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Festival – Italia
Tutto Bellocchio a Pesaro
(...)
Ma il pezzo forte della Mostra di Pesaro sembra essere la retrospettiva completa di Marco Bellocchio. A cura di Adriano Aprà e co-organizzato con la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, sarà un viaggio attraverso quarant'anni di storia del cinema italiano che sarà completato da una tavola rotonda sul regista e da due volumi monografici di cui uno fotografico (co-editato dal Centro Sperimentale di Cinematografia). "La completezza e la puntualità di questa retrospettiva mi commuovono", commenta Marco Bellocchio. "C'è una parte della mia storia personale e cinematografica che non era mai stata affrontata prima e che di solito la critica scavalca: il periodo della mia controversa collaborazione con lo psicoterapeuta Massimo Fagioli. Non mi sono mai sentito un perseguitato, ma dal 1985 si è scatenata una serie di attacchi alle mie scelte personali. Rivendico le mie posizioni anti-istituzionali, che continuano ancora oggi".
Adnkronos 20.6.05 - 14:14
CINEMA: MARCO BELLOCCHIO, RICONCILIATO CON LA CRITICA, MA RESTO UN RIBELLE
Roma, 20 giu. (Adnkronos) - ''Non mi sento perseguitato, ma credo che dietro alcune mie decisioni personali, dal 1985 in poi, ci sia stata molta confusione e incomprensione. Finalmente anche su questi aspetti del mia vita e del mio lavoro si potrà fare chiarezza''. A parlare è Marco Bellocchio, al quale la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro (in programma dal 25 giugno al 3 luglio) dedica quest'anno l'Evento Speciale. Al regista sarà reso omaggio con una retrospettiva completa delle sue opere (film, cortometraggi e lungometraggi), una tavola rotonda e con la pubblicazione di due volumi, attraverso i quali si affronta per la prima volta anche il suo approccio psicanalitico alla Settima Arte e la collaborazione con l'analista Fagioli per ''Il diavolo in corpo''.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 21 giugno 2005
in Spagna
il governo socialista non ha proprio nessuna paura della chiesa cattolica
da aprileonline.info
E in Spagna...
(...)
A fine anno scade la proroga dei finanziamenti di Stato alla Chiesa cattolica e il governo del premier socialista potrebbe decidere di tagliare i fondi pubblici alla Chiesa con cui è ai ferri più che corti. L’avvertimento arriva, con una intervista al quotidiano barcellonese “La Vanguardia”, dal guardasigilli Juan Fernando Lopez Aguilar, difensore dell’allargamento dei diritti civili. A fine anno scade l’ultima proroga della disposizione transitoria dell’attuale sistema di finanziamento ecclesiale, pattuito nell’87 tra la Conferencia Episcopal Espanola (Cee) e l’ex governo socialista del premier Gonzalez. Allora le gerarchie religiose si impegnarono, nel giro di 3 anni, ad autofinanziarsi con l’apporto volontario dei fedeli dello 0,5 per cento della loro dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche (in Italia è lo 0,8). Un compromesso, però, mai rispettato negli ultimi 15 anni. Lo Stato, sia con Gonzalez che con il premier popolare Aznar, ha sempre anticipato mensilmente (quest’anno 11,78 milioni di euro, su 141,46 previsti per il 2005), molto più di quanto versavano i fedeli. E non ha mai chiesto indietro la differenza tra la somma anticipata e quella incassata. Un gap a fondo perduto pari, solo tra l’88 ed il 2002, a 450,89 milioni di Euro. In questo contesto, Aguilar suona la carica: “La realtà è che l’apporto dei fedeli non è sufficiente, non arriva neppure al 70%. Quest’anno abbiamo sborsato 35 milioni di euro in più”. E subito dopo, avverte: “L’Esecutivo e la Chiesa sanno che questa situazione non è sostenibile all’infinito. È razionale che convochiamo una negoziazione che potrebbe aver luogo quando scadrà l’ultima proroga, alla fine di quest’anno”. Calendario alla mano, significa che l’ accordo sulla riforma del sistema di finanziamento ecclesiastico deve essere concluso prima della redazione della Finanziaria 2006, nel prossimo autunno. Ma c’è di più. Il ministro alla Giustizia, da cui dipende il decisivo sottosegretariato agli Affari religiosi, paventa anche tutta una serie di notevolissime riduzioni fiscali per i religiosi “che occorre negoziare”. Quali? Esenzione dell’Iva (concessa dall’89 contro il parere della Ue), imposte sui beni immobili, successioni, donazioni. Spiega Lopez Aguilar: “Dobbiamo essere capaci di mettere sul tavolo queste questioni senza che si dica che ci scontriamo con la Chiesa. Non dobbiamo dimenticarci che è una situazione eccezionale della Chiesa cattolica, di cui non usufruiscono altre confessioni costituzionalmente equiparate”. Insomma, è la resa dei conti del governo con la Conferenza episcopale.(...)
e alle elezioni il governo si rafforza anche
(dalla mailing list dell'UAAR):
«Zapa sta andando bene elettoralmente.
Ieri ci sono state anche le elezioni regionali in Galizia, una regione tradizionalmente di destra, dove il PP nel 2001 aveva la maggioranza assoluta ( 51.6% ) e il PSOE era al 21,8%. I risultati di ieri sono stati un calo del PP al 44,9% e una crescita del Psoe al 32,5% (= crescita di più del 50%).
In seggi +8 al Psoe, - 4 al PP e -4 al partito nazionalista galiziano (BNG).
Al momento BNG e Psoe insieme fanno i 38 seggi che danno la maggioranza.
Adesso sono in attesa del voto degli immigrati in Argentina».
E in Spagna...
(...)
A fine anno scade la proroga dei finanziamenti di Stato alla Chiesa cattolica e il governo del premier socialista potrebbe decidere di tagliare i fondi pubblici alla Chiesa con cui è ai ferri più che corti. L’avvertimento arriva, con una intervista al quotidiano barcellonese “La Vanguardia”, dal guardasigilli Juan Fernando Lopez Aguilar, difensore dell’allargamento dei diritti civili. A fine anno scade l’ultima proroga della disposizione transitoria dell’attuale sistema di finanziamento ecclesiale, pattuito nell’87 tra la Conferencia Episcopal Espanola (Cee) e l’ex governo socialista del premier Gonzalez. Allora le gerarchie religiose si impegnarono, nel giro di 3 anni, ad autofinanziarsi con l’apporto volontario dei fedeli dello 0,5 per cento della loro dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche (in Italia è lo 0,8). Un compromesso, però, mai rispettato negli ultimi 15 anni. Lo Stato, sia con Gonzalez che con il premier popolare Aznar, ha sempre anticipato mensilmente (quest’anno 11,78 milioni di euro, su 141,46 previsti per il 2005), molto più di quanto versavano i fedeli. E non ha mai chiesto indietro la differenza tra la somma anticipata e quella incassata. Un gap a fondo perduto pari, solo tra l’88 ed il 2002, a 450,89 milioni di Euro. In questo contesto, Aguilar suona la carica: “La realtà è che l’apporto dei fedeli non è sufficiente, non arriva neppure al 70%. Quest’anno abbiamo sborsato 35 milioni di euro in più”. E subito dopo, avverte: “L’Esecutivo e la Chiesa sanno che questa situazione non è sostenibile all’infinito. È razionale che convochiamo una negoziazione che potrebbe aver luogo quando scadrà l’ultima proroga, alla fine di quest’anno”. Calendario alla mano, significa che l’ accordo sulla riforma del sistema di finanziamento ecclesiastico deve essere concluso prima della redazione della Finanziaria 2006, nel prossimo autunno. Ma c’è di più. Il ministro alla Giustizia, da cui dipende il decisivo sottosegretariato agli Affari religiosi, paventa anche tutta una serie di notevolissime riduzioni fiscali per i religiosi “che occorre negoziare”. Quali? Esenzione dell’Iva (concessa dall’89 contro il parere della Ue), imposte sui beni immobili, successioni, donazioni. Spiega Lopez Aguilar: “Dobbiamo essere capaci di mettere sul tavolo queste questioni senza che si dica che ci scontriamo con la Chiesa. Non dobbiamo dimenticarci che è una situazione eccezionale della Chiesa cattolica, di cui non usufruiscono altre confessioni costituzionalmente equiparate”. Insomma, è la resa dei conti del governo con la Conferenza episcopale.(...)
e alle elezioni il governo si rafforza anche
(dalla mailing list dell'UAAR):
«Zapa sta andando bene elettoralmente.
Ieri ci sono state anche le elezioni regionali in Galizia, una regione tradizionalmente di destra, dove il PP nel 2001 aveva la maggioranza assoluta ( 51.6% ) e il PSOE era al 21,8%. I risultati di ieri sono stati un calo del PP al 44,9% e una crescita del Psoe al 32,5% (= crescita di più del 50%).
In seggi +8 al Psoe, - 4 al PP e -4 al partito nazionalista galiziano (BNG).
Al momento BNG e Psoe insieme fanno i 38 seggi che danno la maggioranza.
Adesso sono in attesa del voto degli immigrati in Argentina».
Flores d’Arcais
«La Vittoria di Dio»
L'Unità 21 Giugno 2005
La Vittoria di Dio
Paolo Flores d’Arcais
È trascorsa appena una settimana, e la politica ufficiale ha ripreso il suo tran-tran, come se nulla fosse successo. Eppure, nelle urne (astenendosi dalle urne, anzi), ha vinto Dio. Evento di un certo rilievo, che sarebbe utile pensare a fondo.
Ha vinto Dio. Non il Dio universale, di tutti i credenti, però. Non il Dio dei valdesi, che avevano invitato civilmente al voto (contro la vigente legge). Non il Dio degli ebrei, tenuto rigorosamente estraneo alla tenzone referendaria.
E neppure il Dio di preti cattolici che prendono sul serio il vangelo: alla don Gallo (e tanti come lui). Che a votare ci sono andati, senza licenza de' superiori ma in obbedienza alla propria coscienza. In quel week-end ha vinto un solo Dio: il Dio della Chiesa cattolica nella sua accezione strettamente gerarchica. Il Dio di Joseph Ratzinger e Camillo Ruini, insomma.
A voler essere onesti, o per lo meno esatti, quel Dio non ha vinto da solo. Da solo non ce l'avrebbe fatta. Ha vinto in alleanza con l'astensionismo abituale, ormai al trenta per cento nelle consultazioni politiche e oltre il quaranta in quelle referendarie (le rarissime volte che riescono). E con l'ondata popolare di panico verso la scienza, nuovo e sottovalutato oscurantismo di massa.
Ma l'astensionismo abituale, a volerlo ascoltare (anziché esorcizzare come “fisiologico”), parla della crisi della democrazia, della rappresentanza che diventa finzione, del monopolio partitocratico autoreferenziale (felicemente intrecciato ai poteri forti, economico-finanziari, checché strilli la retorica populista d'ordinanza).
Il panico verso la scienza rifiuta invece in radice la distinzione tra scienza/conoscenza e uso tecnologico della medesima. Come se fosse ragionevole biasimare il fuoco e la ruota, strumenti di progresso esponenziale, visto che celebrano fasti mostruosi nella tortura e successivo auto-da-fé degli eretici.
Le conoscenze sul nucleo atomico e sul genoma non sono responsabili di Nagasaki o di ogni futuro dottor Mabuse. Accusare la scienza è un modo comodo per auto-assolverci dalla nostra responsabilità di cittadini, e/o un modo pericoloso di occultarci la nostra impotenza di cittadini di fronte alla video-partitocrazia dei politici di mestiere che ha monopolizzato e sequestrato la nostra sovranità (ormai solo putativa).
Questo vero e proprio odio teologico (e sospetto popolare) contro la scienza, nasconde in realtà la paura di fare i conti con la verità del disincanto: la mancanza di un senso iscritto nel cosmo e della storia umana, il dovere, insopportabile, di essere i creatori della nostra norma, di essere autonomi - autos-nomos - premessa per essere cittadini. La paura di affrontare il finito irrimediabile dell'esistenza.
Da questo dolore di essere individui, gettati in un universo insensato, la spinta a rifugiarsi in ogni nicchia di illusione e autoinganno. Il proliferare a metastasi di ogni occultismo e superstizione.
Ma il rifugio doveva essere proprio la democrazia, il nostro destino riappropriato per autos-nomos, sovranità autonoma di tutti e di ciascuno, orizzonte di potere simmetrico e riconoscimento reciproco, anche nel conflitto. I “realisti” bollano tutto ciò di utopia: democrazia è mera circolazione di elités, tecnica di governo, il resto è poesia.
Ma se questa poesia viene meno (è il solo fondamento di legittimità delle democrazia!), se nella democrazia ridotta a simulacro viene meno anche la possibilità di lottare-per, ecco dilagare la rassegnazione di massa, il cinismo degli individui/replicanti, l'indifferenza alla cosa pubblica, resa estranea (privata!) dall'Opa riuscita dell'establishment video-partitocratico.
La democrazia sottratta sottrae speranza di “dare senso”. L'impotenza di ciascuno rende s-catenato (rispetto al controllo democratico) l'uso della scienza, e l'hybris di profitto che l'accompagna. La sfiducia nella scienza e nel voto si alimentano a vicenda, in spirale viziosa (magari fosse solo un circolo).
La sinergia tra i tre fenomeni - clericale, partitocratico, superstizioso - costituisce la nuova santa alleanza oscurantista contro la democrazia presa sul serio. Se ne esce solo con un grande progetto di controffensiva politica e culturale di segno democratico-illuminista.
L'alternativa cattolica (l'«Etsi Deus daretur» a cui Papa Ratzinger invita anche i non credenti, quando si tratti di fare le leggi, e il bacio della pantofola intimato dagli atei devoti) sottovaluta il futuro assai prossimo di questo ritorno trionfante di Dio sulla scena pubblica. Perché vale poi per qualsiasi Dio, non in esclusiva per il Dio di Ratzinger e Ruini. E ogni religione pretende coincidenza tra ciò che detta la propria fede e ciò che sarebbe natura umana.
Se per Ruini la cellula fecondata che si è duplicata alcune volte (la morula) è già persona, e dunque omicidio usarla, per un'altra fede la natura condanna la trasfusione, o ammette la poligamia. E chi deciderà su quale sia natura? La maggioranza? A metà del secolo, nelle nostre metropoli, sarà probabilmente islamica.
La convivenza futura è possibile solo nel riconoscimento dei diritti inalienabili di ogni persona (la madre, non il feto. E ciascuno di noi rispetto alla propria vita, compresa la decisione di eutanasia e relativo aiuto). Dunque, più che mai: Etsi Deus non daretur.
La Vittoria di Dio
Paolo Flores d’Arcais
È trascorsa appena una settimana, e la politica ufficiale ha ripreso il suo tran-tran, come se nulla fosse successo. Eppure, nelle urne (astenendosi dalle urne, anzi), ha vinto Dio. Evento di un certo rilievo, che sarebbe utile pensare a fondo.
Ha vinto Dio. Non il Dio universale, di tutti i credenti, però. Non il Dio dei valdesi, che avevano invitato civilmente al voto (contro la vigente legge). Non il Dio degli ebrei, tenuto rigorosamente estraneo alla tenzone referendaria.
E neppure il Dio di preti cattolici che prendono sul serio il vangelo: alla don Gallo (e tanti come lui). Che a votare ci sono andati, senza licenza de' superiori ma in obbedienza alla propria coscienza. In quel week-end ha vinto un solo Dio: il Dio della Chiesa cattolica nella sua accezione strettamente gerarchica. Il Dio di Joseph Ratzinger e Camillo Ruini, insomma.
A voler essere onesti, o per lo meno esatti, quel Dio non ha vinto da solo. Da solo non ce l'avrebbe fatta. Ha vinto in alleanza con l'astensionismo abituale, ormai al trenta per cento nelle consultazioni politiche e oltre il quaranta in quelle referendarie (le rarissime volte che riescono). E con l'ondata popolare di panico verso la scienza, nuovo e sottovalutato oscurantismo di massa.
Ma l'astensionismo abituale, a volerlo ascoltare (anziché esorcizzare come “fisiologico”), parla della crisi della democrazia, della rappresentanza che diventa finzione, del monopolio partitocratico autoreferenziale (felicemente intrecciato ai poteri forti, economico-finanziari, checché strilli la retorica populista d'ordinanza).
Il panico verso la scienza rifiuta invece in radice la distinzione tra scienza/conoscenza e uso tecnologico della medesima. Come se fosse ragionevole biasimare il fuoco e la ruota, strumenti di progresso esponenziale, visto che celebrano fasti mostruosi nella tortura e successivo auto-da-fé degli eretici.
Le conoscenze sul nucleo atomico e sul genoma non sono responsabili di Nagasaki o di ogni futuro dottor Mabuse. Accusare la scienza è un modo comodo per auto-assolverci dalla nostra responsabilità di cittadini, e/o un modo pericoloso di occultarci la nostra impotenza di cittadini di fronte alla video-partitocrazia dei politici di mestiere che ha monopolizzato e sequestrato la nostra sovranità (ormai solo putativa).
Questo vero e proprio odio teologico (e sospetto popolare) contro la scienza, nasconde in realtà la paura di fare i conti con la verità del disincanto: la mancanza di un senso iscritto nel cosmo e della storia umana, il dovere, insopportabile, di essere i creatori della nostra norma, di essere autonomi - autos-nomos - premessa per essere cittadini. La paura di affrontare il finito irrimediabile dell'esistenza.
Da questo dolore di essere individui, gettati in un universo insensato, la spinta a rifugiarsi in ogni nicchia di illusione e autoinganno. Il proliferare a metastasi di ogni occultismo e superstizione.
Ma il rifugio doveva essere proprio la democrazia, il nostro destino riappropriato per autos-nomos, sovranità autonoma di tutti e di ciascuno, orizzonte di potere simmetrico e riconoscimento reciproco, anche nel conflitto. I “realisti” bollano tutto ciò di utopia: democrazia è mera circolazione di elités, tecnica di governo, il resto è poesia.
Ma se questa poesia viene meno (è il solo fondamento di legittimità delle democrazia!), se nella democrazia ridotta a simulacro viene meno anche la possibilità di lottare-per, ecco dilagare la rassegnazione di massa, il cinismo degli individui/replicanti, l'indifferenza alla cosa pubblica, resa estranea (privata!) dall'Opa riuscita dell'establishment video-partitocratico.
La democrazia sottratta sottrae speranza di “dare senso”. L'impotenza di ciascuno rende s-catenato (rispetto al controllo democratico) l'uso della scienza, e l'hybris di profitto che l'accompagna. La sfiducia nella scienza e nel voto si alimentano a vicenda, in spirale viziosa (magari fosse solo un circolo).
La sinergia tra i tre fenomeni - clericale, partitocratico, superstizioso - costituisce la nuova santa alleanza oscurantista contro la democrazia presa sul serio. Se ne esce solo con un grande progetto di controffensiva politica e culturale di segno democratico-illuminista.
L'alternativa cattolica (l'«Etsi Deus daretur» a cui Papa Ratzinger invita anche i non credenti, quando si tratti di fare le leggi, e il bacio della pantofola intimato dagli atei devoti) sottovaluta il futuro assai prossimo di questo ritorno trionfante di Dio sulla scena pubblica. Perché vale poi per qualsiasi Dio, non in esclusiva per il Dio di Ratzinger e Ruini. E ogni religione pretende coincidenza tra ciò che detta la propria fede e ciò che sarebbe natura umana.
Se per Ruini la cellula fecondata che si è duplicata alcune volte (la morula) è già persona, e dunque omicidio usarla, per un'altra fede la natura condanna la trasfusione, o ammette la poligamia. E chi deciderà su quale sia natura? La maggioranza? A metà del secolo, nelle nostre metropoli, sarà probabilmente islamica.
La convivenza futura è possibile solo nel riconoscimento dei diritti inalienabili di ogni persona (la madre, non il feto. E ciascuno di noi rispetto alla propria vita, compresa la decisione di eutanasia e relativo aiuto). Dunque, più che mai: Etsi Deus non daretur.
21 giugno 2005, ore 18.15
Bologna, piazza San Domenico 13
Biblioteca Monumentale del Convento San Domenico
Mons. Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna
Paolo Flores d'Arcais direttore di MicroMega
In controversia su:
ETSI DEUS NON DARETUR:
dittatura del relativismo o premessa di libertà democratiche?
in occasione della presentazione del volume
Joseph Ratzinger - Paolo Flores d'Arcais, Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo
(supplemento di MicroMega 2/2005)
Bologna, piazza San Domenico 13
Biblioteca Monumentale del Convento San Domenico
Mons. Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna
Paolo Flores d'Arcais direttore di MicroMega
In controversia su:
ETSI DEUS NON DARETUR:
dittatura del relativismo o premessa di libertà democratiche?
in occasione della presentazione del volume
Joseph Ratzinger - Paolo Flores d'Arcais, Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo
(supplemento di MicroMega 2/2005)
Carlo Flamigni: «le ragioni di una sconfitta»
la disobbedienza civile
L'Unità 21 Giugno 2005
Le ragioni di una sconfitta
Carlo Flamigni
L’impegno che mi sembra più urgente a pochi giorni da questa cocente sconfitta referendaria consiste nell'avviare una seria e onesta analisi critica.
Se saremo in grado di farlo potremo anche lavorare efficacemente per il futuro, sia per le nuove battaglie culturali che, temo, saranno all'ordine del giorno nel nostro paese, che per percorrere tutte le altre strade legittimamente disponibili per arrivare ad una legge sulla procreazione assistita migliore della 40/2004.
Le ragioni di questa sconfitta sono molte, mi sembra che almeno su questo ci sia accordo. C'è anche una classifica dei perdenti: i malati, le coppie sterili, le persone che soffrono e sperano. Anche tra chi si è adoperato per far vincere il sì c'è una sorta di scala di valori: le associazioni dei pazienti, le donne dei democratici di sinistra e dell'ulivo innanzitutto; e poi i radicali, gli esponenti della destra che si sono giocati mezza fortuna politica. Ci sarà da riflettere per tutti.
Adesso, in questo articolo, su questo giornale, voglio ragionare su un problema che mi sembra prevalente: una parte di quel 75% di assenti (dovrò pure sottrarre la quota di assenteismo fisiologico da referendum) ha espresso un parere critico, negativo, sulla ricerca scientifica. Forse ha paura della scienza, forse non ama gli scienziati. A una Festa dell'Unità un compagno mi ha detto: “siete arroganti come i preti”.
Ebbene voglio riflettere sulla mia arroganza e voglio ragionare sulla scienza: cos'è, come dovrebbe essere, come la dovrebbero vedere i cittadini.
La scienza è un grande investimento sociale, forse il più importante di tutti. La società investe nella scienza perché spera di ricavarne vantaggi: per sé, per i suoi figli più deboli e più sofferenti, per tutti. La società vuole che le nuove conoscenze prodotte rendano la vita degli uomini migliore e non può accettare il rischio che i prodotti del sapere possano essere dannosi per l'uomo. Così, lascia libera la scienza di esplorare l'ignoto, perché un occhio che scruta non può fare male a nessuno; chiede invece di poter esercitare un controllo sulle cose che la tecnica produce, perché una mano che fruga può far male, e come.
Ciò significa lasciare ad ogni ricercatore la più ampia sfera di decisioni autonome compatibili con l'interesse dell'umanità. Ciò significa anche che la scienza deve garantire la società in merito alla trasparenza e alla sincerità e per farlo deve darsi una struttura normativa. In questo modo, la scienza diviene un modello di produzione della conoscenza e le sue norme sociali sono inseparabili da quelle che riguardano i principi e il metodo della conoscenza scientifica: non si può separare l'idea che gli scienziati hanno su ciò che dovrebbe essere considerata la verità, dai modi in cui operano per raggiungerla.
I valori e le norme che garantiscono il funzionamento della scienza sono stati descritti da Robert Merton in quattro imperativi istituzionali: il comunitarismo, l'universalismo, il disinteresse e lo scetticismo organizzato.
Altri filosofi della scienza hanno aggiunto l'originalità, la creatività, la cooperazione, la trasparenza.
Queste norme e questi valori dovrebbero consentire ai ricercatori il massimo di una libertà virtuosa, ma è ovvio che - come tutte le attività dell'uomo - anche la scienza ha le sue devianze. Ad esempio le norme che ho descritto valgono per la scienza accademica, quella - solo per fare un esempio - che si svolge nelle università, mentre non si ritrova costantemente nella scienza post-accademica, quella - sempre per fare un esempio - che è promossa da qualsiasi tipo di potere economico. Se cessa il mecenatismo dello stato, se la ricerca accademica non viene adeguatamente sostenuta, può accadere che “l'altra scienza” tracimi e occupi spazi non suoi. È accaduto, accadrà ancora.
Bisogna evitare che accada.
Io credo che della scienza i cittadini si possano fidare, credo in una scienza al servizio dell'uomo. Per far credere l'opposto, sono state dette calunnie, sostenute menzogne, negate verità lapalissiane. Non esiste l'eugenetica che sa fare bambini più belli; nessuno mangia gli embrioni o li spalma sul pane, nemmeno noi comunisti. Se le fecondazioni assistite fossero tutto il male che si è detto di loro, non vedo perché dovremmo sporcarci le mani e tradire il nostro impegno con la società. Sentite cosa mi ha detto il 10 giugno l'onorevole Olimpia Tarzia, vicepresidente del Movimento per la vita, durante la trasmissione radiofonica “Nove in punto” di Radio24: “… il volere andare a produrre più embrioni quando non servono fa venire veramente il dubbio di interessi diversi rispetto a quelli della coppia, ma di avere embrioni disponibili per avere le mani libere su un discorso di ricerca e di sperimentazione c'è dietro una serie di interessi economici che vorrei ricordare tutte le tecniche di clonazione sono coperte da brevetti ….”.
Sono calunnie: sfido l'onorevole Tarzia a dimostrare che una sola parola di quanto ha detto è vera. Se non è in grado di farlo, allora ha mentito.
A questo punto è giusto chiedersi: cosa è successo?
Perché sembra essere passata l'idea che gli scienziati operino in oscure caverne alterando quello che c'è di più sacro nella natura dell'uomo? Perché ha prevalso il timore della clonazione? Perché, soprattutto, così poche persone hanno recepito il messaggio che molti di noi cercavano di inviare alla società, così pochi hanno recepito la richiesta di solidarietà, di compassione nei confronti della sofferenza e della malattia? Perché sono stati ascoltati gli imbonitori che ci spiegavano che una speranza di vita conta più di una, due, molte vite e non chi denudava il proprio dolore davanti alla comunità chiedendo solidarietà e conforto?
Non credo sia stata l'adesione ai principi della morale cattolica a creare questa bizzarria. Credo invece che a dimostrare ostilità nei confronti della scienza sia stata una generale disposizione della coscienza collettiva degli uomini che chiamerò, per semplicità, la morale di senso comune. Questa morale, che si forma per molteplici influenze dentro ognuno di noi, è particolarmente restia ad accettare i cambiamenti e persino le proposte di cambiamenti che la scienza propone, ma ha ugualmente un rapporto utile ed efficace con la scienza perché è sensibile a quelle che vengono definite “le intuizioni delle conoscenze possibili” quando riesce a trovare, in esse, indicazioni chiare sui vantaggi impliciti e tranquillità nei riguardi dei rischi probabili.
È in questa morale che siamo inciampati, è con questa morale che dobbiamo dialogare in avvenire. Dialogare tutti, nessuno escluso. Penso che chi è mancato soprattutto al proprio compito siamo stati noi, medici, biologi e ricercatori, che non abbiamo dedicato il tempo necessario alla comunicazione della conoscenza, alla promozione della cultura, utilizzando le vie consuete e inventandone di nuove. Ed è mancato il mondo politico, soprattutto quello al quale mi riferisco personalmente, che avrebbe dovuto fare del tema del rapporto tra società e scienza uno dei suoi punti di riferimento costanti. Tra l'altro, sono convinto che il rapporto tra morale di senso comune e intuizione delle conoscenze possibili debba essere mantenuto vivo ed efficace da un'etica non dogmatica, laica, capace di adattarsi rapidamente al nuovo, di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, di non inchiodare la società a un concetto antistorico di natura, ma di salvaguardare al contempo la dignità di tutti gli esseri umani. Su questa etica laica è stata fatta molta confusione e lo stesso concetto di laicità è stato travisato in modo curioso, fino ad assolverlo nel caso consenta la pacifica espressione dei princìpi religiosi: anche quando questi non sono condivisi, cardinale Ruini? Anche quando si fanno preferire dallo stato ignorando la sofferenza di altre ideologie parimenti dignitose? Tra i princìpi della laicità c'è il rispetto delle convinzioni religiose di tutti, nella consapevolezza, però, che dalla fede - da qualsiasi fede - non possono arrivare prescrizioni e soluzioni, anche e soprattutto in materia di bioetica.
Ho detto che avrei ragionato anche sulla mia arroganza e lo faccio. So dove ho sbagliato e me ne scuso. Mi sono lasciato invischiare in diatribe inutili, ho perso di vista le cose importanti, quelle che avrei dovuto ripetere e ripetere e ripetere: c'è gente che soffre, pensate a loro; c'è gente che vuole la vostra solidarietà, dategliela.
Era purtroppo tardi per fare divulgazione, la promozione di cultura richiede tempo, uomini, mezzi. Forse è bene che smettiamo tutti di scrivere, per un po'. Ragioniamo invece su come si può agire positivamente. Come Maurizio Mori ed io abbiamo sostenuto nel nostro libro, siamo alle soglie di un mutamento di paradigmi.
Questa, in fondo, è stata una scaramuccia.
Ma niente tornerà ad essere come prima.
L'Unità 21.6.05
Fecondazione, gli scienziati scrivono a Ciampi
Appello di 110 ginecologi: «La legge va cambiata oppure faremo disobbedienza civile». La destra insorge
ROMA Chi pensava che l’esito del referendum avesse tappato la bocca al movimento che si è creato per modificare la legge 40 ha fatto male i suoi conti. L’ultima polemica, infatti, è solo di ieri: stavolta il fronte degli astensionisti - dal Comitato Scienza e Vita al ministro Gianni Alemanno - è insorto davanti a una lettera appello al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi firmata da 110 tra professori e ginecologi responsabili dei centri di procreazione con la quale chiedono immediate modifiche alla legge in Parlamento. «Le uniche possibilità alternative - annunciano i firmatari- saranno il ricorso alla magistratura e disobbedienze civili». A renderlo noto nei giorni scorsi è stata l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Dure le critiche: Alemanno definisce la lettera un gesto «antidemocratico», mentre il Comitato definisce la disobbedienza «illiberale».
«Oggi sentiamo che il nostro lavoro - scrivono dal canto loro i firmatari - è divenuto pressoché impossibile da svolgere se non pagando un prezzo inaccettabile: tradire il giuramento di Ippocrate e principalmente il buon senso di padre di famiglia». I punti della legge 40 in contrasto con la deontologia medica sono, secondo gli esperti: il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita per le coppie fertili anche se portatrici di malattie trasmissibili, come l'aids; l'obbligo di trasferire tutti gli embrioni prodotti in un unico contemporaneo impianto, anche nel caso di rischi di gravidanze trigemine; il divieto di selezionare gli embrioni da impiantare qualora, a seguito di una diagnosi preimpianto, risultassero malati, in presenza della volontà della coppia di ricorrere all'aborto terapeutico in caso d'impianto. «Non vogliamo certo eludere la legge o ingannarla», dicono, ma «sentiamo l'urgenza di affermare, assumendocene in toto la responsabilità, il rispetto di una legge superiore, che riguarda la lettera della Costituzione, i nostri principi deontologici e la nostra coscienza». Pronta la replica del Comitato Scienza e Vita: «Non c'è nulla di liberale nella minaccia di disobbedienza civile contro la legge 40 paventata da 110 esperti, in una lettera inviata al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi». Sarebbe, secondo il Comitato, «l'ennesima sortita del fronte referendario che, pur sonoramente battuto dalle urne, fa finta di non capire il valore effettivo di quel non voto espresso da quasi il 75 per cento degli elettori italiani in tema di procreazione medicalmente assistita».
Secondo il ministro, invece, «la pretesa dei “110 esperti” che hanno scritto al presidente Ciampi per ignorare i clamorosi risultati dei referendum sulla fecondazione assistita, non può non essere giudicata come un gesto di cultura antidemocratica».
Le ragioni di una sconfitta
Carlo Flamigni
L’impegno che mi sembra più urgente a pochi giorni da questa cocente sconfitta referendaria consiste nell'avviare una seria e onesta analisi critica.
Se saremo in grado di farlo potremo anche lavorare efficacemente per il futuro, sia per le nuove battaglie culturali che, temo, saranno all'ordine del giorno nel nostro paese, che per percorrere tutte le altre strade legittimamente disponibili per arrivare ad una legge sulla procreazione assistita migliore della 40/2004.
Le ragioni di questa sconfitta sono molte, mi sembra che almeno su questo ci sia accordo. C'è anche una classifica dei perdenti: i malati, le coppie sterili, le persone che soffrono e sperano. Anche tra chi si è adoperato per far vincere il sì c'è una sorta di scala di valori: le associazioni dei pazienti, le donne dei democratici di sinistra e dell'ulivo innanzitutto; e poi i radicali, gli esponenti della destra che si sono giocati mezza fortuna politica. Ci sarà da riflettere per tutti.
Adesso, in questo articolo, su questo giornale, voglio ragionare su un problema che mi sembra prevalente: una parte di quel 75% di assenti (dovrò pure sottrarre la quota di assenteismo fisiologico da referendum) ha espresso un parere critico, negativo, sulla ricerca scientifica. Forse ha paura della scienza, forse non ama gli scienziati. A una Festa dell'Unità un compagno mi ha detto: “siete arroganti come i preti”.
Ebbene voglio riflettere sulla mia arroganza e voglio ragionare sulla scienza: cos'è, come dovrebbe essere, come la dovrebbero vedere i cittadini.
La scienza è un grande investimento sociale, forse il più importante di tutti. La società investe nella scienza perché spera di ricavarne vantaggi: per sé, per i suoi figli più deboli e più sofferenti, per tutti. La società vuole che le nuove conoscenze prodotte rendano la vita degli uomini migliore e non può accettare il rischio che i prodotti del sapere possano essere dannosi per l'uomo. Così, lascia libera la scienza di esplorare l'ignoto, perché un occhio che scruta non può fare male a nessuno; chiede invece di poter esercitare un controllo sulle cose che la tecnica produce, perché una mano che fruga può far male, e come.
Ciò significa lasciare ad ogni ricercatore la più ampia sfera di decisioni autonome compatibili con l'interesse dell'umanità. Ciò significa anche che la scienza deve garantire la società in merito alla trasparenza e alla sincerità e per farlo deve darsi una struttura normativa. In questo modo, la scienza diviene un modello di produzione della conoscenza e le sue norme sociali sono inseparabili da quelle che riguardano i principi e il metodo della conoscenza scientifica: non si può separare l'idea che gli scienziati hanno su ciò che dovrebbe essere considerata la verità, dai modi in cui operano per raggiungerla.
I valori e le norme che garantiscono il funzionamento della scienza sono stati descritti da Robert Merton in quattro imperativi istituzionali: il comunitarismo, l'universalismo, il disinteresse e lo scetticismo organizzato.
Altri filosofi della scienza hanno aggiunto l'originalità, la creatività, la cooperazione, la trasparenza.
Queste norme e questi valori dovrebbero consentire ai ricercatori il massimo di una libertà virtuosa, ma è ovvio che - come tutte le attività dell'uomo - anche la scienza ha le sue devianze. Ad esempio le norme che ho descritto valgono per la scienza accademica, quella - solo per fare un esempio - che si svolge nelle università, mentre non si ritrova costantemente nella scienza post-accademica, quella - sempre per fare un esempio - che è promossa da qualsiasi tipo di potere economico. Se cessa il mecenatismo dello stato, se la ricerca accademica non viene adeguatamente sostenuta, può accadere che “l'altra scienza” tracimi e occupi spazi non suoi. È accaduto, accadrà ancora.
Bisogna evitare che accada.
Io credo che della scienza i cittadini si possano fidare, credo in una scienza al servizio dell'uomo. Per far credere l'opposto, sono state dette calunnie, sostenute menzogne, negate verità lapalissiane. Non esiste l'eugenetica che sa fare bambini più belli; nessuno mangia gli embrioni o li spalma sul pane, nemmeno noi comunisti. Se le fecondazioni assistite fossero tutto il male che si è detto di loro, non vedo perché dovremmo sporcarci le mani e tradire il nostro impegno con la società. Sentite cosa mi ha detto il 10 giugno l'onorevole Olimpia Tarzia, vicepresidente del Movimento per la vita, durante la trasmissione radiofonica “Nove in punto” di Radio24: “… il volere andare a produrre più embrioni quando non servono fa venire veramente il dubbio di interessi diversi rispetto a quelli della coppia, ma di avere embrioni disponibili per avere le mani libere su un discorso di ricerca e di sperimentazione c'è dietro una serie di interessi economici che vorrei ricordare tutte le tecniche di clonazione sono coperte da brevetti ….”.
Sono calunnie: sfido l'onorevole Tarzia a dimostrare che una sola parola di quanto ha detto è vera. Se non è in grado di farlo, allora ha mentito.
A questo punto è giusto chiedersi: cosa è successo?
Perché sembra essere passata l'idea che gli scienziati operino in oscure caverne alterando quello che c'è di più sacro nella natura dell'uomo? Perché ha prevalso il timore della clonazione? Perché, soprattutto, così poche persone hanno recepito il messaggio che molti di noi cercavano di inviare alla società, così pochi hanno recepito la richiesta di solidarietà, di compassione nei confronti della sofferenza e della malattia? Perché sono stati ascoltati gli imbonitori che ci spiegavano che una speranza di vita conta più di una, due, molte vite e non chi denudava il proprio dolore davanti alla comunità chiedendo solidarietà e conforto?
Non credo sia stata l'adesione ai principi della morale cattolica a creare questa bizzarria. Credo invece che a dimostrare ostilità nei confronti della scienza sia stata una generale disposizione della coscienza collettiva degli uomini che chiamerò, per semplicità, la morale di senso comune. Questa morale, che si forma per molteplici influenze dentro ognuno di noi, è particolarmente restia ad accettare i cambiamenti e persino le proposte di cambiamenti che la scienza propone, ma ha ugualmente un rapporto utile ed efficace con la scienza perché è sensibile a quelle che vengono definite “le intuizioni delle conoscenze possibili” quando riesce a trovare, in esse, indicazioni chiare sui vantaggi impliciti e tranquillità nei riguardi dei rischi probabili.
È in questa morale che siamo inciampati, è con questa morale che dobbiamo dialogare in avvenire. Dialogare tutti, nessuno escluso. Penso che chi è mancato soprattutto al proprio compito siamo stati noi, medici, biologi e ricercatori, che non abbiamo dedicato il tempo necessario alla comunicazione della conoscenza, alla promozione della cultura, utilizzando le vie consuete e inventandone di nuove. Ed è mancato il mondo politico, soprattutto quello al quale mi riferisco personalmente, che avrebbe dovuto fare del tema del rapporto tra società e scienza uno dei suoi punti di riferimento costanti. Tra l'altro, sono convinto che il rapporto tra morale di senso comune e intuizione delle conoscenze possibili debba essere mantenuto vivo ed efficace da un'etica non dogmatica, laica, capace di adattarsi rapidamente al nuovo, di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, di non inchiodare la società a un concetto antistorico di natura, ma di salvaguardare al contempo la dignità di tutti gli esseri umani. Su questa etica laica è stata fatta molta confusione e lo stesso concetto di laicità è stato travisato in modo curioso, fino ad assolverlo nel caso consenta la pacifica espressione dei princìpi religiosi: anche quando questi non sono condivisi, cardinale Ruini? Anche quando si fanno preferire dallo stato ignorando la sofferenza di altre ideologie parimenti dignitose? Tra i princìpi della laicità c'è il rispetto delle convinzioni religiose di tutti, nella consapevolezza, però, che dalla fede - da qualsiasi fede - non possono arrivare prescrizioni e soluzioni, anche e soprattutto in materia di bioetica.
Ho detto che avrei ragionato anche sulla mia arroganza e lo faccio. So dove ho sbagliato e me ne scuso. Mi sono lasciato invischiare in diatribe inutili, ho perso di vista le cose importanti, quelle che avrei dovuto ripetere e ripetere e ripetere: c'è gente che soffre, pensate a loro; c'è gente che vuole la vostra solidarietà, dategliela.
Era purtroppo tardi per fare divulgazione, la promozione di cultura richiede tempo, uomini, mezzi. Forse è bene che smettiamo tutti di scrivere, per un po'. Ragioniamo invece su come si può agire positivamente. Come Maurizio Mori ed io abbiamo sostenuto nel nostro libro, siamo alle soglie di un mutamento di paradigmi.
Questa, in fondo, è stata una scaramuccia.
Ma niente tornerà ad essere come prima.
L'Unità 21.6.05
Fecondazione, gli scienziati scrivono a Ciampi
Appello di 110 ginecologi: «La legge va cambiata oppure faremo disobbedienza civile». La destra insorge
ROMA Chi pensava che l’esito del referendum avesse tappato la bocca al movimento che si è creato per modificare la legge 40 ha fatto male i suoi conti. L’ultima polemica, infatti, è solo di ieri: stavolta il fronte degli astensionisti - dal Comitato Scienza e Vita al ministro Gianni Alemanno - è insorto davanti a una lettera appello al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi firmata da 110 tra professori e ginecologi responsabili dei centri di procreazione con la quale chiedono immediate modifiche alla legge in Parlamento. «Le uniche possibilità alternative - annunciano i firmatari- saranno il ricorso alla magistratura e disobbedienze civili». A renderlo noto nei giorni scorsi è stata l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Dure le critiche: Alemanno definisce la lettera un gesto «antidemocratico», mentre il Comitato definisce la disobbedienza «illiberale».
«Oggi sentiamo che il nostro lavoro - scrivono dal canto loro i firmatari - è divenuto pressoché impossibile da svolgere se non pagando un prezzo inaccettabile: tradire il giuramento di Ippocrate e principalmente il buon senso di padre di famiglia». I punti della legge 40 in contrasto con la deontologia medica sono, secondo gli esperti: il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita per le coppie fertili anche se portatrici di malattie trasmissibili, come l'aids; l'obbligo di trasferire tutti gli embrioni prodotti in un unico contemporaneo impianto, anche nel caso di rischi di gravidanze trigemine; il divieto di selezionare gli embrioni da impiantare qualora, a seguito di una diagnosi preimpianto, risultassero malati, in presenza della volontà della coppia di ricorrere all'aborto terapeutico in caso d'impianto. «Non vogliamo certo eludere la legge o ingannarla», dicono, ma «sentiamo l'urgenza di affermare, assumendocene in toto la responsabilità, il rispetto di una legge superiore, che riguarda la lettera della Costituzione, i nostri principi deontologici e la nostra coscienza». Pronta la replica del Comitato Scienza e Vita: «Non c'è nulla di liberale nella minaccia di disobbedienza civile contro la legge 40 paventata da 110 esperti, in una lettera inviata al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi». Sarebbe, secondo il Comitato, «l'ennesima sortita del fronte referendario che, pur sonoramente battuto dalle urne, fa finta di non capire il valore effettivo di quel non voto espresso da quasi il 75 per cento degli elettori italiani in tema di procreazione medicalmente assistita».
Secondo il ministro, invece, «la pretesa dei “110 esperti” che hanno scritto al presidente Ciampi per ignorare i clamorosi risultati dei referendum sulla fecondazione assistita, non può non essere giudicata come un gesto di cultura antidemocratica».
«embrioni prodotti in laboratorio»?
La Provincia 21.6.05
il caso
L'annuncio di un gruppo di ricercatori
Embrioni prodotti in laboratorio.
in Danimarca: cade un'altra barriera e parte del mondo scientifico inorridisce. Scienzati divisi: «Sconvolgente»
LONDRA Nel mondo della scienza c'è chi esulta e chi inorridisce. Sta di fatto che la ricerca ha superato un'altra barriera. Secondo quanto si apprende, infatti, spermatozoi e ovociti fra una decina di anni potranno essere prodotti artificialmente in laboratorio attraverso la coltura di cellule staminali di embrioni umani ed essere poi impiantati negli organi riproduttivi di coppie sterili. È quanto sostiene un gruppo di scienziati dell'università di Sheffield, il quale ha presentato ieri a Copenaghen uno studio che potrebbe aprire una nuova frontiera nel campo della fecondazione assistita. L'equipe di studiosi, guidata da Behrouz Aflatoonian e Harry Moore, ha studiato sei sequenze di cellule staminali ricavate da embrioni umani ai primi stadi, donati da coppie che si stavano sottoponendo a procedure di fecondazione in vitro. Gli studiosi le hanno lasciate moltiplicarsi in aggregazioni di cellule denominate corpi embrioidi scoprendo dopo un paio di settimane che alcune avevano espresso geni presenti in cellule germinali primordiali e proteine generalmente presenti solo nello sperma. «Questo suggerisce che le cellule staminali umane possono avere la capacità di svilupparsi in cellule germinali primordiali e gameti al primo stadio come è stato già dimostrato possono fare le cellule staminali embrioniche di topi», ha detto il professor Alfatoonian, presentando i risultati della ricerca al convegno dell'Associazione europea sulla riproduzione umana ed embriologia a Copenaghen. «In ultimo, potrebbe essere possibile produrre sperma e ovuli per la fecondazione assistita», ha sottolineato il professore. «Ma per questo c'è ancora molto tempo - ha aggiunto - perchè dobbiamo verificare che una tecnica simile sia sicura, poichè il processo di coltura potrebbe determinare dei cambiamenti genetici». La tecnica apre scenari impensabili: aumenta, per esempio, la possibilità che un giorno le coppie omosessuali possano avere figli con il patrimonio genetico di entrambi i partner, anche se si deve ancora sormontare una serie di ostacoli tecnici per ottenere sperma da cellule staminali femminili e ovuli da cellule staminali maschili. Ma se questi venissero superati, un'ulteriore applicazione potrebbe persino consentire a un individuo singolo, uomo o donna, di fornire sia lo sperma che gli ovociti necessari per la creazione di un embrione, facendo così di una stessa persona il padre e la madre biologica del feto così risultante. Intanto la scoperta non ha mancato di scatenare polemiche soprattutto riguardo all'uso di embrioni - destinati alla distruzione - come materia prima per la creazione di esseri umani. Secondo Josephine Quintavalle del gruppo di pressione "Reproductive Ethics", lo studio prelude a uno «scenario horror». «Metodi di riproduzione anormali, come questi, difficilmente produrranno una prole o tessuti normali», ha dichiarato la Quintavalle al tabloid britannico Daily Mail. Non mancano voci e commenti positivi. «In futuro questa tecnologia potrebbe offrire un'ovvia soluzione alle coppie sterili, evitando loro il bisogno di dover ricorrere a gameti donati, ma apre anche nuove e interessanti frontiere. Gli uomini single potrebbero persino mettere al mondo un figlio utilizzando il loro stesso sperma, aprendo così la strada a nuove forme di clonazione. La fertilità delle donne non sarebbe più troncata dalla menopausa», ha sottolineato Anna Smajdor dell'Imperial College di Londra, parlando con il quotidiano britannico The Independent. Certo, il fatto di potere ottenere in laboratorio «fabbriche» di ovociti e spermatozoi utilizzando cellule staminali di embrioni clonati spaventa invece tutta quella parte della scienza che ritiene che l'etica sia più importante della ricerca, soprattutto quando in gioco ci sono esseri umani. Il dibattito, c'è da giurarci, s'infiammerà nei prossimi giorni.
Adnkronos 20.6.05 - 19:00
STAMINALI: BELGIO, EMBRIONI CLONATI DA OVULI FATTI CRESCERE IN LABORATORIO
Roma, 20 giu. (Adnkronos Salute) - Per la prima volta, embrioni umani clonati da ovuli fatti crescere in laboratorio. Ci sono riusciti gli scienziati del Ghent University Hospital, in Belgio. Finora, i ricercatori che hanno annunciato la creazione di embrioni "fotocopia", hanno utilizzato ovociti maturi prelevati da donatrici, come è accaduto a maggio in Corea del Sud all'università di Seul. L'equipe belga ha dimostrato, invece, che gli ovuli non del tutto sviluppati, e dunque non utilizzabili per i trattamenti di fecondazione assistita, possono essere fatti crescere in laboratorio e utilizzati per creare embrioni utili alla ricerca sulle cellule staminali e sul loro potenziale terapeutico contro diverse malattie. ''Abbiamo scoperto una fonte alternativa, per la clonazione terapeutica, alla donazione di ovociti, la cui disponibilità è limitata'', sottolinea Joisiane Van der Elst, uno dei ricercatori, illustrando l'esperimento al congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, in corso a Copenaghen. Gli scienziati dell'università di Ghent affermano di aver clonato embrioni da ovuli immaturi, cresciuti fino a raggiungere 8-16 cellule. Adesso cercheranno di far sviluppare gli embrioni fino allo stadio di blastocisti, per poter prelevare le staminali. (Dam/Adnkronos Salute)
APCOM 20.6.05
STAMINALI/ DA STESSA PERSONA POSSIBILE CREARE OVULI E SPERMATOZOI
Lo rivela una ricerca dell'università di Sheffield
Milano, 20 giu. (Apcom) - Le cellule staminali embrionali di uno stesso individuo potrebbero dare origine sia a spermatozoi che a ovuli. Lo afferma uno studio condotto dai ricercatori del Centro di biologia delle cellule staminali dell'Università di Sheffield, in Inghilterra.
Studiando i corpi embrioidi, aggregati di cellule sviluppati a partire dalle staminali embrionali, i ricercatori di Sheffield hanno notato che dopo due settimane alcuni di questi mostravano la presenza di proteine tipiche delle cellule germinali primordiali, progenitrici di ovuli e spermatozoi.
Il dottor Behrouz Aflatoonian - riporta il quotidiano inglese The Independent - direttore della ricerca, ha affermato infatti che "in ultima istanza dovrebbe essere possibile spermatozoi e ovuli".
Alcuni specialisti, pensando a un futuro lontano ma tecnicamente possibile, hanno avvertito che la scoperta solleva diverse questioni etiche. Significherebbe infatti che una sola persona potrebbe produrre sia gli spermatozoi che gli ovuli da utilizzare per i trattamenti di fertilità, rendendola geneticamente sia padre che madre di un nuovo essere umano.
Gli scienziati che hanno condotto la ricerca sottolineano invece come la tecnica potrebbe risolvere il problema della grave insufficienza di gameti donati per la fecondazione eterologa, laddove sia consentita.
il caso
L'annuncio di un gruppo di ricercatori
Embrioni prodotti in laboratorio.
in Danimarca: cade un'altra barriera e parte del mondo scientifico inorridisce. Scienzati divisi: «Sconvolgente»
LONDRA Nel mondo della scienza c'è chi esulta e chi inorridisce. Sta di fatto che la ricerca ha superato un'altra barriera. Secondo quanto si apprende, infatti, spermatozoi e ovociti fra una decina di anni potranno essere prodotti artificialmente in laboratorio attraverso la coltura di cellule staminali di embrioni umani ed essere poi impiantati negli organi riproduttivi di coppie sterili. È quanto sostiene un gruppo di scienziati dell'università di Sheffield, il quale ha presentato ieri a Copenaghen uno studio che potrebbe aprire una nuova frontiera nel campo della fecondazione assistita. L'equipe di studiosi, guidata da Behrouz Aflatoonian e Harry Moore, ha studiato sei sequenze di cellule staminali ricavate da embrioni umani ai primi stadi, donati da coppie che si stavano sottoponendo a procedure di fecondazione in vitro. Gli studiosi le hanno lasciate moltiplicarsi in aggregazioni di cellule denominate corpi embrioidi scoprendo dopo un paio di settimane che alcune avevano espresso geni presenti in cellule germinali primordiali e proteine generalmente presenti solo nello sperma. «Questo suggerisce che le cellule staminali umane possono avere la capacità di svilupparsi in cellule germinali primordiali e gameti al primo stadio come è stato già dimostrato possono fare le cellule staminali embrioniche di topi», ha detto il professor Alfatoonian, presentando i risultati della ricerca al convegno dell'Associazione europea sulla riproduzione umana ed embriologia a Copenaghen. «In ultimo, potrebbe essere possibile produrre sperma e ovuli per la fecondazione assistita», ha sottolineato il professore. «Ma per questo c'è ancora molto tempo - ha aggiunto - perchè dobbiamo verificare che una tecnica simile sia sicura, poichè il processo di coltura potrebbe determinare dei cambiamenti genetici». La tecnica apre scenari impensabili: aumenta, per esempio, la possibilità che un giorno le coppie omosessuali possano avere figli con il patrimonio genetico di entrambi i partner, anche se si deve ancora sormontare una serie di ostacoli tecnici per ottenere sperma da cellule staminali femminili e ovuli da cellule staminali maschili. Ma se questi venissero superati, un'ulteriore applicazione potrebbe persino consentire a un individuo singolo, uomo o donna, di fornire sia lo sperma che gli ovociti necessari per la creazione di un embrione, facendo così di una stessa persona il padre e la madre biologica del feto così risultante. Intanto la scoperta non ha mancato di scatenare polemiche soprattutto riguardo all'uso di embrioni - destinati alla distruzione - come materia prima per la creazione di esseri umani. Secondo Josephine Quintavalle del gruppo di pressione "Reproductive Ethics", lo studio prelude a uno «scenario horror». «Metodi di riproduzione anormali, come questi, difficilmente produrranno una prole o tessuti normali», ha dichiarato la Quintavalle al tabloid britannico Daily Mail. Non mancano voci e commenti positivi. «In futuro questa tecnologia potrebbe offrire un'ovvia soluzione alle coppie sterili, evitando loro il bisogno di dover ricorrere a gameti donati, ma apre anche nuove e interessanti frontiere. Gli uomini single potrebbero persino mettere al mondo un figlio utilizzando il loro stesso sperma, aprendo così la strada a nuove forme di clonazione. La fertilità delle donne non sarebbe più troncata dalla menopausa», ha sottolineato Anna Smajdor dell'Imperial College di Londra, parlando con il quotidiano britannico The Independent. Certo, il fatto di potere ottenere in laboratorio «fabbriche» di ovociti e spermatozoi utilizzando cellule staminali di embrioni clonati spaventa invece tutta quella parte della scienza che ritiene che l'etica sia più importante della ricerca, soprattutto quando in gioco ci sono esseri umani. Il dibattito, c'è da giurarci, s'infiammerà nei prossimi giorni.
Adnkronos 20.6.05 - 19:00
STAMINALI: BELGIO, EMBRIONI CLONATI DA OVULI FATTI CRESCERE IN LABORATORIO
Roma, 20 giu. (Adnkronos Salute) - Per la prima volta, embrioni umani clonati da ovuli fatti crescere in laboratorio. Ci sono riusciti gli scienziati del Ghent University Hospital, in Belgio. Finora, i ricercatori che hanno annunciato la creazione di embrioni "fotocopia", hanno utilizzato ovociti maturi prelevati da donatrici, come è accaduto a maggio in Corea del Sud all'università di Seul. L'equipe belga ha dimostrato, invece, che gli ovuli non del tutto sviluppati, e dunque non utilizzabili per i trattamenti di fecondazione assistita, possono essere fatti crescere in laboratorio e utilizzati per creare embrioni utili alla ricerca sulle cellule staminali e sul loro potenziale terapeutico contro diverse malattie. ''Abbiamo scoperto una fonte alternativa, per la clonazione terapeutica, alla donazione di ovociti, la cui disponibilità è limitata'', sottolinea Joisiane Van der Elst, uno dei ricercatori, illustrando l'esperimento al congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, in corso a Copenaghen. Gli scienziati dell'università di Ghent affermano di aver clonato embrioni da ovuli immaturi, cresciuti fino a raggiungere 8-16 cellule. Adesso cercheranno di far sviluppare gli embrioni fino allo stadio di blastocisti, per poter prelevare le staminali. (Dam/Adnkronos Salute)
APCOM 20.6.05
STAMINALI/ DA STESSA PERSONA POSSIBILE CREARE OVULI E SPERMATOZOI
Lo rivela una ricerca dell'università di Sheffield
Milano, 20 giu. (Apcom) - Le cellule staminali embrionali di uno stesso individuo potrebbero dare origine sia a spermatozoi che a ovuli. Lo afferma uno studio condotto dai ricercatori del Centro di biologia delle cellule staminali dell'Università di Sheffield, in Inghilterra.
Studiando i corpi embrioidi, aggregati di cellule sviluppati a partire dalle staminali embrionali, i ricercatori di Sheffield hanno notato che dopo due settimane alcuni di questi mostravano la presenza di proteine tipiche delle cellule germinali primordiali, progenitrici di ovuli e spermatozoi.
Il dottor Behrouz Aflatoonian - riporta il quotidiano inglese The Independent - direttore della ricerca, ha affermato infatti che "in ultima istanza dovrebbe essere possibile spermatozoi e ovuli".
Alcuni specialisti, pensando a un futuro lontano ma tecnicamente possibile, hanno avvertito che la scoperta solleva diverse questioni etiche. Significherebbe infatti che una sola persona potrebbe produrre sia gli spermatozoi che gli ovuli da utilizzare per i trattamenti di fertilità, rendendola geneticamente sia padre che madre di un nuovo essere umano.
Gli scienziati che hanno condotto la ricerca sottolineano invece come la tecnica potrebbe risolvere il problema della grave insufficienza di gameti donati per la fecondazione eterologa, laddove sia consentita.
copyright @ 2005 APCOM
ancora su mente e tempo: la percezione
Il Mattino 20.6.05
Il cervello più veloce del tempo
Roma. Il cervello dell’uomo perde il senso del tempo: lo dimostra una ricerca dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dell’Università di Firenze e dell’Università Western di Perth, che mette in luce l’esistenza di una sorta di scollamento che c’è tra la percezione dello scorrere del tempo e il tempo fisico. Lo studio, condotto da Maria Concetta Morrone, docente di psicologia fisiologica dell’ateneo milanese, viene pubblicato su Nature Neuroscience, la più autorevole rivista nel campo delle neuroscienze. I ricercatori hanno compreso che a ogni movimento dell’occhio il cervello risponde comprimendo non solo lo spazio ma anche il tempo; in pratica nel corso di rapidi movimenti oculari la mente percepisce il tempo scorrere più velocemente di quanto accada in realtà. Gli studiosi sottolineano che ogni secondo i nostri occhi si muovono rapidamente dalle tre alle quattro volte per seguire i cambiamenti dell’ambiente che ci circonda, e ogni volta il cervello riorganizza velocemente i collegamenti tra neurone e neurone e tra neuroni e retina. Il cervello svolge in questa situazione anche una funzione predittiva, cercando addirittura di anticipare i cambiamenti che interverranno. Effetto di questa «corsa» incontro al nuovo evento, spiegano i ricercatori, è una sorta di rallentamento dell’orologio interno del cervello tanto che si perde la percezione dell’effettivo passare del tempo. Attimi che, assommati nel corso di un intera vita, possono portare anche al 15% di perdita di percezione del tempo fisico totale. «Esiste un’analogia molto affascinante tra i risultati del nostro studio e la teoria della relatività speciale di Einstein, di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla pubblicazione» commenta Maria Concetta Morrone, prima firmataria dello studio. «Come a una velocità prossima a quella della luce - spiega - gli orologi segnano il tempo più lentamente, il cervello, per controbilanciare il rapido spostamento delle immagini del mondo, vede le distanze relative compresse mentre il suo orologio interno rallenta». Lo studio italo australiano si basa su un semplice test visivo: i soggetti erano invitati a fissare un punto su uno schermo e due bande nere apparivano in rapida successione, con un intervallo di 100 millisecondi, sul suo margine superiore e inferiore. Il test era poi ripetuto chiedendo ai partecipanti di fissare nuovamente il punto sullo schermo. Il punto all’improvviso scompariva per riapparire spostato rispetto alla precedente posizione di circa 15 gradi. Immediatamente dopo le due bande venivano visualizzate al margine inferiore e superiore dello schermo, prima l’una e poi l’altra e sempre con un intervallo di 100 millisecondi. Ai soggetti veniva, quindi, chiesto se avessero notato delle differenze nella durata dell’intervallo di tempo che separava la comparsa delle due bande nei due test: quasi la totalità di loro affermava che la successione nel secondo caso era nettamente più rapida, dimostrando quindi come si verificasse ogni volta una distorsione nel modo di percepire il tempo da parte dei partecipanti allo studio. Secondo i ricercatori si tratta di una scoperta che amplia la conoscenza dei fenomeni di distorsione della percezione legati alle saccadi, cioè i rapidi movimenti oculari che ogni individuo compie per seguire i cambiamenti nell’ambiente che sta osservando.
Il cervello più veloce del tempo
Roma. Il cervello dell’uomo perde il senso del tempo: lo dimostra una ricerca dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dell’Università di Firenze e dell’Università Western di Perth, che mette in luce l’esistenza di una sorta di scollamento che c’è tra la percezione dello scorrere del tempo e il tempo fisico. Lo studio, condotto da Maria Concetta Morrone, docente di psicologia fisiologica dell’ateneo milanese, viene pubblicato su Nature Neuroscience, la più autorevole rivista nel campo delle neuroscienze. I ricercatori hanno compreso che a ogni movimento dell’occhio il cervello risponde comprimendo non solo lo spazio ma anche il tempo; in pratica nel corso di rapidi movimenti oculari la mente percepisce il tempo scorrere più velocemente di quanto accada in realtà. Gli studiosi sottolineano che ogni secondo i nostri occhi si muovono rapidamente dalle tre alle quattro volte per seguire i cambiamenti dell’ambiente che ci circonda, e ogni volta il cervello riorganizza velocemente i collegamenti tra neurone e neurone e tra neuroni e retina. Il cervello svolge in questa situazione anche una funzione predittiva, cercando addirittura di anticipare i cambiamenti che interverranno. Effetto di questa «corsa» incontro al nuovo evento, spiegano i ricercatori, è una sorta di rallentamento dell’orologio interno del cervello tanto che si perde la percezione dell’effettivo passare del tempo. Attimi che, assommati nel corso di un intera vita, possono portare anche al 15% di perdita di percezione del tempo fisico totale. «Esiste un’analogia molto affascinante tra i risultati del nostro studio e la teoria della relatività speciale di Einstein, di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla pubblicazione» commenta Maria Concetta Morrone, prima firmataria dello studio. «Come a una velocità prossima a quella della luce - spiega - gli orologi segnano il tempo più lentamente, il cervello, per controbilanciare il rapido spostamento delle immagini del mondo, vede le distanze relative compresse mentre il suo orologio interno rallenta». Lo studio italo australiano si basa su un semplice test visivo: i soggetti erano invitati a fissare un punto su uno schermo e due bande nere apparivano in rapida successione, con un intervallo di 100 millisecondi, sul suo margine superiore e inferiore. Il test era poi ripetuto chiedendo ai partecipanti di fissare nuovamente il punto sullo schermo. Il punto all’improvviso scompariva per riapparire spostato rispetto alla precedente posizione di circa 15 gradi. Immediatamente dopo le due bande venivano visualizzate al margine inferiore e superiore dello schermo, prima l’una e poi l’altra e sempre con un intervallo di 100 millisecondi. Ai soggetti veniva, quindi, chiesto se avessero notato delle differenze nella durata dell’intervallo di tempo che separava la comparsa delle due bande nei due test: quasi la totalità di loro affermava che la successione nel secondo caso era nettamente più rapida, dimostrando quindi come si verificasse ogni volta una distorsione nel modo di percepire il tempo da parte dei partecipanti allo studio. Secondo i ricercatori si tratta di una scoperta che amplia la conoscenza dei fenomeni di distorsione della percezione legati alle saccadi, cioè i rapidi movimenti oculari che ogni individuo compie per seguire i cambiamenti nell’ambiente che sta osservando.
segnalato in "spazi"
una recensione di "Silenzio tra due pensieri"
ricevuta da Marco Pizzarelli
Silenzio tra due pensieri
Giunge nelle sale italiane, dopo una travagliatissima vicenda, l'ultimo film di Babak Payami. Dopo aver subito la confisca dei negativi del suo ultimo lavoro, Payami ha dovuto rimontare il film usando il materiale di prova che aveva a disposizione. In questo modo è riuscito a ricostruire quello che aveva preparato in origine, ma il risultato finale (non per sua colpa evidentemente) è estremamente scadente dal punto di vista tecnico. E senza dubbio parte del fascino del film deriva proprio da questa vicenda, ricordando che se non fosse stato per l'aiuto ed il sostegno dell'Istituto Luce, che ha creduto sempre molto in questo progetto, Silenzio tra due pensieri non sarebbe mai esistito. Ora invece, in uno sforzo produttivo davvero coraggioso ed ammirevole, questa pellicola esce in 10-15 copie in tutta Italia. È ovvio che un prodotto di questo tipo non è destinato ad un grande pubblico, anche perché Payami non vuole dare risposte facili sulla situazione politica o culturale in Iran. Sembra anzi, che questi voglia stimolare lo spettatore a trovare da sé le risposte alle questioni poste sullo schermo.
In un villaggio sperduto, un boia viene costretto a sposare una donna condannata a morte, perché qualora morisse vergine sarebbe destinata al paradiso, cosa inaccettabile per le autorità religiose locali. Ma la situazione paradossale porta il boia a ripensare a sé stesso e al proprio ruolo nella comunità. Il silenzio tra due pensieri, secondo Payami, è proprio questo: "Il momento in cui un individuo, o un'intera società, si risveglia da un incubo o da una convinzione cieca". Anche se il regista nega di aver fatto un film politico, il risultato è evidente: un film non contro la religione, forse, ma sicuramente contro il dogmatismo e la tentazione di dominare l'uomo (ma soprattutto la donna) attraverso di esso.
Per rafforzare il significato del titolo, Silenzio tra due pensieri si svolge in maniera meditativa e solenne, in un ritmo rallentato ed atemporale che sottolinea la stagnazione di una società sospesa tra dogmi, proibizioni ed una siccità interpretata come punizione divina senza possibilità di perdono. Queste condizioni, assieme alle già citate imperfezioni tecniche, rendono quest'opera davvero impegnativa da visionare. Ma alcuni potrebbero non considerarla una perdita di tempo.
La frase: Una volta un soldato mi ha puntato il mitra e non ho avuto paura. Tu non sei un soldato e non hai nemmeno il mitra!
Silenzio tra due pensieri
Giunge nelle sale italiane, dopo una travagliatissima vicenda, l'ultimo film di Babak Payami. Dopo aver subito la confisca dei negativi del suo ultimo lavoro, Payami ha dovuto rimontare il film usando il materiale di prova che aveva a disposizione. In questo modo è riuscito a ricostruire quello che aveva preparato in origine, ma il risultato finale (non per sua colpa evidentemente) è estremamente scadente dal punto di vista tecnico. E senza dubbio parte del fascino del film deriva proprio da questa vicenda, ricordando che se non fosse stato per l'aiuto ed il sostegno dell'Istituto Luce, che ha creduto sempre molto in questo progetto, Silenzio tra due pensieri non sarebbe mai esistito. Ora invece, in uno sforzo produttivo davvero coraggioso ed ammirevole, questa pellicola esce in 10-15 copie in tutta Italia. È ovvio che un prodotto di questo tipo non è destinato ad un grande pubblico, anche perché Payami non vuole dare risposte facili sulla situazione politica o culturale in Iran. Sembra anzi, che questi voglia stimolare lo spettatore a trovare da sé le risposte alle questioni poste sullo schermo.
In un villaggio sperduto, un boia viene costretto a sposare una donna condannata a morte, perché qualora morisse vergine sarebbe destinata al paradiso, cosa inaccettabile per le autorità religiose locali. Ma la situazione paradossale porta il boia a ripensare a sé stesso e al proprio ruolo nella comunità. Il silenzio tra due pensieri, secondo Payami, è proprio questo: "Il momento in cui un individuo, o un'intera società, si risveglia da un incubo o da una convinzione cieca". Anche se il regista nega di aver fatto un film politico, il risultato è evidente: un film non contro la religione, forse, ma sicuramente contro il dogmatismo e la tentazione di dominare l'uomo (ma soprattutto la donna) attraverso di esso.
Per rafforzare il significato del titolo, Silenzio tra due pensieri si svolge in maniera meditativa e solenne, in un ritmo rallentato ed atemporale che sottolinea la stagnazione di una società sospesa tra dogmi, proibizioni ed una siccità interpretata come punizione divina senza possibilità di perdono. Queste condizioni, assieme alle già citate imperfezioni tecniche, rendono quest'opera davvero impegnativa da visionare. Ma alcuni potrebbero non considerarla una perdita di tempo.
La frase: Una volta un soldato mi ha puntato il mitra e non ho avuto paura. Tu non sei un soldato e non hai nemmeno il mitra!
OMS
i diritti dei malati di mente
Ansa.it Lunedì 20 Giugno 2005, 17:13
OMS: UNA GUIDA SUI DIRITTI DEI MALATI MENTALI
(ANSA) - GINEVRA, 20 GIU - Per difendere i diritti di oltre 450 milioni di persone che nel mondo soffrono di problemi mentali, neurologici o comportamentali, l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato oggi una guida giuridica sulla salute mentale.
Secondo l'Oms, in numerosi paesi le persone che soffrono di malattie mentali oltre ad essere le più vulnerabili sono quelle meno protette sul piano giuridico. Quasi un quarto dei paesi sono sprovvisti di una legislazione riguardante la salute mentale mentre in molti altri le leggi proteggono in modo insufficiente i diritti umani delle persone malate.
''Abbiamo l'obbligo morale e giuridico di modernizzare la legislazione della salute mentale. L'Oms è pronta ad aiutare gli Stati membri ad adempiere ai propri obblighi con sostegno tecnico e con pareri di esperti'' afferma il direttore generale dell'Organizzazione Lee Jong-wook.
La guida dell'Oms esamina le norme internazionali nel campo dei diritti umani e mostra in che modo devono essere applicate alle persone che soffrono di disturbi psichici. Illustra inoltre come un approccio della salute mentale fondato sui diritti umani permetta di migliorare la qualità delle cure psichiatriche e a facilitarne l'accesso. (ANSA).
OMS: UNA GUIDA SUI DIRITTI DEI MALATI MENTALI
(ANSA) - GINEVRA, 20 GIU - Per difendere i diritti di oltre 450 milioni di persone che nel mondo soffrono di problemi mentali, neurologici o comportamentali, l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato oggi una guida giuridica sulla salute mentale.
Secondo l'Oms, in numerosi paesi le persone che soffrono di malattie mentali oltre ad essere le più vulnerabili sono quelle meno protette sul piano giuridico. Quasi un quarto dei paesi sono sprovvisti di una legislazione riguardante la salute mentale mentre in molti altri le leggi proteggono in modo insufficiente i diritti umani delle persone malate.
''Abbiamo l'obbligo morale e giuridico di modernizzare la legislazione della salute mentale. L'Oms è pronta ad aiutare gli Stati membri ad adempiere ai propri obblighi con sostegno tecnico e con pareri di esperti'' afferma il direttore generale dell'Organizzazione Lee Jong-wook.
La guida dell'Oms esamina le norme internazionali nel campo dei diritti umani e mostra in che modo devono essere applicate alle persone che soffrono di disturbi psichici. Illustra inoltre come un approccio della salute mentale fondato sui diritti umani permetta di migliorare la qualità delle cure psichiatriche e a facilitarne l'accesso. (ANSA).
una nuova lettura di Mozart
Repubblica 21.6.05
Un genio rivoluzionario travolto dai pettegolezzi
una nuova biografia
CURZIO MALTESE
Lidia Bramani ha ricostruito la vera storia del grande compositore che appare ben diverso dal cliché confezionato da certa tradizione e portato sullo schermo con grande successo vent´anni fa da Milos Forman
La massoneria , cui è introdotto dal padre Leopold, è la culla del pensiero radicale del ‘700
Cosmopolita, padrone di cinque lingue , è un profondo conoscitore di Shakespeare
Che idea abbiamo di Mozart? A duecento cinquant´anni dalla nascita, il più grande musicista e forse artista d´ogni tempo rimane un mistero. Nonostante le infinite indagini letterarie e la sterminata saggistica, non sappiamo ancora come è morto né come è davvero vissuto. L´immagine più popolare di Mozart è quella di un piccolo uomo che ospita un grande genio. E´ l´Amadeus che ha trionfato nei teatri e nelle sale cinematografiche degli anni Ottanta, il protagonista della commedia di Peter Shaffer poi tradotta in film da Milos Forman nel 1984. Un successo travolgente che si è fondato su due espedienti narrativi. Anzitutto il delitto «giallo»: l´avvelenamento di Mozart da parte del collega e amico Antonio Salieri, ossessionato dalla gelosia. Una versione di fantasia che aveva cominciato a circolare già nella Vienna del primo Ottocento, incoraggiata dalla vedova di Mozart (assai ingiusta col povero Salieri), e che Puskin già nel 1830 aveva ripreso in Mozart e Salieri. L´ipotesi del giovane genio braccato e ucciso dalla mediocrità era tanto piaciuta al romanticismo da resistere fino ai nostri giorni, al trionfo hollywoodiano di Amadeus rock star.
L´altro elemento, psicologicamente più sottile, del successo di Amadeus è la raffigurazione di Mozart come genio inconsapevole, ignorante e volgare nella vita quanto sommo nell´arte. Un eterno fanciullo che gioca a capriole con Costanze prima di esibirsi davanti all´imperatore, verga di continuo oscenità alla cuginetta carina, si ubriaca nelle bettole austriache e soltanto negli intervalli fra un´idiozia e l´altra trova miracolosamente il modo di comporre capolavori immortali, sia pure in stato semi ipnotico, come posseduto da un dàimon, toccato da un dono sovrannaturale. Una versione a tratti caricaturale che nella commedia e nel film serve a dar forza al paradossale conflitto fra l´ometto «amato da Dio» (Amadeus) e il suo Caino, Salieri, intelligentissimo ma senza talento. Ma a parte le forzature da kolossal, l´immagine corrisponde a un´idea di Mozart accreditata perfino da grandi scrittori come Stendhal e musicologi di altissimo livello come il nostro Massimo Mila.
Ora un libro di una studiosa italiana rovescia il cliché. Fin dal titolo (Mozart massone e rivoluzionario) e per cinquecento dense pagine la musicologa Lidia Bramani ci porta alla scoperta di un altro Amadeus (Bruno Mondadori, euro 28). Era del resto mai possibile che il trentenne pargolo di Shaffer fosse davvero l´autore di Don Giovanni e del Requiem? Il Mozart rivelato dalla ricerca è un genio tutt´altro che inconsapevole, un uomo immerso nel secolo dei Lumi, una mente potente che nella sua arte infonde, come Leonardo o Shakespeare, una profonda e meravigliosa filosofia.
Il modo di procedere dell´autrice è acuto e inesorabile. Non si tratta di rivelare chissà quali fonti o epistolari segreti. Quello che Lidia Bramani ha fatto, in un decennio di lavoro, è di leggere con altro sguardo i segnali che erano sotto gli occhi di tutti e che Mozart ha sparso per tutta la sua opera, fra le centinaia di lettere a parenti e amici.
Infantile, egotico, isolato? Il genio che compone rinchiuso nella sua stanza viennese, indifferente al mondo, mentre Costanze cinguetta in salotto, cede il passo a un personaggio molto più complesso e ricco. Cosmopolita (parla cinque lingue), vorace lettore, profondo conoscitore di Shakespeare, curioso d´ogni campo del sapere, dalla legge alla medicina, dalla politica alla filosofia.
Massone e rivoluzionario, oppure massone perché rivoluzionario. La massoneria del Settecento, alla quale Mozart è introdotto dal padre Leopold, non è uno strumento di potere ma di conoscenza. Una vera culla del pensiero rivoluzionario, dove maturano le figure di Franklin e Washington, fino al generale Lafayette. Sono massoni i primi comunisti, gli Illuminati di Baviera, con i quali Mozart rimane in contatto fino alla morte, nonostante la messa al bando imperiale e le persecuzioni poliziesche. Il credo massonico è per Mozart una fonte d´ispirazione artistica e veicolo di una cerchia di relazioni intellettuali e amicali con le migliori menti dell´Austria giuseppina. Per esempio il filosofo Oetinger, il socialista Ziegenhagen e i poeti e radicali Wieland e Blumauer.
Spicca fra i fratelli di culto il grande medico viennese Anton Mesmer, cui Mozart è talmente amico e devoto da farne un personaggio risolutivo in Così fan tutte. Mesmer è famoso come inventore del «magnetismo animale» ed è stato a lungo considerato una specie di moderno per quanto geniale stregone. Ma è stato in realtà un pioniere della medicina moderna, ha rovesciato il rapporto medico-paziente, inaugurando un pensiero critico che avrebbe portato agli sviluppi della psicanalisi di Freud e Jung.
Altrettanto intenso e significativo è il rapporto di Mozart con il maestro massone Joseph von Sonnenfels, insigne giurista, vero autore della riforma che abolì per prima in Europa la tortura, teorico ancor prima di Beccaria dell´inutilità e della barbarie della pena di morte.
Oltre alla ricerca biografica e allo squarcio storico di vita intellettuale nell´epoca rivoluzionaria, Mozart massone e rivoluzionario offre una migliore lettura dell´opera ed è questo naturalmente il merito maggiore. Nella leggenda mozartiana era compresa l´idea che il compositore fosse troppo preso dalla musica e troppo poco letterato per considerare i testi. Al contrario, dedicava uno scrupolo infinito alla scelta dei libretti, fino a scartarne centinaia prima di giungere al testo definitivo. Ed è un limite della critica l´aver costantemente sottovalutato quello che il genio di Mozart voleva esprimere anche con le trame e le parole.
La seconda parte del saggio è una confutazione dei molti e a volte geniali fraintendimenti delle grandi opere mozartiane, da Le Nozze di Figaro a Zauberflote. A cominciare dall´ipotesi, mitizzata dal celebre saggio di Soeren Kierkagaard, che con Don Giovanni l´autore avesse voluto dipingere un eroe della trasgressione. Quando la condanna morale è inequivocabile, nel testo quanto nell´uso drammaturgico della musica. Ben lontano dall´essere il Prometeo dell´erotismo della lettura romantica, il Don Giovanni incarna una «spaventevole negazione della vitalità». E´ un parassita aristocratico dedito all´inganno e al narcisismo, un finto trasgressore che si diverte a infrangere le regole senza tuttavia mai metterle in discussione. In questo, secondo una brillante lettura critica, fratello del più nero dei personaggi di Molière, Tartufo.
Un equivoco ancora più inspiegabile ha circondato a lungo Così fan tutte, considerata l´opera meno felice della trilogia di Lorenzo Da Ponte, la più leggera e incongrua. Lidia Bramani, che ne ha curato una memorabile edizione diretta da Claudio Abbado, la considera una specie di manifesto di una nuova morale sessuale che prefigura Le affinità elettive di Goethe. Il bellissimo gioco dell´autrice si applica pure alla lettura della Clemenza di Tito come «inno alla tolleranza» e al Flauto Magico come testamento di una profonda e allegra filosofia dei rapporti umani. Dove i simboli e i principi massonici, le suggestioni alchemiche, l´orientalismo, confluiscono per vie originali in una visione rivoluzionaria, nello spirito dell´epoca. Ma con una capacità quasi profetica di trascendere le ideologie del tempo per arrivare a un pensiero libertario di molto successivo, in un certo senso già postmoderno. Tanto da suggerire all´autrice una brillante digressione sulla contemporaneità dei personaggi mozartiani, un divertente paralellismo fra la massoneria settecentesca e la New Age, volendo stare al gioco: un viaggio da Papageno dritto fino a Harry Potter.
Alla fine del libro il mistero di Mozart non è del tutto rivelato e non sarebbe possibile. Ma, svaporato il facile fascino del piccolo Amadeus, rimane l´interrogativo su come si sia potuto ignorare nei secoli tanto materiale sulla vita e le idee del vero Mozart. Certo era il suo stesso sublime modo d´alternare tragedia e buffonerie a spiazzare i biografi. Nei giorni in cui, già molto malato, sta componendo in contemporanea il Requiem, la Clemenza di Tito e le arie comiche del Flauto Magico, scrive una lettera straziante a Da Ponte, nella perfetta coscienza della morte precoce: «Lo sento a quel che provo che l´ora suona; sono in procinto di morire e ho finito prima di aver goduto del mio talento». E subito dopo scrive alla moglie Costanze un messaggio esilarante, in cui la incita a torturare l´allievo Sussmayr: «Meglio dargli troppi che troppo pochi colpi».
Oppure chissà, forse l´artista era già troppo grande perché si potesse accettare che lo fosse anche l´uomo. Uno che aveva capito tutto del suo tempo e della vita, prima di lasciarla a soli 35 anni. Nella società dell´invidia partorita proprio dalle rivoluzioni settecentesche, alla fine si capisce che il vero, inconfessabile eroe sia diventato il musicista di corte Antonio Salieri.
Un genio rivoluzionario travolto dai pettegolezzi
una nuova biografia
CURZIO MALTESE
Lidia Bramani ha ricostruito la vera storia del grande compositore che appare ben diverso dal cliché confezionato da certa tradizione e portato sullo schermo con grande successo vent´anni fa da Milos Forman
La massoneria , cui è introdotto dal padre Leopold, è la culla del pensiero radicale del ‘700
Cosmopolita, padrone di cinque lingue , è un profondo conoscitore di Shakespeare
Che idea abbiamo di Mozart? A duecento cinquant´anni dalla nascita, il più grande musicista e forse artista d´ogni tempo rimane un mistero. Nonostante le infinite indagini letterarie e la sterminata saggistica, non sappiamo ancora come è morto né come è davvero vissuto. L´immagine più popolare di Mozart è quella di un piccolo uomo che ospita un grande genio. E´ l´Amadeus che ha trionfato nei teatri e nelle sale cinematografiche degli anni Ottanta, il protagonista della commedia di Peter Shaffer poi tradotta in film da Milos Forman nel 1984. Un successo travolgente che si è fondato su due espedienti narrativi. Anzitutto il delitto «giallo»: l´avvelenamento di Mozart da parte del collega e amico Antonio Salieri, ossessionato dalla gelosia. Una versione di fantasia che aveva cominciato a circolare già nella Vienna del primo Ottocento, incoraggiata dalla vedova di Mozart (assai ingiusta col povero Salieri), e che Puskin già nel 1830 aveva ripreso in Mozart e Salieri. L´ipotesi del giovane genio braccato e ucciso dalla mediocrità era tanto piaciuta al romanticismo da resistere fino ai nostri giorni, al trionfo hollywoodiano di Amadeus rock star.
L´altro elemento, psicologicamente più sottile, del successo di Amadeus è la raffigurazione di Mozart come genio inconsapevole, ignorante e volgare nella vita quanto sommo nell´arte. Un eterno fanciullo che gioca a capriole con Costanze prima di esibirsi davanti all´imperatore, verga di continuo oscenità alla cuginetta carina, si ubriaca nelle bettole austriache e soltanto negli intervalli fra un´idiozia e l´altra trova miracolosamente il modo di comporre capolavori immortali, sia pure in stato semi ipnotico, come posseduto da un dàimon, toccato da un dono sovrannaturale. Una versione a tratti caricaturale che nella commedia e nel film serve a dar forza al paradossale conflitto fra l´ometto «amato da Dio» (Amadeus) e il suo Caino, Salieri, intelligentissimo ma senza talento. Ma a parte le forzature da kolossal, l´immagine corrisponde a un´idea di Mozart accreditata perfino da grandi scrittori come Stendhal e musicologi di altissimo livello come il nostro Massimo Mila.
Ora un libro di una studiosa italiana rovescia il cliché. Fin dal titolo (Mozart massone e rivoluzionario) e per cinquecento dense pagine la musicologa Lidia Bramani ci porta alla scoperta di un altro Amadeus (Bruno Mondadori, euro 28). Era del resto mai possibile che il trentenne pargolo di Shaffer fosse davvero l´autore di Don Giovanni e del Requiem? Il Mozart rivelato dalla ricerca è un genio tutt´altro che inconsapevole, un uomo immerso nel secolo dei Lumi, una mente potente che nella sua arte infonde, come Leonardo o Shakespeare, una profonda e meravigliosa filosofia.
Il modo di procedere dell´autrice è acuto e inesorabile. Non si tratta di rivelare chissà quali fonti o epistolari segreti. Quello che Lidia Bramani ha fatto, in un decennio di lavoro, è di leggere con altro sguardo i segnali che erano sotto gli occhi di tutti e che Mozart ha sparso per tutta la sua opera, fra le centinaia di lettere a parenti e amici.
Infantile, egotico, isolato? Il genio che compone rinchiuso nella sua stanza viennese, indifferente al mondo, mentre Costanze cinguetta in salotto, cede il passo a un personaggio molto più complesso e ricco. Cosmopolita (parla cinque lingue), vorace lettore, profondo conoscitore di Shakespeare, curioso d´ogni campo del sapere, dalla legge alla medicina, dalla politica alla filosofia.
Massone e rivoluzionario, oppure massone perché rivoluzionario. La massoneria del Settecento, alla quale Mozart è introdotto dal padre Leopold, non è uno strumento di potere ma di conoscenza. Una vera culla del pensiero rivoluzionario, dove maturano le figure di Franklin e Washington, fino al generale Lafayette. Sono massoni i primi comunisti, gli Illuminati di Baviera, con i quali Mozart rimane in contatto fino alla morte, nonostante la messa al bando imperiale e le persecuzioni poliziesche. Il credo massonico è per Mozart una fonte d´ispirazione artistica e veicolo di una cerchia di relazioni intellettuali e amicali con le migliori menti dell´Austria giuseppina. Per esempio il filosofo Oetinger, il socialista Ziegenhagen e i poeti e radicali Wieland e Blumauer.
Spicca fra i fratelli di culto il grande medico viennese Anton Mesmer, cui Mozart è talmente amico e devoto da farne un personaggio risolutivo in Così fan tutte. Mesmer è famoso come inventore del «magnetismo animale» ed è stato a lungo considerato una specie di moderno per quanto geniale stregone. Ma è stato in realtà un pioniere della medicina moderna, ha rovesciato il rapporto medico-paziente, inaugurando un pensiero critico che avrebbe portato agli sviluppi della psicanalisi di Freud e Jung.
Altrettanto intenso e significativo è il rapporto di Mozart con il maestro massone Joseph von Sonnenfels, insigne giurista, vero autore della riforma che abolì per prima in Europa la tortura, teorico ancor prima di Beccaria dell´inutilità e della barbarie della pena di morte.
Oltre alla ricerca biografica e allo squarcio storico di vita intellettuale nell´epoca rivoluzionaria, Mozart massone e rivoluzionario offre una migliore lettura dell´opera ed è questo naturalmente il merito maggiore. Nella leggenda mozartiana era compresa l´idea che il compositore fosse troppo preso dalla musica e troppo poco letterato per considerare i testi. Al contrario, dedicava uno scrupolo infinito alla scelta dei libretti, fino a scartarne centinaia prima di giungere al testo definitivo. Ed è un limite della critica l´aver costantemente sottovalutato quello che il genio di Mozart voleva esprimere anche con le trame e le parole.
La seconda parte del saggio è una confutazione dei molti e a volte geniali fraintendimenti delle grandi opere mozartiane, da Le Nozze di Figaro a Zauberflote. A cominciare dall´ipotesi, mitizzata dal celebre saggio di Soeren Kierkagaard, che con Don Giovanni l´autore avesse voluto dipingere un eroe della trasgressione. Quando la condanna morale è inequivocabile, nel testo quanto nell´uso drammaturgico della musica. Ben lontano dall´essere il Prometeo dell´erotismo della lettura romantica, il Don Giovanni incarna una «spaventevole negazione della vitalità». E´ un parassita aristocratico dedito all´inganno e al narcisismo, un finto trasgressore che si diverte a infrangere le regole senza tuttavia mai metterle in discussione. In questo, secondo una brillante lettura critica, fratello del più nero dei personaggi di Molière, Tartufo.
Un equivoco ancora più inspiegabile ha circondato a lungo Così fan tutte, considerata l´opera meno felice della trilogia di Lorenzo Da Ponte, la più leggera e incongrua. Lidia Bramani, che ne ha curato una memorabile edizione diretta da Claudio Abbado, la considera una specie di manifesto di una nuova morale sessuale che prefigura Le affinità elettive di Goethe. Il bellissimo gioco dell´autrice si applica pure alla lettura della Clemenza di Tito come «inno alla tolleranza» e al Flauto Magico come testamento di una profonda e allegra filosofia dei rapporti umani. Dove i simboli e i principi massonici, le suggestioni alchemiche, l´orientalismo, confluiscono per vie originali in una visione rivoluzionaria, nello spirito dell´epoca. Ma con una capacità quasi profetica di trascendere le ideologie del tempo per arrivare a un pensiero libertario di molto successivo, in un certo senso già postmoderno. Tanto da suggerire all´autrice una brillante digressione sulla contemporaneità dei personaggi mozartiani, un divertente paralellismo fra la massoneria settecentesca e la New Age, volendo stare al gioco: un viaggio da Papageno dritto fino a Harry Potter.
Alla fine del libro il mistero di Mozart non è del tutto rivelato e non sarebbe possibile. Ma, svaporato il facile fascino del piccolo Amadeus, rimane l´interrogativo su come si sia potuto ignorare nei secoli tanto materiale sulla vita e le idee del vero Mozart. Certo era il suo stesso sublime modo d´alternare tragedia e buffonerie a spiazzare i biografi. Nei giorni in cui, già molto malato, sta componendo in contemporanea il Requiem, la Clemenza di Tito e le arie comiche del Flauto Magico, scrive una lettera straziante a Da Ponte, nella perfetta coscienza della morte precoce: «Lo sento a quel che provo che l´ora suona; sono in procinto di morire e ho finito prima di aver goduto del mio talento». E subito dopo scrive alla moglie Costanze un messaggio esilarante, in cui la incita a torturare l´allievo Sussmayr: «Meglio dargli troppi che troppo pochi colpi».
Oppure chissà, forse l´artista era già troppo grande perché si potesse accettare che lo fosse anche l´uomo. Uno che aveva capito tutto del suo tempo e della vita, prima di lasciarla a soli 35 anni. Nella società dell´invidia partorita proprio dalle rivoluzioni settecentesche, alla fine si capisce che il vero, inconfessabile eroe sia diventato il musicista di corte Antonio Salieri.
«anestesia emozionale»
Repubblica, Bologna 21.6.05
LO PSICANALISTA
"La rimozione è l'errore da evitare"
JENNER MELETTI
«DENTRO di noi, potrei dire, esiste un salvavita simile a quello che, nelle nostre case, toglie la corrente quando c´è un corto circuito. Ecco, io penso che il rischio maggiore, di fronte ad un trauma come la violenza sessuale, sia quello di fare scattare un "salvavita" che però provoca un'anestesia emozionale. Si nasconde il dolore, ma si rinuncia a vivere». Stefano Bolognini, psichiatra e psicoanalista, è il presidente del Centro psicoanalitico di Bologna. Sul lettino del suo studio è passato anche chi ha subito violenze simili a quelle subite dai due ragazzi nel parco di Villa Spada, in un pomeriggio del sabato, con il sole ancora alto in cielo. Cosa si può fare per aiutare chi ha subìto un oltraggio così grande?
«In questo caso la parola "trauma" si deve usare senza timori. Il trauma è un´esperienza soverchiante, eccessiva. Non riesci a tollerarla e nemmeno ad elaborarla mentalmente. E´ come una palla di gomma chiusa nello stomaco, che non riesci né a digerire né a sublimare. E allora il rischio è quello di chiudere in cantina ciò che è accaduto. Non ripensarci, non risentire ciò che hai subìto. E così si rinuncia a fare funzionare una parte di sé. Questo il pericolo che dobbiamo evitare».
Lo psichiatra dice che, dopo un secolo di terapia analitica, si è capito come «la vera elaborazione del trauma richieda una dolorosa rivisitazione dell´esperienza subìta, da compiere con l´assistenza anche "tecnica" di un esperto». Senza questa rielaborazione, i rischi sono pesanti. «Schematizzando, posso vedere due pericoli. Il primo è quello già citato, dell'anestesia emozionale. Si rinuncia a una parte di sé, e questa anestesia può durare tutta la vita. Il secondo pericolo - e riguarda soprattutto le persone più fragili - è quello che noi chiamiamo la frattura dell'io cosciente. In parole povere, il rischio della pazzia. Per fortuna c'è anche chi, pagando il prezzo di una sofferenza indicibile, riesce comunque a mantenere un contatto emotivo e l´interezza psichica. Insomma, soffre, sta male ma riesce a continuare ad essere se stesso».
Difficile schematizzare, in campi così delicati. Ma l'«anestesia emozionale» è il pericolo più frequente. «E allora - dice il professor Stefano Bolognini - soprattutto con questi ragazzi, personalità in formazione, bisogna usare estrema delicatezza e cautela. Ma si deve aiutare il soggetto a riprendere il contatto con ciò che ha vissuto durante l'aggressione. Bisogna tirare fuori il disgusto, il terrore, la rabbia, cercando di tornare all'attimo in cui è scattato il "salvavita" che ha interrotto ogni corrente. Se non si fa questo, avremo una persona fredda che non riuscirà più ad aprirsi a nessuna intimità».
L'aggressione sessuale, nella letteratura psicoanalitica, è un trauma simile a quello subìto con la tortura, con il terrorismo e con la guerra. «In Serbia ed in Bosnia psicologi e psichiatri, anche bolognesi, hanno organizzato gruppi terapeutici nei quali le vittime - guerra vuol dire anche violenza e stupro - con fatica e con dolore cercano di condividere il ricordo. Quella subìta dai nostri ragazzi non è una situazione diversa. Del resto, i carnefici che hanno aggredito i ragazzi sui colli solo apparentemente hanno compiuto un atto sessuale: si sono serviti del dispositivo sessuale per attuare un'aggressione, per umiliare le vittime. Il loro è stato un atto di sfregio».
La ragazza violentata è la prima vittima, ma purtroppo non è sola. Il ragazzo che era con lei è stato minacciato, tenuto fermo, costretto ad osservare la violenza. «Anche lui dovrà fare un lungo lavoro per ritrovare un equilibrio. Anche lui dovrà riprendere i suoi ricordi e riviverli. Pure per questo giovane la traccia traumatica non sarà lieve. Per situazioni di ruolo è stato reso completamente impotente, è stato umiliato e simbolicamente castrato. Oggi si sente sminuito e choccato». La strada giusta, come per la ragazza, non è quella di nascondere il tutto nella «cantina» della propria coscienza.
«Tutto ciò che non viene ricordato e detto, nello specifico psicoanalitico, rimane dentro come una indigeribile "palla di gomma" che graverà per sempre sull'equilibrio della persona. Aiutare vuol dire stare vicino. Aiutare significa cercare le strade per arrivare a parlare dell'aggressione. E bisogna che i ragazzi arrivino a parlarne in modo emotivo, che possano piangere e urlare, e provino ancora quel dolore e quell'odio profondo vissuti quando i carnefici hanno preso il sopravvento».
Non sarà un cammino facile. Ma sempre «con una delicatezza enorme» si dovrà arrivare all´elaborazione del trauma. «Il ricordo permetterà di ritrovare se stessi anche nel dolore. Seguire persone che hanno vissuto esperienze come questa non è facile. Bisogna mettersi accanto a loro, fare capire che se vogliono possono ricevere l'aiuto di un esperto. Bisogna, piano piano ma in modo visibile, creare le condizioni nelle quali la vittima possa iniziare il suo racconto. L'errore più grande sarebbe quello di pensare che, in fondo, su certi fatti si possa mettere una pietra sopra. Un altro errore, non meno grave, sarebbe partire in quarta con l'intervento psicologico o psichiatrico, forzando la narrazione».
Oltre alla ragazza e al suo amico i violentatori di villa Spada hanno fatto un'altra vittima: la città. «I colli di Bologna sono la zona di tutti, sono il luogo dove tutti sono stati da ragazzi e dove ora vanno i loro figli. Per questo la violenza di villa Spada non è solo lo sfregio di singole persone. E' una ferita per la comunità. Anche a questo bisogna stare attenti. Una comunità ferita ed umiliata deve riflettere, confrontarsi, fare proposte. La politica non c'entra, in questa vicenda. In ballo ci sono le emozioni di tutti. Ma se la città non riesce ad avviare questo processo di analisi e ricerca, a lungo termine potranno nascere reazioni pesanti e deleterie».
LO PSICANALISTA
"La rimozione è l'errore da evitare"
JENNER MELETTI
«DENTRO di noi, potrei dire, esiste un salvavita simile a quello che, nelle nostre case, toglie la corrente quando c´è un corto circuito. Ecco, io penso che il rischio maggiore, di fronte ad un trauma come la violenza sessuale, sia quello di fare scattare un "salvavita" che però provoca un'anestesia emozionale. Si nasconde il dolore, ma si rinuncia a vivere». Stefano Bolognini, psichiatra e psicoanalista, è il presidente del Centro psicoanalitico di Bologna. Sul lettino del suo studio è passato anche chi ha subito violenze simili a quelle subite dai due ragazzi nel parco di Villa Spada, in un pomeriggio del sabato, con il sole ancora alto in cielo. Cosa si può fare per aiutare chi ha subìto un oltraggio così grande?
«In questo caso la parola "trauma" si deve usare senza timori. Il trauma è un´esperienza soverchiante, eccessiva. Non riesci a tollerarla e nemmeno ad elaborarla mentalmente. E´ come una palla di gomma chiusa nello stomaco, che non riesci né a digerire né a sublimare. E allora il rischio è quello di chiudere in cantina ciò che è accaduto. Non ripensarci, non risentire ciò che hai subìto. E così si rinuncia a fare funzionare una parte di sé. Questo il pericolo che dobbiamo evitare».
Lo psichiatra dice che, dopo un secolo di terapia analitica, si è capito come «la vera elaborazione del trauma richieda una dolorosa rivisitazione dell´esperienza subìta, da compiere con l´assistenza anche "tecnica" di un esperto». Senza questa rielaborazione, i rischi sono pesanti. «Schematizzando, posso vedere due pericoli. Il primo è quello già citato, dell'anestesia emozionale. Si rinuncia a una parte di sé, e questa anestesia può durare tutta la vita. Il secondo pericolo - e riguarda soprattutto le persone più fragili - è quello che noi chiamiamo la frattura dell'io cosciente. In parole povere, il rischio della pazzia. Per fortuna c'è anche chi, pagando il prezzo di una sofferenza indicibile, riesce comunque a mantenere un contatto emotivo e l´interezza psichica. Insomma, soffre, sta male ma riesce a continuare ad essere se stesso».
Difficile schematizzare, in campi così delicati. Ma l'«anestesia emozionale» è il pericolo più frequente. «E allora - dice il professor Stefano Bolognini - soprattutto con questi ragazzi, personalità in formazione, bisogna usare estrema delicatezza e cautela. Ma si deve aiutare il soggetto a riprendere il contatto con ciò che ha vissuto durante l'aggressione. Bisogna tirare fuori il disgusto, il terrore, la rabbia, cercando di tornare all'attimo in cui è scattato il "salvavita" che ha interrotto ogni corrente. Se non si fa questo, avremo una persona fredda che non riuscirà più ad aprirsi a nessuna intimità».
L'aggressione sessuale, nella letteratura psicoanalitica, è un trauma simile a quello subìto con la tortura, con il terrorismo e con la guerra. «In Serbia ed in Bosnia psicologi e psichiatri, anche bolognesi, hanno organizzato gruppi terapeutici nei quali le vittime - guerra vuol dire anche violenza e stupro - con fatica e con dolore cercano di condividere il ricordo. Quella subìta dai nostri ragazzi non è una situazione diversa. Del resto, i carnefici che hanno aggredito i ragazzi sui colli solo apparentemente hanno compiuto un atto sessuale: si sono serviti del dispositivo sessuale per attuare un'aggressione, per umiliare le vittime. Il loro è stato un atto di sfregio».
La ragazza violentata è la prima vittima, ma purtroppo non è sola. Il ragazzo che era con lei è stato minacciato, tenuto fermo, costretto ad osservare la violenza. «Anche lui dovrà fare un lungo lavoro per ritrovare un equilibrio. Anche lui dovrà riprendere i suoi ricordi e riviverli. Pure per questo giovane la traccia traumatica non sarà lieve. Per situazioni di ruolo è stato reso completamente impotente, è stato umiliato e simbolicamente castrato. Oggi si sente sminuito e choccato». La strada giusta, come per la ragazza, non è quella di nascondere il tutto nella «cantina» della propria coscienza.
«Tutto ciò che non viene ricordato e detto, nello specifico psicoanalitico, rimane dentro come una indigeribile "palla di gomma" che graverà per sempre sull'equilibrio della persona. Aiutare vuol dire stare vicino. Aiutare significa cercare le strade per arrivare a parlare dell'aggressione. E bisogna che i ragazzi arrivino a parlarne in modo emotivo, che possano piangere e urlare, e provino ancora quel dolore e quell'odio profondo vissuti quando i carnefici hanno preso il sopravvento».
Non sarà un cammino facile. Ma sempre «con una delicatezza enorme» si dovrà arrivare all´elaborazione del trauma. «Il ricordo permetterà di ritrovare se stessi anche nel dolore. Seguire persone che hanno vissuto esperienze come questa non è facile. Bisogna mettersi accanto a loro, fare capire che se vogliono possono ricevere l'aiuto di un esperto. Bisogna, piano piano ma in modo visibile, creare le condizioni nelle quali la vittima possa iniziare il suo racconto. L'errore più grande sarebbe quello di pensare che, in fondo, su certi fatti si possa mettere una pietra sopra. Un altro errore, non meno grave, sarebbe partire in quarta con l'intervento psicologico o psichiatrico, forzando la narrazione».
Oltre alla ragazza e al suo amico i violentatori di villa Spada hanno fatto un'altra vittima: la città. «I colli di Bologna sono la zona di tutti, sono il luogo dove tutti sono stati da ragazzi e dove ora vanno i loro figli. Per questo la violenza di villa Spada non è solo lo sfregio di singole persone. E' una ferita per la comunità. Anche a questo bisogna stare attenti. Una comunità ferita ed umiliata deve riflettere, confrontarsi, fare proposte. La politica non c'entra, in questa vicenda. In ballo ci sono le emozioni di tutti. Ma se la città non riesce ad avviare questo processo di analisi e ricerca, a lungo termine potranno nascere reazioni pesanti e deleterie».
dio pizza e famiglia
Ave Maria city: una città per soli cattolici
Repubblica», 21.6.05
«Benvenuti ad Ave Maria City»
Il miliardario Monaghan, creatore della catena Domino, realizza un insediamento per 5000 abitanti: solo credenti, niente gay, né coppie di fatto
In Florida la prima città per soli cattolici, fondata dal re della pizza
La chiesa: Perplessità nella gerarchia cattolica sul valore apostolico dell´iniziativa, la Curia di Miami respinge ogni valutazione L´investimento: Oltre un miliardo e mezzo di dollari nel progetto. Scuole e università sempre dedicate a Maria. No agli anticoncezionali nelle farmacie
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON. Nella città dell´Ave Maria si serviranno pizze e Rosari a domicilio. Potrà abitarvi soltanto chi ha fede in Dio, Pizza e Famiglia. Forse non proprio ortodossa, come trinità, ma comprensibile, visto che questa nuova comunità in Florida intitolata a Maria di Nazareth e riservata a cinquemila cattolici super tradizionalisti che vi compreranno casa, è stata costruita sulla margherita a domicilio e sui miliardi del creatore della celebre Domino´s Pizza, Tom Monaghan, il cui motto ufficiale è, appunto, «Dio, Pizza e Famiglia». Negli ultimi acquitrini e paludi naturali accanto a Napoli, "Naples" nel senso della Florida, spazzati via gli alligatori, i serpenti mocassini e le pantere nere suprersititi, la città dell´Ave Maria, "Ave Maria City", sorgerà accanto alla nuova facoltà di legge dell´Ave Maria, "Ave Maria Law School" e attorno a quella che il padre spirituale della pizza a domicilio «consegne entro mezz´ora o la pizza è gratis» immagina come «la più grande cattedrale cattolica del mondo». Si chiamerà, non del tutto sorprendentemente, la Basilica dell´Ave Maria. Non è ancora chiaro quali requisiti e credenziali i futuri abitanti dovranno esibire per essere ammessi nella cittadella Mariana, a parte i soldi e i mutui necessari per acquistare abitazioni e terreni in una zona dove un ettaro di palude costava ieri 40 dollari e oggi, nella prospettiva della celeste speculazione, già vale 20 volte di più, 800 dollari. Anche la gerarchia cattolica americana ha qualche perplessità sul valore apostolico di una comunità ghetto devota al nome di Maria e la curia di Miami, interpellata, respinge con cortese silenzio ogni richiesta di valutazione dottrinale dell´iniziativa. Ci saranno esami di catechismo per i futuri acquirenti? Fioretti? Esercizi spirituali? Novene e rosari da recitare davanti al notaio al momento del rogito? Monaghan, che all´età di 69 anni ha deciso di investire il miliardo di dollari in contanti acquisito quando vendette le sue 6.500 pizzerie non va molto oltre quella frase sul dogma di "Dio Pizza e Famiglia", ma qualche dettaglio sulla futura città dei Rosario lo concede. Niente gay, naturalmente, almeno niente gay dichiarati. Nessuna "coppia di fatto", pubblici concubini. Eventuali fecondazioni eteroleghe tra vicini e conoscenti saranno del tutto private e tenute nascoste, secondo i più luminosi "valori tradizionali". Le abitazioni saranno cablate, e Internet filtrata da un santo "server" centrale, per escludere ogni canale che trasmetta cose sconvenienti. Proibizione alle farmacie e ai supermercati di vendere preservativi e anticoncezionali di ogni sorta. E gli ostetrici ginecologi che andranno a praticarvi la loro professione dovranno firmare l´impegno contrattuale a predicare soltanto la castità o la "pillola del Vaticano", il metodo Ogino-Knaus, agli sposi. Ci saranno madoninne e cappelline a ogni incrocio, gusto borgo medioevale. La facoltà di legge, come le stazioni tv via cavo che avranno sempre in onda qualcuno che recita il Rosario, faranno intensa e quotidiana opera di proselitismo pro-vocazioni, anche contando sul fatto che, in assenza di ogni efficace metodo di controllo delle nascite, la popolazione dovrebbe aumentare rapidamente e produrre una ricca messe di nuove anime. Sacerdoti, suore, diaconi in disgrazia con le rispettive diocesi od ordini per troppo tradizionalismo saranno accolti entusiasticamente, perché "Ave Maria City" deve diventare il faro del cattolicesimo pre-conciliare in una comunità cattolica americana «che sta scivolando verso la secolarizzazione», lamenta il devoto pizzettaro, nelle pur numerosissime università che si dicono cattoliche, spesso controllate dai sempre sospetti Gesuiti. Né deve meravigliare questa decisione di costruire una "Rosarioland" nella terra delle "Disneyland". Nella comunità cattolica americana, ormai assimilata alle altre confessioni cristiane e ai non credenti in materia di divorzio, sessualità, abitudini e aborti volontari, il nocciolo dei tradizionalisti patisce la secolarizzazione della Chiesa e la apparente resa alla società civile. Qualcuno, nel ricco e succulento mercato della domanda e dell´offerta religiosa americana dei "valori", doveva alzarsi per offrire un rifugio al gregge smarrito e questo qualcuno è stato Tom Monaghan, il re della Madonnina a domicilio. Un uomo da non sottovalutare, vista la biografia. Figlio del Michigan, dunque del Nord, ex seminarista espulso per "eccesso di vivacità" (ecco il seme della sua allergia verso la disciplina e la gerarchia), Marine volontario per incapacità di finire l´università e poi proprietario di una miserabile pizzeria di paese a Ypsilanti, nel Michigan, comperata per 900 dollari insieme con il fratello, "Dominick´s Pizza", l´irlandese Monaghan imparò a preparare pizze «in appena 15 minuti di lezioni dal vecchio Dominick» e partì. In una pagina biblica degna di Esaù e Giacobbe, comperò la quota del fratello in cambio di un Volkswagen Maggiolino usato e trasformò quel fornetto in un´armata di 6.500 "franchises" sparse in tutto il mondo, con un fatturato lordo di 4 miliardi di dollari. «Pregai e lavorai moltissimo» spiegò in un´intervista, «affidandomi al mio credo di Dio, Pizza e Famiglia». Non abbiamo notizie di come si senta Esaù, il fratello che vendette la sua quota per un Maggiolino usato. Benedetto dai frutti della propria operosa fede, ma sempre tenuto un poco a distanza da porporati diffidenti come gli insegnanti in Seminario, Monaghan decise di costruirsi la propria chiesa cattolica parallela, ma non necessariamente eretica, cominciando da un piccola facoltà di legge (la "Ave Maria", che altro) nel Michigan. La costruì secondo lo stile "prateria" di Frank Lloyd Wright, il suo idolo, che ora tenterà di trapiantare arditamente nel tropico della Florida. Un megalomane di successo, che ora ha annusato il mercato del revival tradizionalista e ha deciso di investirvi le proprie fortune per «rifondare la Chiesa Cattolica» a partire da questa città dell´Ave Maria. Nella quale, avendo assaporato il suo menù, sorge l'empio sospetto che i peccatori saranno costretti dai confessori, per penitenza, a recitare Pater, Ave e Gloria e mangiare le sue pizze.
«Benvenuti ad Ave Maria City»
Il miliardario Monaghan, creatore della catena Domino, realizza un insediamento per 5000 abitanti: solo credenti, niente gay, né coppie di fatto
In Florida la prima città per soli cattolici, fondata dal re della pizza
La chiesa: Perplessità nella gerarchia cattolica sul valore apostolico dell´iniziativa, la Curia di Miami respinge ogni valutazione L´investimento: Oltre un miliardo e mezzo di dollari nel progetto. Scuole e università sempre dedicate a Maria. No agli anticoncezionali nelle farmacie
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON. Nella città dell´Ave Maria si serviranno pizze e Rosari a domicilio. Potrà abitarvi soltanto chi ha fede in Dio, Pizza e Famiglia. Forse non proprio ortodossa, come trinità, ma comprensibile, visto che questa nuova comunità in Florida intitolata a Maria di Nazareth e riservata a cinquemila cattolici super tradizionalisti che vi compreranno casa, è stata costruita sulla margherita a domicilio e sui miliardi del creatore della celebre Domino´s Pizza, Tom Monaghan, il cui motto ufficiale è, appunto, «Dio, Pizza e Famiglia». Negli ultimi acquitrini e paludi naturali accanto a Napoli, "Naples" nel senso della Florida, spazzati via gli alligatori, i serpenti mocassini e le pantere nere suprersititi, la città dell´Ave Maria, "Ave Maria City", sorgerà accanto alla nuova facoltà di legge dell´Ave Maria, "Ave Maria Law School" e attorno a quella che il padre spirituale della pizza a domicilio «consegne entro mezz´ora o la pizza è gratis» immagina come «la più grande cattedrale cattolica del mondo». Si chiamerà, non del tutto sorprendentemente, la Basilica dell´Ave Maria. Non è ancora chiaro quali requisiti e credenziali i futuri abitanti dovranno esibire per essere ammessi nella cittadella Mariana, a parte i soldi e i mutui necessari per acquistare abitazioni e terreni in una zona dove un ettaro di palude costava ieri 40 dollari e oggi, nella prospettiva della celeste speculazione, già vale 20 volte di più, 800 dollari. Anche la gerarchia cattolica americana ha qualche perplessità sul valore apostolico di una comunità ghetto devota al nome di Maria e la curia di Miami, interpellata, respinge con cortese silenzio ogni richiesta di valutazione dottrinale dell´iniziativa. Ci saranno esami di catechismo per i futuri acquirenti? Fioretti? Esercizi spirituali? Novene e rosari da recitare davanti al notaio al momento del rogito? Monaghan, che all´età di 69 anni ha deciso di investire il miliardo di dollari in contanti acquisito quando vendette le sue 6.500 pizzerie non va molto oltre quella frase sul dogma di "Dio Pizza e Famiglia", ma qualche dettaglio sulla futura città dei Rosario lo concede. Niente gay, naturalmente, almeno niente gay dichiarati. Nessuna "coppia di fatto", pubblici concubini. Eventuali fecondazioni eteroleghe tra vicini e conoscenti saranno del tutto private e tenute nascoste, secondo i più luminosi "valori tradizionali". Le abitazioni saranno cablate, e Internet filtrata da un santo "server" centrale, per escludere ogni canale che trasmetta cose sconvenienti. Proibizione alle farmacie e ai supermercati di vendere preservativi e anticoncezionali di ogni sorta. E gli ostetrici ginecologi che andranno a praticarvi la loro professione dovranno firmare l´impegno contrattuale a predicare soltanto la castità o la "pillola del Vaticano", il metodo Ogino-Knaus, agli sposi. Ci saranno madoninne e cappelline a ogni incrocio, gusto borgo medioevale. La facoltà di legge, come le stazioni tv via cavo che avranno sempre in onda qualcuno che recita il Rosario, faranno intensa e quotidiana opera di proselitismo pro-vocazioni, anche contando sul fatto che, in assenza di ogni efficace metodo di controllo delle nascite, la popolazione dovrebbe aumentare rapidamente e produrre una ricca messe di nuove anime. Sacerdoti, suore, diaconi in disgrazia con le rispettive diocesi od ordini per troppo tradizionalismo saranno accolti entusiasticamente, perché "Ave Maria City" deve diventare il faro del cattolicesimo pre-conciliare in una comunità cattolica americana «che sta scivolando verso la secolarizzazione», lamenta il devoto pizzettaro, nelle pur numerosissime università che si dicono cattoliche, spesso controllate dai sempre sospetti Gesuiti. Né deve meravigliare questa decisione di costruire una "Rosarioland" nella terra delle "Disneyland". Nella comunità cattolica americana, ormai assimilata alle altre confessioni cristiane e ai non credenti in materia di divorzio, sessualità, abitudini e aborti volontari, il nocciolo dei tradizionalisti patisce la secolarizzazione della Chiesa e la apparente resa alla società civile. Qualcuno, nel ricco e succulento mercato della domanda e dell´offerta religiosa americana dei "valori", doveva alzarsi per offrire un rifugio al gregge smarrito e questo qualcuno è stato Tom Monaghan, il re della Madonnina a domicilio. Un uomo da non sottovalutare, vista la biografia. Figlio del Michigan, dunque del Nord, ex seminarista espulso per "eccesso di vivacità" (ecco il seme della sua allergia verso la disciplina e la gerarchia), Marine volontario per incapacità di finire l´università e poi proprietario di una miserabile pizzeria di paese a Ypsilanti, nel Michigan, comperata per 900 dollari insieme con il fratello, "Dominick´s Pizza", l´irlandese Monaghan imparò a preparare pizze «in appena 15 minuti di lezioni dal vecchio Dominick» e partì. In una pagina biblica degna di Esaù e Giacobbe, comperò la quota del fratello in cambio di un Volkswagen Maggiolino usato e trasformò quel fornetto in un´armata di 6.500 "franchises" sparse in tutto il mondo, con un fatturato lordo di 4 miliardi di dollari. «Pregai e lavorai moltissimo» spiegò in un´intervista, «affidandomi al mio credo di Dio, Pizza e Famiglia». Non abbiamo notizie di come si senta Esaù, il fratello che vendette la sua quota per un Maggiolino usato. Benedetto dai frutti della propria operosa fede, ma sempre tenuto un poco a distanza da porporati diffidenti come gli insegnanti in Seminario, Monaghan decise di costruirsi la propria chiesa cattolica parallela, ma non necessariamente eretica, cominciando da un piccola facoltà di legge (la "Ave Maria", che altro) nel Michigan. La costruì secondo lo stile "prateria" di Frank Lloyd Wright, il suo idolo, che ora tenterà di trapiantare arditamente nel tropico della Florida. Un megalomane di successo, che ora ha annusato il mercato del revival tradizionalista e ha deciso di investirvi le proprie fortune per «rifondare la Chiesa Cattolica» a partire da questa città dell´Ave Maria. Nella quale, avendo assaporato il suo menù, sorge l'empio sospetto che i peccatori saranno costretti dai confessori, per penitenza, a recitare Pater, Ave e Gloria e mangiare le sue pizze.
Umberto Veronesi candidato al Nobel
Corriere della Sera 20.6.05
Appello di 1.800 chirurghi: ha rivoluzionato la cura dei tumori «Premio Nobel a Veronesi»
Proposto all'unanimità da due potenti associazioni scientifiche americane
«Umberto Veronesi merita il premio Nobel». Potrebbe essere l'affermazione di una delle tante donne guarite dall'oncologo milanese. Non meraviglierebbe nessuno. A sostenerlo però è un big della chirurgia americana, Patrick Borgen, capo del dipartimento che si occupa di tumori al seno del più grande centro oncologico americano: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.
Durante un convegno internazionale a Milano Borgen ha sottolineato come venga proprio dagli States un'inattesa candidatura di Veronesi al Nobel 2006 per la medicina. Perché secondo la prassi le candidature devono essere presentate entro il 31 gennaio e la decisione si prende a settembre: salvo colpi di scena quindi il 2005 avrebbe già le nominations. Comunque, 2005 o 2006, a proporre Veronesi alla commissione per i Nobel sono state, all' unanimità, due potenti società scientifiche americane: la Sso (Society of Surgical Oncology, cioè i chirurghi dei tumori) e l'Assbd (American Society for the Study of Breast Diseases, ossia gli specialisti delle malattie del seno). La lettera indirizzata ad Urban Ungerstedt, coordinatore del comitato per il premio alla medicina, è come se fosse firmata da 1.800 chirurghi americani. L'appello pro Veronesi porta la data del 20 marzo. In seguito, a rafforzamento, è stato costituito anche un comitato internazionale di appoggio alla candidatura con un nuovo documento datato 6 maggio e sottoscritto da oncologi del calibro di Franco Cavalli (Svizzera), Martine Piccart (Belgio), Ulrik Ringborg (Svezia), Hiram III S. Cody (Usa). Spiega Borgen: «Veronesi merita questo premio come scienziato e come uomo. Nel 1969 presentò la sua ipotesi all'Organizzazione mondiale della Sanità, partendo da studi di laboratorio (lui è anche anatomopatologo), e ha sfidato un dogma: quello della chirurgia distruttiva e massacrante, consacrata dai "maestri" di allora, come unica speranza contro un tumore. Poi le pubblicazioni scientifiche e la prima pagina del New York Times. Con l'avvio di una nuova filosofia della cura dei tumori».
Borgen ricorda come il giovane Veronesi perse all'epoca molti potenti amici americani: «Ai congressi veniva additato come traditore e diversi Istituti non lo invitarono più perché non gradito». Eppure dall'80 ad oggi ben due milioni di donne americane hanno salvato il seno e sono guarite dal tumore grazie alla quadrantectomia, la tecnica conservativa firmata Veronesi.
Nella lettera al comitato per i Nobel è scritto anche: «Si stima che negli Usa nel 2005 saranno operate così oltre 200 mila donne, l'80 per cento delle colpite da un cancro al seno». Nemo propheta in patria viene da commentare di fronte a questi numeri: in Italia, infatti, solo il 53 per cento degli interventi per il tumore al seno sono stile Veronesi. Mentre il resto d'Europa (Francia, Gran Bretagna, Svezia, Germania, ecc.) lo consacra con oltre il 90 per cento d'interventi conservativi.
Un'obiezione: i Nobel ai chirurghi sono rari. Borgen obietta: «Non si tratta solo di una tecnica chirurgica. Dietro c'è l'intuizione che le metastasi dipendono dal tipo di cellula del tumore, che le cellule neoplastiche si muovono secondo uno schema ben definito (i nuovi studi sul linfonodo sentinella ne sono una prova), che la radioterapia è fondamentale». Eppoi l'idea di guarire senza distruggere la femminilità e la qualità della vita. Una rivoluzione. Nel 1981 quell'articolo sul New York Times destabilizzò un dogma della medicina e Veronesi divenne un simbolo per la donna americana, che cominciò anche a chiedere test per la diagnosi precoce consapevole che un tumore preso in tempo non avrebbe più inciso sulla sua femminilità.
Appello di 1.800 chirurghi: ha rivoluzionato la cura dei tumori «Premio Nobel a Veronesi»
Proposto all'unanimità da due potenti associazioni scientifiche americane
«Umberto Veronesi merita il premio Nobel». Potrebbe essere l'affermazione di una delle tante donne guarite dall'oncologo milanese. Non meraviglierebbe nessuno. A sostenerlo però è un big della chirurgia americana, Patrick Borgen, capo del dipartimento che si occupa di tumori al seno del più grande centro oncologico americano: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.
Durante un convegno internazionale a Milano Borgen ha sottolineato come venga proprio dagli States un'inattesa candidatura di Veronesi al Nobel 2006 per la medicina. Perché secondo la prassi le candidature devono essere presentate entro il 31 gennaio e la decisione si prende a settembre: salvo colpi di scena quindi il 2005 avrebbe già le nominations. Comunque, 2005 o 2006, a proporre Veronesi alla commissione per i Nobel sono state, all' unanimità, due potenti società scientifiche americane: la Sso (Society of Surgical Oncology, cioè i chirurghi dei tumori) e l'Assbd (American Society for the Study of Breast Diseases, ossia gli specialisti delle malattie del seno). La lettera indirizzata ad Urban Ungerstedt, coordinatore del comitato per il premio alla medicina, è come se fosse firmata da 1.800 chirurghi americani. L'appello pro Veronesi porta la data del 20 marzo. In seguito, a rafforzamento, è stato costituito anche un comitato internazionale di appoggio alla candidatura con un nuovo documento datato 6 maggio e sottoscritto da oncologi del calibro di Franco Cavalli (Svizzera), Martine Piccart (Belgio), Ulrik Ringborg (Svezia), Hiram III S. Cody (Usa). Spiega Borgen: «Veronesi merita questo premio come scienziato e come uomo. Nel 1969 presentò la sua ipotesi all'Organizzazione mondiale della Sanità, partendo da studi di laboratorio (lui è anche anatomopatologo), e ha sfidato un dogma: quello della chirurgia distruttiva e massacrante, consacrata dai "maestri" di allora, come unica speranza contro un tumore. Poi le pubblicazioni scientifiche e la prima pagina del New York Times. Con l'avvio di una nuova filosofia della cura dei tumori».
Borgen ricorda come il giovane Veronesi perse all'epoca molti potenti amici americani: «Ai congressi veniva additato come traditore e diversi Istituti non lo invitarono più perché non gradito». Eppure dall'80 ad oggi ben due milioni di donne americane hanno salvato il seno e sono guarite dal tumore grazie alla quadrantectomia, la tecnica conservativa firmata Veronesi.
Nella lettera al comitato per i Nobel è scritto anche: «Si stima che negli Usa nel 2005 saranno operate così oltre 200 mila donne, l'80 per cento delle colpite da un cancro al seno». Nemo propheta in patria viene da commentare di fronte a questi numeri: in Italia, infatti, solo il 53 per cento degli interventi per il tumore al seno sono stile Veronesi. Mentre il resto d'Europa (Francia, Gran Bretagna, Svezia, Germania, ecc.) lo consacra con oltre il 90 per cento d'interventi conservativi.
Un'obiezione: i Nobel ai chirurghi sono rari. Borgen obietta: «Non si tratta solo di una tecnica chirurgica. Dietro c'è l'intuizione che le metastasi dipendono dal tipo di cellula del tumore, che le cellule neoplastiche si muovono secondo uno schema ben definito (i nuovi studi sul linfonodo sentinella ne sono una prova), che la radioterapia è fondamentale». Eppoi l'idea di guarire senza distruggere la femminilità e la qualità della vita. Una rivoluzione. Nel 1981 quell'articolo sul New York Times destabilizzò un dogma della medicina e Veronesi divenne un simbolo per la donna americana, che cominciò anche a chiedere test per la diagnosi precoce consapevole che un tumore preso in tempo non avrebbe più inciso sulla sua femminilità.
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