giovedì 13 maggio 2004

la rassegna dei film di Marco Bellocchio a Roma

IL MESSAGGERO, 12.5.2004 - Pag. 45 cronaca di Roma
BELLOCCHIO, LA STORIA DI UN ALTRO ITALIANO
di Francesco Alò


Buongiorno Bellocchio, il regista che ha cambiato il cinema italiano. Parte oggi alla SalaTrevi Alberto Sordi (Vicolo del Puttarello, 25; tel 066781206) una retrospettiva completa della sua filmografia che terminerà il 22 maggio quando verrà proiettato il diciottesimo lungometraggio Buongiorno notte (2003). La organizza il Centro Sperimentale di Cinematografia, dove il piacentino Bellocchio studiò da regista. Nella sala d'essai romana intitolata a Sordi, geniale autore di una storia dell'italiano medio, arriva la storia di un altro italiano che in 40 anni di pellicole, polemiche, dogmi e ripensamenti ha tracciato un percorso personale e collettivo altamente significativo. Dalla rabbia giovane che lo portò a far uccidere al suo protagonista la madre Italia nell'esordio antiborghese I pugni in tasta (1965) alla pacificazione dell'intellettuale riflessivo che associa alla figura di Aldo Moro qualla di un padre (la scelta dell'attore Roberto Herlitzka nel ruolo di Moro fu motivata dalla somiglianza con il padre del regista) che Bellocchio sogna passeggiare per una Roma deserta, libero dalla follia omicida di figli confusi e rabbiosi. Dalle pellicole a tesi con cui attaccava l'istituzione cattolica (Nel nome del padre, 1972), l'esercito (Marcia trionfale, 1976) e il cinismo dei mass-media (Sbatti il mostro in prima pagina, 1972), all'invincibilità laica del sorriso del protagonista de L'ora di religione (2002), dove l'ironia prende il posto dell'indignazione. Bellocchio regista, intellettuale e militante in continuo movimento. Dalle collaborazioni con l'altrettanto imprendibile Silvano Agosti (Matti da slegare - Nessuno o tutti, 1975; splendido manifesto del pensiero psichiatrico di Basaglia), al rapporto di amore e odio con Nanni Moretti, passando per il difficile cinema autoanalitico elaborato con lo psicanalista Massimo Fagioli (quattro film "insieme": da Diavolo in corpo a Il sogno della farfalla). La definizione di lui più bella forse l'ha data il figlio Piergiorgio (in sala come soggettista, attore e produttore di un grande film di guerra problematico e bellocchiano: Radio West) quando l'ha descritto come "il regista del cambiamento". Perché un vero artista, prima di inventare il mondo, deve essere sempre in grado di reinventare se stesso.

pesce e schizofrenia

Repubblica Salute 13.5.04
PRIMO PIANO
Il buonumore nasce in cucina, decisivi carboidrati e pesce
Un pasto ricco di amidi e povero di carni favorisce la produzione di serotonina, molecola antidepressiva. Il deficit di acidi "omega 3" può indurre schizofrenia


Ciò che mangiamo può influenzare l'umore e l'attività mentale? Potrebbe apparire una domanda esagerata, ma non lo è. Sono sempre più numerosi gli studi che documentano una influenza del cibo e dello stato dell'intestino sul cervello. Una linea di indagine riguarda la serotonina, nota molecola antidepressiva, sintetizzata a partire dall'aminoacido triptofano.
L'anno scorso Richard J. Wurtman, direttore del Centro di ricerche cliniche del Massachusetts Institute of Technology, sull'American Journal of Clinical Nutrition, ha ulteriormente dimostrato che la composizione di un pasto, se a prevalenza di carboidrati o di proteine, influenza la quantità dell'aminoacido triptofano disponibile per la sintesi di serotonina cerebrale. Sono oltre trent'anni che lo scienziato americano studia questo argomento reiterando le medesime conclusioni: a causa della competizione con altri aminoacidi abbondanti nella carne, il triptofano passa nel cervello in quantità superiori se il pasto è ricco di carboidrati e povero di proteine.
Ma la serotonina non sta solo nel cervello. Anzi, quasi il 95 per cento di tutta la serotonina del nostro organismo viene prodotto dalle cellule cromaffini dell'intestino, dove regola i movimenti e l'attività digestiva e, al tempo stesso, serve come segnale al cervello: segnali positivi, come la sazietà, o negativi, come la nausea.
Recentemente, Michael Gershon ha proposto una spiegazione della concomitanza di problemi intestinali e disordini depressivi. La serotonina circolante - scrive su Reviews in Gastroenterological Disorders - va tenuta sotto controllo perché un suo eccesso può risultare molto pericoloso (shock anafilattico), per questo le cellule hanno elaborato sistemi di riassorbimento della molecola. In caso di infiammazione intestinale si produce un eccesso di serotonina che satura i sistemi di riassorbimento e desensibilizza i recettori: ciò può causare un blocco della peristalsi con costipazione. Da altri studi sappiamo che l'infiammazione attiva enormemente l'enzima che demolisce la serotonina e quindi si può avere, nel tempo, a livello cerebrale, un forte deficit della molecola con conseguente depressione. Infiammazione, alterazione intestinale e depressione possono essere manifestazioni dello stesso processo.
Sempre in tema di depressione, gli anni recenti hanno messo in primo piano il ruolo del pesce. Alcuni studi controllati, di cui si è già scritto su Salute, hanno mostrato l'efficacia dell'aggiunta di olio di pesce al trattamento antidepressivo standard. Altri recenti studi, sull'animale, dimostrano che la somministrazione di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, ben presente nel pesce, riducono i livelli di cortisolo (da stress) e il comportamento ansioso, al contrario della somministrazione di acido arachidonico, polinsaturo, serie omega-6, derivato dalla carne.
A proposito del pesce, è tornata alla ribalta l'idea che possa esserci una componente nutrizionale della schizofrenia. O, meglio, che la correzione di un deficit nutrizionale di acidi omega-3, nel quadro di una dieta povera di zuccheri e grassi saturi, possa migliorare la sintomatologia. L'inglese Malcolm Peet, dell'Università di Sheffield, in una recente review, riassume gli esiti degli studi al riguardo. In tutto 5, controllati con placebo, di cui 4 hanno dimostrato che la somministrazione di acido eicosapentenoico (EPA), acido grasso a catena lunga che si trova abbondante nell'olio di pesce, è superiore al placebo nella riduzione dei sintomi tipici della schizofrenia. (f. b.)

psichiatria ed elettrochoc

segnalato da Marco Lucchetti

Repubblica 13.5.04
Lettere
La psichiatria e il tabù dell´elettrochoc
CORRADO AUGIAS


Caro Augias, sono uno "psichiatra di campagna" passato da una realtà romana a una di provincia altrettanto difficile; il tutto all'interno del Servizio sanitario nazionale. Apprezzo il suo interesse per la psichiatria, perciò sottolineo quella che a mio avviso è una pericolosa generalizzazione così riassumibile: la psichiatria in Italia non va bene perché la riforma non è stata bene applicata. È una parte della verità, non tutta, che ignora un'evidente realtà: anche in psichiatria, come in ogni branca della medicina, ci sono meccanismi sconosciuti, dunque casi incurabili. Se così non fosse non ci sarebbero centinaia di modelli psicoterapeutici e migliaia di farmaci e noi psichiatri faremmo tutti le stesse cose.
Il problema sono proprio i casi incurabili la cui caratteristica è spesso la non consapevolezza della malattia. Chi sostiene che questo drammatico ostacolo alle cure sia superabile con opportune tecniche è in malafede e spaccia illusioni. Chi non sa di essere malato non può essere curato se non contro la sua volontà: la collettività si assume così la drammatica responsabilità di intervenire violando la libertà dell'individuo per il suo bene, curandolo suo malgrado con un "Trattamento sanitario obbligatorio". A volte si riesce, a volte si fallisce. La normativa italiana finge con ipocrisia forse ideologica che i fallimenti non esistano e abbandona la loro gestione a familiari disperati e a operatori spesso impotenti.
L'abolizione dell'ospedale psichiatrico (che non necessariamente è un "manicomio") è una peculiarità tutta italiana, nessun altro avendoci seguito. Comporta l'abolizione (e l'abbandono) di una fascia di malati non guaribili che nessuno, per legge, può curare più che tanto.
Fare questo discorso è considerato disdicevole ma è soprattutto doloroso per chi è in buona fede e ha anche la convinzione di essere di sinistra: è doloroso perché ancora non si può fare senza essere bollati di fascismo, come fasciste sono anche certe cure. Ho visto coi miei occhi migliorare pazienti altrimenti irrecuperabili con un trattamento elettro convulsivante: devo fare autocritica come ai tempi della "banda dei quattro" di Pechino o devo smettere di considerarli strumenti utili per non tradire l"ortodossia"
Lo vede lei un gastroenterologo dare del nazista a un suo collega perché invece di curare coi farmaci un'ulcera gastrica ritiene più utile in quel caso un intervento chirurgico?

Luciano Delzotti, Roma
delzot51@liberoadsl.it


Questa lettera non è politicamente corretta, al contrario va decisamente contro la dottrina prevalente in Italia. La sua evidente onestà, basata su un'esperienza d'ospedale, la rende conturbante proprio perché controcorrente. Quando, grazie all'insegnamento della "nuova psichiatria", i "manicomi" sono stati aboliti, abbiamo anche tolto di mezzo l'ospedale psichiatrico. Per di più non abbiamo mai finito di completare quella rete di presidi che avrebbero attutito l'impatto di una riforma radicale e repentina.
Il risultato sono le tragedie di cui ogni tanto si legge nelle cronache. Non entro nel merito degli argomenti per manifesta incompetenza, tanto meno sulla cura "elettroconvulsivante" che, se capisco bene, sarebbe l'elettrochoc. So solo questo: il problema esiste, nessuno se ne cura, è una delle vergogne nazionali.

un libro

ricevuto da P. Cancelliri

nutrimenti newsletter 12 maggio 2004  
Mio padre è un chicco di grano
Luana De Vita


Nel maggio del 1978 il Parlamento approva la legge 180, nota come legge Basaglia. Una legge nata con l‘obiettivo di restituire una dignità ai malati mentali e di chiudere definitivamente i conti con l‘istituzione manicomio, affidando a strutture territoriali il destino dei malati. Ma chi ha vissuto in prima persona questa vicenda sa che non è andata così. Molte famiglie sono rimaste sole e impotenti a fronteggiare le continue emergenze del rapporto con un malato mentale. Luana De Vita è una donna come tante, una delle tante che hanno vissuto sulla propria pelle la delega delle responsabilità da parte delle istituzioni. "Mio padre è un chicco di grano" è la storia autobiografica di una battaglia dura e aspra, contro l‘indifferenza, spesso l‘arroganza di molti psichiatri, contro l‘ottusità della burocrazia, contro il cinismo e la mancanza di sensibilità di molti impiegati delle strutture sanitarie. Ma è soprattutto il racconto vero, forte, a tratti spietato, di un rapporto difficile, quello di una figlia con il proprio padre malato: una storia di corse affannose e di sveglie notturne, di ricoveri e violenze, di risentimenti e ostilità, la storia di un amore intenso a tal punto da trasformarsi a volte in odio.