STRAGE DI NASIRIYAH
L'intervento di Oliviero Diliberto alla Camera
Ufficio stampa
Roma, 12 novembre 2003
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è un giorno tragico per l'Italia; è autenticamente un giorno di lutto nazionale. Siamo solidali con le Forze armate, ci inchiniamo di fronte alle vittime ed esprimiamo una solidarietà profonda e sincera alle famiglie, non solo alle famiglie di coloro che sono morti, ma anche a quelle degli altri militari italiani impegnati in Iraq, che da oggi vivranno in modo lacerante le ore ed i giorni.
Ma questa, signori del Governo, è l'unica cosa che ci accomuna. Perché questa grande angoscia, che è sicuramente di tutti, si accompagna ad una grande rabbia, ad una collera che non si placa.
Voi dovete rispondere al paese: in nome di che cosa sono morti i nostri soldati? Per quale motivo? Sotto quale bandiera? Perché erano lì, in un paese occupato, dopo una guerra illegittima dal punto di vista del diritto internazionale e in aperta violazione dell'articolo 11 della Costituzione?
Non è tempo di ipocrisie: sono stati mandati allo sbaraglio, dalla maggioranza e dal Governo. Da un Governo che gestisce la politica estera con una superficialità che fa davvero paura, una superficialità che mette tutto il Paese in pericolo.
Decenni di politica estera italiana, decenni di pace e di cooperazione nel bacino del Mediterraneo, nei confronti del mondo arabo, si sono dissolti! Pazienti tessiture di rapporti e di diplomazie, che avevano messo il nostro Paese al riparo dagli attentati e dal terrorismo, sono ormai solo un vago ricordo. I nostri soldati sono stati mandati allo sbaraglio, senza alcuna copertura politico-diplomatica, senza quell'indispensabile rete di intese e di rapporti necessari quando si sta in territorio di guerra.
Ricordate la missione in Libano? Difficilissima: decenni di guerra civile! Ma l'Italia ne uscì a testa alta, con un accresciuto peso internazionale, compiendo una vera missione di pace, perché vi era quella rete di rapporti, di diplomazie.
Oggi, tutto è cambiato! Oggi, la politica estera di questo Governo è quella delle cene nelle ville della costa Smeralda, delle canzoni di Apicella, delle pacche sulle spalle, degli ammiccamenti e della totale subalternità all'Amministrazione americana, a Bush!
Il nostro ruolo internazionale è pari a zero.
Nell'Iraq vi è il caos più totale, con il rischio dell'estensione del conflitto ad altre zone, come dimostrano le sanzioni decise dagli Usa nei confronti della Siria. Tutto è sfuggito al controllo. Nel frattempo, in Palestina, non vi è stato alcun passo in avanti e, anzi, prosegue la costruzione del muro della vergogna.
È il fallimento completo di una politica estera fondata sulla guerra e sulla cancellazione del diritto internazionale.
Purtroppo si sono verificate, oggi, le più fosche previsioni! Avevamo chiesto, disperatamente chiesto, di non mandare alcun uomo italiano in Iraq, come hanno fatto altri Paesi che non sono certo nemici degli Stati Uniti, come la Francia e la Germania. Avevamo chiesto, ben prima dell'attentato, molto prima dell'attentato, che il nostro contingente venisse ritirato. Invece, addirittura ne è stato prolungato il mandato.
Oggi, indipendentemente dalla immane tragedia che si è consumata a Nassiriyah, voi avete un solo dovere: riportare subito i nostri soldati, sani e salvi, in Italia! Non perché c'è stato l'attentato, ma perché questa guerra è un orrore infinito, un orrore inutile, che anzi alimenta le ragioni dei terroristi.
Voi, signori del Governo, siete politicamente, moralmente responsabili. Se il vostro fosse un Governo degno di questo nome, vi sareste presentati dimissionari in Parlamento! Ma non lo siete, perché non rappresentate l'Italia e la sua ansia di pace, di convivenza tra i popoli, il suo largo e convinto desiderio di serenità.
Voi, signori del Governo, vi dovreste soltanto vergognare
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 18 novembre 2003
l'assassina di Firenze
La Repubblica, edizione di Firenze 18.11.03
I TESTIMONI
"Usò una doppia voce nel momento dell'omicidio"
Le inquiline americane del piano di sotto, del palazzo di via della Scala, avevano sentito sabato 8 novembre, all´ora del delitto delle grida disumane, una donna che urlava «Aiuto, aiuto». Era la voce di Rossana D'Aniello appena di prima di essere uccisa. Poi più niente e dopo un po' un'altra voce, di scherno, che allo stesso modo diceva più piano: «aiuto eh, eh, aiuto». Questa seconda voce, sentita dalle ragazze americane, era a parere di chi indaga, la voce quella dell'assassina, cioè di Daniela Cecchin, 47 anni, il cui arresto è stato convalidato ieri dal gip. Anche i colleghi di lavoro hanno raccontato che l'impiegata comunale a volte si chiudeva nel bagno e parlava da sola con due voci differenti, uno sdoppiamento della personalità. Ieri mattina in questura è stato sentita un'amica dell'arrestata e suo marito: «Sono rimasta sconvolta per quello che è successo - ha detto la donna senza voler rivelare il nome - è da anni che non sentivo più Daniela. Eravamo vicine di casa, ero una sua amica». Al magistrato inquirente la Cecchin aveva detto "È stato il diavolo". Ieri è stato ascoltato anche uno degli psichiatri che ha avuto in cura Daniela Cecchin.
I TESTIMONI
"Usò una doppia voce nel momento dell'omicidio"
Le inquiline americane del piano di sotto, del palazzo di via della Scala, avevano sentito sabato 8 novembre, all´ora del delitto delle grida disumane, una donna che urlava «Aiuto, aiuto». Era la voce di Rossana D'Aniello appena di prima di essere uccisa. Poi più niente e dopo un po' un'altra voce, di scherno, che allo stesso modo diceva più piano: «aiuto eh, eh, aiuto». Questa seconda voce, sentita dalle ragazze americane, era a parere di chi indaga, la voce quella dell'assassina, cioè di Daniela Cecchin, 47 anni, il cui arresto è stato convalidato ieri dal gip. Anche i colleghi di lavoro hanno raccontato che l'impiegata comunale a volte si chiudeva nel bagno e parlava da sola con due voci differenti, uno sdoppiamento della personalità. Ieri mattina in questura è stato sentita un'amica dell'arrestata e suo marito: «Sono rimasta sconvolta per quello che è successo - ha detto la donna senza voler rivelare il nome - è da anni che non sentivo più Daniela. Eravamo vicine di casa, ero una sua amica». Al magistrato inquirente la Cecchin aveva detto "È stato il diavolo". Ieri è stato ascoltato anche uno degli psichiatri che ha avuto in cura Daniela Cecchin.
il Concordato preventivo: lo stato dell'arte
da clorofilla.it
clorofilla.it > articoli > economia e mercati
Concordato preventivo, dubbi accademici sulle modifiche. E' il caso, ma non solo, di talune prestazioni mediche, dove la necessità di subordinare la prestazione della cura alla disponibilità del paziente a essere identificato urta contro fondamentali principi di deontologia professionale. Il direttore del Dipartimento di Scienze economiche dell'università di Bari spiega perché l’eliminazione dell’obbligo di fatturare avrebbe consentito di affrontare finalmente alcuni gravi inconvenienti in alcuni settori delle professioni e dei servizi particolarmente sensibili
Il Fondo. "Curare" la Finanziaria è (ancora) possibile
di Ernesto Longobardi
(l'originale dell'articolo qui riprodotto si può raggiungere cliccando QUI
Roma - Il decretone, cioè il decreto legge 269/2003 che contiene gran parte della manovra finanziaria per il 2004, nell’originario testo, cioè quello pubblicato sulla GU – che fino alla conversione rimane in vigore - prevedeva per i soggetti che aderiranno al nuovo istituto del concordato fiscale preventivo, la sospensione dell’obbligo di “emissione dello scontrino fiscale e della ricevuta fiscale, …, nonché della fattura a favore di soggetti non esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo” (art. 33, comma 2, lettera b, e comma 9).
Con il maxi-emendamento approvato al Senato, sul quale è stato posto il voto di fiducia, l’art.33, istitutivo del concordato preventivo, è stato integralmente sostituito. La disposizione che abbiamo richiamato viene modificata in due punti (art. 33, comma 3, lettera b e comma 13): la sospensione dell’obbligo di emissione viene limitata a scontrini e ricevute, escludendo le fatture emesse nei confronti di “privati” non soggetti IVA; viene mantenuto l’obbligo di emissione nel caso di richiesta da parte del cliente. Mentre su questo secondo aspetto non si può che concordare (e si ritiene che l’omissione di tale previsione nel testo originario sia da ascrivere a puro errore materiale), la seconda modifica ha destato notevoli perplessità, sia tra le organizzazioni di categoria sia a livello tecnico: si possono vedere, in particolare l’intervento di chi scrive apparso su Il Sole-24 ore del 1 novembre 2003 (pag. 19) e quello di Felicioni e Ripa su ItaliaOggi del 5 novembre 2003 (p. 28).
La modifica crea infatti una ingiustificabile frattura nella platea dei soggetti che effettuano operazioni nei confronti dei consumatori finali, che è quella cui in primis si rivolge il nuovo istituto del concordato: commercianti e artigiani da una parte, professionisti ed artisti dall’altra. Ma c’è molto di più. La sospensione dall’obbligo di emissione della fattura consentiva di affrontare finalmente, anche se limitatamente al mondo dei concordatari, alcuni gravi inconvenienti dell’attuale assetto della normativa sugli obblighi di certificazione: in primo luogo quelli che affliggono alcuni settori delle professioni e dei servizi particolarmente sensibili, dove l’obbligo di identificazione nominativa del destinatario della prestazione urta contro i diritti alla riservatezza garantiti dal nostro ordinamento.
In tale ambito, il caso delle prestazioni mediche presenta aspetti di particolare rilevanza e delicatezza. L’obbligo al segreto e alla riservatezza assurge in questo caso al rango di fondamentale principio deontologico, sancito, nel caso italiano, dagli articoli 9 e 10 del Codice. Ma si deve ricordare anche l’art. 3, “dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica…”: potrebbe il medico subordinare la cura alla disponibilità del paziente ad essere identificato per ottemperare ad un obbligo di natura fiscale?
Il paradosso, nel caso dei medici, è che l’obbligo di emissione della fattura non è neppure uno strumento di presidio del gettito IVA in quanto, come noto, “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie” sono operazioni esenti (art. 10, n. 18, DPR 633/1972, che istituisce e disciplina l’imposta sul valore aggiunto). Tant’è che per la quasi totalità delle operazioni esenti è prevista (art. 36 bis del 633) la dispensa dall’obbligo di fatturazione, con l’unica condizione di una semplice comunicazione da parte del contribuente all’ufficio. Strano a dirsi, tuttavia, le prestazioni mediche sono escluse da tale possibilità (insieme alle cessioni di oro! L’accostamento può far piacere alla professione!).
Si è persa dunque, con l’emendamento al concordato, la possibilità di porre un rimedio ad una situazione del tutto irragionevole, consentendo al medico di non emettere fattura nel caso il paziente non la richieda. Si potrà forse rimediare nell’ambito degli aggiustamenti al concordato che dovrebbero essere approvati già con la legge finanziaria. Se così non sarà, si dovranno prendere iniziative decise per un provvedimento di modifica dell’attuale normativa sulla fatturazione (articoli 21, 22, 36 bis del DPR 633).
* Professore Ordinario di Scienza delle Finanze all'Università di Roma
ancora sul libro di Lidia Ravera su Erika
La Gazzetta del Sud martedì 18 novembre 2003
Lidia Ravera scrive ad Erika. Quando il sabato sera esaurisce tutto il futuro
di Candida Curzi
Lidia Ravera Il freddo dentro Rizzoli pagine 175 - euro 13,50
Lidia Ravera, la ragazza degli anni '70, che firmò il manifesto degli adolescenti di allora, «Porci con le ali» , scrive a Erika, la ragazzina di Novi Ligure, che con il suo fidanzato Omar ha ammazzato mamma e fratellino a coltellate. Perché se oggi «Erika ha bisogno di silenzio, noi abbiamo bisogno di risposte, o almeno di continuare a porci delle domande, a riflettere, a pensare, perché Erika è un caso estremo, ma il freddo che è dentro di lei, potrebbe essersi insinuato anche in altri corpi giovani, in altre anime. Come una malattia. E la colpa potrebbe essere anche nostra». Il libro è una lunga lettera e insieme la cronaca di un'indagine appassionata per capire chi è Erika, chi erano i suoi familiari, gli amici, la scuola, il paese, il contesto, insomma, dove una ragazzina di 16 anni, è diventata un'assassina, feroce e inconsapevole allo stesso tempo. Come negli incubi peggiori. Lidia Ravera, che oltre che scrittrice è madre di due ragazzi ormai grandi, racconta a Erika che avrebbe voluto incontrarla, parlarle, almeno guardarla negli occhi. Ma «il silenzio attorno a te è diventato un progetto educativo», così si è dovuta accontentare di leggersi i tomi di perizie psichiatriche, interrogatori, intercettazioni, le cronache dei giornali, andare a parlare con il preside della scuola dove Erika studiava, la gente di Novi Ligure che conosceva la sua famiglia, il colonnello dei carabinieri del Ris che ha analizzato la scena del delitto. E, sfogliando carte e fotografie, raccontandole, interrogarsi su come era stata adolescente lei e i ragazzi degli anni '70, che sono i genitori degli adolescenti di oggi. Alla ricerca del guasto, del punto dove il meccanismo si è rotto. Gli indizi, disseminati nel racconto, sono stati. A cominciare dall'ostinata normalità di Erika e della sua famiglia, nella loro villetta a schiera con giardinetto, le giornate scandite da scuola e palestra, la mamma che sembra una sorella, l'estate al mare, l'inverno a sciare... fino al «Quiz show», guardato con papà prima che lui uscisse e Erika desse il via libera ad Omar per aiutarla a compiere la strage. Droga? Al Sert di Novi Ligure dicono che no, Erika e Omar non li avevano mai sentiti nominare, non erano consumatori abituali, «forse qualche spinello come quasi tutti, qualche tiro di coca». La scuola? Macché, anche lì «solo il 6, come molti» . Normale, anzi «impiegatizio». Anche il sesso: tutti i giorni, dalle 15.30 alle 19, Erika va a casa di Omar. «Studiate!» dice Susy Di Nardo alla figlia; la madre di Omar prepara la merenda; i due ragazzi, nella stanza di lui, fanno l'amore, a volte litigano e poi fanno la pace, e, da due mesi prima, cominciano a parlare di come fare per stare sempre insieme: se mamma e papà Di Nardo morissero, loro potrebbero vivere lì, al posto loro, nella villetta a schiera, magari adottare il fratellino. Si potrebbe mettere il veleno per topi nel minestrone... ma come si farebbe ad accusare del delitto due rapinatori albanesi? meglio i coltelli. Così parlano dell'amore e del futuro questi due ragazzi. Noi, ricorda Ravera, facevamo l'amore di nascosto e ce ne andavamo da casa a 18 anni; pensavamo di doverlo costruire il nostro futuro, volevamo addirittura cambiare il mondo. «Voi generazione di orecchie tappate dalle cuffiette stereofoniche, di tatuaggi nascosti, di ombelichi esposti, generazione di "per sempre" figli, di consumatori silenziosi, di tranquilli a casa, generazione di tolleranza mille e screzi zero, con mamme e papà sempre tesi a giustificarvi...» avete fretta, la volete subito l'eredità, la libertà. Il futuro è domani, sabato sera, le vacanze. «Senza futuro, mi dicono, si vive benissimo. Anzi meglio. Visto che in ogni progetto è contenuta almeno una bugia. D'accordo, ma senza futuro che fine fa la speranza?» si chiede la Ravera. E chiude il libro con una frase scritta da Erika in un tema poche ore prima del massacro: «La mia famiglia è magica e immensa». Lasciando spalancato il baratro di incomprensibilità.
Lidia Ravera scrive ad Erika. Quando il sabato sera esaurisce tutto il futuro
di Candida Curzi
Lidia Ravera Il freddo dentro Rizzoli pagine 175 - euro 13,50
Lidia Ravera, la ragazza degli anni '70, che firmò il manifesto degli adolescenti di allora, «Porci con le ali» , scrive a Erika, la ragazzina di Novi Ligure, che con il suo fidanzato Omar ha ammazzato mamma e fratellino a coltellate. Perché se oggi «Erika ha bisogno di silenzio, noi abbiamo bisogno di risposte, o almeno di continuare a porci delle domande, a riflettere, a pensare, perché Erika è un caso estremo, ma il freddo che è dentro di lei, potrebbe essersi insinuato anche in altri corpi giovani, in altre anime. Come una malattia. E la colpa potrebbe essere anche nostra». Il libro è una lunga lettera e insieme la cronaca di un'indagine appassionata per capire chi è Erika, chi erano i suoi familiari, gli amici, la scuola, il paese, il contesto, insomma, dove una ragazzina di 16 anni, è diventata un'assassina, feroce e inconsapevole allo stesso tempo. Come negli incubi peggiori. Lidia Ravera, che oltre che scrittrice è madre di due ragazzi ormai grandi, racconta a Erika che avrebbe voluto incontrarla, parlarle, almeno guardarla negli occhi. Ma «il silenzio attorno a te è diventato un progetto educativo», così si è dovuta accontentare di leggersi i tomi di perizie psichiatriche, interrogatori, intercettazioni, le cronache dei giornali, andare a parlare con il preside della scuola dove Erika studiava, la gente di Novi Ligure che conosceva la sua famiglia, il colonnello dei carabinieri del Ris che ha analizzato la scena del delitto. E, sfogliando carte e fotografie, raccontandole, interrogarsi su come era stata adolescente lei e i ragazzi degli anni '70, che sono i genitori degli adolescenti di oggi. Alla ricerca del guasto, del punto dove il meccanismo si è rotto. Gli indizi, disseminati nel racconto, sono stati. A cominciare dall'ostinata normalità di Erika e della sua famiglia, nella loro villetta a schiera con giardinetto, le giornate scandite da scuola e palestra, la mamma che sembra una sorella, l'estate al mare, l'inverno a sciare... fino al «Quiz show», guardato con papà prima che lui uscisse e Erika desse il via libera ad Omar per aiutarla a compiere la strage. Droga? Al Sert di Novi Ligure dicono che no, Erika e Omar non li avevano mai sentiti nominare, non erano consumatori abituali, «forse qualche spinello come quasi tutti, qualche tiro di coca». La scuola? Macché, anche lì «solo il 6, come molti» . Normale, anzi «impiegatizio». Anche il sesso: tutti i giorni, dalle 15.30 alle 19, Erika va a casa di Omar. «Studiate!» dice Susy Di Nardo alla figlia; la madre di Omar prepara la merenda; i due ragazzi, nella stanza di lui, fanno l'amore, a volte litigano e poi fanno la pace, e, da due mesi prima, cominciano a parlare di come fare per stare sempre insieme: se mamma e papà Di Nardo morissero, loro potrebbero vivere lì, al posto loro, nella villetta a schiera, magari adottare il fratellino. Si potrebbe mettere il veleno per topi nel minestrone... ma come si farebbe ad accusare del delitto due rapinatori albanesi? meglio i coltelli. Così parlano dell'amore e del futuro questi due ragazzi. Noi, ricorda Ravera, facevamo l'amore di nascosto e ce ne andavamo da casa a 18 anni; pensavamo di doverlo costruire il nostro futuro, volevamo addirittura cambiare il mondo. «Voi generazione di orecchie tappate dalle cuffiette stereofoniche, di tatuaggi nascosti, di ombelichi esposti, generazione di "per sempre" figli, di consumatori silenziosi, di tranquilli a casa, generazione di tolleranza mille e screzi zero, con mamme e papà sempre tesi a giustificarvi...» avete fretta, la volete subito l'eredità, la libertà. Il futuro è domani, sabato sera, le vacanze. «Senza futuro, mi dicono, si vive benissimo. Anzi meglio. Visto che in ogni progetto è contenuta almeno una bugia. D'accordo, ma senza futuro che fine fa la speranza?» si chiede la Ravera. E chiude il libro con una frase scritta da Erika in un tema poche ore prima del massacro: «La mia famiglia è magica e immensa». Lasciando spalancato il baratro di incomprensibilità.
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