mercoledì 3 settembre 2003

clonazione

La Stampa 3.9.03
IL 10 SETTEMBRE A PARIGI L’UNESCO ORGANIZZA UN INCONTRO PER DISCUTERE LE NUOVE FRONTIERE DELLA SCIENZA
Clonazione, l’uomo non è una pecora
Koïchiro Matsuura (Direttore generale dell’Unesco)

DOLLY è morta. La pecora più famosa del mondo (nonché il primo mammifero a essere clonato a partire da una cellula adulta) è stata soppressa nel febbraio di quest'anno. La cosa è avvenuta poco tempo dopo il pubblico annuncio della nascita di un bambino clonato, un evento peraltro mai confermato. La morte di Dolly ha suscitato meno clamore della sua nascita. E tuttavia, sebbene le cause specifiche di questa morte rimangano da accertare, è chiaro che essa solleva la questione degli effetti a lungo termine della clonazione sull'organismo clonato. E in certo senso ciò offre all'umanità l'occasione di una pausa. I codici che governano la ricerca medica vietano la sperimentazione sugli esseri umani di un procedimento la cui sicurezza ed efficacia non siano state preliminarmente accertate mediante la sperimentazione sugli animali. Ma che cosa succederà quando l'ostacolo tecnico sarà superato, e l'argomento delle precauzioni necessarie per proteggere la salute non sarà più valido? Prima ancora che questa situazione si avveri, la prospettiva della clonazione umana pone a noi e alla nostra coscienza sociale una sfida etica, culturale e politica di prima grandezza. L'organizzazione di cui sono Direttore Generale - il Comitato Internazionale di Bioetica (International Bioethics Committee, Ibc) dell'Unesco - e di cui ricorre il decimo anniversario, continuerà a svolgere un ruolo attivo nei dibattiti e nelle iniziative che riguardano questo problema.
Non bisogna sottovalutare la complessità del tema. Per quanto concerne la bioetica, e in particolare la clonazione, dobbiamo far sì che le paure e le invenzioni dell'immaginazione non interferiscano con i problemi autentici. Oggigiorno, la clonazione umana fa capo a due procedimenti tecnici, diversi sia nella loro concreta natura che nello scopo che si prefiggono. L'obiettivo della clonazione terapeutica non è di arrivare alla nascita di un individuo, ma di ricavare cellule staminali da un embrione creato mediante sostituzione del nucleo cellulare. C'è accordo generale sull'idea che l'utilizzazione di queste cellule potrebbe trasformare la medicina rigenerativa. E dunque perché esitare? Ciò che è qui in ballo è lo status dell'embrione, e su questo punto si addensano e si scontrano speranze e riserve. Stiamo forse correndo il rischio di creare embrioni umani destinati a essere venduti sui banchi dei supermercati per le future fabbriche di organi? È legittimo creare embrioni il cui sviluppo non arriverà mai a compimento? E chi fornirà gli innumerevoli ovociti necessari per queste manipolazioni? Non ci condurrà tutto questo a una nuova forma di mercificazione del corpo femminile, specialmente nel caso delle donne più povere? Queste domande possono trovare una risposta solamente mediante la definizione di una rigorosa cornice giuridica che regolamenti la ricerca embriologica umana, e per arrivarci sono necessarie ulteriori discussioni.
La clonazione riproduttiva si propone invece di rendere possibile la nascita di un bambino che sarebbe una replica cromosomica di un altro individuo. Ma clonare un organismo non significa copiare una persona. Ciò è provato dai meccanismi della riproduzione sessuale naturale. Per esempio, non c'è dubbio che due gemelli identici siano individui differenti; eppure sono più simili tra loro di quanto sarebbero due cloni. Coloro che - in un'impossibile ricerca di copie di se stessi o di altri - associano la clonazione alla realizzazione di antichi miti d'immortalità o di risurrezione, si basano su visioni della genetica che sono allo stesso tempo sbagliate e pericolose. Una volta che ci siamo sbarazzati dell'illusione di un genoma onnipotente, che cosa ci resta? Certo, un clone umano non sarebbe un mostro; esso potrebbe però non conformarsi al progetto normativo che ha presieduto alla sua nascita. Questo è il motivo per cui la nostra indagine deve spingersi più a monte, ed esaminare i motivi che stanno dietro tale progetto, e la visione della razza e della società umana che lo sottende. Agli occhi di questo tipo di manipolazione, i cloni appaiono come portatori di un particolare genoma, scelto per le sue qualità specifiche. Non è difficile immaginare le disastrose conseguenze psicologiche e sociali di una siffatta specie di eugenetica.
La natura fornisce a ciascun individuo un'identità genetica unica, che è il risultato dell'interazione di caso e necessità. La rinuncia a questa ricchezza naturale finirebbe col condurci a un'artificiale divisione genetica tra esseri umani provvisti di genomi originari ed esseri umani provvisti di genomi clonati. Forse che le forme di discriminazione che già affliggono l'umanità non sono abbastanza numerose? L'idea della clonazione umana poggia nel caso migliore su una serie di fraintendimenti e fantasticherie, e nel caso peggiore è animata dal desiderio di utilizzare la genetica per scopi - di ordine commerciale, ideologico o pratico - che sono decisamente discutibili. L'idea di vietare la clonazione umana è dunque giustificata a tutti i livelli: medico, giuridico e morale. Questa proibizione, raccomandata per la prima volta dalla Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti umani adottata dall'Unesco nel 1997, e fatta propria l'anno successivo dall'Assemblea Generale dell'Onu, è irrevocabile.
Esaminando la posta in gioco in campo bioetico, ci troviamo di fronte a una questione che ha radici profonde nelle basi culturali, filosofiche e spirituali delle diverse comunità umane. Conciliare il rispetto di questa diversità culturale con un approccio pragmatico al progresso scientifico è una condizione preliminare di qualunque ricerca congiunta nella sfera della bioetica. È in questo spirito che stiamo attualmente lavorando a una dichiarazione sui dati genetici, giacché l'utilizzazione di questi dati - se non opportunamente regolamentata - rischia di dar luogo a nuove forme di discriminazione, e perfino a spaventose forme di negazione dei diritti umani. Ci viene inoltre chiesto - ancora un'altra sfida! - di mettere a punto uno strumento operativo universale per la bioetica. Ciò conferma che l'Unesco può essere il giusto luogo d'incontro in cui culture, visioni del mondo e credenze religiose siano in grado d'interagire e di raggiungere un'intesa su una concezione etica generale suscettibile di servire da punto di riferimento comune.
Gli esseri umani non possono essere fatti su ordinazione, neppure nel caso di un'ideale committenza genetica. L'Unesco ha riconosciuto l'importanza di una sfida che travalica qualunque quadro di riferimento nazionale ed esige l'attivo impegno di tutte le parti interessate, scientifiche, politiche ed economiche. Essa è stata la prima organizzazione intergovernativa a proporre (con la creazione dell'Ibc, seguita l'anno successivo da quella del Comitato Intergovernativo per la Bioetica) un programma coerente per affrontare questi problemi. L'etica della scienza e della tecnologia è in effetti una delle priorità dell'Unesco, attualmente impegnata a rafforzare la sua funzione di vigilanza e la sua attività di elaborazione delle prospettive future. Un risultato di questo lavoro è la scelta del tema della prossima sessione delle «21st Century Talks», che sarà organizzata a Parigi da Jérôme Bindé il 10 settembre 2003. Si tratta dell'arduo e pressante interrogativo «Bisogna vietare la clonazione umana?». Io presiederò quest'incontro, che riunirà eminenti personalità come Jean-François Mattéi, medico e ministro della Sanità francese, gli scienziati José-Maria Cantu e William Hurlbut, e la studiosa di diritto internazionale Mireille Delmas-Marty. Per la prima volta, la riflessione etica sulla clonazione umana avrà l'opportunità di precedere e di guidare lo sviluppo tecnologico. Occorre soltanto la volontà di farlo.
L'uomo non è un qualunque mammifero. Gli animali possono essere riprodotti mediante clonazione. Ma gli esseri umani sono formati dall'educazione, dalla scienza e dalla cultura. Non dalla clonazione.

«riceviamo tantissime richieste da parte degli esercenti... un dato veramente eccezionale»

La Provincia Pavese 3.9.03
"Buongiorno notte" di Marco Bellocchio
è conteso dalle sale cinematografiche

VENEZIA. "Buongiorno, notte", l'atteso film di Marco Bellocchio in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, esce il 5 settembre in tutta Italia, distribuito da 01 Distribution, con 170 copie nella prima settimana: per la prima volta - sottolinea una nota della distribuzione - un film italiano apre la nuova stagione con un'uscita così forte.
«Per "Buongiorno, notte" - dice Filippo Roviglioni, direttore generale di 01 Distribution - riceviamo tantissime richieste da parte degli esercenti. Molte di più di quante non ci aspettassimo. E per questa stagione è un dato eccezionale, anche perchè a questo si aggiunge un'attesa calda mai riscontrata prima per un film italiano d'autore. Stiamo cercando di accontentare tutte le richieste degli esercizi, numerosissime anche da parte dei multiplex - e questo è un dato veramente eccezionale».

domani Buongiorno notte a Venezia, venerdì in tutta Italia

Repubblica 3.9.03
L´evento
"Buongiorno notte" passa giovedì sera in concorso
Alla Mostra si attende il film sul caso Moro di Marco Bellocchio
Venerdì uscirà nelle sale con 170 copie
di Aldo Lastella

VENEZIA - Sono ancora accesi i piccoli fuochi delle discussioni sul Sessantotto di Bertolucci e già il popolo della Mostra trepida per l´arrivo del film sul caso Moro di Marco Bellocchio, "Buongiorno notte", che passerà in prima proiezione questa sera [in realtà giovedì 4 alle 21. ndr] nel concorso "Venezia 60". Un´attesa del resto condivisa anche da pubblico ed esercenti se è vero che per l´uscita di venerdì nelle sale sono già state richieste alla distribuzione 01-Raicinema ben 170 copie del film.
La fibrillazione va di pari passo con la cortina di segretezza che circonda il film di Bellocchio a Venezia. «Per carità non mi chieda nulla su Bellocchio, altrimenti mi fucilano: non volevano neppure che venissi al Lido un giorno prima» mette le mani avanti Maya Sansa, protagonista di "Buongiorno notte" nel ruolo di brigatista e carceriera di Moro. La giovane attrice, già con Bellocchio in "La balia" e in «La meglio gioventù» di Giordana, è arrivata ieri alla Mostra per accompagnare un piccolo film inglese, "My father´s garden" di Matthew Brown, presentato nella sezione Nuovi Territori, di cui è protagonista. Il mediometraggio di circa mezz´ora è vagamente ispirato alla vera storia della Sansa, che conobbe il padre, iraniano, a 15 anni. «Ma nel film della mia vita c´è poco» dice Maya «Certo la protagonista è una ragazza che deve incontrare il padre che non conosce ricoverato in ospedale. La mia parte ha piuttosto a che fare con la mia fragilità, con le mie sensazioni, che Matthew, il regista, conosce bene, dato che siamo amici da quando abbiamo frequentato insieme a Londra la Guildhall School of Arts». É un anno importante per la Sansa, che con Giordana e ora con Bellocchio entra a far parte della galleria dei volti nuovi del cinema italiano: lo testimonia l´applauso con cui la platea, ha accolto il suo ingresso in sala. «Ambizioni? Mah, la parola ha un´accezione negativa che non condivido. Di sicuro ce la metto tutta nelle cose che faccio. Cerco di smarcarmi, di fare scelte radicali, di non farmi etichettare, di non chiudermi in un ruolo. Bellocchio? Per me è stato fondamentale e so di avergli dato il meglio in "Buongiorno notte". Ma, la prego, non mi faccia dire di più».

una ricerca europea, coordinata da Firenze

Gazzetta del Sud 2.9.03
NELLE ZONE PROFONDE DEL CERVELLO
Uno studio europeo coordinato dall'Italia rivela le alterazioni della corteccia
Nella materia bianca la spia della demenza

ROMA – Appaiono come macchie biancastre e rarefatte nelle zone profonde del cervello, i segnali che annunciano la comparsa della disabilità e della demenza negli anziani. Sono alterazioni che avvengono al di sotto della corteccia cerebrale, nella materia bianca, e sono note da oltre 20 anni, ma solo adesso uno studio europeo coordinato dall'Italia riconosce in esse la zona di confine che precede la demenza. «Finora si credeva che le alterazioni della materia bianca fossero tipiche dell'invecchiamento e non si dava loro importanza, ma adesso si è visto per la prima volta chiaramente che è lì che vanno cercati i primi segnali di molti problemi dell'età legati alle demenze, come perdita di memoria, difficoltà nei movimenti e nell'equilibrio, depressione», ha osservato il coordinatore dello studio, Domenico Inzitari, della terza clinica neurologica dell'università di Firenze. È la prima volta che nel cervello vengono riconosciuti i segnali precoci della demenza, presenti in forma estesa in un anziano su tre e in forma lieve su quasi la totalità degli anziani osservati. Si è anche scoperto che le alterazioni progrediscono lentamente e possono impiegare anche 20 anni prima che si manifestino i sintomi della demenza. In altre parole, la loro comparsa potrebbe avvenire già intorno ai 40-50 anni e avere origine in problemi finora collegati alle malattie cardiovascolari, come l'ipertensione e alti livelli di omocisteina. «Le nostre osservazioni – ha rilevato Inzitari – potranno spingere ad essere più attenti alla prevenzione e alla ricerca di nuovi farmaci».
LO STUDIO EUROPEO: promosso nell'ambito del quinto programma quadro della ricerca Ue, coinvolge 12 centri coordinati dall'università di Firenze. La ricerca, che si concluderà fra due anni, è giunta al terzo anno ed ha arruolato 650 anziani sani fra 65 e 84 anni, reclutati in tutti i centri. Di ognuno di essi sono state valutate condizioni fisiche, mentali e psicologiche. Quindi il loro cervello è stato osservato utilizzando una tecnica molto avanzata di Risonanza magnetica, in grado di evidenziare la presenza di alterazioni nella materia bianca.
LA ZONA DI CONFINE: osservate con la Risonanza magnetica, le alterazioni nella zona profonda del cervello associate all'età appaiono come macchie biancastre. Questo fenomeno, chiamato leucoaraiosi, è provocato dalla riduzione della guaina di mielina che riveste le cellule nervose e che rende possibile la trasmissione dei segnali fra di esse. Nello stesso tempo aumentano progressivamente le cellule della glia, che formano l'impalcatura sulla quale si sviluppano le cellule nervose.
L'ORIGINE: l'ipotesi più attendibile è che le alterazioni siano causate dal mancato afflusso di sangue (ischemia) dovuto all'irrigidimento dei piccoli vasi sanguigni. «Per oltre il 60% questo problema si deve all'ipertensione – ha detto Inzitari – ed è il risultato di un processo molto lento, che comincia già dai 40-50 anni. I nostri risultati suggeriscono l'importanza di prevenire l'ipertensione e di trattarla in modo aggressivo».
ALTERAZIONI-SPIA IN 1 ANZIANO SU 3: dai dati raccolti finora è emerso che, tra gli anziani di oltre 65 anni, uno su tre ha le alterazioni della materia bianca che anticipano le demenze. «Considerando le alterazioni più lievi si può arrivare quasi al 100%», ha osservato l'esperto.

Boncinelli e Damasio

Corriere della Sera 3.9.03
ELZEVIRO Il nuovo saggio di Damasio
Viaggio all’origine delle emozioni
di EDOARDO BONCINELLI

Gioia e dolore, esaltazione e abbattimento: con il pensiero e l'immaginazione l'uomo è capace di elevarsi al di sopra delle acque agitate del mondo della vita, ma tutto il suo essere affonda le radici nelle emozioni, nei sentimenti e negli stati d'animo, che lo mettono in diretto contatto con l'ordito stesso della vita. Alcuni di noi sono portati a disprezzare la propria vita emotiva, mentre altri la esaltano, considerando invece con sufficienza la ragione e la sua freddezza. Né gli uni né gli altri possono sottrarsi tuttavia alla realtà dei fatti. Noi siamo, inevitabilmente, un fascio di emozioni, di sentimenti e di stati d'animo - piacevoli, impercettibili o fastidiosi - come lo siamo di pensieri, di sogni e di ricordi. Alle emozioni e ai sentimenti ci riconduce ogni attimo della nostra giornata. A questi dobbiamo letteralmente la vita. Ma di questi sappiamo ben poco, nonostante il gran parlare che se ne fa. Una domanda prima di tutto: vengono dal corpo e la mente li percepisce, quando li percepisce, solo in un secondo tempo; oppure nascono nella nostra mente e interessano solo secondariamente il corpo? Quasi tutti, penso, propenderebbero per la seconda soluzione. Il grande William James, fratello di Henry James, affacciò cento anni fa l'ipotesi inversa, che le emozioni stessero cioè prima nel corpo e poi nell'anima, ma nessuno gli diede retta. C'è una grande, e per me incomprensibile, resistenza a riconoscere il primato del corpo nell'orchestrazione della nostra vita emotiva. Mi colpì molto perciò leggere, qualche anno fa, alcune affermazioni di Antonio Damasio, un noto studioso di neuropsicologia umana, che suggeriva un ruolo primario delle reazioni emotive somatiche, dalle più contenute alle più viscerali, anche nella retta e «razionale» valutazione di linee di condotta e di comportamenti nella vita di tutti i giorni.
Sul tema delle emozioni e dei sentimenti ritorna oggi Damasio in un libro in uscita da Adelphi, Alla ricerca di Spinoza . Dico subito che si tratta di un libro molto bello e coinvolgente; un libro coraggioso, scritto da uno spirito illuminista che muove alla ricerca delle ragioni del cuore, quelle che la ragione, secondo Pascal, non può comprendere.
La sua vocazione illuminista si vede nella scelta dell'argomento, il tentativo di comprendere appunto le basi neurobiologiche del sentimento, e nella ferma e appassionata denuncia di tutte le passate persecuzioni contro chi pensa con la propria testa: Spinoza ad esempio, ma non lui solo. È veramente incredibile quello che riesce a fare l'essere umano quando ritiene di agire a fin di bene. Ed è altrettanto incredibile che qualcuno, più d'uno in verità, possa oggi esaltare e rimpiangere quei tempi passati.
Dopo aver confessato che per potersi mettere a studiare seriamente la biologia dei sentimenti umani aveva dovuto liberarsi di tutto quanto aveva appreso fino ad allora sull'argomento - che i sentimenti fossero impossibili da definire, destinati a restare per sempre misteriosi, impalpabili entità aleggianti a mezz'aria nei paraggi dell'anima -, Damasio passa a illustrare alcune cose che i suoi studi gli hanno fatto intravedere sulle emozioni e sui sentimenti. Prima le emozioni, per dir la verità, e poi i sentimenti, perché quelle vengono da lontano, da un passato di animali dotati di un corpo e di un sistema nervoso anche appena accennato; e poi i sentimenti, che richiedono invece un'organizzazione delle funzioni cerebrali superiori che le metta in condizione di rappresentarsi i diversi stati del corpo. Le emozioni quindi nascono nel corpo e dal corpo, e guai a un animale che non le avesse, e i sentimenti non sono altro che la percezione sufficientemente dettagliata dei diversi stati d'agitazione (affectiones direbbe Spinoza) del corpo stesso. Damasio ha raggiunto le sue conclusioni studiando il comportamento, a volte incredibilmente rivelatore, di individui portatori di vari tipi di lesioni cerebrali, ma le sue riflessioni aspirano a raggiungere una validità generale. E ci riservano comunque una grande lezione.
Un libro illuminista, abbiamo detto, per il coraggio di guardare dentro un argomento così sfuggente e di farlo contro la cultura oggi dominante, tutta impregnata di sentimentalismi da feuilleton e traboccante di pseudospiegazioni psicologistiche. Neanche i neuroscienziati amano per lo più l'argomento, preferendo altre indagini più promettenti e meno coinvolgenti. Ma da qualche anno le cose sono un po’ cambiate, grazie anche a gente come i Damasio, marito e moglie. Mi aspetterei che uno studio serio e documentato sulla nostra emotività come è questo giungesse a tutti gradito e lasciasse qualche traccia. Ma non mi faccio illusioni. La nostra cultura ingloba, neutralizza e incista tutto, per poter impunemente ritornare al suo rassicurante sonno dogmatico.