martedì 12 aprile 2005

12 aprile 1961
il primo uomo nello spazio

oggi ricorre il 44º anniversario del primo volo dell'uomo nello spazio

Yurij Alekseevic Gagarin


nell'aprile del 1961 da bordo della Vostok disse per radio:


«Non vedo alcun dio quà fuori»


poi
al suo ritorno sulla terra, il 12 giugno, confermò:

«Sono stato lassù e non ho trovato nulla.
Nulla: non c'è dio nel cielo, né angeli, né marziani. Noi siamo soli»
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Pietro Ingrao a Lenola

Latina Oggi 10.4.05
Due ore a lezione con Pietro Ingrao e gli alunni del “da Vinci”
La storia spiegata ai bambini
“Spero che cresciate con la libertà della discussione”
Licia Pastore


LENOLA - «NON sottovalutiamo i sogni, perché in essi gli uomini possono sentirsi liberi», il volto di Pietro Ingrao accanto a Carmelo Palella, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo «da Vinci» non nasconde l’emozione. I bambini delle classi quinte hanno composto delle riflessioni e hanno anche deciso di festeggiare a scuola il 90esimo compleanno di Ingrao, arrivato in paese con la figlia Chiara e la sorella Giulia. «Sembra tranquillo - dice il dirigente scolastico - cammina piano, ma pensa a ritmi incredibili». I bambini applaudono. È proprio lui, Ingrao, a rompere il ghiaccio. Nella sala c’è attenzione e riverenza. «Allora... sò che volete farmi tante domande - dice - io cercherò di rispondere senza fare errori, ma prima vorrei fare io qualche domanda. I maestri sono buoni? Vi danno da fare tanti compiti?» Basta questo, l’atmosfera si fa diversa e i bambini sorridono. Si parte da «Le condizioni sociali ed economiche di Lenola dal 1920 al 1930». I bambini insieme alle insegnanti hanno studiato durante la settimana le attività economiche del paese. «Ma io voglio capire come la pensate - aggiunge Ingrao - e che effetto vi fa questo vecchione». Sul portone di casa Ingrao c’è una spada e una croce, simbolo di chi combatteva per l’unità d’Italia. I bambini conoscono bene la storia della famiglia e fanno tantissime domande sulla condizione dei contadini e sull’infanzia di Ingrao. Lungo la strada che porta verso la casa dove è nato Pietro, ci sono cinque pini. Fu il padre a decidere di piantarne uno ad ogni nascita di figlio. E Pietro Ingrao non delude i bambini. Soddisfa ogni curiosità raccontando le condizioni di vita dei poveri contadini e il peso delle differenze sociali. «Fin da piccolo cercai di capire le ragioni di quelle differenze - dice - gli uomini nascono tutti uguali. E poi?» Le parole vanno veloci e due ore di lezione sembrano poche. «Spero che possiate crescere con la libertà della discussione». Ingrao parla di quell’idea che va oltre la politica, quell’idea di umano, quell’«indicibile che c’è dentro ogni uomo».
«Ho avuto una vita presa dalla politica e dall’attività razionale e collettiva per cambiare l’esistente intorno a me e questo mi ha preso moltissimo. Tuttavia io ho delle passioni e delle esperienze non definite, non chiare che alludono ad emozioni imprecisate, indefinite. So che questo mio lato oscuro non può dirsi nelle parole di ogni giorno e di uso pratico, ma allude ad altro che forse solo la musica può esprimere. È dunque un incerto e un fluttuante che non si può dire in prosa e con linguaggio comune». Intorno è tutto un applauso, un coro «Pietro....Pietro».

depressione giovanile

Gazzetta del Sud 12.4.05
A lanciare l'allarme è il presidente della Commissione bicamerale per l'infanzia
Ottocentomila ragazzi depressi in Italia
Loredana Genovese

ROMA – Ci sono almeno ottocentomila ragazzi depressi in Italia, ma è un numero in difetto: una situazione che impone l'attivazione di una rete complessiva che riguardi le strutture sociali e la scuola e che intervenga con un approccio multidisciplinare. Lo afferma il presidente della Commissione bicamerale per l'infanzia, Maria Burani Procaccini. Per Burani, «il dato delle statistiche, nella forbice fra i 15 e i 25 anni, comprende anche disturbi d'ansia e comportamentali, sintomi prodromici di patologie di personalità – sempre più diffuse – e, in misura minore, anche soggetti a rischio psicosi». La parlamentare evidenzia come «siano compresenti , come comordbidità, disturbi di dipendenza da alcool o droga» e sottolinea l'esempio positivo e modello di riferimento dell'esperienza dell'Ospedale Niguarda, «che attraverso i suoi servizi ha monitorato i soggetti a rischio per due anni, riuscendo a prevenire la conclamazione di patologie devastanti». I disturbi che crescono fra i giovani, ha poi aggiunto Burani, sono soprattutto quelli di personalità: il disturbo borderline e quello narcisistico più di tutti. «La sintomatologia complessa di questi disturbi – ha detto ancora la presidente della Commissione bicamerale – e la scarsa compliance di chi ne soffre, paventano quadri marcati che spesso favoriscono l'uso di sostanze». Burani ricorda come «sia necessario saldare il rapporto fra scuola e istituzioni mediche: spesso sintomi anche considerevoli vengono sottaciuti o scambiati per crisi passeggere». I pediatri, ovviamente, sono in prima linea per riconoscere la depressione fra i bambini e gli adolescenti ma lo devono essere anche i genitori. Tocca a loro infatti, spiega la Società italiana di pediatria (Sip), aprire bene gli occhi e cogliere i primi segni. Ma come fare a distinguere nell'adolescente la depressione vera da uno stato d'animo semplicemente malinconico o triste? Il campanello d'allarme, secondo la Società italiana di psichiatria (Sopsi), deve suonare, quando il ragazzo interrompe all'improvviso i suoi comportamenti normali: se a un certo punto il suo rendimento scolastico crolla, si allontana dagli amici, si chiude sempre più in se stesso e mostra disinteresse per ciò che prima lo appassionava. Tutti sintomi che devono spingere i genitori a preoccuparsi. Altro segnale è il perdurare di questi comportamenti. Per aiutare i genitori a capire questi segnali la società italiana di pediatri, ha annunciato il suo presidente Giuseppe Saggese, sta mettendo a punto una campagna informativa. È raro, infatti, sostiene Saggese, che un adolescente ammetta, anche con se stesso, di essere depresso. E così genitori e insegnanti non devono commettere l'errore di trascurare o minimizzare atteggiamenti dei loro figli o dei loro alunni che evidenzino cambiamenti repentini e apparentemente non giustificati non solo di umore, ma anche di abitudini, comportamenti, amicizie.

un caso
madri e figlie

Corriere della Sera 12.4.05
Ha scoperto la gravidanza al quinto mese, il feto ha malformazioni: riconosciuti i «gravi rischi psico-fisici»
Minorenne vuole abortire, la scelta ai medici
Milano, la madre della ragazza si oppone. Il pm: se è urgente l’ospedale può intervenire subito

MILANO - La telefonata disperata di una diciassettenne in lacrime ha posto la Procura di fronte a un dilemma morale e giuridico: entro che limiti una madre fermamente contraria all’aborto può vietare alla figlia minorenne di esercitare il diritto, riconosciuto dalla legge, di chiedere l’interruzione volontaria della gravidanza? A quali condizioni il consenso negato dai genitori può essere sostituito dall’autorizzazione dei giudici o degli stessi medici curanti? Queste e altre particolarità del caso hanno spinto ieri i ginecologi della Mangiagalli, la clinica pubblica con il più grande polo di maternità e ostetricia di Milano, a investire della questione i magistrati della Procura. La pm di turno (una donna) ha girato l’interrogativo ai più esperti colleghi del «pool famiglia», che hanno rinviato la decisione agli stessi medici: saranno quindi i ginecologi della Mangiagalli a stabilire, probabilmente oggi stesso, se (e quando) la diciassettenne potrà abortire nonostante l’opposizione della madre.
L’intervento della Procura è stato sollecitato ieri pomeriggio con una serie di telefonate drammatiche. Prima una ginecologa della Mangiagalli e poi la stessa minorenne, che «continuava a piangere», hanno descritto alla pm una situazione che almeno a Milano ha pochi precedenti. La diciassettenne ha scoperto tardi di essere rimasta incinta ed è ormai al quinto mese di gravidanza. I test sanitari confermano che il feto ha «malformazioni gravissime». Dato che la ragazza ha meno di 18 anni, la sua richiesta di interruzione della gravidanza dovrebbe essere sostenuta dall’«assenso di chi esercita la potestà», che in questo caso è soltanto la madre. La signora però si è dichiarata assolutamente contraria a qualsiasi ipotesi di aborto, anche se «terapeutico» come nella situazione accertata dai medici. La madre è tanto contraria che non ha nemmeno accompagnato la figlia in ospedale, dove la minorenne è arrivata da sola, con i mezzi pubblici, «in uno stato di vera disperazione».
La disciplina dell’interruzione volontaria della gravidanza, sancita dalla storica legge 194 del 1978, prevede espressamente il caso di un possibile contrasto tra la volontà dei genitori e quella di una figlia minorenne. La regola generale è che il verdetto finale spetta a un giudice tutelare, cioè a un apposito magistrato del tribunale civile, che decide «sentita la donna e tenuto conto della sua volontà», oltre che in base alla «relazione» tecnica trasmessa dai medici. Questa procedura ordinaria, però, dura almeno 12 giorni: 7 per l’istruttoria sanitaria, 5 per la decisione del giudice. Di qui l’interrogativo dei medici della Mangiagalli: se la situazione della minorenne è disperata, come in questo caso, è possibile accelerare i tempi? E chi può autorizzare l’aborto dopo il quinto mese se la madre è contraria?
La pm interpellata non si era mai sentita porre un quesito del genere e ha quindi chiesto consiglio ai magistrati specializzati del «pool famiglia». Questi hanno risposto che la stessa legge 194 regola già questa ipotesi: il terzo comma dell’articolo 12 prescrive infatti che l’aborto può essere eseguito «indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà e senza adire il giudice tutelare», cioè nonostante l’opposizione della madre e senza dover aspettare l’autorizzazione del tribunale, «qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di anni 18». Dunque sono gli stessi ginecologi a dover «certificare» che si tratta di un’emergenza, oltre ad «accertare» (come per tutte le interruzioni oltre il quinto mese) l’esistenza di «processi patologici», tra cui la legge inserisce proprio le «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro», che «determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».
La legge sulla privacy impedisce alle fonti mediche e giudiziarie non solo di rendere riconoscibile la minorenne, ma anche fornire dettagli clinici. L’unica certezza è che il feto è «gravemente malformato» e che le prime visite mediche hanno già verificato il «grave pericolo per la salute psico-fisica» della diciassettenne. La sua situazione familiare, inoltre, non sarebbe delle migliori: la ragazzina avrebbe informato la madre della gravidanza solo quando era diventato impossibile nasconderla. E soltanto negli ultimi giorni avrebbe saputo delle malformazioni: una scoperta che ha avuto «devastanti conseguenze psicologiche» sulla minorenne, aggravate dal no della madre anti-abortista. L’unica ad aiutarla, in famiglia, è la sorella maggiore, che si è dichiarata favorevole all’interruzione della gravidanza, ma il suo parere non conta. Ora tocca ai medici decidere se intervenire «d’urgenza» o se chiedere al giudice il consenso negato dalla madre.
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Pino Di Maula (dimaula@clorofilla.it )
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depressione in Gb

Adnkronos Salute Lunedì 11 Aprile 2005, 17:27
Depressione: In Gb è la prima causa di assenza dal lavoro

Depressione, ansia e altri disturbi psichici stanno diventando la principale causa di assenza da lavoro. E superano persino gli acciacchi fisici come mal di schiena e altre malattie muscoloscheletriche. Lo sostengono i ricercatori del Weston Education Centre di Londra, in uno studio pubblicato sul British Medical Journal. Nel 2003, in Gran Bretagna, per problemi di salute sono state perse 176 milioni di giornate lavorative, oltre 10 milioni in piu' rispetto al 2002: per pagare la malattia si spendono ogni anno 13 miliardi di sterline. Ridurre queste cifre e' diventata una priorità per il governo. Se prima la causa principale erano le malattie muscoloscheletriche, negli ultimi dieci anni i disturbi mentali, depressione e ansia in testa, sono diventati sempre piu' comuni fra la popolazione. Dal 95 è raddoppiato il numero di persone vittime di stress causato o aggravato dal lavoro. E, in un circolo vizioso, questa è diventata la prima causa di assenze dall'ufficio. La situazione è aggravata dalla maglia nera del Regno Unito, dove gli specialisti in medicina del lavoro sono meno che nel resto d'Europa, uno ogni 43 mila dipendenti.

il libro di Chiara Ingrao

Gazzetta del Sud 12.4.05
Chiara Ingrao: «Soltanto una vita» La storia di una madre compagna di Pietro
Carlo De Biase

CHIARA INGRAO Soltanto una vita Baldini & Castoldi pagine 371 - euro 18,00

La vita di una donna, che è anche un pezzetto significativo della storia della sinistra italiana; la storia di una madre importante ripercorsa da una figlia con intelligenza letteraria e politica, rimettendo in fila articoli e lettere, pagine di diario e interviste, ricordi privati e istantanee pubbliche. Ecco «soltanto una vita», che Chiara Ingrao firma con (e insieme dedica a) sua madre Laura Lombardo Radice. Nata nel 1913 in una famiglia di pedagogisti innovativi alla vigilia della prima guerra mondiale, Laura Lombardo Radice maturò presto una coscienza antifascista e durante la guerra ebbe un ruolo di primo piano nella Resistenza. Fu allora che incontrò Pietro Ingrao, che divenne suo compagno di vita. Nel dopoguerra, Laura e Pietro si impegnano attivamente nel Pci: lui diventandone un dirigente di primo piano (fu anche presidente della Camera); lei si dedicò all'attività politica di base. Insegnante appassionata, negli anni '60 e '70 partecipò al movimento del '68. Negli anni '80, fu insegnante volontaria nel carcere romano di Rebibbia. Ebbe poi gravi problemi di salute. Morì nel 2003, tre giorni dopo l'inizio della guerra in Irak. Lasciava cinque figli, nove nipoti e due pronipoti. Fra i cinque figli, Chiara Ingrao è nata nel 1949. Di professione interprete, ha lavorato anche come sindacalista, programmista radio, parlamentare, consulente del ministro per le Pari opportunità. Impegnata nel femminismo sin dagli anni '70, e nel pacifismo degli anni '80. Ha scritto vari libri, ma questo (che non ha voluto scrivere del tutto) è il più personale, perché dedicato alla lunga vita intelligente della madre. A ogni capitolo Chiara antepone così un proprio «prologo», fatto di ricordi, di riflessioni, fitto di echi di altre voci: un dialogo postumo fra due generazioni di donne, che hanno tentato un percorso di libertà, per se stesse e per gli altri. I toni e i temi sono molteplici, come le esperienze di Laura. Ci sono i drammi: la carcerazione del fratello, la morte di Giaime Pintor, l'occupazione nazista. C'è l'ironia, e la tenerezza: nelle poesie e nelle lettere a Pietro, o buffe cronache di vita personale e familiare. C'è la passione umana, culturale e politica di un'insegnante che già negli anni '50 anticipava le idee del '68 e delle lotte di oggi, nel rapporto con gli studenti e con i contenuti del sapere. C'è, a più di settantanni, l'esperienza del volontariato in carcere: non assistenza compassionevole, ma sfida politica radicale alla logica della repressione dell'esclusione e della pena. E in tutto questo c'è pure l'identità comunista di Laura: dagli anni della cospirazione e della resistenza antifascista ai conflitti aspri degli anni '50; dal rapporto con il movimento studentesco e il femminismo alle riflessioni sul terrorismo e sulla pena di morte.

il 25 Aprile

L'Unità 12 Aprile 2005
«Il 25 aprile difendiamo la Costituzione antifascista»

ROMA Un appello a «tutti gli italiani che hanno a cuore le sorti della Repubblica» chiama a manifestare il 25 aprile per difendere la «Costituzione del ‘48, nata dalla Resistenza antifascista»: lo lanciano Giorgio Bocca, Alessandro Curzi, Raniero La Valle, Lidia Menapace, Giovanni Pesce, Massimo Rendina, Paolo Ricca, Rossana Rossanda, Paolo Sylos Labini, Carla Voltolina Pertini, Tullia Zevi. Suonano l’allarme per le riforme in attesa dell’approvazione definitiva, affermando che «una maggioranza estranea alla storia, ai valori e alla cultura della Resistenza ha sancito lo smantellamento definitivo dei beni pubblici repubblicani generati dalla lotta di Liberazione.
I sottoscrittori dell’appello sottolineao inoltre: «Il governo Berlusconi ha imposto, a colpi di maggioranza, una riscrittura eversiva della seconda parte della Carta», che compromette l’equilibrio tra i poteri costituzionali posto dai Padri costituenti a salvaguardia della vita democratica della Repubblica». Questa «riscrittura cancella l’ordinamento democratico-parlamentare per lasciare spazio al «governo personale di un capo politico», e sacrifica l’unità nazionale «alle pulsioni dissolutrici di un nuovo fascismo padano». «Di fronte a un tornante di tale gravità, tacere o minimizzare sarebbe una imperdonabile colpa», prosegue l’appello, che invoca un «forte sussulto di tutte le culture democratiche del nostro paese» ed esorta «tutti gli italiani che hanno a cuore le sorti della Repubblica, già in passato minacciate da oscure trame, a mobilitarsi in occasione del prossimo 25 aprile, e poi ogni 25 aprile, una volta sventata questa minaccia, trasformando la celebrazione dell’anniversario della Liberazione in una manifestazione nazionale in difesa dei valori e dei principi inscritti nell’unica vera Costituzione della Repubblica: quella del 1948, nata dalla Resistenza antifascista».
E in difesa della Carta del ‘48 è intervenuto il sindaco di Roma, Walter Veltroni: «Mi auguro che tutti abbiano maggiore saggezza e che si rendano conto che non si può cambiare il cuore della Costituzione del nostro paese in un clima di scontro e sotto una forza politica che minaccia una crisi di governo», ha precisato il primo cittadino della capitale intervenendo al XV congresso della Cisl di Roma e del Lazio. «Non si cambia così la Costituzione - ha ribadito Veltroni - perchè la Costituzione è costata sangue e lo dico in prossimità del 25 aprile, 60/mo anniversario della Liberazione. La Costituzione - ha sottolineato si può cambiare solo nel caso in cui ci sia convergenza tra le forze politiche, i sindacati e gli enti locali. Altrimenti - ha concluso il sindaco - si rischia di avere un paese barocco e diviso in mille livelli istituzionali».

sinistra
non funziona la Camera di consultazione

Corriere della Sera 12.4.05
Listone a sinistra, lite Bertinotti-Diliberto
Asor Rosa: potremmo chiudere la baracca

ROMA - «La tentazione di chiudere baracca e burattini, c’è». E’ deluso, Alberto Asor Rosa. Il sogno di un listone della sinistra radicale è sfumato ieri dopo una discussione appassionata e lacerante. Da una parte il professore con Oliviero Diliberto, «Pancho» Pardi, Paul Ginsborg e Achille Occhetto, dall’altra Fausto Bertinotti. Alle dieci Asor Rosa, coordinatore della Camera di consultazione della sinistra progettata dal manifesto con Pdci, Verdi, Prc e movimenti, legge la Dichiarazione d’intenti: omogeneizzazione di tutte le forze autenticamente di sinistra, programma unitario e accelerazione della Camera di consultazione. Ma all’ora di pranzo Bertinotti boccia la costruzione del nuovo soggetto. E alle tre il professore, un tempo ascoltato consigliere di Botteghe Oscure, prende atto della spaccatura: «Non vorrei che la Camera diventasse uno stanzino». Con Prodi che vuol inglobare nell’Ulivone comunisti e verdi, il Prc ritiene «antistorico» il progetto dell’unità a sinistra e il martello dialettico di Bertinotti colpisce duro. Alle tentazioni neocentriste del dopo-Berlusconi non si risponde con un «esercizio politicista», ma con una nuova cultura politica: «La federazione? È una delle cose più ferocemente vecchie». Il percorso di Bertinotti comincia dai movimenti e poi c’è che la compagnia non lo convince: «Sulla non violenza io ho fatto un congresso. Posso collaborare con chi alza un cartello "Viva la resistenza irachena", ma unirmi, proprio no». Diliberto incassa, poi rilancia: «Si va avanti e chi ci sta, ci sta». I Verdi non ci stanno e Asor Rosa, che il 15 gennaio una straripante Fiera di Roma incoronava erede di Nanni Moretti, si prende una pausa: fino all’assemblea del 25 giugno.

il ballottaggio a Venezia
ecco chi è il filosofo Cacciari

L'Unità 12 Aprile 2005
Cacciari punta ai voti del centrodestra
Il filosofo offre un confronto programmatico a Fi e Udc. Ed è subito polemica
Michele Sartori

DALL'INVIATO VENEZIA Fichissimo, questo ballottaggio. «Casson è la foglia di fico della veteronomenklatura», accusa Cacciari. «Cacciari è la foglia di fico del centrodestra», controaccusa l'ormai ex amico del filosofo, il verde Gianfranco Bettin. La prima imputazione è datata: risale a prima del voto. L'altra è recentissima. Che ha fatto Cacciari per meritarsela? Semplice: pur avendo escluso apparentamenti, domenica ha rivolto un appello ai vertici di Forza Italia e Udc: «Voglio ringraziare chi intende aprire con me un serio confronto programmatico…». Insomma, lo votino: lui garantirà «la più forte discontinuità con i metodi ed i contenuti della amministrazione precedente». Magari anche qualcosa di più: «il più corretto metodo di partecipazione e concertazione» nella ricostruzione della macchina comunale.
Ma come: è lo stesso Cacciari che martedì, dopo il primo scrutinio, dichiarava «non cerco i voti del centrodestra ma dei cittadini che hanno a cuore Venezia?». Che aggiungeva: «Adesso non è più questione di partiti. Ci sono due persone, due progetti e la gente che sceglie»? Proprio lui. Ma deve essersi accorto che per rimontare un distacco di ventitremila voti da Casson non bastano appelli generici, e neanche il sostegno già dichiarato da tante liste di candidati minori esclusi dal ballottaggio. Serve assolutamente il voto di buona parte di Forza Italia ed Udc, e quello è un elettorato che non torna alle urne senza un intervento organizzato dei partiti di riferimento.
Così Venezia torna, a questo punto sì, a farsi laboratorio politico di una possibilità che si delinea: cosa accadrebbe se il centro dei due poli si ricomponesse? Ipotesi che, nel centrodestra, è parzialmente caldeggiata: Cacciari non ha fatto altro che rispondere a «richieste di segnali» provenienti da quell'area. Vediamo com'è la situazione. An, col candidato Raffaele Speranzon, è stata la prima a scegliere, senza contropartite: «Bisogna tornare a votare al ballottaggio, e non votare Casson». Subito dopo, l'Udc dell'ex sindaco Ugo Bergamo: ha chiesto a Cacciari l'apparentamento, poi almeno «un segnale»: arrivato con la dichiarazione di domenica. Infine Forza Italia, più combattuta internamente. L'on. Cesare Campa, candidato sindaco superato da Cacciari, non nasconde la voglia di ricavare qualcosa dal suo robusto pacchetto di voti: «Uno dei due candidati è più vicino al centro… Se ci fosse un'apertura…». Renato Brunetta, il veneziano consigliere di Berlusconi, è sulla stessa linea: «Sono pronto a votare Cacciari, con determinate garanzie…». Renato Boraso, il consigliere più votato dai veneziani, ha meno dubbi ancora: «Voto Cacciari e farò di tutto per convincere Forza Italia a votarlo». E così Luca Rizzi, che in graduatoria lo segue a ruota: «Facciamo di Venezia il laboratorio del neocentrismo».
C'è però, fra gli azzurri, anche un consistente nucleo avverso: a cominciare dalla pragmatica pattuglia di candidati-consiglieri del centrodestra che possono sperare nell'elezione solo se vince Casson. E bisogna aggiungere anche gli azzurri che fanno capo alla componente di Giancarlo Galan, il neo-riconfermato governatore del Veneto, ostile a tutto quanto sa di consociativismo. Galan è intervenuto ieri pomeriggio: «Il ballottaggio è questione tutta interna alla sinistra, non riguarda i cittadini elettori di centrodestra. Domenica prossima a Venezia non accade nulla che ci possa interessare». L'on. Campa dissente ironico: «Non capisco perché il presidente intervenga ora su Venezia: non se ne era mai occupato, prima…».
Così comunque si è ormai avviato Cacciari verso il ballottaggio. Col suo 23%, con quel che nascerà dalle trattative col centrodestra; e naturalmente con il consueto blocco di diessini dissenzienti che lo sostengono, guidati dall'on. Michele Vianello. Un risultato lo hanno già messo a segno: chiunque vinca, metà gruppo Ds sarà «cacciariano», se poi Cacciari ce la facesse, Vianello sarebbe vicesindaco. Ci stanno ancora, anche dopo l'apertura a destra? «Certo», dice Michele Vianello: «Se Cacciari si fosse apparentato, io non sarei più con lui. Ma non lo ha fatto. E non mi pare che adesso stia dicendo chissà che. Ha solo chiesto al centrodestra di discutere assieme sulle grandi questioni di Venezia: è normale, avviene ovunque».
«Vianello è sleale, e fa un danno al partito», ribatte la segretaria diessina Delia Murer: «Ma è possibile che mentre tutta Italia cambia e va verso il centrosinistra, proprio Venezia debba prendere la strada opposta?». E sulle «aperture» di Cacciari: «E' il candidato di Margherita-Udeur, chiede i voti al centrodestra, si proclama unico candidato del centrosinistra: c'è qualcosa che non quadra… Ed a questo punto, su che programmi si presenta, Cacciari? Sul suo, “contro” il Mose? Su quello del suo vice Alessio Vianello, più possibilista? Su quello di Forza Italia, che il Mose lo vuole?».
C'è una persona apparentemente restia al giudizio: Felice Casson. Sulle «aperture» a destra del rivale non ha aperto bocca. Perché? «Oh, sono superiore a queste cose. È talmente chiaro… non volevo scendere a quei livelli». Ma dovendoci scendere? «Cacciari deve mettersi d'accordo con se stesso. Con che programma si presenta: il suo? Quello della Margherita? Dell'Udeur? Di Forza Italia? Dell'Udc? È del tutto inaffidabile». Cacciari non replica. È impegnatissimo in una due-giorni di incontri «riservati». Oggi ha diramato un solo appello, all'elettorato femminile: «Mi rivolgo a voi, donne veneziane…»

curiosità biografiche
Freud: "eccellente" in religione cattolica, un po' meno in scienze

Alto Adige 12.4.05
La pagella di Sigmund Freud

VIENNA. La pagella dell’esame di maturità di Sigmund Freud è stata consegnata ieri a Vienna dal preside dell’ex liceo del padre della psicoanalisi all’archivio di Stato austriaco. Freud, il cui 150/mo anniversario della nascità sarà festeggiato nel 2006, aveva superato l’esame di maturità a pieni voti nel luglio del 1873 nel ginnasio Leopoldstadt, nell’omonimo quartiere, all’epoca abitato soprattutto da ebrei. Questa la pagella: “Condotta morale: esemplare; religione: eccellente; lingua latina: eccellente; lingua greca: eccellente; lingua tedesca: ottimo; storia e geografia: eccellente; fisica: eccellente; scienze della natura: lodevole; matematica: eccellente; propedeutica: eccellente”.

monoteismi violenti

Avvenire 12.4.05
Lucetta Scaraffia

Durante il programma «Otto e mezzo» di venerdì sera, nella discussione nessuno ha risposto a un'affermazione categorica dei due filosofi invitati, Giulio Giorello ed Emanuele Severino. Entrambi infatti hanno definito le religioni violente e, in particolare, Giorello ha accusato i monoteismi di essere fonte di conflitti, citando come prova le guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa in età moderna. La loro non è una posizione isolata - come potrebbe pensare chiunque abbia una minima infarinatura storica -, ma si trova anzi condivisa anche in sede internazionale, come dimostrano molte affermazioni in questo stesso senso delle Nazioni Unite o, ancora più spesso, del Parlamento europeo.
(...)

Cina e India, disgelo
si profila l'accordo fra i due più promettenti sistemi economici del pianeta

Il Presidente cinese da oggi in India

La Cina
Con un miliardo e 300 milioni di abitanti, la Cina è il Paese più popoloso del mondo. Il prodotto interno lordo è di 1.300 miliardi di dollari. Il pil pro capite è di mille dollari annui
Il Giappone
Gli abitanti del Giappone sono 127 milioni. Il pil lordo è di 5 mila miliardi di dollari. Il pil pro capite arriva a 33 mila dollari annui
L’India
L’India, secondo Paese più popoloso del mondo con il suo miliardo di abitanti, ha un pil di 650 miliardi di dollari. Il pil pro capite annuo è di 600 dollari

L'Unità 12 Aprile 2005
disgelo
Accordo sui confini fra India e Cina

Pechino sosterrà New Delhi all’Onu

NEW DELHI Il primo ministro indiano Manmohan Singh e il suo omologo cinese, Wen Jiabao, hanno raggiunto ieri a New Delhi uno storico accordo per regolare le questioni in sospeso da decenni sui rispettivi confini. Nel 1962, la comune rivendicazione di alcune parti del Kashmir portò gli eserciti dei due paesi a scontrarsi. Nel 1975 l'India annesse di fatto il Sikkim, fra Nepal e Bhutan. La Cina non ha mai riconosciuto l’annessione, ed ha anzi continuato a rivendicare la propria sovranità anche sull’Arunchal Pradesh, nell'India nordorientale. Le intese di ieri non risolvono completamente le dispute aperte su tutti quei territori, ma rappresentano una sorta di accordo preliminare in vista di una definitiva sistemazione. Manmohan Singh e Wen Jiabao si sono trovati d'accordo nel ribadire le differenze fra i due Paesi, ma soprattutto sulla necessità di evitare che esse possano avere effetti negativi sull'evoluzione dei rapporti sino-indiani.
Testimonianza di questo cambiamento, la decisione cinese di appoggiare la richiesta dell'India di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: «Dal nostro punto di vista è importante che la Cina guardi con favore al fatto che l'India ottenga un seggio permanente alle Nazioni Unite», ha dichiarato il ministro degli Esteri indiano Shyam Saran.
Manmohan Singh e Wen Jiabao hanno firmato un documento che consta di undici punti principali e che, in particolare, prevede la possibilità di un riaggiustamento futuro dei confini senza tuttavia pregiudicare le condizioni di vita, le usanze, le tradizioni delle popolazioni abitanti in quei luoghi. La risistemazione dei confini dovrà tener conto delle nuove realtà geografiche. Singh e Wen hanno, poi, anche firmato altri accordi per evitare intrusioni militari nei rispettivi Stati e per garantire il mantenimento della pace.

Corriere della Sera 12.4.05
Il gran gioco di Pechino:
linea dura con Tokio e nuovo asse con l’India

Manifestazioni anti-giapponesi in Cina.
Koizumi protesta Risolto con New Delhi il contenzioso su 3.500 km di confine
Fabio Cavalera

PECHINO - Da un lato la politica del sorriso, delle strette di mano fra Cina e India, degli accordi che chiudono l'epoca della incomunicabilità. Dall'altro le tensioni che esplodono fra Cina e Giappone, pilastri della globalizzazione e degli equilibri internazionali.
Sono giorni delicati per gli assetti geopolitici dell'Asia e per i rapporti fra i giganti del Continente. Al centro del complesso mosaico, comunque lo si prenda, c'è in queste ore la Cina che sta affrontando contemporaneamente e sta tenendo il pallino del comando in due fronti dal contenuto contrapposto, ma che ha per oggetto finale la leadership nel Continente e in esso il ridimensionamento degli Stati Uniti. La Cina si presenta - e lo dimostrano gli accordi con l'India e il suo aiuto alle regioni colpite dallo tsunami - in un’ottica multilaterale come nuovo punto di riferimento economico e diplomatico della regione.
Ormai da mesi protagonista di una offensiva diplomatica in tutta l'area del Pacifico, compresa la sponda sudamericana, Pechino ha chiuso il contenzioso con l'India riguardante 3.500 chilometri di confine, un contenzioso che all'inizio degli anni Sessanta aveva provocato un brevissimo confronto militare. Qualche mese fa, aveva compiuto la stessa mossa con Mosca, regolando le questioni sul versante Nord. Il premier Wen Jiabao, in visita ufficiale, ha portato con sé la bozza di un accordo in undici punti e una mappa geografica che definitivamente riconosce la sovranità di New Delhi sul Sikkim, regione centro-orientale della catena dell'Himalaya, dal 1975 ventiduesimo Stato dell'Unione Indiana e sempre conteso da Pechino. Di pari passo ha posto le basi per una cooperazione che dovrebbe alzare il livello degli scambi dai tre miliardi di dollari attuali ai 30 miliardi di dollari nel 2010. E così consolidare un asse economicamente sinergico e fortissimo.
Con una regia perfetta, con in tasca i risultati storicamente pesanti degli incontri bilaterali in corso di svolgimento nell'Asia occidentale, Pechino ha deciso di spostare le sue pedine sull'area politico-diplomatica dell'Asia orientale. Da mesi le relazioni con il Giappone sono difficili. Ora sono al punto di massima frizione. Tanto che fra gli stessi osservatori del Celeste Impero c'è chi ricorda un proverbio: «Basta una scintilla per incendiare la prateria».
Formalmente la scintilla, che ha acceso i risentimenti nazionalisti, è stata la pubblicazione in Giappone di alcuni libri, nei quali viene sottaciuto e deformato il periodo dell’occupazione delle truppe imperiali di Tokio in Cina e i massacri da esse compiuti. Migliaia di studenti cinesi hanno manifestato in corteo in diverse città. Striscioni e vie bloccate. Sassi e bottiglie contro l'Ambasciata giapponese a Pechino. E a ciò si aggiungono iniziative di boicottaggio di prodotti giapponesi e una petizione (no al Giappone nel Consiglio di Sicurezza Onu) che via Internet è stata sottoscritta da 30 milioni di cinesi. Dura la reazione del premier Koizumi: «Non bisogna permettere che queste cose accadano. La Cina è responsabile dell’incolumità dei giapponesi che vi lavorano. Chiedo a Pechino che faccia tutto il possibile per evitare che si ripetano simili violenze».
Non accadeva dal 1989 - salvo le manifestazioni antiamericane dopo il bombardamento della rappresentanza cinese a Belgrado durante la guerra in Serbia - che i giovani si impadronissero di alcune strade centrali nella capitale. Il viale che da Est porta a Tiananmen sabato è stato attraversato da ragazzi di scuole e università senza che intervenisse la polizia. Anzi. Allora, nel giugno ’89, il regime aveva represso con il sangue. Oggi il quadro è ben diverso. Lì era la richiesta, intollerabile, di una apertura democratica. Una crisi interna. Adesso l'obiettivo è strumentale alla politica estera del governo. Il regime tollera e osserva. Forse le agitazioni hanno assunto forme tali da mettere in qualche imbarazzo Pechino. Ma resta la considerazione che queste proteste rappresentino per Pechino una carta di pressione in più per opporsi all'ingresso del Giappone come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu. E al tempo stesso un'arma per impedire il rafforzamento non solo di un vicino potente, ma anche del suo principale alleato, gli Stati Uniti.
La Cina si è abilmente posta al centro del puzzle politico diplomatico che investe l'Asia. Capace di mantenere ben distinte le relazioni commerciali ed economiche e le relazioni politiche. Apparirà come un paradosso, ma nella complessità è invece un elemento che impone una riflessione: con il Giappone i rapporti diplomatici sono oggi tesissimi, ma osservando i dati degli scambi commerciali fra i due Paesi si rilevano numeri straordinari. Nel 2004 e nei primi mesi del 2005 il primo partner del Giappone (più del 20 per cento dell'import-export) è stata la Cina. Che ha superato gli Stati Uniti. Fermi al 18 per cento.

Corriere della Sera 12.4.05
«Ma l’obiettivo dei cinesi è il Consiglio di Sicurezza»
Pechino è contraria a dare a Tokio un seggio permanente nell’organismo di governo mondiale.
Ci sono anche preoccupazioni mercantili. Ma è una ragione secondaria

D. Ta.

NEW YORK - Alla radice delle manifestazioni anti-giapponesi in Cina non ci sono certo i libri di testo di Tokio, sostiene Richard Samuels, direttore del Center for International Studies del Mit di Boston, grande esperto di Asia dell'Est, autore nel 2003 di un libro che confronta politica giapponese e politica italiana, Machiavelli's Children. E difficilmente, aggiunge, si tratta di cortei spontanei, viste le dimensioni. «Come minimo c'è un tacito appoggio ufficiale» dice.
Professor Samuels, la Cina alza la tensione con il Giappone e in parallelo migliora i rapporti con l'India. Cosa ci legge?
«L'accordo tra Pechino e New Delhi va certamente salutato positivamente. Per i cinesi è positivo risolvere una disputa di confini che va avanti da anni: allevia le tensioni su un fronte. Anche tra Cina e Giappone ci sono dispute di confine, ma mi pare più difficile che vengano risolte a breve. Però non vedrei una relazione diretta tra i due eventi».
Cosa sta alla radice dei cortei anti-giapponesi?
«Pechino è contraria a dare a Tokio un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. La parte cinica di me mi fa pensare che i dirigenti cinesi mandino avanti i dimostranti per poi dire che la Cina è un Paese che ascolta le proteste popolari e non può che dire no al Giappone».
Unica ragione?
«Potrebbero esserci preoccupazioni mercantili: i manifestanti invitano a boicottare i prodotti giapponesi. Ma è una ragione secondaria».
Negli Usa c'è molta preoccupazione per il riarmo cinese e per la situazione di Taiwan. Nessuna relazione?
«Indiretta. Stati Uniti e Giappone hanno detto, assieme, la settimana scorsa, di avere preoccupazioni strategiche su Taiwan. E' la prima volta che usano il termine strategiche e questo ha irritato Pechino. Che dunque è ben contenta delle manifestazioni anti-giapponesi».
Le tensioni influiranno sulle trattative con la Corea del Nord?
«Non credo, non vedo connessioni. Sia la Cina che il Giappone hanno interesse a pacificare la Penisola coreana: esattamente allo stesso modo. Non siamo di fronte a una svolta da parte di Pechino, è che di tanto in tanto le relazioni tra i due Paesi si scaldano: i cinesi si irritano per la rigidità giapponese e i giapponesi si irritano perché Pechino li mette sotto pressione».

Repubblica 12.4.05
India e Cina il patto degli ex giganti poveri
Intesa tra i premier per comporre la disputa di confine sull'Himalaya e rilanciare i rapporti politici ed economici. Pechino sosterrà Nuova Delhi per un seggio all'Onu
India-Cina, nasce il nuovo asse accordo per sfidare il mondo
Federico Rampini
una segnalazione di Melina Sutton

PECHINO. È l'abbraccio tra il dragone e l'elefante, simboli dei due paesi che stanno cambiando la faccia del mondo. Ancora pochi anni fa il vertice di Nuova Delhi tra il premier cinese Wen e l'indiano Singh sarebbe stato il summit dei giganti poveri. Ieri i due leader si sono definiti "partner strategici" e guidano il nuovo asse geoeconomico che diventa il centro del pianeta. Sono da un decennio i due paesi vincenti per la crescita del Pil (+9% annuo la Cina, +8% l´India), insieme fanno il 40% della popolazione mondiale. Per questa combinazione tra dinamismo economico e peso demografico, esercitano una pressione drammatica su tutte le risorse del pianeta: consumano di tutto di più, dal petrolio all'aria che respiriamo.
La locomotiva industriale cinese procede nell'invasione dei mercati mondiali: +60% le esportazioni del "made in China" in Italia negli ultimi due mesi, +44% in Germania, +37% in America. L'India sta conquistando un predominio in settori ad alto contenuto intellettuale, nel software informatico, nella biogenetica, perfino nella delocalizzazione della medicina ospedaliera dai paesi ricchi. C'è una complementarietà tra i due paesi che ha fatto nascere il neologismo "Cindia", per designare il nuovo macro-sistema.
Per rendere omaggio alla specializzazione hi-tech dei suoi vicini, Wen Jiabao ha cominciato la visita non dalla capitale politica New Delhi, ma dalla Silicon Valley dell´India, Bangalore. Da lì il premier cinese ha lanciato uno slogan che non molto tempo fa sarebbe sembrato velleitario: «Insieme possiamo fare del XXI secolo l'èra della leadership tecnologica asiatica». Di recente il fondatore della Microsoft Bill Gates, parlando davanti ai governatori degli Stati Usa, ha detto: «Sono terrificato per la nostra forza lavoro di domani. Nella competizione internazionale per avere il maggior numero di lavoratori nelle industrie della conoscenza, l'America perde terreno mentre avanzano Cina e India». Banche d'affari angloamericane e venture capitalist in cerca di opportunità di investimento, tutti ormai ragionano su uno scenario in cui la crescita futura verrà esclusivamente da un nuovo club di paesi: i "Bric", cioè India e Cina più Brasile e Russia. L'India cerca di riformarsi per diventare meno protezionista, meno burocratica, più deregolata, e il suo modello neoliberista lo trova a Pechino. L'esperimento di "zone franche" che il premier Manmohan Singh vuole varare ricorda la prima apertura cinese al capitalismo, un quarto di secolo fa sotto Deng Xiaoping.
Il vertice di ieri a Nuova Delhi non è stato solo il simbolo di una nuova èra per l'economia globale ma anche una svolta politica. Per decenni i rapporti bilaterali sono stati tormentati. Nel 1962 la Cina attaccò l'India, invase il suo territorio e la sconfisse in poco tempo. Quella breve guerra combattuta per il controllo di zone dell'Himalaya ha lasciato in eredità un contenzioso sul confine tra i due paesi, lungo 3.500 km che spaziano dal Kashmir a ovest fino alla Birmania a est. In tempi molto più recenti, i test nucleari indiani del maggio 1998 crearono una forte tensione quando Nuova Delhi fece sapere esplicitamente che il suo rafforzamento atomico non era diretto solo contro il Pakistan ma anche contro una minaccia cinese. Nella lista dei dispetti incrociati figurano l'amicizia tra Cina e Pakistan, e il sostegno indiano al Dalai Lama, il leader religioso tibetano in esilio.
Ieri a Nuova Delhi, Singh e Wen hanno voltato pagina: i due premier hanno firmato un accordo su una "roadmap" che traccia il metodo per risolvere il contenzioso territoriale. Un segno forte di amicizia è stato l'annuncio da parte di Wen che la Cina sosterrà la candidatura indiana per un seggio permanente al Consiglio di sicurezza Onu (anche in chiave anti-giapponese). Un gesto che ha una portata economica concreta ma anche un significato politico: è l'avvio da parte cinese dei lavori per ricostruire la celebre "Stilwell Road" che dalla città di Kunming (Yunnan) arriva al confine indiano passando dalla Birmania. È una strada importante per migliorare le infrastrutture che collegano i due paesi. Ha una valenza politica particolare, perché fu fatta costruire dal generale americano Jospeh Stilwell nel 1942 per collegare le forze alleate impegnate su due fronti contro i giapponesi; cadde in rovina via via che le relazioni fra India e Cina si deterioravano.
Oggi Pechino e Nuova Delhi continuano ad avere alcune divergenze. La più importante riguarda il rapporto con gli Stati Uniti, che si "curano" l'alleato indiano proprio per contenere un'influenza cinese in espansione in tutta l'Asia. Ma su terreni chiave come i negoziati commerciali in seno al Wto, India e Cina hanno formato un'alleanza insieme con Brasile e Messico, che ha sconfitto più volte gli interessi americani ed europei. E in quest'area del mondo non è sfuggito a nessuno il parallelo tra la recente tournée asiatica di Condoleezza Rice, e questo viaggio di Wen Jiabao che è andato a visitare le aree dello tsunami, poi Bangladesh, Pakistan e India. In Pakistan i cinesi stanno costruendo un grande porto (Gwadar) che consente alla loro flotta - oggi mercantile, domani forse militare - di affacciarsi sullo stretto di Hormuz, da dove transita il 40% del petrolio mondiale.
Il culmine di questa tournée asiatica di Wen resta Bangalore. In una sola città, il premier cinese ha potuto visitare le sedi di Infosys e Tata Services, due multinazionali indiane che sono ormai dei colossi mondiali del software, e a poca distanza le filiali indiane di Huawei e Haier, due grandi industrie cinesi delle telecomunicazioni e dell'elettronica di consumo. È un riassunto di quel miracolo asiatico che ha portato Cina e India a dimezzare in vent'anni la popolazione mondiale che vive sotto la soglia della povertà. Proprio il weekend scorso è partita per sempre dal porto cinese di Shiwan l'ultima nave Blue Dream che trasportava gli aiuti alimentari del programma Onu: da ora la Cina è uscita a tutti gli effetti dal mondo dei poveri. Secondo il rapporto "Mapping the Future" della Cia entro vent'anni la Cina sarà la seconda economia mondiale a ridosso degli Stati Uniti. Al terzo posto, sempre per l'intelligence americana, sarà già salita l'India.

Roberto De Simone e il tempo

Il Messaggero 11 Aprile 2005
Intervista
Roberto De Simone parla del teatro, della musica e della televisione E di quegli “eroi del nulla” che raccontano in diretta la finzione della realtà
«Questi sono i tempi del tempo perduto»
di RITA SALA

«MI considero un artista della vecchia scuola, uno di quelli che mette in scena le proprie opere. Forse, con questo mio lavoro, cerco di recuperare la nobile realtà teatrale, oggi divenuta eccessivamente televisiva, cerco binari più schietti e umili, un teatro di tutti e per tutti».
Roberto De Simone, musicista, regista, antropologo, legato ad eventi teatral-musicali ormai storici (uno per tutti, La gatta Cenerentola), tiene oggi a Tor Vergata una lectio doctoralis sul tema : “Il tempo nel teatro e in musica”. Solitario e aristocratico, il maestro attualmente lavora al Socrate immaginario di Paisiello, con il quale sta per debuttare al San Carlo di Napoli. Un paio di mesi fa, a Prato, ha allestito il suo Re Bello, su libretto di Siro Ferrone dall’omonimo racconto di Aldo Palazzeschi.
Il tempo. Un tema, maestro, che le è familiare, caro, una specie di amata ossessione...
«Sì, è vero. Ma per quanto io lo coltivi, il teatro in genere, al di fuori si me, sembra prescinderne. Per questo voglio parlarne ancora. E’ diventato un’urgenza, una delle cose da tener presenti sempre».
Come è mutato, il concetto di tempo, nel teatro attuale?
«Sono cambiati la rappresentazione e il suo svolgersi. Se prima esisteva la cosiddetta “convenzione teatrale”, cioè un tempo non reale, ma più vero del Vero, dentro il quale i valori, i sentimenti, le figure hanno una dimensione oggettiva, oggi tutto tende al reality show . Il tempo televisivo pretende essere la Realtà, invece è uno spazio mistificato e mistificabile in cui diventa spettacolo il succedersi di azioni e reazioni nella loro contingenza. La realtà, con la lettera minuscola, si trasforma in materia gastronomica per gli occhi e gli orecchi, senza alcun legame con le dimensioni universali del sentire umano».
I colpevoli di tale degenerazione?
«I media, naturalmente. Sono i mistificatori del tempo per eccellenza. Prendiamo un esempio ancora caldo: la morte del Pontefice. Il reality show è cominciato il Giovedì Santo, consumando la dipartita del Papa prima che avvenisse. E quando Giovanni Paolo II è spirato, i media non hanno fissato il Dolore nella sua naturalità e nell’eternità dei grandi sentimenti, ma si sono dedicati ad annegare nella confusione la miriade di reazioni registrabili nel mondo. Il compianto non è appartenuto alla universalità delle cose, alla Verità. Si è trasformato in contingenza, in dinamismo spicciolo, composito, in flusso di avvenimenti che passano».
La convenzione teatrale è dunque irreversibilmente in crisi?
«Non c’è dubbio. Il tempo della rappresentazione, insisto, è oggi quello televisivo: una affabulazione continua e costante, una eucarestia masticata prima di essere ricevuta».
E il Teatro, come si difende?
«Era l’unico luogo della realtà interiore, dove passato, presente e futuro si coagulavano nel tempo dell’attore (colui che agisce). Sta forzatamente abdicando, schiacciato dalla finta realtà dell’affabulazione televisiva. Tanto per tornare alla celebrazione planetaria della morte del Pontefice: ore e ore di spettacolo senza alcuna contrazione del tempo, senza scarti, senza vere sublimazioni del Dolore. Nulla che sia riuscito ad assomigliare all’essenza dell’accaduto. Nulla che abbia rappresentato oggettivamente la mentalità e la sofferenza collettive, come riescono ancora a fare certi riti pasquali del Sud del Mediterraneo, pensiamo alla Settimana santa nella Spagna meridionale, o alla nostra Madonna dell’Arco...».
Chi sono, i protagonisti della nuova teatralità, gli affabulatori odierni?
«Quelli che non sanno cantare, suonare uno strumento, ballare, recitare, leggere... Quelli che parlano e parlano “in diretta”, eroi del fittizio da spacciare per vero. Incapaci di interpretare, demandare, assumere. Lontani dall’essere uno e tutti al tempo stesso, come avviene quando una spettacolarizzazione risponde alle leggi della convenzione teatrale e diventa luogo del tempo interiore della collettività».
E il tempo della musica?
«Non è certo il battito delle discoteche o il tempo cadùco di una canzonetta. Dovrebbe essere il tempo che subisce contrazioni improvvise, scarti, lacune. Un tempo “doppio” che faccia corrispondere, o interagire, il tempo tecnicamente musicale e quello emotivo. Penso alla morte di Don Giovanni in Mozart, al Commendatore, agli ultimi istanti del seduttore...».
Il tempo convenzionale ma verissimo di cui parla, maestro, non rischia di essere un concetto troppo arduo per quei “tutti” ai quali lei dice di tendere?
«Il tempo teatrale “si sente”, non si comprende. E’ un’esperienza prima etica che estetica, come spiega anche Rousseau nella sua Lettera sugli Spettacoli. La società felice si autorappresenta e capisce perfettamente cosa stia dicendo e facendo, cosa voglia sublimare e oggettivizzare. La confusione mediatica, al contario, genera il vuoto, lo sconcerto, la nullità. Rende protagonisti dei dongiovanni cui la voce del Commendatore giunge straniera e flebile».

Albert Einstein in Italia

La Stampa TsT 6 Aprile 2005
Quando il giovane Albert passeggiava per Pavia
LE RADICI ITALIANE DEL GRANDE FISICO IN UNA SERIE DI INCONTRI E DI MOSTRE. UNA MOSTRA AL CNR DI BOLOGNA
Marco Cagnotti

EINSTEIN, certo, era tedesco. Ma visse per molti anni negli Stati Uniti. E la piccola Svizzera ne rivendica la nazionalità, poiché aveva anche il passaporto elvetico e pubblicò le proprie ricerche più rivoluzionarie nel 1905 mentre lavorava a Berna. Tutto sembra, Einstein, fuorché italiano. Errore: un profondo legame affettivo e culturale lo legava all’Italia. Legame che si era creato negli anni dell'adolescenza, durante le vacanze estive che a partire dal 1895 il giovane Albert trascorreva a Pavia, dove il padre possedeva una fabbrica di apparecchi elettromeccanici vicino al Naviglio. A Pavia Einstein forse ha scritto il suo primo saggio scientifico: "Intorno allo stato delle ricerche sull'etere nei campi magnetici". Ecco perché Pavia ha organizzato, in occasione dell'Anno Mondiale della Fisica proclamato dall'Unesco, un congresso internazionale, il primo e più importante incontro in Italia sulla teoria della relatività, dal titolo "Spacetime in Action: 100 years of Relativity" (29 marzo-2 aprile).
Sono stati cinque giorni di intensi nell'Aula del '400 dell'Università, con i più bei nomi della ricerca in fisica della gravitazione. I seminari hanno spaziato dalla cosmologia alla teoria delle stringhe, dalle onde gravitazionali ai buchi neri: tutto lo spettro delle ricerche figlie della relatività e dei tentativi di conciliarla con l'altra grande teoria fisica del XX secolo, la meccanica quantistica. E poi la parte divulgativa e storica, con tre conferenze rivolte al grande pubblico. Inoltre la figura di Einstein è stata discussa in tutti i suoi aspetti (scientifico, culturale, religioso e politico) anche in un ciclo di conferenze organizzato dal Collegio Borromeo che si concluderà alla fine di aprile.
Gli organizzatori hanno poi voluto mescolare la conoscenza scientifica con l'arte. Ecco allora la personale "Cosmology and the art of intuition" (aperta al Collegio Cairoli fino al 20 aprile dalle 17 alle 19,30, tranne i festivi) di Jean-Pierre Luminet, cosmologo-pittore del CNRS francese; e la mostra "Art and Geometry" dello scultore pavese Carlo Mo, che ha dedicato la sua ultima opera prima della morte, "L'ultimo racconto", proprio agli scienziati riuniti a Pavia. Ed ecco il francobollo per celebrare l'Anno Mondiale della Fisica, disegnato dal relativista Mauro Carfora, uno degli organizzatori del convegno, e presentato dall'Ente Poste Italiane il 29 marzo.
Non è tutto, a Pavia in dodici mesi molte manifestazioni possono ancora trovare spazio. Una mostra organizzata dal Dipartimento di Fisica "A. Volta" con il Max Planck Institut di Berlino e al Deutsches Museum di Monaco, dal titolo "Einstein ingegnere dell'universo", aprirà il 12 maggio nella capitale tedesca e si trasferirà poi a Pavia il 25 ottobre.
Anche Bologna, per iniziativa dell’Area di Ricerca del Cnr (via Gobetti 101), con la mostra «Emmeciquadro», conferenze, incontri per le scuole e per gli insegnanti, celebra il centenario dei tre fondamentali lavori di Einstein del 1905 e l’«Anno mondiale della Fisica». Si inizia domenica 10 aprile alle 15,30 con una conversazione di Piero Bianucci dal titolo «Il nostro Einstein quotidiano» e si chiude domenica 17 con una conferenza di Enrico Bellone, direttore del mensile «Le Scienze», su «Einstein scienziato e filosofo».

Info: 051-639.8093 e nel sito www.bo.cnr.it/settimana2005

la truffa di Freud

una segnalazione di Raffaella Portincasa e di Tonino Scrimenti

Alcatraz.it 9.4.05
FREUD HA MANIPOLATO I CASI FONDANTI DELLA PSICANALISI

Durante la sua intera carriera Freud ha descritto dettagliatamente soltanto sei casi di suoi pazienti e queste descrizioni sembrano essere state tutte rimaneggiate, rivedute e abbellite per dare maggiore lustro alla sua carriera. Nel secolo o più trascorso da allora, gli studiosi hanno dissotterrato documenti - quali lettere e appunti sui casi dell'epoca - che dimostrano l'insuccesso di Freud nell'aiutare significativamente i suoi pazienti e smentiscono le guarigioni incredibili da lui vantate. Partiamo dal proto-caso, "Anna O". Sebbene non fosse una paziente di Freud, i suoi studenti se ne occuparono perché Anna era in cura dal suo mentore, Josef Breuer, e la descrizione del caso fu successivamente redatta da Freud (sebbene sia stata firmata da entrambi). E' il caso su cui si fonda la psicoterapia e che dovrebbe convalidare l'ipnosi, l'effetto terapeutico del colloquio, la repressione, il desiderio edipico e altri pilastri di questo approccio. La versione ufficiale era che Anna soffriva di una profonda nevrosi e che Breuer la liberò completamente dalla sua "isteria" con l'ipnosi. In realtà, un mese dopo la conclusione della terapia Breuer la fece ricoverare in manicomio, dove sarebbe tornata altre tre volte nei successivi cinque anni. Breuer la considerava un caso disperato; in una lettera alla fidanzata, Freud così riferiva ciò che il suo mentore pensava di Anna: "Breuer non fa che parlare di lei, dice che vorrebbe che la poveretta morisse perché solo così potrebbe liberarsi delle sue sofferenze. Dice che non si rimetterà mai, che e' completamente sconvolta" (ma si da' il caso che si sbagliasse, perché Anna invece guarì alla fine degli anni '80 dell'Ottocento, circa sei o sette anni dopo la conclusione della terapia). Breuer e Freud non solo non rivelarono al pubblico questi fatti, ma anni dopo Freud volle a tutti i costi rielaborare il caso per adattarlo alla psicanalisi, presentando questo fallimento come uno straordinario successo e attribuendo l'inesistente trionfo ad approcci e teorie che all'epoca neppure esistevano. Lo stesso Albrecht Hirschmuller: neurologo, psichiatra, psicoterapeuta-analista e storico della medicina all'Università' di Tubinga nel suo libro su Breuer - "Physiologie und Psychoanalyse in Leben und Werk Josef Breuers" (Fisiologia e Psicanalisi nella vita e nell'opera di Josef Breuer, 1978) afferma, che il caso di Anna O., al secolo Bertha Pappenheim - e' stato deliberatamente alterato e falsificato da Breuer e da Freud. Ora consideriamo i sei pazienti descritti da Freud e i cui pseudonimi sono nomi familiari agli studenti di psicologia. Il primo caso che Freud presentò pubblicamente come una terapia - sebbene fosse lungi dall'essere il suo primo caso - fu quello di "Rattenmann" (l'Uomo dei Ratti). Costui temeva in modo ossessivo che qualcosa potesse accadere al padre o alla sua ragazza; questi pensieri morbosi avevano avuto inizio dopo che aveva sentito parlare di una terribile forma di tortura che comportava l'uso di ratti. La conclusione di Freud? L'Uomo dei Ratti reprimeva il proprio desiderio di avere rapporti sessuali con il padre e la futura sposa perché - e questa era una supposizione non confermata - il padre lo aveva punito severamente da piccolo perché si masturbava. Nella sua descrizione del caso, Sigmund sosteneva di aver curato l'Uomo dei Ratti per quasi un anno, ma dai suoi appunti sappiamo che la terapia durò in realtà sei mesi. Sebbene il paziente avesse interrotto la cura, Freud si vantò di averlo perfettamente guarito con "il completo recupero della personalita' del paziente". Però, subito dopo averne descritto il caso, Freud confidò a Jung in una lettera che l'Uomo dei Ratti era ancora confuso. Il "Piccolo Hans", di cinque anni, iniziò improvvisamente ad avere il terrore dei cavalli. Sebbene sia inserito nella scarna mezza dozzina di casi di Freud, Hans fu in realtà curato dal padre, suo discepolo. Sigmund seguì il caso da lontano, vedendo Hans una sola volta. Il ragazzino era sicuro che la sua fobia dei cavalli fosse dovuta al trauma subito vedendone uno cadere per strada, ma il padre e Freud non volevano sentire simili stupidaggini. Per loro era ovvio che i cavalli dal grosso pene rappresentassero la figura minacciosa del padre, che Hans credeva volesse castrarlo. Il ragazzino, a sua volta, avrebbe voluto fare l'amore con la madre e uccidere la sorellina. Sottoposto a domande incalzanti sul suo presunto desiderio nei confronti della mamma, Hans negò ripetutamente, ma il papà seguitò a intimidirlo e, naturalmente, alla fine il piccolo crollò e gli disse quello che voleva sentire. "Successo!", gridarono i terapisti. In effetti, Hans perse a poco a poco la paura dei cavalli durante la cura, ma nessuno e' stato in grado di produrre la minima prova che ciò fosse dovuto a quella invadente terapia e non semplicemente al fatto che il bambino si fosse gradualmente ripreso dallo spavento. Due dei principali casi clinici di Freud quasi non meritano di essere menzionati. A proposito della terapia a cui Sigmund aveva sottoposto un'anonima lesbica diciottenne, il cognitivista del MIT Frank Sulloway - autore di "Freud: biologo della mente" (Feltrinelli, Milano 1982) - scrive che "si concluse dopo poco tempo e non comportò alcun miglioramento terapeutico ne' una vera e propria cura". Nell'altro caso, Freud diagnosticò una psicosi a un uomo che non aveva mai incontrato, rigorosamente in base alle memorie da lui pubblicate. Se le sue conclusioni fossero corrette o meno e' impossibile dirlo, ma sappiamo che per arrivarci Freud ignorò le parti di quelle memorie che contraddicevano la sua diagnosi e raffigurò di proposito il padre dell'uomo in maniera falsa (nella descrizione del caso Freud lo lodava come un "ottimo padre", ammettendo però simultaneamente che era un "despota" in una lettera a un allievo). "Dora" era una diciassettenne (e non diciottenne, come sosteneva Freud) depressa e "isterica", recatasi con riluttanza da Sigmund a causa di problemi con amici di famiglia, il signore e la signora K., che la scombussolavano perché 1) il sig. K. le aveva fatto delle avances quando aveva tredici e sedici anni e 2) credeva, giustamente, che il padre e la sig.ra K. se l'intendessero. Il bravo dottore intuì subito come stavano le cose: non soltanto Dora era innamorata del sig. K., ma voleva congiungersi con il padre e anche con la signora K. Non c'e' da meravigliarsi che Dora abbia improvvisamente smesso di recarsi da Freud dopo undici settimane. Era ancora piena di problemi quando morì. L'ossessivo "Wolfsmann" (l'Uomo dei Lupi) e' il caso più noto di Freud. E l'unico in grado di raccontare la sua esperienza personale sulla terapia analitica. L'intera faccenda e' imperniata su un sogno che il paziente aveva fatto da bambino: aveva visto dei lupi bianchi in cima a un albero di fronte alla finestra della sua camera da letto e si era svegliato terrorizzato. Da questo, Freud aveva dedotto che il bianco dei lupi rappresentava la biancheria intima dei genitori e che il bambino doveva averli visti mentre facevano sesso. Freud curò per quattro anni questo paziente, che alla fine fu congedato perché completamente guarito. Decenni dopo, un reporter austriaco lo andò a cercare per scoprire come stava dopo quelle leggendarie sedute dallo psicanalista. L'Uomo dei Lupi definì l'interpretazione del sogno data da Freud "terribilmente inverosimile"; lo scenario voyeuristico, che lui non ricordava affatto, era "improbabile" e la convinzione universale che fosse stato guarito era "falsa". Si da' il caso che abbia continuato a frequentare una schiera di terapisti per il resto della sua vita. L'industria della psicanalisi ha cercato attivamente di nascondere il miserabile fallimento del più grande "successo" di Freud esercitando pressioni sull'Uomo dei Lupi e pagandolo perché rimanesse a Vienna anziché recarsi negli Usa, come voleva fare, perché la sua condizione di pezzo di storia vivente avrebbe richiamato l'attenzione e la verità sarebbe saltata fuori. Rimase un fascio di nevrosi e ossessioni fino alla morte. Come scrive l'eminente accademico Frederick Crews, che ha smontato il mito di Freud: "Freud non fu in grado di documentare una sola terapia efficace al di là di ogni dubbio".

La Redazione: Simone Canova, Jacopo Fo, Gabriella Canova, Maria Cristina Dalbosco