Corriere della Sera 13.2.04
L’ULTIMO DUBBIO
di EDOARDO BONCINELLI
Da qualche anno si è prospettata un’opportunità unica per poter cominciare a produrre «a comando» tessuti, parti di organo od organi interi da utilizzare per operazioni di trapianto su individui che ne abbiano bisogno. Si tratta, come è noto, di partire dalle cosiddette cellule staminali. Tali cellule devono ovviamente essere umane e devono presentare caratteristiche tali da far ritenere con qualche fondamento che possano essere utilizzate per questo scopo. Le staminali ideali sono quelle prelevate allo stadio embrionale e, almeno a priori, più precoce è meglio è. È probabilmente possibile utilizzare staminali di altra derivazione - dal cordone ombelicale o addirittura dall’adulto - ma al momento nessuno è in grado di dire se queste ultime sono in tutto e per tutto equivalenti a quelle embrionali per l’uso che se ne vuole fare. Un altro problema tecnico è rappresentato dalla possibilità di effettuare i trapianti senza il rischio di un rigetto. Occorrerebbe a questo proposito partire da cellule staminali che abbiano una costituzione genetica predeterminata che sia identica o molto simile a quella di chi deve ricevere il trapianto. In linea di principio, questo non è impossibile. Basta introdurre in una cellula-uovo privata del suo proprio nucleo cellulare il nucleo di una cellula della stessa costituzione genetica di chi deve ricevere il trapianto. Si potranno poi prelevare le cellule da un embrione precocissimo derivato dalla cellula-uovo trasformata dal nuovo nucleo e fatta sviluppare fino ad un certo punto. Questa metodologia sembra soddisfare quasi tutti i requisiti per la produzione di tessuti di ricambio senza limitazioni.
Ma ci sono ovviamente dei ma. Il primo e più grave è di natura etico-religiosa o etico-sociale. Si tratta di produrre, in maniera non convenzionale, un embrione umano allo scopo di poter disporre di queste cellule. Secondo molti questo non è lecito, anche se lo sviluppo dell’embrione in questione verrebbe bloccato molto presto, vale a dire allo stadio di blastocisti, che è una sferetta composta di qualche migliaio di cellule e che non si è ancora impiantata nell’utero. Secondo altri, anche se questo fosse accettabile, potrebbe indurre in tentazione qualcuno, che potrebbe far proseguire l’esperimento e arrivare alla formazione di un essere umano completo. Esistono inoltre problemi tecnici non ancora risolti. Il primo è rappresentato dalla frequenza con cui la cellula-uovo che ha ricevuto un nucleo non suo inizia effettivamente a dividersi e a generare un embrione. Il secondo è dato dalla bontà delle cellule staminali prelevate da tale embrione precoce. Il terzo riguarda il trattamento che le cellule staminali devono subire per dar luogo con successo al tipo di tessuto che noi desideriamo: pelle, muscolo, osso, nervo e così via. Per quanto riguarda i primi due tipi di problemi tecnici sembra che alcuni gruppi di ricerca sudcoreani stiano facendo dei reali progressi.
L’annuncio di ieri, non inatteso ma comunque stimolante, presenta due aspetti di novità. Un primo aspetto è dato dalla buona efficienza raggiunta nell’ottenere embrioni allo stadio di blastocisti dalle cellule-uovo portanti un nucleo prelevato da un’altra cellula. Il secondo è dato dalla buona disposizione delle cellule staminali così ottenute a dar luogo a tessuti di vario tipo. Tecnicamente, questo si presenta quindi come un indubbio avanzamento. Non si eludono però così i problemi etici. Anzi se ne crea almeno uno nuovo e non indifferente: sapendo come sono state preparate queste cellule staminali, è lecito utilizzarle, una volta messe in circolazione o in commercio, per produrre tessuti e organi per trapianti?
Repubblica 13.2.04
Il pericolo in laboratorio
di RENATO DULBECCO
DA MOLTI anni si parla di clonare animali di vario tipo, però nessuno era riuscito a clonare un embrione umano. La ragione di questo fallimento non è chiara. Probabilmente è dipesa dall´insieme di operazioni cui l´embrione è assoggettato, che tendono a danneggiarlo. Infatti, in tutte le clonazioni di animali, la percentuale di successo è molto piccola; la maggior parte degli embrioni muore durante lo sviluppo.
Molti di quelli che sopravvivono non riescono a dar luogo a un essere vivente, e quei pochi che raggiungono lo stato adulto spesso presentano dei difetti. Ora, nel caso di cui si parla, è accaduto proprio questo: si è partiti da 242 uova umane, di esse 30 hanno prodotto un embrione precoce da cui si sono estratte le cellule staminali; tra tutte le cellule staminali ottenute, solo una ha dato luogo a una coltura permanente; ma la coltura non è un essere vivente. Perciò non c´è granché di cui rallegrarsi: il successo, misurato a livello delle cellule staminali, è molto piccolo; e per di più si è ancora ben lontani dal realizzare l´obiettivo della clonazione, cioè la produzione di un essere vivente, che in questo caso è assente.
Perché gli scienziati si sono imbarcati su questa strada? Non per creare cloni, ma per ottenere delle cellule staminali che potrebbero essere servire a curare malattie degenerative, finora essenzialmente incurabili, come il morbo di Parkinson: oggi l´uso di cellule staminali sembra l´unica possibilità per raggiungere questo obiettivo, sebbene anche questa via sia al momento soltanto una possibilità teorica.
Finora cellule staminali umane erano state prodotte da embrioni precoci ottenuti con metodo naturale di fecondazione di ovocita da uno spermatozoo. Essi risultavano dal processo di fecondazione in vitro che generalmente produce un numero di embrioni superiore a quello necessario per produrre una gravidanza. Gli embrioni soprannumerari di solito vengono congelati; nella maggioranza dei casi non se ne fa alcun uso, e alla fine vengono distrutti. È sembrato perciò naturale usare tali embrioni per ottenerne un prodotto che può essere utile per sviluppare nuove terapie per malattie incurabili.
Ma in questo caso i ricercatori hanno usato un metodo diverso, quello della clonazione: cioè hanno eliminato il nucleo, che contiene i geni, dall´ovocita, ed hanno immesso nell´ovocita il nucleo di una cellula del corpo di un individuo adulto, che contiene i suoi geni. In questo modo si ottengono due risultati importanti: si ottiene una cellula che ha tutti i geni presenti nelle cellule di un individuo adulto, mentre l´ovocita contiene solo una metà di tali geni (l´altra metà proviene normalmente dallo spermatozoo); e l´ovocita modificato contiene i geni dell´individuo donatore. Perché quest´ultima differenza è importante? Lo è se si vuole ottenere dall´embrione che ne risulta cellule staminali che siano accettate dall´individuo; con il metodo classico le cellule ottenute non sarebbero accettate, e infine sarebbero distrutte dalle difese immunologiche dell´organismo.
Perciò, seguendo le tecniche usate in questo studio, si otterrebbe il nucleo da una cellula dell´individuo che ha la malattia che si vuol curare, per immetterlo in un ovocita donato da una o più donne. Le cellule staminali così ottenute verrebbero usate per cercare di controllare la malattia nell´individuo donatore, mentre non sarebbero generalmente utili per altri individui.
Questa tecnica potrebbe risolvere il problema del rigetto delle cellule, ma restano aperte altre questioni. Un problema generale è la percentuale estremamente bassa di sopravvivenza degli embrioni clonati. Questo dato dimostra anche che il meccanismo della clonazione produce danni nelle cellule, probabilmente causati dal fatto che lo stato dei geni in cellule adulte è molto diverso da quello dei geni nelle cellule germinali che producono l´embrione. Lo stato dei geni adulti viene evidentemente corretto dopo l´introduzione nell´ovocita, ma è chiaro che tale correzione non è completa, forse perché avviene in un tempo breve, di qualche giorno, mentre nel normale processo avviene in un periodo di mesi. Perciò non si può essere sicuri che le cellule staminali così ottenute siano normali; e se sono anormali, come è probabile, non sarebbero un buon soggetto di studi e tantomeno di terapia.
Un altro problema è posto dall´uso del nucleo ottenuto dall´individuo che ha bisogno della terapia, per evitare il problema del rigetto. In tutte le malattie degenerative l´individuo affetto ha delle alterazioni geniche che sono parte del processo producente la malattia. Queste alterazioni sarebbero presenti nelle cellule staminali prodotte dalla clonazione, e perciò ci si può domandare se queste cellule sarebbero utili come agenti terapeutici; probabilmente, dopo essere state introdotte nel corpo dell´individuo ammalato, esse andrebbero incontro allo stesso processo patologico che causa la malattia.
Un´altra critica è che non è necessario usare cellule staminali embrionali per cercare di curare le malattie degenerative. Infatti l´organismo umano adulto contiene cellule staminali, denominate adulte, essenzialmente in tutti gli organi. Perciò si potrebbero usare queste cellule per i tentativi terapeutici. Però non c´è dubbio che le cellule staminali embrionali hanno alcuni importanti vantaggi, specialmente possono essere propagate in coltura pressoché indefinitamente, e hanno la possibilità di dar luogo a qualunque cellula dell´individuo adulto. Per contro le cellule staminali adulte possono solo rigenerare cellule dell´organo da cui sono estratte, ed in modo limitato.
In conclusione, i risultati riportati non sono una nuova conquista scientifica: non contengono nulla di nuovo né dal punto di vista scientifico né da quello applicativo.
dal Giornale di Brescia 13.2.04
[...] secondo uno dei pionieri nella ricerca sulle cellule staminali del cervello,
Angelo Vescovi, co-direttore dell’Istituto Cellule Staminali del San Raffaele di Milano «Tecnicamente il lavoro pubblicato su Science non propone nulla di nuovo. Pubblicarlo è stata piuttosto una scelta editoriale da parte della rivista: ha voluto gettare un sasso nello stagno del dibattito etico», ha rilevato Vescovi. Dopo che negli Stati Uniti era stato ottenuto due anni fa il primo embrione, sviluppato fino a 6 cellule, e successivamente fino a 16, era chiaro, secondo l’esperto, che tecnicamente sarebbe stato possibile andare ancora più avanti. «Non è da escludere che questo sia avvenuto nel segreto di alcuni laboratori», ha detto. Gli unici limiti erano di carattere etico. Non è per caso, ha aggiunto, che «l’esperimento sia avvenuto in un Paese che per motivi culturali e religiosi non si pone gli stessi problemi etici che sono invece stringenti in Occidente». L’effetto di questo annuncio sarà quindi, secondo Vescovi, quello di rilanciare un dibattito delicatissimo quanto acceso. Dal punto di vista scientifico non meraviglia nemmeno che i ricercatori di Seul e dell’università del Michigan abbiano ottenuto dei neuroni. «Il vero problema è piuttosto nel fatto che lo sviluppo di cellule umane ottenute da un embrione clonato non sono completamente normali dal punto di vista genetico».