permette di continuare a lottare. Volendo dimostrare a me stessa di essere degna di questo premio, sono consapevole di dovermi impegnare ancora più di prima.

(Testimonianza raccolta da Seyed Farian Sabahi)


Islamica - Un provocatorio saggio di Georges Corm sulle distanze tra le due culture
Moderni, ma non occidentali
di Paolo Branca


Di fronte alle tormentate vicende del mondo islamico attuale, molti si sono certamente fermati a riflettere più di una volta circa i profondi sentimenti che soggiacciono alle manifestazioni spesso esasperate dell'identità culturale e religiosa di un "Oriente" da noi meno distante rispetto ad altri (basti pensare all'India o alla Cina), ma non per questo più immediatamente comprensibile. Lo stereotipo che vuole le civiltà orientali tutte comprese nella dimensione spirituale e quasi disinteressate alle vicende terrene, già poco adeguato nei confronti di realtà più remote, nel caso di quella musulmana diventa addirittura ridicolo.
É pur vero che col fenomeno del sufismo, che lo attraversa tutto trasversalmente coinvolgendo milioni di seguaci di innumerevoli confraternite, l'Islam può vantare una delle più prestigiose tradizioni mistiche che vi siano, così come non si può negare che talora sussistano atteggiamenti fatalistici e di rinuncia al mondo contro i quali si sono mobilitati intellettuali e riformatori moderni. Ma, come ha giustamente affermato l'antropologo Lévi-Strauss, "l'Islam è l'Occidente dell'Oriente" e, anche senza scomodare la storia e la filosofia, basterebbe pensare alle avveniristiche cattedrali nel deserto che sono sorte grazie ai petrodollari per dubitare che i musulmani siano interessati soltanto al mondo dell'anima e alla vita futura. A demolire la fondatezza dell'artificiosa dicotomia che oppone un Occidente razionale, sviluppato e aperto a un Oriente mistico, arcaico e chiuso su se stesso, destinati fatalmente a scontrarsi in un apocalittico conflitto di civiltà, ci pensa il saggio di questo autore libanese finalmente disponibile anche in italiano.
L'utilità degli interrogativi ch'egli pone risalta ancor più se li paragoniamo allo stolido senso di superiorità con la quale guardiamo spesso alle altre culture, e a quella islamica in particolare, come dimostrano non solo lo straordinario successo di libri viscerali come La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci, ma anche - e forse soprattutto - la fortuna delle tesi, in fondo non molto dissimili, sostenute da Giovanni Sartori nel suo Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Rileggendo le pagine di Corm tornano alla mente le parole di orientalisti come Louis Gardet che non esitava a definire l'Islam "una teocrazia laica ed egualitaria", nonostante l'apparente contraddizione in essa contenuta, o come Alessandro Bausani che faceva notare come le difficoltà incontrate da tale civiltà a modernizzarsi potessero dipendere dal fatto che essa era "già" moderna... Il fondamentalismo musulmano, infatti, a dispetto della sua pretesa fedeltà all'autenticità islamica originaria, è in realtà il frutto avvelenato di una perversa modernizzazione mal digerita.
L'impatto tra due mondi che si presumono geneticamente diversi e quindi incompatibili, piuttosto che l'inevitabile esito di un destino segnato, potrebbe dunque più probabilmente essere un colossale inganno, generato dal narcisismo di un modello che si sta così trionfalmente imponendo, tanto da imporre persino ai propri antagonisti un'immagine deformata di loro stessi, alla quale si aggrappano disperatamente per mancanza di alternative. La penetrante introduzione di Franco Cardini mette giustamente in risalto il salutare disagio che assale il lettore di quest'opera singolare. Si potrà certo discutere e dissentire, ma è difficile negare che lo spirito critico che anima l'autore e a cui egli indefessamente richiama sia uno dei pochi valori davvero universali ai quali ancorarsi in un periodo di troppi e troppo facili revisionismi, dietro ai quali si cela la trappola di un inquietante e pernicioso neo-tribalismo culturale.

Georges Corm, Oriente e Occidente. Una frattura costruita, Vallecchi, Firenze 2003, pagg. 176, €15,00

laicità dello Stato: il caso francese

una segnalazione di Licia Pastore

Corriere della Sera 12.12.03
L’ANALISI
Le regole e un sentiero stretto
Per l’Eliseo e per il Parlamento la vera sfida è l’atteggiamento dei diretti interessati
di Francesco Margiotta Broglio


Dopo cinque mesi di intensa attività, la Commissione sulla laicità ha rimesso al presidente Chirac le sue conclusioni. Con un testo di alto profilo concettuale la Commissione propone una legge che vieti nelle scuole non universitarie l’abbigliamento e i simboli esibiti (croce grande, velo islamico, kippah ebraica) che manifestano appartenenza religiosa o politica, ma manda anche un segnale di riconoscimento delle diversità spirituali. Infatti suggerisce che vengano riconosciute, accanto a quelle cristiane, festività ebraiche e islamiche ed esclude dal divieto i simboli religiosi di misura ridotta che possono restare appesi al collo. Il tutto in un quadro legislativo più generale che regoli questioni importanti come la rilevanza delle credenze nei servizi e ospedali pubblici (impossibile rifiutare personale sanitario in base al sesso o alla fede), nelle carceri, in occasione dei riti funebri, nelle mense (prescrizioni alimentari rituali). Si ribadisce la neutralità del pubblico impiego, ma si tiene conto dei problemi religiosi nel mondo del lavoro, dell’importanza di un insegnamento dei fatti religiosi nelle scuole, dell’estensione a tutti i culti dell’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti, dell’opportunità di creare una Scuola nazionale di studi islamici. Neppure i liberi pensatori sono dimenticati: accanto alle trasmissioni radiotelevisive gestite dalle religioni, vi sarà come già in Belgio, una emissione dedicata alla cultura di atei e agnostici. Un vasto disegno che permette alla Francia, a cent’anni dalla legge di separazione (9 dicembre 1905)(*) - essenzialmente riferita alla Chiesa di Roma - di prender atto che la laicità dello Stato - definita «pietra angolare del patto repubblicano» - dev’essere ridefinita e adattata al paesaggio religioso attuale, profondamente mutato rispetto a quello della Terza Repubblica. L’equilibrio tra principio di uguaglianza e diritto alla differenza sembrerebbe alla base di queste proposte, anche se, nel momento in cui si è messo mano alle questioni religiose sarebbe stato opportuno, nel quadro appunto di una legge generale, affrontare quei diritti collettivi di libertà religiosa o di comunità in quanto tali, che vengono oggi sempre più rivendicati in tutta l’Europa. Un segnale c’è stato con la costituzione del Consiglio del culto islamico, ma non sembra che la legge proposta possa riguardare anche quel «dialogo formalizzato» con le religioni che pure la futura Costituzione europea prevede espressamente.
I dubbi e le difficoltà tra i quali il presidente Chirac dovrà adottare le sue determinazioni non sono, comunque, pochi. Innanzitutto la situazione delle scuole private convenzionate (in gran parte confessionali): la relazione parla, è vero, di rispetto del «carattere specifico» di questi istituti, ma non sembra che essi siano esclusi dal divieto dei simboli. Si dovranno togliere il velo le suore che ancora lo indossano e si dovranno eliminare i crocifissi (grandi croci) nelle aule delle scuole cattoliche? E le foto sui documenti di identità dovranno ancora effigiare donne senza velo o copricapo? E cosa accadrà nei dipartimenti di Alsazia e Mosella dove vige ancora il sistema confessionale di Bonaparte per i culti riconosciuti (il presidente francese nomina, come il Primo Console, i vescovi di Metz e Strasburgo)?
Per Chirac e per il Parlamento (che si è pronunciato con la «missione» Debré in favore di una legge del genere) la vera sfida è l’atteggiamento dei diretti interessati. Con una lettera al Capo dello Stato (9 dicembre) le Chiese cristiane (cattolica, protestanti, ortodosse) hanno riaffermato la loro opposizione a una legge che vieti i simboli religiosi nelle scuole: le difficoltà non si risolvono legiferando, e il dibattito politico in corso induce a pensare che si sia tornati all’antica laicité de combat. Anche il presidente del Consiglio islamico, il Gran Rabbino di Francia e il presidente del Consiglio ebraico si sono pronunciati nello stesso senso. Il rischio che riprendano le tensioni tra la Francia religiosa e la Francia laica non è da sottovalutare. Portare in Parlamento una legge, integrabile e modificabile da parte delle forze politiche, potrebbe non solo mettere in crisi gli equilibri realmente raggiunti dalla Commissione presidenziale, ma aprire il vaso di Pandora della generale condizione giuridica dei culti in Francia che non riguarda, ovviamente, le sole (pur rilevanti) situazioni che la Commissione Stasi si è trovata a dover affrontare.

(*) si tratta della legge fondamentale che nel 1905 istituì le forme della laicità dello Stato francese. Chi desiderasse leggerne il testo (in francese) ed anche l'enciclica (in italiano) con la quale il papa di allora, "San" Pio X, reagì impotentemente ad essa, può richiedermi quei testi: li invierò volentieri per posta elettronica. Per scrivermi si può usare il link in alto a sinistra qui sopra, sotto gli Archivi

corriere.it
Francia, commissione boccia velo islamico e grandi crocifissi
«Vietato ostentare i simboli religiosi»
Nelle scuole francesi saranno ammessi solo come segni privati di fede e origine. La parola passa ora a Chirac


PARIGI - Nelle scuole pubbliche francesi saranno proibiti tutti i simboli religiosi o politici, se portati in modo manifesto, come segnale evidente di appartenenza e proselitismo, in contraddizione con principi di uguaglianza dell'insegnamento e pari opportunità nella società civile. Ma a nessuno potrà essere vietato di portare un crocifisso, una stella di David, la manina di Fatima o un «piccolo» Corano, come segni privati di fede e origine.
E' l'indicazione della Commissione sulla laicità che ieri ha concluso i propri lavori. No quindi a velo islamico, kippah ebraica, crocifisso, senza che la « laicità » divenga una nuova religione impositiva. Il concetto di segni ostensibles (che possono ingenerare imitazioni) sembra precisare disposizioni precedenti, che parlavano di segni ostentatoires (anche senza intenzioni propagandistiche).
La Commissione ha voluto indicare una direzione complessiva al governo francese, suggerendo ad esempio che Yom Kippur e Aid el- Kebir possano essere inserite nel calendario delle festività religiose, che in una certa misura vengano rispettate le tradizioni alimentari nelle mense pubbliche e l'appartenenza religiosa in carceri e cimiteri. E' prevista anche una figura religiosa musulmana nell'esercito.
La «neutralità» del servizio pubblico - ad esempio negli ospedali - dovrà essere garantita, ma verrà lasciata discrezionalità nei regolamenti dei luoghi di lavoro, per quanto riguarda l'abbigliamento. Un segnale di apertura quindi, non di proibizionismo. Una proposta di legge che riafferma le basi laiche della società francese, ma tiene conto che questa società è cambiata e che vi devono trovare posto e rispetto altre culture, religioni, identità.
Potrà sembrare un artificio verbale, un compromesso nel segno dell'ipocrisia o della prudenza, un' enunciazione di principi che non esclude eccezioni, ma il responso dei saggi francesi sulle laceranti questioni della laicità, dei simboli religiosi e della tolleranza è davvero lo specchio del possibile, l'unica strada per evitare rimedi peggiori della malattia. Ed è anche una reazione di buon senso, a tanto scandalismo e clamore.
Di fronte al fenomeno del velo islamico nelle scuole, forse troppo enfatizzato dai media, comunque sintomo di una problematica più complessa, che investe integrazione delle diverse comunità e loro conflittualità, la commissione ha suggerito un aggiornamento delle normative esistenti, cercando di fissare il confine fra regole dello Stato (nella scuola, nei servizi pubblici, sui luoghi di lavoro) e rispetto delle diversità spirituali.
La laicità - si sostiene - è un principio universale che appartiene alla storia della Francia, ma è anche strumento d'uguaglianza, d'integrazione, di tolleranza. Per questo si propone l'insegnamento del «fatto religioso» , delle lingue e delle culture d'origine. Per questo la diffusione di una «carta della laicità» sarà accompagnata da liberi spazi informativi alla televisione e creazione di una scuola di studi islamici.
Si afferma quindi una nuova cultura del quotidiano, che deve promuovere emancipazione femminile ed eguaglianza dei sessi senza l'assimilazione forzata ad usi e costumi occidentali. La commissione Stasi, dal nome del professor Bernard Stasi che ha presieduto il gran consulto sulla Francia di oggi, ha consegnato ieri il rapporto conclusivo al presidente Jacques Chirac, il quale ha adeguato i toni alla solennità del luogo (il Senato) e di un evento che investe storia, istituzioni e principi costituzionali della République.
«L'obiettivo - ha detto - è di garantire ad ognuno la propria libertà nel rispetto della regola comune, l'eguaglianza delle possibilità, qualsiasi siano origini, convinzioni religiose e sesso».
Il presidente, mercoledì prossimo, farà conoscere la propria posizione, che ispirerà l'azione legislativa del governo, ma c'è da scommettere che la legge accoglierà le indicazioni del rapporto, essendo in evidente sintonia con la visione del mondo e della diversità culturale così spesso affermata dall'Eliseo. Ci sono già riserve e polemiche, ma il rapporto della commissione, elaborato con il concorso più ampio di rappresentanze sociali e religiose, è stato approvato all' unanimità.

nuove frontiere del pensiero:
la junghiana Valcarenghi vs Simone de Beauvoir

Corriere della Sera 12.12.03
«Donne non si nasce, si diventa» affermava ...
di Simona Zoli


«Donne non si nasce, si diventa» affermava Simone de Beauvoir. Intendendo con ciò che nasciamo individui paritari di diverso genere e ci penseranno poi l’educazione familiare, la scuola, la cultura e i modelli vigenti a fare degli individui femmina "il secondo sesso", come recita il titolo di un suo celebre libro, o il sesso debole, come afferma da sempre la vox populi. Ora una psicoanalista milanese, di indirizzo junghiano, va ben oltre: no, oggi donne si nasce, le donne vengono al mondo psichicamente già programmate per essere femmina secondo i canoni della nostra società. Perché donne nel senso inteso dalla de Beauvoir lo «sono diventate» una volta per tutte molto tempo fa, nella notte dei millenni, e da allora «si verifica una sorta di trasmissione genetica attraverso l’inconscio collettivo». Marina Valcarenghi, autrice di diversi volumi legati alla sua professione, ha esposto questa teoria in un libro, "L’aggressività femminile" (Bruno Mondadori, pp. 174, 16), ma parlando ora nello studio mansardato dove riceve i pazienti ci tiene a precisare: «No, non dica teoria. La mia è solo un’ipotesi». Resta che l’ipotesi è ardita: immagina addirittura una mutazione d’istinto nel genere femminile verificatasi a un certo punto del processo evolutivo della nostra specie e tramandata, come «comportamento appreso» all’interno del patrimonio ereditario, di madre in figlia.
L’istinto cambiato, nel senso di attenuato, spento, sarebbe quello che gli esperti della psiche chiamano aggressività, ma che nel dire comune meglio si esprime col termine autoaffermazione. «Può essere che, nella notte dei tempi, si siano verificate circostanze tali da indurre la specie umana, per autoproteggersi, a richiedere alle femmine un passo indietro, una certa sottomissione al modo maschile di agire. Un modo che è più diretto, più aggressivo, più rapido, dunque più efficace se incombe un pericolo». L’ipotesi è che le donne abbiano allora acconsentito a questa autorepressione pur di salvarsi insieme ai compagni e alla progenie.
La Valcarenghi cita Konrad Lorenz, il grande studioso del comportamento animale, per sostenere che un istinto può venire mutato e cita Jung e la sua idea di un inconscio collettivo, esistente oltre e accanto all’inconscio individuale, per dare corpo e luogo all’idea di una sedimentazione «genetica» di esperienze e traumi. Dalle teorie junghiane viene anche la tentazione di cercare indizi tra i miti. Ma il recupero è di brandelli di mito, di labili tracce a testimoniare che un tempo le donne furono autoaffermative e sicure di sé quanto gli uomini e, nel contempo, diverse nel modo di sentire, vedere e interagire con la realtà. «Resta poco perché, come spiega Lorenz, in presenza di un grave pericolo per la specie l’istinto di sopravvivenza induce a demonizzare quanto va distrutto. E gli uomini lo fecero nei confronti del potere femminile». Occultati perciò il mito sumero della regina Inanna, combattiva e materna insieme, il mito greco di Meti, dea della sapienza temuta da Zeus che se la mangia per poi ripartorirla, nove mesi dopo, come Atena, dea ancora della mente ma sottomessa al padre, infine il mito di Lilith, la prima donna, sostituita dai rabbini con Eva, talmente non autonoma da essere solo una costola d’uomo.
«Oggi forse il capitolo sui miti non lo metterei neppure - riflette la psicoanalista -. Il vero spunto a sostegno della mia ipotesi viene da ben altro. In tutte le donne, non solo nelle mie pazienti, ho sempre colto sintomi di autoesclusione, di disagio e di sofferenza tipici di un’aggressività repressa e perciò rivolta contro se stesse. Ma proprio perché riscontrabili in tutto il genere femminile questi sintomi sono stati, fin qui, ritenuti "normali", naturali, nella donna. Ecco perché non li si è mai davvero indagati».
E ora, invece? Ora, nel Novecento per la prima volta le donne hanno cominciato a parlare e rivendicare una propria aggressività (da non confondere con «aggressione», cioè violenza contro altri) e guarda caso solo nel secolo scorso ha cominciato a incrinarsi l’impianto patriarcale della società. E’ lecito ipotizzare che i due fenomeni siano legati, scrive la Valcarenghi. Oggi per la specie non è più necessario il «sacrificio» dell’autonomia e del pensiero femminili. Al contrario, si può credere che sia di vitale importanza recuperarli. Tra gli effetti nefasti di quell’antica compressione la studiosa individua, infatti, non solo danni nelle singole donne (il frequente ricorrere di disturbi maniacali, come narcisismo e iperattivismo, oppure depressivi, come masochismo e vittimismo), ma molti e gravi danni collettivi. Nella nostra società vige un «pensiero unico», quello maschile, e le donne che si fanno avanti nei posti e nelle carriere in genere adottano quello stesso modo di pensare e d’agire. Non mutano niente: vengono cooptate. Ed ecco che il mondo guidato dalla sola modalità maschile d’agire - diretto e aggressivo in senso stretto - sta precipitando: non solo guerre, ma disastri ecologici che fanno intravedere il collasso finale e, «soprattutto, per la prima volta nella storia, da sessant’anni l’uomo è in grado di distruggere il pianeta. Premendo un pulsante».
Dunque, proprio il sistema monolitico di procedere che tanto tempo fa salvò la nostra specie ora rischierebbe di portarla alla distruzione. Si tratta di riproporre la vecchia idea che «se comandassero le donne, non ci sarebbero guerre»? «No, se comandassero le donne sarebbe il caos - replica Marina Valcarenghi -. Il pensiero femminile è lentezza, è misura, è un procedere per assimilazioni o per fantasia e, da solo, provocherebbe il disordine totale. Il mondo ha bisogno di camminare sulle due gambe: il principio maschile e il principio femminile. L’uno è il correttivo dell’altro. Vede, il filo d’Arianna serve per arrivare in fondo al labirinto, ma se anziché un filo è una matassa non se ne esce più. E’ necessaria anche la spada di Teseo che divide, assegna, dà ordine».

Neanderthal

Le Scienze 11.12.2003
L'arte dei Neanderthal
Una "maschera" di 35.000 anni fa è stata trovata presso la Loira


Un oggetto di selce rinvenuto in Francia, che presenta una forte rassomiglianza con un volto umano, potrebbe essere uno dei migliori esempi di arte neanderthaliana mai trovati. La "maschera", che risalirebbe a circa 35.000 anni fa, è stata recuperata sulle rive della Loria a La Roche-Cotard. È alta e larga circa 10 centimetri, con una scheggia d'osso conficcata attraverso un buco per rappresentare gli occhi.
Secondo alcuni esperti, l'oggetto dimostra che gli uomini di Neanderthal erano più sofisticati di quanto suggerisca la loro fama di uomini delle caverne. "Questa scoperta - spiega Paul Bahn, esperto di arte britannica dell'età della pietra - potrebbe finalmente scacciare il mito secondo cui i Neanderthal non producevano arte".
L'oggetto viene descritto sulla rivista "Antiquity" da Jean-Claude Marquet, curatore del Museo della Preistoria di Grand-Pressigny, e da Michel Lorblanchet, del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) francese di Saint-Sozy. La maschera è stata trovata durante uno scavo fra gli antichi sedimenti fluviali nei pressi di un insediamento paleolitico. La contemporanea scoperta di ossa e di utensili suggerisce che i Neanderthal avevano usato il luogo per accendere un fuoco e preparare il cibo.
Di forma triangolare, secondo i ricercatori l'oggetto dimostra chiaramente di essere stato lavorato: dalla roccia sono state tolte alcune schegge per renderla più simile a un volto. L'osso, lungo 7,5 centimetri, è stato poi collocato di proposito per creare una "proto-figura" la cui forma naturale richiama un volto umano.