Corriere della Sera 14.2.04
IL POETA RABONI, LO SCIENZIATO BONCINELLI
A mio parere il bisogno di esprimersi in un linguaggio artistico sorge da una profonda mancanza del vivere, da uno stato di sofferenza
Il significato della poesia, la sua «necessità», la sua attualità e la sua capacità di parlare all’uomo d’oggi: sono le questioni che abbiamo posto a uno scienziato, a un filosofo e a un poeta. Ecco il risultato di una tavola rotonda con Edoardo Boncinelli, Emanuele Severino, Giovanni Raboni, organizzata dal Corriere della Sera . A proposito di Leopardi, Severino ha parlato di poesia come rimedio. Se si può accettare questa definizione, la poesia è un rimedio a che cosa?
SEVERINO La poesia appartiene al linguaggio festivo, e cioè si rifà alle origini della nostra civiltà, cioè alla festa arcaica, che è insieme poetica, tecnico-sapienziale e mistico-religiosa. Nella situazione festiva tutte queste componenti sono fuse per costituire una forma di rimedio contro la pericolosità della vita. Da questo coagulo originario, le componenti del linguaggio festivo si distaccano e danno luogo al propriamente religioso, al propriamente poetico e così via. In origine uno strumento funziona solo se protetto dal divino, e dal momento in cui va in crisi il divino, la poesia non acquista più il carattere del rimedio in quanto modo di esprimere e svelare il divino, ma in quanto è una forma che ha una forza tale da consentire all’uomo di prendere distanza dal pericolo del mondo e di trovare salvezza.
BONCINELLI La parola «rimedio» non mi piace. In realtà la poesia è un di più, un’esuberanza, deborda dalla quotidianità e secondo me ha qualcosa in comune con la musica, che però è ancora più universale e come la poesia contiene il concetto di ripetizione. Gli animali in difficoltà si dondolano, fanno gesti ripetuti, anche i vecchi fanno gesti ripetuti e involontari. Si tratta veramente di una sorta di esigenza biologica. A pensarci bene, la poesia si basava molto sulla ripetizione: il ritornello, la metrica, la rima... Sicuramente è nata per fini sociali, collettivi e religiosi. Ma questo aspetto si è perso ed è un peccato. Lo stesso vale per le altre arti: oggi c’è un divorzio dal magico, dal mistico e dal collettivo. Forse c’è più poesia oggi nelle canzoni che nei poeti laureati; forse c’è più arte nelle locomotive e nei jet che nelle mostre. Il che rivendica l'origine di queste cose come fenomeni non solo collettivi ma anche utili e inclusivi della capacità tecnica.
RABONI A me l’idea della poesia, anzi dell’arte, come rimedio non dispiace affatto. Credo che il bisogno di esprimersi con un linguaggio artistico nasca da una mancanza del vivere, da uno stato di disagio o di sofferenza. In un mondo felice uno vorrebbe solo vivere, anche se è un’ipotesi estrema. L’importante è non tradurre questo nell’idea di consolazione. La poesia è soprattutto un linguaggio molto particolare. Rispetto ad altri linguaggi e ad altre arti compresa la musica, comunica dei pensieri e suscita delle emozioni inarticolabili. Il suo pensiero è raddoppiato oppure contraddetto oppure reso ambiguo da altri segnali, che sono quelli della forma e della parola nascosta.
Che rapporto c’è, nel testo poetico e nel fare poesia, tra l’aspetto emotivo e l’aspetto razionale? E oggi possiamo ancora usare un termine un po’ desueto come quello di ispirazione?
SEVERINO Leopardi parla molto presto di unità tra filosofia e poesia: è un binomio che ha sempre presente fin dall’inizio. Ma nei pensieri, mentre scrive «L’infinito», dice che intende l’infinito come l’illusione, come rimedio. Anche l’esuberanza, del resto, è un modo di difendersi dal pericolo.
BONCINELLI Qual è il nemico?
SEVERINO Il nemico è la morte, il dolore. Mi auguro che tu non abbia questo nemico, ma gli uomini hanno sempre sentito come nemico la morte: se non siamo in relazione con una lacuna, che senso ha l’indaffararsi dell’uomo?
BONCINELLI Ma è la nostra forza.
SEVERINO Non lo nego, o meglio lo metto tra parentesi. Torniamo a Leopardi. Nei pensieri, mentre scrive «L’infinito», sostiene che l’infinito è un’idea che aiuta a sollevarsi di fronte al pericolo della morte e del dolore. Poi cambia prospettiva e sostiene che ormai la poesia non inganna nemmeno la fantasia, si rende conto che questa scissione è insostenibile e che la poesia è pensiero poetante. Leopardi abbandona l’infinito, poiché sa che nessun giorno può tornare e che gli dèi sono morti. Il concetto di rimedio rimane in un altro senso: l’infinito, che prima era un contenuto illusorio, diventa la potenza infinita del genio, cioè il poeta, il quale con forza non finita parla della caducità e della morte. Il concetto di rimedio rimane proprio in questa unità di ispirazione e di razionalità.
BONCINELLI E’ una vita che mi chiedo se c’è e che cos’è l’ispirazione. Studiarla da fuori è quasi impossibile, perché l’ispirazione capita di rado a poche persone e la scienza per definizione studia i fenomeni ripetuti. Uno dovrebbe averla vissuta, per parlarne. Per me la poesia è innanzitutto scelta e giustapposizione di parole, perché il contenuto è espresso meglio dalla scienza o dalla filosofia. Dante, Shakespeare e Leopardi, se quelle cose non le avessero dette in quella maniera, sarebbero dei pensatori falliti o dei letterati. Noi parliamo perché nel cervello disponiamo di un enorme vocabolario e ogni volta dobbiamo valutare per quella particolare posizione quale parola andare a pigliare da questo inventario. Un fenomeno molto interessante da studiare.
RABONI Non si tratta della parola giusta per dire ciò che ho chiaramente in testa di dire. Io penso che la parola giusta sia la parola che misteriosamente aggiunge senso a quel che il poeta vuol dire. Altrimenti, il poeta sarebbe il più chiaro espositore del pensiero. Invece la poesia è altro: è pensiero, però emozionato, pensiero assolutamente inscindibile da una serie di emozioni che non sono contenute nel pensiero razionale. Quindi, io non so bene da dove vengano le «parole giuste». E’ vero, ispirazione è qualcosa di desueto, che sa di romanticheria. Valéry diceva: il primo verso viene da Dio, tutti gli altri dal lavoro. Ciò vuol dire che c’è un momento in cui il poeta sa di dover parlare di quella determinata cosa e non sa né come, né di che cosa esattamente si tratti. Sente una necessità, magari legata a un accostamento di parole o a un giro di frase o a un fantasma sonoro, un ritmo, una cadenza. Vien voglia di chiamarlo un momento di aspirazione, come fosse un vuoto da cui si è aspirati e che ti fa precipitare in qualcosa che ancora non sappiamo ma che sentiamo di dover dire.
Come può un comune lettore accostarsi a un testo tanto complesso, tenendo presenti tutti gli aspetti inscindibili che fanno il senso del linguaggio poetico?
SEVERINO E’ impossibile prescindere dal contenuto. Un lettore che si lasci trascinare solo dal ritmo non capirebbe. E’ la storia del contenuto a determinare la storia della poesia. Io vorrei sottolineare la necessità di non considerare la poesia come un fenomeno separato dalla storia della nostra civiltà occidentale, che per me è storia della follia. Sarebbe impossibile capire la poesia indipendentemente da ciò che è stata la storia dell’essenza della nostra civiltà, e cioè un transito dal riferimento al divino alla cancellazione del divino.
BONCINELLI Ho sempre letto poesia e continuo a leggerla. Mi piacciono i greci, Shakespeare, Leopardi. Però se uno mi chiedesse perché e come leggo, non sarei sicuro di saper rispondere. Direi forse per una specie di intossicazione, di abitudine. Rispetto a quel che diceva Raboni aggiungerei due ingredienti della poesia: la concisione, e cioè l’espressione di pensieri come grumi e in una grande intensità; e poi il suo valore collettivo. Si cercano le parole sapendo che arriveranno a qualcuno. E poi abbiamo dimenticato l’immagine, che non è né suono né pensiero. I poeti sono dei creatori capaci di trovare una sintesi solidale di immagini e parole. L’aspetto creativo, l’inventare qualcosa che non c’era, unisce poesia, filosofia e scienza. Ma dovremmo chiederci perché questa immagine, quando è poetica, viene condivisa da un altissimo numero di persone.
Perché, Raboni?
RABONI La poesia raggiunge una quantità nettamente superiore di persone rispetto a una verità scientifica o filosofica perché arriva anche ad altre parti dell’attenzione umana e non solo al cervello. Insomma, arriva a colpire anche con un’emozione, mentre la filosofia non emoziona, persuade. La poesia si rivolge all’uomo nella sua totalità di essere pensante e emozionabile. Le immagini non sono esclusive della poesia. Credo che lo specifico della poesia sia avere tutto questo in forma sincretica, se si può dire. Ha la capacità di emozionare con il suono come la musica, ha la capacità di comunicare con le immagini come la pittura o la scultura, ha la capacità anche di trasmettere contenuti intellettuali come la filosofia. Di tutto questo il lettore può cogliere quel che gli interessa o lo colpisce di più.
Si è parlato di necessità della poesia da parte di chi scrive. Ma in generale, capovolgendo le cose, si può dire che oggi la nostra società ha necessità di poesia? O la poesia viene percepita come qualcosa in più che riguarda più l’individuo che la collettività?
BONCINELLI La società di oggi ha tutto e vuole tutto e il contrario di tutto. Ha tempo libero e lo deve spendere in qualche maniera. C’è la droga, c’è la violenza e fortunatamente ci sono anche la scienza, la filosofia e la poesia. Ci siamo specializzati, è vero, ma questo è avvenuto perché siamo cresciuti di numero e si è stimolata una diversificazione a volte anche a detrimento della qualità. Siamo talmente tanti e diversi, nonostante quel che si dice abbiamo un livello di diversità biologica infinitamente maggiore che in passato. Quindi è giusto che ci sia una offerta diversificata. Non so se sia necessaria, ma direi che uno che si accosta alla poesia ha un’acquisizione perenne.
SEVERINO La poesia non è nata come individualità, perché il linguaggio festivo si costituisce nel sacro. Il linguaggio profano, invece, per lo più è parlato dai singoli: affinché un linguaggio venga riconosciuto e diventi linguaggio sociale bisogna che le parole dei singoli si confrontino in quel luogo che è la festa. La festa si lega al teatro, alla chiesa, a qualcosa di collettivo e di corale. Se pensiamo a ciò, allora è una decadenza per la poesia diventare una lettura dell’individuo scisso dagli altri individui. E’ un fenomeno che conferma l’atomizzazione della nostra società.
RABONI Io non so se ci sia necessità di poesia. Però nel linguaggio comune sia il sostantivo sia l’aggettivo vengono usati metaforicamente per indicare un valore, per indicare qualcosa di bello, di importante, di alto. Qualcosa vorrà pur dire.