Corriere della Sera 3.6.05
RIVELAZIONI
Nel saggio «L'introduzione del nazismo nella filosofia» Emmanuel Faye si spinge oltre le tesi di Ott e Farias
Quando Heidegger scriveva discorsi per il Führer
di Frediano Sessi
Nessuno, fino a oggi, poteva pensare che il fascino esercitato da Hitler sul filosofo tedesco Martin Heidegger arrivasse al punto di farci considerare seriamente l'ipotesi che, tra il 1932 e il 1933, il grande pensatore tedesco avesse redatto alcuni discorsi del Führer. È questa una delle tesi più imbarazzanti sostenute dal professor Emmanuel Faye, nel suo recente saggio dal titolo Heidegger, l'introduzione del nazismo nella filosofia (pubblicato in Francia da Albin Michel). Mentre Hugo Ott e Victor Farias, nei loro lavori precedenti, avevano svolto ricerche sull'impegno politico dell'uomo trascurando però molta documentazione, Faye, basandosi su una mole inedita di materiali, tra i quali i seminari del periodo 1933-1935, si interroga sui fondamenti stessi dell'opera di Heidegger. Secondo i rapporti segreti della Polizia di sicurezza (SD) e delle SS, che avevano istruito un «Dossier Heidegger», il filosofo risulta un «fedele militante della causa nazionalsocialista» che educa i suoi figli in coerenza con i principi della gioventù hitleriana e che approva con «entusiasmo» lo Stato nazista. E ancora, dopo avere abbandonato la carica di rettore, «non tanto per dissensi o per distanza politica dal regime», ma perché «non in possesso delle capacità tattiche richieste dal ruolo», Heidegger continua a dirigere dei campi nazisti di lavoro e studio nella Foresta nera, come attesta anche una sua lettera a Erich Rothacker, rettore dell'università di Bonn e autore di un piano nazionale per l'educazione nazista, fedele amico di Goebbels.
Tra Heidegger e Rothacker il legame è intenso e forte, tanto che il filosofo di Friburgo dispensa elogi alla dottrina razziale e alla teoria criminale di distruzione umana programmata dal nazismo e teorizzata nella Filosofia della storia scritta dall'amico. In un giornale di partito del 3 maggio 1933 (Der Alemanne) si legge tra l'altro: «Sappiamo bene che Martin Heidegger, con la sua alta coscienza della responsabilità, il suo impegno per il destino e l'avvenire dell'uomo tedesco, si trova nel cuore stesso del nostro magnifico movimento. Sappiamo inoltre che egli non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni politiche e che da anni sostiene nella maniera più efficace il partito di Adolf Hitler, nella sua dura lotta per l'essere e la potenza, che si è costantemente mostrato pronto al sacrificio per la santa causa tedesca, e che mai un nazionalsocialista ha bussato invano alla sua porta». Fedeltà politica, militanza di partito nella formazione delle nuove generazioni tedesche e spirito di delazione, sono i tratti del comportamento di Heidegger negli anni della guerra e del potere nazista.
Ma a questo punto, Emmanuel Faye, compie un passo in più. «Ho cercato di dimostrare - dichiara in una intervista del 28 aprile 2005 al Nouvel Observateur - anche l'importanza dei legami che il filosofo di Essere e Tempo intrattiene fin dal 1920 con una serie di autori e pensatori razzisti e protonazisti»; legame che ci porterebbe al centro delle basi della sua filosofia dell'essere, sviluppata spesso e volentieri davanti a un uditorio selezionato e in gran parte in uniforme delle SS e delle SA. Nei seminari inediti, Heidegger fa esplicitamente l'apologia della visione del mondo del Führer, riconoscendo senza giri di parole che il nemico da «annientare» per salvare il popolo tedesco è prima di tutto «l'ebreo assimilato». Inoltre, nel dopoguerra, pensando alla raccolta delle sue opere complete, include anche questi seminari "nazisti", superando in questo lo stesso Carl Schmitt che non fece mai ristampare i suoi scritti marcatamente hitleriani. In una lettera del 2 ottobre del 1929, Heidegger si scaglia contro «l'ebreizzazione crescente della vita spirituale tedesca» utilizzando ripetutamente in diversi scritti universitari argomenti razzisti e antisemiti nei quali, tra l'altro, ricorre di frequente a forme di stigmatizzazione del «nemico Asiatico», espressione con cui la lingua nazista designava tutti gli ebrei.
Ma non basta. Emmanuel Faye scopre lo stretto e intenso legame tra Heidegger e le associazioni studentesche antisemite che, in tutto il Reich, condussero azioni «contro lo spirito non tedesco», organizzando il rogo dei libri; e che nel giugno del 1940, il grande filosofo presenta «la motorizzazione della Wehrmacht» come un «atto metafisico», mentre nello stesso periodo, nei suoi scritti su Ernst Jünger, egli evoca positivamente «l'essere per la razza» come «fine ultimo», parlando poi «dell'essenza non ancora purificata del popolo tedesco». Insomma, la sua opera, alla luce dei nuovi inediti, nasconderebbe sotto la «metafisica» piena giustificazione della follia criminale del nazismo! In realtà, già a partire dal 1946, il filosofo Karl Löwith, che aveva avuto l’occasione di conoscere molto bene Heidegger, come uomo e pensatore, affermava che egli era «assai più radicale di Rosenberg e di Krieck». Lungi dall'aver voluto salvare le sorti dell'Università, mantenendone l'autonomia, questo «grande maestro» si è impegnato energicamente ad assoggettarla al potere e a rimodellarne i caratteri secondo i canoni nazionalsocialisti.
Una prova irrefutabile fornita da Faye mette in discussione la tesi secondo la quale il Discorso del rettorato sarebbe stato occultato dai nazisti. Un lungo brano di questo stesso discorso viene ripreso dal giurista schmittiano Ernst Forsthoff, pubblicato nel 1938, e dimostra che un'opera di chiara propaganda nazista gli riservava un posto d'onore. Insomma, il filosofo di Friburgo altri non sarebbe che una sorta di Abraham a Santa Clara, vale a dire quel predicatore vestito in modo sontuoso e capace di grandi facoltà di argomentazione, che in realtà fu un «sacerdote antisemita», per i nazisti un eroe della germanità pura. Come fare allora a credere alle parole che Emmanuel Levinas pronunciò nel 1987, davanti al Collège de Philosophie? «Malgrado tutto l'orrore che è stato associato al nome di Heidegger - e che niente arriverà mai a dissipare - nulla ha potuto intaccare la mia convinzione che Essere e Tempo sia imprescrittibile, allo stesso modo di pochi altri libri eterni della storia della filosofia».
La vita e l’opera
Heidegger nasce il 26 settembre del 1889 in Turingia. Si laurea nel 1913 con «La dottrina del giudizio nello psicologismo» e nel 1918 ottiene la libera docenza a Friburgo. Nel ’27 pubblica il suo capolavoro: «Essere e tempo». Muore il 26 maggio del 1976.
Il libro di Emmanuel Faye si intitola: «Heidegger l’introduction du nazisme dans la philosophie», è pubblicato da Albin Michel, Parigi, pagine 560, 29.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 3 giugno 2005
trucchi
Corriere della Sera 3.6.05
FECONDAZIONE
I Verdi: informare i cittadini. Urso: no a sms del governo
Il fronte del sì all’attacco: Pisanu inganna sul quorum
Il ministro: basta polemiche. Appello per le urne di studiosi cattolici
Roberto Zuccolini
ROMA - La battaglia dei referendum passa per il quorum. Il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu lo sa bene e invia una circolare per dire la sua parola definitiva sul numero degli italiani residenti all’estero, aventi diritto al voto: «Sono 2.665.081. Questa è la cifra che concorrerà al calcolo del quorum». E avverte: «Non mi lascerò coinvolgere nelle strumentali polemiche di questi giorni sul computo degli italiani all’estero». Un avviso che si rivolge in modo chiaro e netto ai promotori dei referendum sulla fecondazione assistita che da giorni polemizzano con il Viminale proprio su quella cifra e su quegli elettori.
BATTAGLIA SUL QUORUM - Risposta durissima del segretario del partito radicale Daniele Capezzone: «Tutto ciò è pazzesco: Ciampi e Berlusconi intervengano subito per correggere gli atti di questo ministro dell’inganno e della prepotenza». Perché i radicali sono convinti che almeno il 40 per cento degli italiani residenti all’estero non riceveranno il plico elettorale, cioè 1.200.000 persone, pari a circa il 3 per cento del quorum. Insomma, è aspra battaglia di cifre tra il governo e i promotori del referendum.
Su questa guerra dei numeri interviene il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio insistendo sulla necessità di «informare i cittadini in modo adeguato». Cioè con gli sms. Cosa che invece, a giudizio di Adolfo Urso (An) non è opportuna: «Il governo non deve intervenire con inviti espliciti al voto perché nel referendum vi è, a differenza delle elezioni politiche o amministrative, un quorum da raggiungere». Di alcuni leader politici ancora non si conosce l’orientamento. Tanto che il socialista Bobo Craxi se la prende con il silenzio finora osservato da Silvio Berlusconi. Francesco Rutelli invece spiegherà questa mattina, in un incontro pubblico, la sua posizione. E dovrebbe annunciare che il 12 e 13 giugno non si recherà alle urne.
«ANDARE ALLE URNE» - Ma a farsi avanti a favore del voto è un nuovo comitato, composto da storici, filosofi, giuristi, in gran parte cattolici, quasi tutti dell’area torinese. Tra i firmatari dell’appello a recarsi alle urne (senza schierarsi per il «sì» o per il per «no») figurano storici come Franco Bolgiani e Mario Rosa, filosofi come Claudio Ciancio e Ugo Perone, giuristi come Franco Balosso e Gustavo Zagrebelsky. Nel manifesto si sostiene che l’invito della Cei al non voto è «inopportuno» e «contraddittorio». Claudio Ciancio, il coordinatore, ricorda che «per l’aborto la Chiesa non invitò ad astenersi» mentre secondo Gian Giacomo Migone, un altro dei promotori, «i cattolici nei centri più piccoli, il cui comportamento elettorale sarà facilmente individuabile, saranno per forza di cose sotto pressione».
La Gazzetta del Sud 3.6.05
Antinori denuncia Ruini
Scontro Pisanu-Capezzone sul quorum del referendum
Arturo De Luca
ROMA – Botta e risposta fra il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, e il leader dei Radicali Daniele Capezzone sul computo degli italiani per la determinazione del quorum per il referendum sulla fecondazione assistita. In una secca nota diffusa ieri, il Viminale sottolinea che il ministro dell'Interno non intende lasciarsi «coinvolgere nelle strumentali polemiche di questi giorni». Nel dettagliato comunicato, il ministero dell'Interno ricorda i diversi passaggi compiuti per aggiornare l'elenco dei cittadini italiani residenti all'estero ai fini della formazione delle liste elettorali. Pisanu giudica «inaccettabile il livello di confusione e disinformazione» e, per questa ragione, ribadisce i dati già forniti al Parlamento in base ai quali gli italiani oggi residenti al di fuori dei confini nazionali risultano essere 3.439.846 e tra loro vi sono 2.665.081 aventi diritto al voto. Dati che, spiega il Viminale, sono il frutto di una «scrupolosa verifica» e che per tale ragione 2.665.081 «è il numero che concorrerà al calcolo del quorum». Una nota che ha fatto infuriare Capezzone che, con i Radicali, è stato promotore del referendum. «Il comportamento del ministro Pisanu è inaudito e sfacciato», attacca Capezzone, sottolineando che il comunicato del ministero «di fatto, conferma in tutto le nostre denunce, difende le illegalità in atto e la truffa del quorum». Il Viminale, prosegue Capezzone, «non risponde sui militari all'estero, e aggiunge al danno la beffa, invitando alcuni connazionali all'estero a rientrare in Italia». «Tutto ciò – conclude Capezzone – è pazzesco e pone il nostro paese in una condizione di illegalità ben al di sotto degli standard accettati dall'Osce. Non ci muoveremo di un millimetro, a questo punto, fino a che il capo del governo e il Capo dello Stato non correggeranno i comportamenti inauditi di questo ministro dell'Inganno e della Prepotenza». Intanto il presidente del comitato «Libertà e Ricerca» Severino Antinori ha annunciato di aver dato mandato al suo legale Erminio Striani di preparare una denuncia nei confronti dei ministri Carlo Giovanardi, Rocco Buttiglione, Gianni Alemanno e del presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, perché la «loro attività – si legge in una nota – ha il palese scopo di indurre i cittadini ad astenersi dal voto del 12 e 13 giugno prossimi, in occasione del referendum parzialmente abrogativo della legge 40/2004». La denuncia, prosegue la nota, sarà formulata «tenendo presente il dpr del 30 marzo 1957 numero 361. Al titolo settimo l'articolo 98 punisce pubblici ufficiali, ministri di qualsiasi culto e chiunque investito di pubblico potere che si adoperi per indurre l'elettore all'astensione. Il colpevole è punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni». Questa mattina Antinori sarà in tribunale, a piazzale Clodio, per presentare la denuncia.
REUTERS 3.6.05
Procreazione, comitato per il sì denuncia Ruini e numerosi ministri
Fri June 3, 2005 1:41 PM GMT
ROMA (Reuters) - Un comitato per il "Sì" al referendum sulla procreazione assistita ha denunciato oggi il presidente della Cei cardinale Camillo Ruini, i presidenti di Camera e Senato e quattro ministri per aver esortato gli italiani all'astensione, violando così - secondo la denuncia - una legge del 1957.
Lo riferiscono fonti giudiziarie.
Il medico Severino Antinori ha presentato oggi a nome del comitato "Libertà e Ricerca" una denuncia nei confronti del presidente della Conferenza Episcopale italiana Ruini, dei presidenti delle Camere Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera e dei ministri della Cultura Rocco Buttiglione, dei Rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi, dell'Agricoltura Gianni Alemanno e della Salute Francesco Storace.
"Con i loro interventi - si legge nella denuncia - hanno avuto il palese scopo di indurre i cittadini ad astenersi dal voto", con ciò violando quanto previsto dal dpr 30 marzo 1957 che punisce i pubblici ufficiali, ministri di culto e "chiunque investito di pubblici poteri si prodiga per indurre l'elettorato ad astenersi" da una consultazione.
Il reato in questione è punibile con la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni e con multe dalle 600.000 ai 4 milioni di lire.
Corriere della Sera 3.6.05
EVANGELICI USA
La crociata pro embrioni
WASHINGTON - Per impedire che le loro cellule staminali siano usate in esperimenti a fini terapeutici, il movimento evangelico ha lanciato una crociata per l’adozione dei 400 mila embrioni congelati nelle cliniche della fertilità Usa. Tramite il programma «Snowflakes», fiocchi di neve, (come il movimento evangelico chiama gli embrioni, giudicati bambini, vite umane), i suoi seguaci ne acquistano a 10-20 alla volta. Poi, con la fecondazione artificiale, hanno uno o più figli. Da sola, una delle associazioni evangeliche, la Nightline Christian Adoption, ha aiutato 59 famiglie a procreare 81 bambini. Secondo l’associazione, soltanto la metà degli embrioni scongelati è utilizzabile per la gravidanza che a sua volta ha successo soltanto nel 35 per cento dei casi e il cui costo è molto inferiore alla media, 10 mila dollari circa. Col programma «Snowflakes», il movimento evangelico spera di aiutare il presidente Bush, che rifiuta il finanziamento pubblico alle ricerche sulle cellule staminali, ricerche che portano alla distruzione degli embrioni. La Camera ha già votato contro il presidente e il Senato si appresta a fare altrettanto. Bush ha minacciato di porvi il veto.
FECONDAZIONE
I Verdi: informare i cittadini. Urso: no a sms del governo
Il fronte del sì all’attacco: Pisanu inganna sul quorum
Il ministro: basta polemiche. Appello per le urne di studiosi cattolici
Roberto Zuccolini
ROMA - La battaglia dei referendum passa per il quorum. Il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu lo sa bene e invia una circolare per dire la sua parola definitiva sul numero degli italiani residenti all’estero, aventi diritto al voto: «Sono 2.665.081. Questa è la cifra che concorrerà al calcolo del quorum». E avverte: «Non mi lascerò coinvolgere nelle strumentali polemiche di questi giorni sul computo degli italiani all’estero». Un avviso che si rivolge in modo chiaro e netto ai promotori dei referendum sulla fecondazione assistita che da giorni polemizzano con il Viminale proprio su quella cifra e su quegli elettori.
BATTAGLIA SUL QUORUM - Risposta durissima del segretario del partito radicale Daniele Capezzone: «Tutto ciò è pazzesco: Ciampi e Berlusconi intervengano subito per correggere gli atti di questo ministro dell’inganno e della prepotenza». Perché i radicali sono convinti che almeno il 40 per cento degli italiani residenti all’estero non riceveranno il plico elettorale, cioè 1.200.000 persone, pari a circa il 3 per cento del quorum. Insomma, è aspra battaglia di cifre tra il governo e i promotori del referendum.
Su questa guerra dei numeri interviene il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio insistendo sulla necessità di «informare i cittadini in modo adeguato». Cioè con gli sms. Cosa che invece, a giudizio di Adolfo Urso (An) non è opportuna: «Il governo non deve intervenire con inviti espliciti al voto perché nel referendum vi è, a differenza delle elezioni politiche o amministrative, un quorum da raggiungere». Di alcuni leader politici ancora non si conosce l’orientamento. Tanto che il socialista Bobo Craxi se la prende con il silenzio finora osservato da Silvio Berlusconi. Francesco Rutelli invece spiegherà questa mattina, in un incontro pubblico, la sua posizione. E dovrebbe annunciare che il 12 e 13 giugno non si recherà alle urne.
«ANDARE ALLE URNE» - Ma a farsi avanti a favore del voto è un nuovo comitato, composto da storici, filosofi, giuristi, in gran parte cattolici, quasi tutti dell’area torinese. Tra i firmatari dell’appello a recarsi alle urne (senza schierarsi per il «sì» o per il per «no») figurano storici come Franco Bolgiani e Mario Rosa, filosofi come Claudio Ciancio e Ugo Perone, giuristi come Franco Balosso e Gustavo Zagrebelsky. Nel manifesto si sostiene che l’invito della Cei al non voto è «inopportuno» e «contraddittorio». Claudio Ciancio, il coordinatore, ricorda che «per l’aborto la Chiesa non invitò ad astenersi» mentre secondo Gian Giacomo Migone, un altro dei promotori, «i cattolici nei centri più piccoli, il cui comportamento elettorale sarà facilmente individuabile, saranno per forza di cose sotto pressione».
La Gazzetta del Sud 3.6.05
Antinori denuncia Ruini
Scontro Pisanu-Capezzone sul quorum del referendum
Arturo De Luca
ROMA – Botta e risposta fra il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, e il leader dei Radicali Daniele Capezzone sul computo degli italiani per la determinazione del quorum per il referendum sulla fecondazione assistita. In una secca nota diffusa ieri, il Viminale sottolinea che il ministro dell'Interno non intende lasciarsi «coinvolgere nelle strumentali polemiche di questi giorni». Nel dettagliato comunicato, il ministero dell'Interno ricorda i diversi passaggi compiuti per aggiornare l'elenco dei cittadini italiani residenti all'estero ai fini della formazione delle liste elettorali. Pisanu giudica «inaccettabile il livello di confusione e disinformazione» e, per questa ragione, ribadisce i dati già forniti al Parlamento in base ai quali gli italiani oggi residenti al di fuori dei confini nazionali risultano essere 3.439.846 e tra loro vi sono 2.665.081 aventi diritto al voto. Dati che, spiega il Viminale, sono il frutto di una «scrupolosa verifica» e che per tale ragione 2.665.081 «è il numero che concorrerà al calcolo del quorum». Una nota che ha fatto infuriare Capezzone che, con i Radicali, è stato promotore del referendum. «Il comportamento del ministro Pisanu è inaudito e sfacciato», attacca Capezzone, sottolineando che il comunicato del ministero «di fatto, conferma in tutto le nostre denunce, difende le illegalità in atto e la truffa del quorum». Il Viminale, prosegue Capezzone, «non risponde sui militari all'estero, e aggiunge al danno la beffa, invitando alcuni connazionali all'estero a rientrare in Italia». «Tutto ciò – conclude Capezzone – è pazzesco e pone il nostro paese in una condizione di illegalità ben al di sotto degli standard accettati dall'Osce. Non ci muoveremo di un millimetro, a questo punto, fino a che il capo del governo e il Capo dello Stato non correggeranno i comportamenti inauditi di questo ministro dell'Inganno e della Prepotenza». Intanto il presidente del comitato «Libertà e Ricerca» Severino Antinori ha annunciato di aver dato mandato al suo legale Erminio Striani di preparare una denuncia nei confronti dei ministri Carlo Giovanardi, Rocco Buttiglione, Gianni Alemanno e del presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, perché la «loro attività – si legge in una nota – ha il palese scopo di indurre i cittadini ad astenersi dal voto del 12 e 13 giugno prossimi, in occasione del referendum parzialmente abrogativo della legge 40/2004». La denuncia, prosegue la nota, sarà formulata «tenendo presente il dpr del 30 marzo 1957 numero 361. Al titolo settimo l'articolo 98 punisce pubblici ufficiali, ministri di qualsiasi culto e chiunque investito di pubblico potere che si adoperi per indurre l'elettore all'astensione. Il colpevole è punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni». Questa mattina Antinori sarà in tribunale, a piazzale Clodio, per presentare la denuncia.
REUTERS 3.6.05
Procreazione, comitato per il sì denuncia Ruini e numerosi ministri
Fri June 3, 2005 1:41 PM GMT
ROMA (Reuters) - Un comitato per il "Sì" al referendum sulla procreazione assistita ha denunciato oggi il presidente della Cei cardinale Camillo Ruini, i presidenti di Camera e Senato e quattro ministri per aver esortato gli italiani all'astensione, violando così - secondo la denuncia - una legge del 1957.
Lo riferiscono fonti giudiziarie.
Il medico Severino Antinori ha presentato oggi a nome del comitato "Libertà e Ricerca" una denuncia nei confronti del presidente della Conferenza Episcopale italiana Ruini, dei presidenti delle Camere Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera e dei ministri della Cultura Rocco Buttiglione, dei Rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi, dell'Agricoltura Gianni Alemanno e della Salute Francesco Storace.
"Con i loro interventi - si legge nella denuncia - hanno avuto il palese scopo di indurre i cittadini ad astenersi dal voto", con ciò violando quanto previsto dal dpr 30 marzo 1957 che punisce i pubblici ufficiali, ministri di culto e "chiunque investito di pubblici poteri si prodiga per indurre l'elettorato ad astenersi" da una consultazione.
Il reato in questione è punibile con la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni e con multe dalle 600.000 ai 4 milioni di lire.
Corriere della Sera 3.6.05
EVANGELICI USA
La crociata pro embrioni
WASHINGTON - Per impedire che le loro cellule staminali siano usate in esperimenti a fini terapeutici, il movimento evangelico ha lanciato una crociata per l’adozione dei 400 mila embrioni congelati nelle cliniche della fertilità Usa. Tramite il programma «Snowflakes», fiocchi di neve, (come il movimento evangelico chiama gli embrioni, giudicati bambini, vite umane), i suoi seguaci ne acquistano a 10-20 alla volta. Poi, con la fecondazione artificiale, hanno uno o più figli. Da sola, una delle associazioni evangeliche, la Nightline Christian Adoption, ha aiutato 59 famiglie a procreare 81 bambini. Secondo l’associazione, soltanto la metà degli embrioni scongelati è utilizzabile per la gravidanza che a sua volta ha successo soltanto nel 35 per cento dei casi e il cui costo è molto inferiore alla media, 10 mila dollari circa. Col programma «Snowflakes», il movimento evangelico spera di aiutare il presidente Bush, che rifiuta il finanziamento pubblico alle ricerche sulle cellule staminali, ricerche che portano alla distruzione degli embrioni. La Camera ha già votato contro il presidente e il Senato si appresta a fare altrettanto. Bush ha minacciato di porvi il veto.
l'assenza della psichiatria sul territorio
«se fossi stata aiutata...»
Corriere della Sera 3.6.05
La madre di Mirko da ieri nell’istituto psichiatrico di Castiglione
Mary: se fossi stata aiutata, forse non l’avrei fatto
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE (Mantova) - Martedì a San Vittore la confessione di avere ucciso il figlioletto mentre gli faceva il bagno nella casa di Valaperta e ieri per Mary Patrizio, la mamma di Mirko, in attesa della perizia, il trasferimento all’istituto psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, unico in Italia con un reparto femminile. Affranta, ma senza versare lacrime, prima di lasciare il carcere milanese ha ringraziato chi la ha seguita dopo l’arresto: «Ora spero di capire perché ho fatto quel che non volevo fare. Se avessi ricevuto prima l’aiuto che ho avuto qui, forse non mi sarei trovata in questa situazione». Un richiamo all’angoscia di non riuscire ad essere una buona madre che la perseguitava dopo il parto? A Castiglione, con altre otto mamme unite dallo steso crimine, Mary resta una detenuta ma la gestione è di tipo ospedaliero. «Le sono sempre vicino - dice il marito Christian - ma voglio anche sapere perché ha ucciso Mirko».
La madre di Mirko da ieri nell’istituto psichiatrico di Castiglione
Mary: se fossi stata aiutata, forse non l’avrei fatto
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE (Mantova) - Martedì a San Vittore la confessione di avere ucciso il figlioletto mentre gli faceva il bagno nella casa di Valaperta e ieri per Mary Patrizio, la mamma di Mirko, in attesa della perizia, il trasferimento all’istituto psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, unico in Italia con un reparto femminile. Affranta, ma senza versare lacrime, prima di lasciare il carcere milanese ha ringraziato chi la ha seguita dopo l’arresto: «Ora spero di capire perché ho fatto quel che non volevo fare. Se avessi ricevuto prima l’aiuto che ho avuto qui, forse non mi sarei trovata in questa situazione». Un richiamo all’angoscia di non riuscire ad essere una buona madre che la perseguitava dopo il parto? A Castiglione, con altre otto mamme unite dallo steso crimine, Mary resta una detenuta ma la gestione è di tipo ospedaliero. «Le sono sempre vicino - dice il marito Christian - ma voglio anche sapere perché ha ucciso Mirko».
Chiara Saraceno
La Stampa 3.6.05
E chi difende l’embrione quand’è nato?
Chiara Saraceno
L'ENFASI sulla identità - in termini di valore e compiutezza umana - tra embrione e essere umano rischia di produrre corto-circuiti imprevisti. Se, infatti, non è possibile cogliere alcuna distinzione qualitativa tra l'inizio di un processo ed una sua fase così matura da essere espressa in un individuo capace di apprendimento e relazione, non si assimila solo un embrione ad un essere umano. Si assimila indirettamente anche quest'ultimo ad un embrione: che può divenire un individuo o invece non andare oltre le prime fasi di sviluppo. Come accade a migliaia (se non milioni) di embrioni ogni giorno, in tutto il mondo. Perché così funziona quella «natura» avventatamente chiamata in causa per fare viceversa assurgere l'embrione alla dignità dell'essere umano. Ma se gli esseri umani sono come embrioni, appesi alle vicende bio-fisiologiche dei corpi che li contengono e della loro propria fragilità, la collettività può tranquillamente lavarsene le mani, dopo aver loro garantito «la vita», o meglio le chances di fare la loro corsa. La vita degli esseri umani formati rischia di non avere più dignità e più diritti di un embrione. Anzi, la vita della potenziale madre un po' meno: perché il corpo materno contenitore dell'embrione deve fare il suo dovere fino in fondo e purchessia, per dare a questo appunto la chance di provare a diventare un essere umano.
Siamo davvero sicuri che questa difesa ad oltranza degli embrioni come esseri umani giova alla maturazione di un rispetto per la dignità delle persone, per la vita e i diritti degli esseri umani? O non faciliterà piuttosto l'indifferenza, la superficialità, la mancanza di rispetto, proprio per l'incapacità di cogliere le distinzioni e la responsabilità di ciascuno nel creare contesti in cui gli esseri umani possano svilupparsi, crescere e vivere una vita degna di essere vissuta? L'abuso del termine «vita umana», così come quello di «assassinio» (assassine) di embrioni, di genocidio, sterminio e così via rischia di cancellare ogni distinzione tra gli assassini e i genocidi perpetuati sulle persone e le popolazioni e il mancato impianto di un embrione, o anche l'aborto. Davvero non c'è distinzione tra la decisione di non utilizzare un embrione, quella di abortire e quella di uccidere il proprio figlio di cinque mesi? Non c'è differenza tra il piccolo Mirko e un embrione formato da 48 ore? Dalla mancata distinzione tra «strage di embrioni» e «strage di bambini» (e adulti) ruwandesi, o bosniaci, o ebrei, alla indifferenza per la seconda il passo è breve.
E' la stessa logica che ostacola la diffusione della contraccezione nell'Africa devastata dall'AIDS: senza interrogarsi sul fatto che per questo nascono migliaia di bambini destinati all'alternativa tra morire di AIDS o rimanere orfani presto - o ad entrambe le cose. Purché nascano, il rispetto della vita è salvo. Che cosa ne sarà di loro, non riguarda i difensori dell'embrione.
E chi difende l’embrione quand’è nato?
Chiara Saraceno
L'ENFASI sulla identità - in termini di valore e compiutezza umana - tra embrione e essere umano rischia di produrre corto-circuiti imprevisti. Se, infatti, non è possibile cogliere alcuna distinzione qualitativa tra l'inizio di un processo ed una sua fase così matura da essere espressa in un individuo capace di apprendimento e relazione, non si assimila solo un embrione ad un essere umano. Si assimila indirettamente anche quest'ultimo ad un embrione: che può divenire un individuo o invece non andare oltre le prime fasi di sviluppo. Come accade a migliaia (se non milioni) di embrioni ogni giorno, in tutto il mondo. Perché così funziona quella «natura» avventatamente chiamata in causa per fare viceversa assurgere l'embrione alla dignità dell'essere umano. Ma se gli esseri umani sono come embrioni, appesi alle vicende bio-fisiologiche dei corpi che li contengono e della loro propria fragilità, la collettività può tranquillamente lavarsene le mani, dopo aver loro garantito «la vita», o meglio le chances di fare la loro corsa. La vita degli esseri umani formati rischia di non avere più dignità e più diritti di un embrione. Anzi, la vita della potenziale madre un po' meno: perché il corpo materno contenitore dell'embrione deve fare il suo dovere fino in fondo e purchessia, per dare a questo appunto la chance di provare a diventare un essere umano.
Siamo davvero sicuri che questa difesa ad oltranza degli embrioni come esseri umani giova alla maturazione di un rispetto per la dignità delle persone, per la vita e i diritti degli esseri umani? O non faciliterà piuttosto l'indifferenza, la superficialità, la mancanza di rispetto, proprio per l'incapacità di cogliere le distinzioni e la responsabilità di ciascuno nel creare contesti in cui gli esseri umani possano svilupparsi, crescere e vivere una vita degna di essere vissuta? L'abuso del termine «vita umana», così come quello di «assassinio» (assassine) di embrioni, di genocidio, sterminio e così via rischia di cancellare ogni distinzione tra gli assassini e i genocidi perpetuati sulle persone e le popolazioni e il mancato impianto di un embrione, o anche l'aborto. Davvero non c'è distinzione tra la decisione di non utilizzare un embrione, quella di abortire e quella di uccidere il proprio figlio di cinque mesi? Non c'è differenza tra il piccolo Mirko e un embrione formato da 48 ore? Dalla mancata distinzione tra «strage di embrioni» e «strage di bambini» (e adulti) ruwandesi, o bosniaci, o ebrei, alla indifferenza per la seconda il passo è breve.
E' la stessa logica che ostacola la diffusione della contraccezione nell'Africa devastata dall'AIDS: senza interrogarsi sul fatto che per questo nascono migliaia di bambini destinati all'alternativa tra morire di AIDS o rimanere orfani presto - o ad entrambe le cose. Purché nascano, il rispetto della vita è salvo. Che cosa ne sarà di loro, non riguarda i difensori dell'embrione.
sinistra
tanti auguri a Vittorio Foa!
Corriere della Sera 3.6.05
Lui: sono fortunato, ho scelto bene. Mano nella mano con Sesa Tatò per tutta la cerimonia
Foa sposo a 95 anni, brindisi con un bicchiere d’acqua
Fabrizio Caccia
FORMIA (Latina) - Matrimonio con suspense. Emergenza bomba a Formia fino quasi al giorno prima e poi, sul più bello, la stilografica del sindaco diessino, Sandro Bartolomeo, che fa cilecca. Ci pensa un fotografo, allora, a passare una biro a Vittorio Foa e Sesa Tatò per firmare il registro civile. Comunque nozze da sogno, nozze da ricordare. Lui 95 anni, lei 80, vestito color tortora di seta e un cappellino comprato a Parigi. Felici, commossi, beati. E mano nella mano per tutta la cerimonia come due ragazzini.
Sposi il 2 giugno, festa della Repubblica, perché così hanno deciso loro, che all’Italia hanno dedicato l’impegno di una vita. Il presidente Ciampi e sua moglie Franca hanno mandato un biglietto affettuosissimo: «Vivere la propria esistenza con impegno, curiosità e progetto continuo è un dono per se stessi e per gli altri. La decisione di regalarvi questo giorno così felice ne rappresenta una bella conferma. Vi siamo vicini con molta gioia e grande affetto». Anche Fausto Bertinotti, il segretario di Rifondazione comunista, ha inviato una lettera in cui esalta questo matrimonio come un segnale di speranza. «Per un futuro - scrive Bertinotti - da costruire insieme». Gli amici comuni ora li prendono in giro: «Ragazzi, scusate, ci avete pensato bene?». Altroché: 26 anni, ci hanno pensato.
Il 2 giugno poi è anche la festa di Sant’Erasmo, patrono di Formia. Le emozioni, insomma, non mancano: «Il matrimonio - spiega Vittorio, brindando con acqua - vuol dire prender sul serio i propri sentimenti, dar loro costanza, significato, profondità. Ma è anche vero che bisogna essere fortunati per scegliere bene. E io lo sono stato».
Ci sono due dei tre figli avuti da Vittorio con la prima moglie, Lisa Giua, morta a 82 anni il 4 marzo scorso: Anna e Renzo. Solo Bettina, la minore, non è venuta, in procinto di partire per l’Africa. C’è anche Daniela Garavini, la figlia di Sesa e del suo primo marito, Sergio Garavini, storico leader della Cgil e del Pci, morto nel 2001. Daniela fa da testimone assieme a Pietro Marcenaro, segretario ds del Piemonte.
Si direbbe che una buona fetta di cultura italiana si sia radunata sul mare pontino: c’è Alfredo Reichlin, fresco ottantenne, che proprio a Formia assieme a Foa e a Miriam Mafai due anni fa scrisse «Il silenzio dei comunisti». C’è l’ex segretario generale della Cgil Bruno Trentin con la moglie, la giornalista e scrittrice francese Marcelle Padovani, che hanno portato in dono una lampada di Murano. E poi lo storico Paul Ginsborg. E infine Vittorio Sermonti con Ludovica Ripa di Meana, davvero stregati dai novelli sposi («Gli vorrei dedicare l’ottavo canto del Paradiso - esclama Sermonti - quello dedicato a Carlo Martello nel cielo di Venere, innamorato perso della moglie Clemenza»). La festa va avanti fino a tarda sera. «Bisogna avere fiducia nel futuro» ha sempre detto Vittorio Foa. Per il centenario della Cgil, nel 2006, sta preparando un libro insieme con il segretario generale, Guglielmo Epifani: «Ma non posso dirvi di più» conclude scherzoso.
Lui: sono fortunato, ho scelto bene. Mano nella mano con Sesa Tatò per tutta la cerimonia
Foa sposo a 95 anni, brindisi con un bicchiere d’acqua
Fabrizio Caccia
FORMIA (Latina) - Matrimonio con suspense. Emergenza bomba a Formia fino quasi al giorno prima e poi, sul più bello, la stilografica del sindaco diessino, Sandro Bartolomeo, che fa cilecca. Ci pensa un fotografo, allora, a passare una biro a Vittorio Foa e Sesa Tatò per firmare il registro civile. Comunque nozze da sogno, nozze da ricordare. Lui 95 anni, lei 80, vestito color tortora di seta e un cappellino comprato a Parigi. Felici, commossi, beati. E mano nella mano per tutta la cerimonia come due ragazzini.
Sposi il 2 giugno, festa della Repubblica, perché così hanno deciso loro, che all’Italia hanno dedicato l’impegno di una vita. Il presidente Ciampi e sua moglie Franca hanno mandato un biglietto affettuosissimo: «Vivere la propria esistenza con impegno, curiosità e progetto continuo è un dono per se stessi e per gli altri. La decisione di regalarvi questo giorno così felice ne rappresenta una bella conferma. Vi siamo vicini con molta gioia e grande affetto». Anche Fausto Bertinotti, il segretario di Rifondazione comunista, ha inviato una lettera in cui esalta questo matrimonio come un segnale di speranza. «Per un futuro - scrive Bertinotti - da costruire insieme». Gli amici comuni ora li prendono in giro: «Ragazzi, scusate, ci avete pensato bene?». Altroché: 26 anni, ci hanno pensato.
Il 2 giugno poi è anche la festa di Sant’Erasmo, patrono di Formia. Le emozioni, insomma, non mancano: «Il matrimonio - spiega Vittorio, brindando con acqua - vuol dire prender sul serio i propri sentimenti, dar loro costanza, significato, profondità. Ma è anche vero che bisogna essere fortunati per scegliere bene. E io lo sono stato».
Ci sono due dei tre figli avuti da Vittorio con la prima moglie, Lisa Giua, morta a 82 anni il 4 marzo scorso: Anna e Renzo. Solo Bettina, la minore, non è venuta, in procinto di partire per l’Africa. C’è anche Daniela Garavini, la figlia di Sesa e del suo primo marito, Sergio Garavini, storico leader della Cgil e del Pci, morto nel 2001. Daniela fa da testimone assieme a Pietro Marcenaro, segretario ds del Piemonte.
Si direbbe che una buona fetta di cultura italiana si sia radunata sul mare pontino: c’è Alfredo Reichlin, fresco ottantenne, che proprio a Formia assieme a Foa e a Miriam Mafai due anni fa scrisse «Il silenzio dei comunisti». C’è l’ex segretario generale della Cgil Bruno Trentin con la moglie, la giornalista e scrittrice francese Marcelle Padovani, che hanno portato in dono una lampada di Murano. E poi lo storico Paul Ginsborg. E infine Vittorio Sermonti con Ludovica Ripa di Meana, davvero stregati dai novelli sposi («Gli vorrei dedicare l’ottavo canto del Paradiso - esclama Sermonti - quello dedicato a Carlo Martello nel cielo di Venere, innamorato perso della moglie Clemenza»). La festa va avanti fino a tarda sera. «Bisogna avere fiducia nel futuro» ha sempre detto Vittorio Foa. Per il centenario della Cgil, nel 2006, sta preparando un libro insieme con il segretario generale, Guglielmo Epifani: «Ma non posso dirvi di più» conclude scherzoso.
sinistra
Prodi: allora le primarie
Bertinotti è d'accordo
DURISSIMA LETTERA APERTA SUL SUO SITO INTERNET
Prodi rilancia
«Primarie sulla leadership»
Il Professore parla di «consultazione della base anche sul programma»
(...)
ROMA. Il dado è tratto. Romano Prodi, dopo averci rimuginato per una settimana, ha deciso di rincarare la dose, rilanciando con una nettezza che oramai è diventata una sua prerogativa. In un documento pubblicato sul suo sito, il Professore lancia una raffica di messaggi alle forze politiche che lo sostengono. Il primo: il governo di un Paese disastrato come l’Italia ha bisogno del sostegno di «una grande forza politica» e di «un grande gruppo parlamentare» e dunque il progetto politico di un soggetto dell’Ulivo va avanti, anche se la Margherita non dovesse essere interessata. E quel dissenso del partito di Rutelli - ecco il secondo messaggio - va «rispettato», ma eguale rispetto Prodi chiede a chi scegliesse vie diverse.
In altre parole, il Professore si rivolge a Rutelli: a te non interessa partecipare al soggetto dell’Ulivo, ma devi rispettare chi, nel tuo partito, dovesse credere ancora a quel progetto. Dunque, da parte di Prodi, il preannuncio di un addio da parte di tutti coloro che nella Margherita intendano insistere sul soggetto ulivista, da realizzare in forme tutte da vedere ma partendo dal nucleo di coloro che si sono detti disponibili: Ds, prodiani, Sdi, Repubblicani europei, Cittadini per l’Ulivo. E ancora: visto che il problema leadership «sembra essere tornato d’attualità», la questione si può risolvere «con un confronto aperto e collettivo». Fuor di metafora con delle primarie popolari. E il Professore, con una proposta destinata a piacere a Rifondazione, dice pure che se su alcuni punti di programma resteranno divergenze, a quel punto va interpellata la base. Insomma, primarie doppie: per la leadership e per il programma.
Nel documento scritto da Prodi ci sono molte altre cose, a cominciare da diverse suggestioni programmatiche, ma quel che ha finito per catalizzare le reazioni è stato il contenuto politico del messaggio prodiano. Dalla Margherita, almeno ufficialmente, soltanto silenzio.
(...)
Significativo il compiacimento di Fausto Bertinotti: «Primarie? Sarebbe la mossa del cavallo. Serve una partecipazione democratica che rilanci l’Unione e diradi ogni nube sulla leadership». E anche il leader verde Alfonso Pecoraro Scanio plaude a Prodi: «Intervento da vero leader. Ora l’Unione deve smetterla con lo stillicidio degli ultimi tempi e concentrarsi sul programma».
Nel documento scritto per il suo sito, Romano Prodi prende le mosse dal caso Italia, un Paese che sta male: «Il nostro è soprattutto un male italiano, la nostra una malattia solo in parte comune al resto dell’Europa» e anche se la ripresa sarà difficile, costerà lacrime e sangue «il risanamento non ci basta, noi vogliamo che l’Italia ritrovi il gusto della vittoria». E dunque indica «alcune linee di azione». Parla di «lotta contro l’evasione legale», di «significativa diminuzione del costo del lavoro tramite la riduzione dei contributi fiscali che gravano su esso». E poi un passaggio che sta a cuore a Fausto Bertinotti ma non solo a lui: «Non si può certo prosperare in un Paese in cui il lavoro è tassato più della rendita e in cui gli investimenti produttivi sono penalizzati rispetto a quelli finanziari». E ancora: «Anche la riduzione dei costi non sarà sufficiente se il Paese non assorbirà fino in fondo una cultura della concorrenza, potenziando, riformando e trasformando il ruolo delle autorità di garanzia».
ANSA: (ANSA) - ROMA, 3.6.05
Fausto Bertinotti non ha rinunciato all'idea di una sua candidatura alla leadership del centrosinistra, in caso di elezioni primarie. «Non è un punto che si può mettere in discussione -dice- ma neanche la cosa più importante. Quello che conta è che si torni a parlare di un processo democratico di partecipazione». Bertinotti riafferma che Prodi «è il nostro candidato, ma -aggiunge- un processo di partecipazione democratica per la scelta della leadership farebbe bene a tutti».
Prodi rilancia
«Primarie sulla leadership»
Il Professore parla di «consultazione della base anche sul programma»
(...)
ROMA. Il dado è tratto. Romano Prodi, dopo averci rimuginato per una settimana, ha deciso di rincarare la dose, rilanciando con una nettezza che oramai è diventata una sua prerogativa. In un documento pubblicato sul suo sito, il Professore lancia una raffica di messaggi alle forze politiche che lo sostengono. Il primo: il governo di un Paese disastrato come l’Italia ha bisogno del sostegno di «una grande forza politica» e di «un grande gruppo parlamentare» e dunque il progetto politico di un soggetto dell’Ulivo va avanti, anche se la Margherita non dovesse essere interessata. E quel dissenso del partito di Rutelli - ecco il secondo messaggio - va «rispettato», ma eguale rispetto Prodi chiede a chi scegliesse vie diverse.
In altre parole, il Professore si rivolge a Rutelli: a te non interessa partecipare al soggetto dell’Ulivo, ma devi rispettare chi, nel tuo partito, dovesse credere ancora a quel progetto. Dunque, da parte di Prodi, il preannuncio di un addio da parte di tutti coloro che nella Margherita intendano insistere sul soggetto ulivista, da realizzare in forme tutte da vedere ma partendo dal nucleo di coloro che si sono detti disponibili: Ds, prodiani, Sdi, Repubblicani europei, Cittadini per l’Ulivo. E ancora: visto che il problema leadership «sembra essere tornato d’attualità», la questione si può risolvere «con un confronto aperto e collettivo». Fuor di metafora con delle primarie popolari. E il Professore, con una proposta destinata a piacere a Rifondazione, dice pure che se su alcuni punti di programma resteranno divergenze, a quel punto va interpellata la base. Insomma, primarie doppie: per la leadership e per il programma.
Nel documento scritto da Prodi ci sono molte altre cose, a cominciare da diverse suggestioni programmatiche, ma quel che ha finito per catalizzare le reazioni è stato il contenuto politico del messaggio prodiano. Dalla Margherita, almeno ufficialmente, soltanto silenzio.
(...)
Significativo il compiacimento di Fausto Bertinotti: «Primarie? Sarebbe la mossa del cavallo. Serve una partecipazione democratica che rilanci l’Unione e diradi ogni nube sulla leadership». E anche il leader verde Alfonso Pecoraro Scanio plaude a Prodi: «Intervento da vero leader. Ora l’Unione deve smetterla con lo stillicidio degli ultimi tempi e concentrarsi sul programma».
Nel documento scritto per il suo sito, Romano Prodi prende le mosse dal caso Italia, un Paese che sta male: «Il nostro è soprattutto un male italiano, la nostra una malattia solo in parte comune al resto dell’Europa» e anche se la ripresa sarà difficile, costerà lacrime e sangue «il risanamento non ci basta, noi vogliamo che l’Italia ritrovi il gusto della vittoria». E dunque indica «alcune linee di azione». Parla di «lotta contro l’evasione legale», di «significativa diminuzione del costo del lavoro tramite la riduzione dei contributi fiscali che gravano su esso». E poi un passaggio che sta a cuore a Fausto Bertinotti ma non solo a lui: «Non si può certo prosperare in un Paese in cui il lavoro è tassato più della rendita e in cui gli investimenti produttivi sono penalizzati rispetto a quelli finanziari». E ancora: «Anche la riduzione dei costi non sarà sufficiente se il Paese non assorbirà fino in fondo una cultura della concorrenza, potenziando, riformando e trasformando il ruolo delle autorità di garanzia».
ANSA: (ANSA) - ROMA, 3.6.05
Fausto Bertinotti non ha rinunciato all'idea di una sua candidatura alla leadership del centrosinistra, in caso di elezioni primarie. «Non è un punto che si può mettere in discussione -dice- ma neanche la cosa più importante. Quello che conta è che si torni a parlare di un processo democratico di partecipazione». Bertinotti riafferma che Prodi «è il nostro candidato, ma -aggiunge- un processo di partecipazione democratica per la scelta della leadership farebbe bene a tutti».
neanche un caffé con uno così!
l'ineffabile Rutelli ubbidirà agli ordini di Ruini
AdnKronos 3.6.05
Roma, 3 giu. - (Adnkronos) - Astensione. Sarà questa la scelta di Francesco Rutelli ai prossimi referendum sulla fecondazione assistita. Una decisione presa ''come politico e come parlamentare e non come presidente della Margherita'' e illustrata nel corso di un incontro pubblico svoltosi questa mattina.
Per Forza Italia l'annuncio sul referendum è una presa di distanza dall'Ulivo
Dal comitato per il sì reazioni di disappunto e inviti alla coerenza
L'astensione di Rutelli esalta Bondi
"Si aprono prospettive inusitate"
Boselli: "Una posizione arretrata e conservatrice"
ROMA - Entusiasmo, sarcasmo, disappunto. Sono contrastanti le reazioni suscitate nel mondo politico dall'annuncio di Francesco Rutelli sull'astensione al referendum del 12 e 13 giugno. A essere entusiasta è il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi che legge nella decisione del leader della Margherita il prologo di un vasto rivolgimento negli schieramenti e nelle alleanze tra partiti. "La posizione espressa da Rutelli sulla legittimità dell'astensione", commenta Bondi, "è una posizione di grande importanza e di grande significato. La comune condivisione di valori essenziali per il futuro dell'umanità apre obiettivamente prospettive politiche nuove e inusitate".
Ancora più esplicito lo scenario tratteggiato dall'ex ministro di An Maurizio Gasparri. "E' possibile - afferma - che dietro la decisione di Rutelli di astenersi vi possano essere ragioni strumentali. E' infatti evidente come in questi giorni Rutelli stia assumendo una serie di posizioni che probabilmente mirano più alla leadership di uno schieramento neocentrista futuro da contrapporre alla sinistra, anche facendo leva su spezzoni di centro del centrodestra".
Una previsione che le prime reazioni interne alla Margherita sembrano effettivamente legittimare. "Rispetto la decisione di Rutelli di astenersi al referendum e non contesto il metodo della scelta personale - spiega il membro della direzione del partito Pierluigi Mantini - ma nel merito l'astensione di Rutelli ci allontana perché un leader politico ha il dovere di partecipare al voto, in qualunque forma, rispettando l'esito del voto".
"Vi è inoltre il dovere della coerenza - aggiunge Mantini - e ricordo che tutto il centrosinistra ha votato pochi mesi fa la modifica della disciplina costituzionale del quorum del referendum abrogativo proprio per impedire che una minoranza, unita all'astensionismo fisiologico, prevalga sulla maggioranza dei cittadini che partecipano al voto".
Un richiamo alla coerenza, condito con un cenno sarcastico, arriva anche dal leader radicale Daniele Capezzone che definisce la dichiarazione di Rutelli "una ragione di più per invitare i simpatizzanti della Margherita ad un voto che aiuterà a far nascere più bambini, e a sperare di poter guarire tante terribili malattie". "Mi spiace - aggiunge - ancora una volta secondo un copione triste e scontato, nella politica italiana le convenienze e le furbate prevalgono sulle convinzioni".
Duro anche il commento di un altro dei promotori del referendum, il diessino Lanfranco Turci. "Ritengo politicamente e moralmente inaccettabile - spiega Turci - che un leader del centrosinistra che ha votato questa pessima legge in parlamento ora tenti con l'astensione di sottrarre agli elettori il diritto di pronunciarsi con il voto. Apparentemente Rutelli non considera gli elettori del centrosinistra, cui ha chiesto nel 2001 il voto per governare il paese, abbastanza maturi da poter esprimere il proprio giudizio su temi che riguardano da vicino le loro speranze di genitorialità, di salute e di libertà".
Enrico Boselli parla di "posizione arretrata e conservatrice". E Katia Belillo avverte: "Rutelli voti pure come vuole, ma non può attaccare la gran parte delle forse del centrosinistra".
Roma, 3 giu. - (Adnkronos) - Astensione. Sarà questa la scelta di Francesco Rutelli ai prossimi referendum sulla fecondazione assistita. Una decisione presa ''come politico e come parlamentare e non come presidente della Margherita'' e illustrata nel corso di un incontro pubblico svoltosi questa mattina.
Per Forza Italia l'annuncio sul referendum è una presa di distanza dall'Ulivo
Dal comitato per il sì reazioni di disappunto e inviti alla coerenza
L'astensione di Rutelli esalta Bondi
"Si aprono prospettive inusitate"
Boselli: "Una posizione arretrata e conservatrice"
ROMA - Entusiasmo, sarcasmo, disappunto. Sono contrastanti le reazioni suscitate nel mondo politico dall'annuncio di Francesco Rutelli sull'astensione al referendum del 12 e 13 giugno. A essere entusiasta è il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi che legge nella decisione del leader della Margherita il prologo di un vasto rivolgimento negli schieramenti e nelle alleanze tra partiti. "La posizione espressa da Rutelli sulla legittimità dell'astensione", commenta Bondi, "è una posizione di grande importanza e di grande significato. La comune condivisione di valori essenziali per il futuro dell'umanità apre obiettivamente prospettive politiche nuove e inusitate".
Ancora più esplicito lo scenario tratteggiato dall'ex ministro di An Maurizio Gasparri. "E' possibile - afferma - che dietro la decisione di Rutelli di astenersi vi possano essere ragioni strumentali. E' infatti evidente come in questi giorni Rutelli stia assumendo una serie di posizioni che probabilmente mirano più alla leadership di uno schieramento neocentrista futuro da contrapporre alla sinistra, anche facendo leva su spezzoni di centro del centrodestra".
Una previsione che le prime reazioni interne alla Margherita sembrano effettivamente legittimare. "Rispetto la decisione di Rutelli di astenersi al referendum e non contesto il metodo della scelta personale - spiega il membro della direzione del partito Pierluigi Mantini - ma nel merito l'astensione di Rutelli ci allontana perché un leader politico ha il dovere di partecipare al voto, in qualunque forma, rispettando l'esito del voto".
"Vi è inoltre il dovere della coerenza - aggiunge Mantini - e ricordo che tutto il centrosinistra ha votato pochi mesi fa la modifica della disciplina costituzionale del quorum del referendum abrogativo proprio per impedire che una minoranza, unita all'astensionismo fisiologico, prevalga sulla maggioranza dei cittadini che partecipano al voto".
Un richiamo alla coerenza, condito con un cenno sarcastico, arriva anche dal leader radicale Daniele Capezzone che definisce la dichiarazione di Rutelli "una ragione di più per invitare i simpatizzanti della Margherita ad un voto che aiuterà a far nascere più bambini, e a sperare di poter guarire tante terribili malattie". "Mi spiace - aggiunge - ancora una volta secondo un copione triste e scontato, nella politica italiana le convenienze e le furbate prevalgono sulle convinzioni".
Duro anche il commento di un altro dei promotori del referendum, il diessino Lanfranco Turci. "Ritengo politicamente e moralmente inaccettabile - spiega Turci - che un leader del centrosinistra che ha votato questa pessima legge in parlamento ora tenti con l'astensione di sottrarre agli elettori il diritto di pronunciarsi con il voto. Apparentemente Rutelli non considera gli elettori del centrosinistra, cui ha chiesto nel 2001 il voto per governare il paese, abbastanza maturi da poter esprimere il proprio giudizio su temi che riguardano da vicino le loro speranze di genitorialità, di salute e di libertà".
Enrico Boselli parla di "posizione arretrata e conservatrice". E Katia Belillo avverte: "Rutelli voti pure come vuole, ma non può attaccare la gran parte delle forse del centrosinistra".
"irriducibili"
un convegno di freudiani sul sogno
Il Mattino 3.6.05
DUE INCONTRI DI STUDIO
Come decifrare sogni e bisogni dei veri geni
«Menti eminenti in sogno» è il titolo del convegno che oggi e domani a Napoli (Palazzo Serra di Cassano) e sabato 18 giugno a Roma (Sala Valdese) riunirà studiosi, psichiatri e psicoanalisti.
Antonio Vitolo
Perché un convegno sul sogno tra Napoli e Roma, a 106 anni dall’Interpretazione dei sogni? Perché la via regia all’inconscio, che pure svetta ancora, è da molte parti attaccata. Un po’ dai fautori del pensiero automatico, che scaccia il raccoglimento. Un po’ dal Medmix (mediterranea mistura) cognitivista-comportamentista, che svilisce il rigore sperimentale dei metodi d’alto rango in parodie pseudodiagnostiche. Le ricerche sperimentali sul sogno mostrano da tempo che il sogno non appartiene solo alle fasi dei rapidi movimenti oculari (Rem): confermano stati oniroidi di veglia e aprono ulteriori frontiere di ricerca. In quella lente, tuttavia, il sogno è un bricolage, figlio d’un cervello ozioso e nulla più, con buona pace di percezioni e conoscenze millenarie. Per fortuna, li ricordiamo o non, tutti, ogni notte, produciamo sogni. E il Nobel Lurja provò che lesioni cerebrali che impediscano l’attività onirica generano stati psichici che rasentano la pazzia. Una ragione in più per riflettere sul sogno, che Freud volle basato sul principio di appagamento del desiderio e Jung ritenne un fenomeno naturale, tanto avvincente, quanto oscuro. Il sogno dei bambini è peculiare, vicino al gioco, anche nell’ansia. Quello degli adolescenti sembra un viaggio nell’utopia, perché s’inoltra più lontano d’ogni interpretazione. Quello degli anziani tocca talora la prefigurazione del declino, se non della fine. Gli adulti, sani, normali, nevrotici, dal sogno possono trarre indizi di trasformazione, farne un alleato di progetti nuovi. Il dato sorprendente, in primo luogo, è che un sogno si possa raccontare. Quanto al racconto onirico, esso rende l’immagine parola, apre la finestra del dialogo, con sé, con l’altro. Disserra il sogno come sorprendente enigma, dramma della scena interiore. Protegge dall’allucinazione, orienta a pensare, offre semi di creatività, per chi al risveglio non lasci oscurare quel paradossale lucignolo notturno. Tutto così pacifico? Per chi patisce gravi sofferenze psichiche, il contrario. Un sogno può farsi attendere anni o irrompere come una trama devastante, perché la coscienza non è pronta a reggerlo.
L’idea per il convegno è venuta da un sogno di Cartesio, che la notte del 10 novembre 1629, prima del Discours e delle Meditationes métaphysiques, sognò un melone che veniva da un paese straniero e interrogandosi sul senso di quelle immagini trovò la sua strada. Questo, e altri sogni eminenti, saranno trattati al convegno. Tra essi, uno toccante del pittore Segantini (scelto da Sarantis Thanopulos), mentre Jeanne Magagna racconta i sogni di riparazione di bimbi angosciati e Lucio Russo invita a essere onirofili. Non mancherà una sapida integrazione del poeta Mimmo Grasso che legge Alfonso Gatto, dotato di occhi sognanti salernitani.
DUE INCONTRI DI STUDIO
Come decifrare sogni e bisogni dei veri geni
«Menti eminenti in sogno» è il titolo del convegno che oggi e domani a Napoli (Palazzo Serra di Cassano) e sabato 18 giugno a Roma (Sala Valdese) riunirà studiosi, psichiatri e psicoanalisti.
Antonio Vitolo
Perché un convegno sul sogno tra Napoli e Roma, a 106 anni dall’Interpretazione dei sogni? Perché la via regia all’inconscio, che pure svetta ancora, è da molte parti attaccata. Un po’ dai fautori del pensiero automatico, che scaccia il raccoglimento. Un po’ dal Medmix (mediterranea mistura) cognitivista-comportamentista, che svilisce il rigore sperimentale dei metodi d’alto rango in parodie pseudodiagnostiche. Le ricerche sperimentali sul sogno mostrano da tempo che il sogno non appartiene solo alle fasi dei rapidi movimenti oculari (Rem): confermano stati oniroidi di veglia e aprono ulteriori frontiere di ricerca. In quella lente, tuttavia, il sogno è un bricolage, figlio d’un cervello ozioso e nulla più, con buona pace di percezioni e conoscenze millenarie. Per fortuna, li ricordiamo o non, tutti, ogni notte, produciamo sogni. E il Nobel Lurja provò che lesioni cerebrali che impediscano l’attività onirica generano stati psichici che rasentano la pazzia. Una ragione in più per riflettere sul sogno, che Freud volle basato sul principio di appagamento del desiderio e Jung ritenne un fenomeno naturale, tanto avvincente, quanto oscuro. Il sogno dei bambini è peculiare, vicino al gioco, anche nell’ansia. Quello degli adolescenti sembra un viaggio nell’utopia, perché s’inoltra più lontano d’ogni interpretazione. Quello degli anziani tocca talora la prefigurazione del declino, se non della fine. Gli adulti, sani, normali, nevrotici, dal sogno possono trarre indizi di trasformazione, farne un alleato di progetti nuovi. Il dato sorprendente, in primo luogo, è che un sogno si possa raccontare. Quanto al racconto onirico, esso rende l’immagine parola, apre la finestra del dialogo, con sé, con l’altro. Disserra il sogno come sorprendente enigma, dramma della scena interiore. Protegge dall’allucinazione, orienta a pensare, offre semi di creatività, per chi al risveglio non lasci oscurare quel paradossale lucignolo notturno. Tutto così pacifico? Per chi patisce gravi sofferenze psichiche, il contrario. Un sogno può farsi attendere anni o irrompere come una trama devastante, perché la coscienza non è pronta a reggerlo.
L’idea per il convegno è venuta da un sogno di Cartesio, che la notte del 10 novembre 1629, prima del Discours e delle Meditationes métaphysiques, sognò un melone che veniva da un paese straniero e interrogandosi sul senso di quelle immagini trovò la sua strada. Questo, e altri sogni eminenti, saranno trattati al convegno. Tra essi, uno toccante del pittore Segantini (scelto da Sarantis Thanopulos), mentre Jeanne Magagna racconta i sogni di riparazione di bimbi angosciati e Lucio Russo invita a essere onirofili. Non mancherà una sapida integrazione del poeta Mimmo Grasso che legge Alfonso Gatto, dotato di occhi sognanti salernitani.
Cina
una testimonianza (veritiera?) su Mao Tze Tung
Corriere della Sera 3.6.05
In questa rara intervista, l’ottantottenne dirigente comunista ripercorre la storia della Repubblica Popolare
«Mao, un despota brutale» Parla Li Rui, per anni segretario e confidente del Grande Timoniere
Jonathan Watts
The Guardian 2005 (Traduzione di Monica Levy)
PECHINO - Il suo gigantesco ritratto troneggia all'ingresso della Città Proibita, il suo corpo imbalsamato sta in un mausoleo al centro di Piazza Tienanmen, la sua effigie è la sola a comparire sull'ultima serie di banconote. A quasi trent'anni dalla sua morte, Mao è sempre la figura più centrale della Cina ma qui non c'è traccia di dibattito. Una nuova biografia inglese curata da Jung Chang, l'autrice di «Cigni selvatici», definisce Mao il più grande assassino di massa della storia. Del libro però non si parlerà nei caffè e nei ristoranti di Pechino, né le sue tesi riempiranno le pagine dei giornali cinesi. Perché in Cina il libro non verrà pubblicato e difficilmente se ne troveranno accenni su Internet. Secondo Li Rui, l’uomo che fu segretario personale di Mao nel periodo più sanguinoso del Grande Timoniere, è questo rifiuto di confrontarsi con gli episodi più bui del passato cinese e di sottoporli a revisione a impedire che il Paese conquisti il proprio potenziale. In questa rara intervista, Li Rui sostiene che il problema maggiore della Cina moderna è la sua incapacità di fare i conti con la storia. I cui orrori pochi conoscono meglio di questo signore di 88 anni, che per avere espresso apertamente le proprie opinioni ha conosciuto prima il centro del potere a Pechino, poi la brutalità dei campi di lavoro nella provincia glaciale dell’Heilongjiang.
Gran parte delle punizioni erano distribuite dal suo mentore e principale tormentatore, Mao, i cui peggiori crimini sono ancora un argomento tabù.
«E' il più grande problema della Cina. Mao era troppo autocratico. Non sopportava dissensi. Aveva la convinzione superstiziosa di essere sempre e assolutamente nel giusto. Ma il problema di Mao è anche un problema del sistema. Era causato dal sistema del partito».
Lei non ha ancora letto il nuovo lavoro su Mao, ma la tesi secondo la quale fu colpevole della morte di decine di milioni di cinesi durante il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale non sarà probabilmente una sorpresa...
«Il modo di pensare e di governare di Mao era terrificante» e trema dalla rabbia appena gli si chiede della personalità del presidente. «Non dava valore alla vita umana. La morte degli altri non significava niente per lui. Proprio non mi piaceva».
Nonostante le critiche insolitamente aspre, Li Rui non è un dissidente. Al contrario, è un uomo del partito a tutto tondo, un quadro sopravvissuto a uno dei tumulti politici più crudi del ventesimo secolo con la reputazione intatta. E la sua abitazione di Pechino, nella Casa dei ministri, un condominio riservato ai dirigenti comunisti in pensione, ne è la prova. Ma i suoi violenti commenti pubblici sono del tutto coerenti con una storia personale fatta di ribellioni, spesso pagate a caro prezzo, contro quanti abusavano del potere. Da liceale nella provincia di Hubei guidò le proteste studentesche contro i signori della guerra locali, all'università si buttò nel movimento contro il Giappone e subito dopo fu arrestato dagli uomini del Kuomintang di Chang Kai-shek per aver distribuito libri di testo marxisti. Una volta libero si unì alle forze comuniste di Mao a Yanan, dove scriveva pungenti editoriali per il giornale del partito, Liberazione . A seguito di una brutale purga contro i «reazionari», trascorse un anno in carcere con l'accusa di spionaggio.
Inizialmente la sua indipendenza di pensiero le valse una promozione nella cerchia più vicina a Mao, dove occupò la posizione consultiva di segretario personale. Ma nel 1958 quella stessa franchezza la portò per due anni in un campo di lavoro: aveva osato criticare pubblicamente la politica disastrosa del Grande Balzo in Avanti e, per estensione, un leader che stava cominciando a proiettare un'immagine di infallibilità...
«Già nel 1958 Mao diceva che il culto della personalità era necessario. Durante la Rivoluzione Culturale, era ormai diventato un culto del male. I metodi di Mao erano anche più duri di quelli degli imperatori dei tempi antichi. Mao cercava di controllare le menti delle persone».
Eppure, nonostante le sofferenze vissute in prima persona, Li Rui accetta il giudizio ufficiale del Partito comunista secondo il quale Mao è stato per tre parti cattivo e per sette buono: i suoi successi rivoluzionari nell’espellere le potenze coloniali furono superiori ai suoi insuccessi una volta andato al potere. Dalla follia della Rivoluzione culturale la Cina è cambiata al punto di essere quasi irriconoscibile. I cinesi sono più ricchi e assai più liberi di muoversi e di esprimere le loro opinioni in privato e davanti agli stranieri, se non ancora in pubblico. «Oggi posso parlare con lei. In passato, se avessi parlato così sarei stato ucciso o messo in prigione» dice Li Rui.
Tuttavia, le sue poesie e i suoi saggi contro la corruzione, la distruzione dell’ambiente e la censura interna vengono pubblicati a Hong Kong. Quando un giornale continentale, il Southern Metropolitan, ha riportato le sue proposte per una divisione tripartita del potere, le autorità ne hanno bloccato la diffusione e hanno cambiato il direttore. Per quanto i campi di lavoro non costituiscano più una minaccia, a parlar chiaro si corrono rischi considerevoli. Lo si è visto con i frequenti arresti di giornalisti, il più recente quello di Ching Cheong dello Straits Times di Singapore, accusato di spionaggio per aver cercato di ottenere degli appunti delle interviste segrete con il defunto premier Zhao Ziyang che si era opposto alle uccisioni di Piazza Tienanmen il 4 giugno 1989.
Li Rui parla di questo argomento delicato come di qualsiasi altro con franchezza: «La leadership non capì gli studenti. Temeva che fossero organizzati dalle potenze straniere e facessero parte di un tentativo di presa del potere da parte di qualcuno all'interno del partito. La leadership prese misure sbagliate. Le richieste degli studenti di maggior democrazia e meno corruzione erano giuste».
L'anno scorso, nel quindicesimo anniversario di Tienanmen, funzionari di primo piano chiesero di riconsiderare gli atti di repressione, che il governo aveva sempre motivato come una misura necessaria contro una rivolta che minacciava la stabilità. Li Rui è uno dei pochi che rischia una punizione da parte delle autorità perché è intervenuto pubblicamente con un appello del genere. «Dovremmo parlarne. Dovremmo riconsiderare - dice - quanto accadde il 4 giugno. Ma dobbiamo farlo come si deve, non ora». Come per il nazismo in Germania o per la dittatura militare nella Corea del Sud, un giudizio finirà per essere dato dalla storia. «Ma è difficile dire se ci vorranno cinque, quindici o vent'anni».
In questa rara intervista, l’ottantottenne dirigente comunista ripercorre la storia della Repubblica Popolare
«Mao, un despota brutale» Parla Li Rui, per anni segretario e confidente del Grande Timoniere
Jonathan Watts
The Guardian 2005 (Traduzione di Monica Levy)
PECHINO - Il suo gigantesco ritratto troneggia all'ingresso della Città Proibita, il suo corpo imbalsamato sta in un mausoleo al centro di Piazza Tienanmen, la sua effigie è la sola a comparire sull'ultima serie di banconote. A quasi trent'anni dalla sua morte, Mao è sempre la figura più centrale della Cina ma qui non c'è traccia di dibattito. Una nuova biografia inglese curata da Jung Chang, l'autrice di «Cigni selvatici», definisce Mao il più grande assassino di massa della storia. Del libro però non si parlerà nei caffè e nei ristoranti di Pechino, né le sue tesi riempiranno le pagine dei giornali cinesi. Perché in Cina il libro non verrà pubblicato e difficilmente se ne troveranno accenni su Internet. Secondo Li Rui, l’uomo che fu segretario personale di Mao nel periodo più sanguinoso del Grande Timoniere, è questo rifiuto di confrontarsi con gli episodi più bui del passato cinese e di sottoporli a revisione a impedire che il Paese conquisti il proprio potenziale. In questa rara intervista, Li Rui sostiene che il problema maggiore della Cina moderna è la sua incapacità di fare i conti con la storia. I cui orrori pochi conoscono meglio di questo signore di 88 anni, che per avere espresso apertamente le proprie opinioni ha conosciuto prima il centro del potere a Pechino, poi la brutalità dei campi di lavoro nella provincia glaciale dell’Heilongjiang.
Gran parte delle punizioni erano distribuite dal suo mentore e principale tormentatore, Mao, i cui peggiori crimini sono ancora un argomento tabù.
«E' il più grande problema della Cina. Mao era troppo autocratico. Non sopportava dissensi. Aveva la convinzione superstiziosa di essere sempre e assolutamente nel giusto. Ma il problema di Mao è anche un problema del sistema. Era causato dal sistema del partito».
Lei non ha ancora letto il nuovo lavoro su Mao, ma la tesi secondo la quale fu colpevole della morte di decine di milioni di cinesi durante il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale non sarà probabilmente una sorpresa...
«Il modo di pensare e di governare di Mao era terrificante» e trema dalla rabbia appena gli si chiede della personalità del presidente. «Non dava valore alla vita umana. La morte degli altri non significava niente per lui. Proprio non mi piaceva».
Nonostante le critiche insolitamente aspre, Li Rui non è un dissidente. Al contrario, è un uomo del partito a tutto tondo, un quadro sopravvissuto a uno dei tumulti politici più crudi del ventesimo secolo con la reputazione intatta. E la sua abitazione di Pechino, nella Casa dei ministri, un condominio riservato ai dirigenti comunisti in pensione, ne è la prova. Ma i suoi violenti commenti pubblici sono del tutto coerenti con una storia personale fatta di ribellioni, spesso pagate a caro prezzo, contro quanti abusavano del potere. Da liceale nella provincia di Hubei guidò le proteste studentesche contro i signori della guerra locali, all'università si buttò nel movimento contro il Giappone e subito dopo fu arrestato dagli uomini del Kuomintang di Chang Kai-shek per aver distribuito libri di testo marxisti. Una volta libero si unì alle forze comuniste di Mao a Yanan, dove scriveva pungenti editoriali per il giornale del partito, Liberazione . A seguito di una brutale purga contro i «reazionari», trascorse un anno in carcere con l'accusa di spionaggio.
Inizialmente la sua indipendenza di pensiero le valse una promozione nella cerchia più vicina a Mao, dove occupò la posizione consultiva di segretario personale. Ma nel 1958 quella stessa franchezza la portò per due anni in un campo di lavoro: aveva osato criticare pubblicamente la politica disastrosa del Grande Balzo in Avanti e, per estensione, un leader che stava cominciando a proiettare un'immagine di infallibilità...
«Già nel 1958 Mao diceva che il culto della personalità era necessario. Durante la Rivoluzione Culturale, era ormai diventato un culto del male. I metodi di Mao erano anche più duri di quelli degli imperatori dei tempi antichi. Mao cercava di controllare le menti delle persone».
Eppure, nonostante le sofferenze vissute in prima persona, Li Rui accetta il giudizio ufficiale del Partito comunista secondo il quale Mao è stato per tre parti cattivo e per sette buono: i suoi successi rivoluzionari nell’espellere le potenze coloniali furono superiori ai suoi insuccessi una volta andato al potere. Dalla follia della Rivoluzione culturale la Cina è cambiata al punto di essere quasi irriconoscibile. I cinesi sono più ricchi e assai più liberi di muoversi e di esprimere le loro opinioni in privato e davanti agli stranieri, se non ancora in pubblico. «Oggi posso parlare con lei. In passato, se avessi parlato così sarei stato ucciso o messo in prigione» dice Li Rui.
Tuttavia, le sue poesie e i suoi saggi contro la corruzione, la distruzione dell’ambiente e la censura interna vengono pubblicati a Hong Kong. Quando un giornale continentale, il Southern Metropolitan, ha riportato le sue proposte per una divisione tripartita del potere, le autorità ne hanno bloccato la diffusione e hanno cambiato il direttore. Per quanto i campi di lavoro non costituiscano più una minaccia, a parlar chiaro si corrono rischi considerevoli. Lo si è visto con i frequenti arresti di giornalisti, il più recente quello di Ching Cheong dello Straits Times di Singapore, accusato di spionaggio per aver cercato di ottenere degli appunti delle interviste segrete con il defunto premier Zhao Ziyang che si era opposto alle uccisioni di Piazza Tienanmen il 4 giugno 1989.
Li Rui parla di questo argomento delicato come di qualsiasi altro con franchezza: «La leadership non capì gli studenti. Temeva che fossero organizzati dalle potenze straniere e facessero parte di un tentativo di presa del potere da parte di qualcuno all'interno del partito. La leadership prese misure sbagliate. Le richieste degli studenti di maggior democrazia e meno corruzione erano giuste».
L'anno scorso, nel quindicesimo anniversario di Tienanmen, funzionari di primo piano chiesero di riconsiderare gli atti di repressione, che il governo aveva sempre motivato come una misura necessaria contro una rivolta che minacciava la stabilità. Li Rui è uno dei pochi che rischia una punizione da parte delle autorità perché è intervenuto pubblicamente con un appello del genere. «Dovremmo parlarne. Dovremmo riconsiderare - dice - quanto accadde il 4 giugno. Ma dobbiamo farlo come si deve, non ora». Come per il nazismo in Germania o per la dittatura militare nella Corea del Sud, un giudizio finirà per essere dato dalla storia. «Ma è difficile dire se ci vorranno cinque, quindici o vent'anni».
Roma
tensione a Centocelle
Corriere della Sera, cronaca di Roma 3.6.05
Per la ricorrenza della Liberazione di Roma, Forza Nuova indice un presidio, i centri sociali si oppongono
In piazza tra festa e tensione
Ieri tafferugli a Testaccio per il «contro-corteo» del 2 giugno. Domani occhi puntati su Centocelle
Ieri sui Fori Imperiali parata militare del 2 giugno. Davanti a migliaia di romani e turisti hanno sfilato i nostri soldati, con le frecce tricolori a chiudere. Ma tafferugli sono avvenuti a Testaccio, dove era programmata una «controparata» pacifista. Il corteo di Cobas, Rdb e circoli di Rifondazione è stato bloccato in fondo a via Marmorata per uno striscione «Pisanu: vergogna della Repubblica, chiudiamo i lager Cpt» ritenuto «offensivo» dalla questura. Dopo un’ora di trattative, improvvisi gli incidenti. Un consigliere municipale rimasto ferito è stato ricoverato al San Camillo. E domani occhi puntati a Centocelle dove Forza Nuova farà un sit-in cui si oppongono i centri sociali.
Cresce la tensione nel popolare quartiere.
Schiuma (An): no al diktat dei centri sociali «No al presidio di Forza Nuova»
Centocelle, il VII Municipio chiede di bloccare il sit-in di estrema destra previsto domani
La scorsa notte ignoti, con una bomboletta spray, hanno vergato la scritta «via i fasci da Centocelle» contro la sede del circolo di Alleanza Nazionale in via delle Palme, nel popolare quartiere romano. Intanto venivano staccati i manifesti che annunciano la manifestazione, in programma sabato nel quartiere, di Forza Nuova. Ed è questo appuntamento in piazza San Felice, alle 17 di sabato, a rendere incandescente il clima che si respira a Centocelle. Per la stessa giornata sta intanto crescendo la preparazione della «festa» per la Liberazione convocata da un cartello di forze di sinistra guidato dal locale Comitato di quartiere di Centocelle. «Un’altra sede di An oggetto di scritte minacciose. Questa volta hanno scritto sulla serranda di un circolo in via delle Palme, "via i fasci da Centocelle", e sono stati staccati i manifesti di Azione Giovani, l’organizzazione giovanile di An dello stesso circolo che preannunciavano iniziative politiche». La protesta è del capogruppo di An alla Provincia di Roma Piergiorgio Benvenuti. «Ritengo stia lievitando in città un clima di intimidazione e di minacce nei confronti di esponenti di An e di Azione Giovani, chiedo un maggior controllo, l’individuazione di chi teorizza azioni di violenza e di intimidazione per prevenire ulteriori e più gravi azioni». «Certamente nessuno potrà mai intimidire coloro i quali - ha concluso Benvenuti - quotidianamente con fermezza e coraggio, esprimono il proprio pensiero politico e partecipano attivamente alla vita politica della destra a Roma».
L’avvenimento spiega il clima che si sta vivendo a Centocelle, in queste ore che precedono un sabato che si presenta problematico per il popolare quartiere. A tutt’oggi infatti, dalla Questura non è scattato nessun divieto nei confronti della manifestazione promossa da Forza Nuova, nonostante un parere tecnico indirizzato al divieto espresso dal prefetto Achille Serra e dalla riunione del Comitato per l’ordine pubblico tenutasi mercoledì. A prefetto e questore però esponenti di Forza Nuova e di An hanno chiesto di non piegarsi al diktat dei centri sociali e, come ha ricordato il consigliere comunale di An Fabio Sabbatani Schiuma, «di chi spacca le vetrine».
A chiedere il divieto però non sono solo i centri sociali e la rete no-global di Centocelle. Lo ricorda il presidente del VII Municipio Stefano Tozzi che rivendica l’ordine del giorno votato dal consiglio municipale nei giorni scorsi: «A considerare come una provocazione quel raduno di Forza Nuova non è stato solo il centrosinistra - spiega Tozzi -. Con noi della maggioranza hanno votato anche i consiglieri di Forza Italia e dell’Udc. Altri consiglieri di An hanno preferito assentarsi dall’aula al momento del voto. Alla fine contro hanno votato solo due consiglieri di An».
Mobilitati anche i partigiani del quartiere, uno dei più vivi durante la lotta antifascista e i mesi dell’occupazione nazista di Roma. Adriano Forcella a 15 anni spargeva i chiodi a quattro punte sulla Casilina e sulla Prenestina, li fabbricava lo zio Luigi a Tor Pignattara. Ora dice. «Invece di ritrovarci tra i piedi un raduno fascista - spiega Forcella - avrei preferito concentrarmi sul progetto di rifacimento di piazza delle Camelie. Lì dobbiamo spostare le rotaie e ricordare con un monumento i nostri 18 partigiani caduti allora per la nostra libertà. Vorrà dire che ora i vecchi ex partigiani come me devono però continuare a mobilitarsi...».
La «festa» ideata dal comitato coordinato da Leonardo Rinaldi sta prendendo corpo: mimi, saltimbanchi, bande musicali come la «Titubanda» del centro sociale Snia Viscosa, perfino un complesso sinfonico da far suonare in via dei Castani.
Per la ricorrenza della Liberazione di Roma, Forza Nuova indice un presidio, i centri sociali si oppongono
In piazza tra festa e tensione
Ieri tafferugli a Testaccio per il «contro-corteo» del 2 giugno. Domani occhi puntati su Centocelle
Ieri sui Fori Imperiali parata militare del 2 giugno. Davanti a migliaia di romani e turisti hanno sfilato i nostri soldati, con le frecce tricolori a chiudere. Ma tafferugli sono avvenuti a Testaccio, dove era programmata una «controparata» pacifista. Il corteo di Cobas, Rdb e circoli di Rifondazione è stato bloccato in fondo a via Marmorata per uno striscione «Pisanu: vergogna della Repubblica, chiudiamo i lager Cpt» ritenuto «offensivo» dalla questura. Dopo un’ora di trattative, improvvisi gli incidenti. Un consigliere municipale rimasto ferito è stato ricoverato al San Camillo. E domani occhi puntati a Centocelle dove Forza Nuova farà un sit-in cui si oppongono i centri sociali.
Cresce la tensione nel popolare quartiere.
Schiuma (An): no al diktat dei centri sociali «No al presidio di Forza Nuova»
Centocelle, il VII Municipio chiede di bloccare il sit-in di estrema destra previsto domani
La scorsa notte ignoti, con una bomboletta spray, hanno vergato la scritta «via i fasci da Centocelle» contro la sede del circolo di Alleanza Nazionale in via delle Palme, nel popolare quartiere romano. Intanto venivano staccati i manifesti che annunciano la manifestazione, in programma sabato nel quartiere, di Forza Nuova. Ed è questo appuntamento in piazza San Felice, alle 17 di sabato, a rendere incandescente il clima che si respira a Centocelle. Per la stessa giornata sta intanto crescendo la preparazione della «festa» per la Liberazione convocata da un cartello di forze di sinistra guidato dal locale Comitato di quartiere di Centocelle. «Un’altra sede di An oggetto di scritte minacciose. Questa volta hanno scritto sulla serranda di un circolo in via delle Palme, "via i fasci da Centocelle", e sono stati staccati i manifesti di Azione Giovani, l’organizzazione giovanile di An dello stesso circolo che preannunciavano iniziative politiche». La protesta è del capogruppo di An alla Provincia di Roma Piergiorgio Benvenuti. «Ritengo stia lievitando in città un clima di intimidazione e di minacce nei confronti di esponenti di An e di Azione Giovani, chiedo un maggior controllo, l’individuazione di chi teorizza azioni di violenza e di intimidazione per prevenire ulteriori e più gravi azioni». «Certamente nessuno potrà mai intimidire coloro i quali - ha concluso Benvenuti - quotidianamente con fermezza e coraggio, esprimono il proprio pensiero politico e partecipano attivamente alla vita politica della destra a Roma».
L’avvenimento spiega il clima che si sta vivendo a Centocelle, in queste ore che precedono un sabato che si presenta problematico per il popolare quartiere. A tutt’oggi infatti, dalla Questura non è scattato nessun divieto nei confronti della manifestazione promossa da Forza Nuova, nonostante un parere tecnico indirizzato al divieto espresso dal prefetto Achille Serra e dalla riunione del Comitato per l’ordine pubblico tenutasi mercoledì. A prefetto e questore però esponenti di Forza Nuova e di An hanno chiesto di non piegarsi al diktat dei centri sociali e, come ha ricordato il consigliere comunale di An Fabio Sabbatani Schiuma, «di chi spacca le vetrine».
A chiedere il divieto però non sono solo i centri sociali e la rete no-global di Centocelle. Lo ricorda il presidente del VII Municipio Stefano Tozzi che rivendica l’ordine del giorno votato dal consiglio municipale nei giorni scorsi: «A considerare come una provocazione quel raduno di Forza Nuova non è stato solo il centrosinistra - spiega Tozzi -. Con noi della maggioranza hanno votato anche i consiglieri di Forza Italia e dell’Udc. Altri consiglieri di An hanno preferito assentarsi dall’aula al momento del voto. Alla fine contro hanno votato solo due consiglieri di An».
Mobilitati anche i partigiani del quartiere, uno dei più vivi durante la lotta antifascista e i mesi dell’occupazione nazista di Roma. Adriano Forcella a 15 anni spargeva i chiodi a quattro punte sulla Casilina e sulla Prenestina, li fabbricava lo zio Luigi a Tor Pignattara. Ora dice. «Invece di ritrovarci tra i piedi un raduno fascista - spiega Forcella - avrei preferito concentrarmi sul progetto di rifacimento di piazza delle Camelie. Lì dobbiamo spostare le rotaie e ricordare con un monumento i nostri 18 partigiani caduti allora per la nostra libertà. Vorrà dire che ora i vecchi ex partigiani come me devono però continuare a mobilitarsi...».
La «festa» ideata dal comitato coordinato da Leonardo Rinaldi sta prendendo corpo: mimi, saltimbanchi, bande musicali come la «Titubanda» del centro sociale Snia Viscosa, perfino un complesso sinfonico da far suonare in via dei Castani.
neurologi
attenti all'ossitocina
Corriere della Sera 3.6.05
Su «Nature» uno studio dell’università di Zurigo.
È l’ossitocina: viene liberata durante l’orgasmo. I suoi livelli precipitano con il ricordo di emozioni negative
Ecco l’«ormone della fiducia»: aiuta a vincere la diffidenza
Potrebbe essere la trama di un altro film di Batman: un criminale spruzza su Gotham City un aerosol a base di un «ormone della fiducia» e tutti si precipitano a consegnargli i loro soldi. Così banche, borse e governo vanno in rovina. Troppo fantasioso? Non proprio. Un gruppo di ricercatori svizzeri e americani ha appena dimostrato che basta qualche sniffata di un ormone, chiamato ossitocina, per aumentare la fiducia nel prossimo e ammettono che la possibilità di abusi non può essere ignorata. I sorprendenti effetti di questa sostanza sulla propensione verso gli altri sono stati svelati da un gioco per investitori, ma giocato con soldi veri e valutato con metodi scientifici. L’investitore (in totale la ricerca ha coinvolto 194 persone, tutti studenti maschi) poteva mettere somme di denaro di varia entità a disposizione di un amministratore fiduciario, con la consapevolezza che avrebbe potuto guadagnarci anche quattro volte, ma che sarebbe stato l’amministratore a decidere se e quanti soldi restituire.
Michael Kosfeld, dell’Università di Zurigo, che ha coordinato lo studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature , ha dimostrato che gli investitori più fiduciosi, quelli cioè più propensi a investire somme elevate, erano quelli che avevano «sniffato» ossitocina. Più cauti erano, invece, coloro cui era stato somministrato un placebo, cioè un prodotto inefficace. Questa propensione scompariva quando il ruolo dell’amministratore fiduciario in carne e ossa era sostituito da un computer: l’effetto dell’ossitocina, dunque, è quello di aumentare le interazioni sociali piuttosto che rendere le persone più propense al rischio.
L’ingrediente della magica «pozione della fiducia» è un ormone, l’ossitocina appunto, conosciuto anche come ormone delle coccole e prodotto normalmente dal cervello: viene liberato sia in uomini sia in donne durante l’orgasmo sessuale; i suoi livelli nel sangue aumentano durante i massaggi e precipitano con il ricordo di un’emozione negativa. Non solo: l’ormone viene anche utilizzato per indurre il parto e stimolare la lattazione e già i ricercatori sospettavano che potesse influenzare il comportamento di uomini e animali incoraggiandoli a superare la naturale diffidenza di fronte a situazioni rischiose. Effetto, quest’ultimo, che ora è ben dimostrato e potrebbe essere sfruttato, nel bene e nel male.
I medici stanno ipotizzando un suo utilizzo per curare persone che hanno difficoltà a rapportarsi con gli altri e, in generale, con il mondo esterno. «Stimolare la fiducia nel prossimo - ha commentato un altro ricercatore del team svizzero, Ernst Fehr - potrebbe aiutare individui che soffrono di fobia sociale o di autismo».
Ma l’ossitocina, proprio perché aiuta a vincere la diffidenza verso gli altri, potrebbe essere usata per raggirare la gente e manipolarne le opinioni? Kosfeld ne dubita perché occorre all’incirca un’ora prima che l’ormone raggiunga il cervello e non è facile costringere una persona a sniffare qualcosa che non conosce. Spruzzato nell’aria, invece, l’ormone mantiene la sua efficacia soltanto per pochi minuti e per ora non è «somministrabile» con qualche bevanda.
Ogni supposizione, per quanto stravagante, è però legittima. Qualche politico potrebbe pensare di utilizzare l’ossitocina per orientare le scelte di voto degli elettori durante i comizi. Un innamorato respinto potrebbe usarla come un profumo per vincere le resistenze dell’altro. Un responsabile vendite senza scrupoli potrebbe pomparla nell’aria di qualche grande magazzino e rendere i clienti più propensi all’acquisto. Ma secondo Antonio Damasio, neurologo dell’Università dell’Iowa a Iowa City, oggi la pubblicità usa trucchi, come certe suggestive immagini di paesaggi o di situazioni a contenuto erotico, che probabilmente stimolano per vie naturali la produzione di ossitocina da parte dell’organismo.
Su «Nature» uno studio dell’università di Zurigo.
È l’ossitocina: viene liberata durante l’orgasmo. I suoi livelli precipitano con il ricordo di emozioni negative
Ecco l’«ormone della fiducia»: aiuta a vincere la diffidenza
Potrebbe essere la trama di un altro film di Batman: un criminale spruzza su Gotham City un aerosol a base di un «ormone della fiducia» e tutti si precipitano a consegnargli i loro soldi. Così banche, borse e governo vanno in rovina. Troppo fantasioso? Non proprio. Un gruppo di ricercatori svizzeri e americani ha appena dimostrato che basta qualche sniffata di un ormone, chiamato ossitocina, per aumentare la fiducia nel prossimo e ammettono che la possibilità di abusi non può essere ignorata. I sorprendenti effetti di questa sostanza sulla propensione verso gli altri sono stati svelati da un gioco per investitori, ma giocato con soldi veri e valutato con metodi scientifici. L’investitore (in totale la ricerca ha coinvolto 194 persone, tutti studenti maschi) poteva mettere somme di denaro di varia entità a disposizione di un amministratore fiduciario, con la consapevolezza che avrebbe potuto guadagnarci anche quattro volte, ma che sarebbe stato l’amministratore a decidere se e quanti soldi restituire.
Michael Kosfeld, dell’Università di Zurigo, che ha coordinato lo studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature , ha dimostrato che gli investitori più fiduciosi, quelli cioè più propensi a investire somme elevate, erano quelli che avevano «sniffato» ossitocina. Più cauti erano, invece, coloro cui era stato somministrato un placebo, cioè un prodotto inefficace. Questa propensione scompariva quando il ruolo dell’amministratore fiduciario in carne e ossa era sostituito da un computer: l’effetto dell’ossitocina, dunque, è quello di aumentare le interazioni sociali piuttosto che rendere le persone più propense al rischio.
L’ingrediente della magica «pozione della fiducia» è un ormone, l’ossitocina appunto, conosciuto anche come ormone delle coccole e prodotto normalmente dal cervello: viene liberato sia in uomini sia in donne durante l’orgasmo sessuale; i suoi livelli nel sangue aumentano durante i massaggi e precipitano con il ricordo di un’emozione negativa. Non solo: l’ormone viene anche utilizzato per indurre il parto e stimolare la lattazione e già i ricercatori sospettavano che potesse influenzare il comportamento di uomini e animali incoraggiandoli a superare la naturale diffidenza di fronte a situazioni rischiose. Effetto, quest’ultimo, che ora è ben dimostrato e potrebbe essere sfruttato, nel bene e nel male.
I medici stanno ipotizzando un suo utilizzo per curare persone che hanno difficoltà a rapportarsi con gli altri e, in generale, con il mondo esterno. «Stimolare la fiducia nel prossimo - ha commentato un altro ricercatore del team svizzero, Ernst Fehr - potrebbe aiutare individui che soffrono di fobia sociale o di autismo».
Ma l’ossitocina, proprio perché aiuta a vincere la diffidenza verso gli altri, potrebbe essere usata per raggirare la gente e manipolarne le opinioni? Kosfeld ne dubita perché occorre all’incirca un’ora prima che l’ormone raggiunga il cervello e non è facile costringere una persona a sniffare qualcosa che non conosce. Spruzzato nell’aria, invece, l’ormone mantiene la sua efficacia soltanto per pochi minuti e per ora non è «somministrabile» con qualche bevanda.
Ogni supposizione, per quanto stravagante, è però legittima. Qualche politico potrebbe pensare di utilizzare l’ossitocina per orientare le scelte di voto degli elettori durante i comizi. Un innamorato respinto potrebbe usarla come un profumo per vincere le resistenze dell’altro. Un responsabile vendite senza scrupoli potrebbe pomparla nell’aria di qualche grande magazzino e rendere i clienti più propensi all’acquisto. Ma secondo Antonio Damasio, neurologo dell’Università dell’Iowa a Iowa City, oggi la pubblicità usa trucchi, come certe suggestive immagini di paesaggi o di situazioni a contenuto erotico, che probabilmente stimolano per vie naturali la produzione di ossitocina da parte dell’organismo.
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