domenica 2 novembre 2003

(informazione ricevuta da Annalina Ferrante)

Lucia Fusco segnala un'intervista a Marco Bellocchio
su Vanity Fair in edicola

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da La Stampa di Roma:
Marco Bellocchio alla "Sapienza"

LA STAMPA VIVEREROMA
venerdì 31 Ottobre 2003

INCONTRO ALLA SAPIENZA
Due ore col regista Marco Bellocchio
Seicento studenti lo interrogano
di LICIA PASTORE


Due ore e venticinque minuti di una lunga ed appassionata intervista collettiva con Marco Bellocchio. Nell’aula uno, stracolma, della facoltà di Lettere de La Sapienza, ieri pomeriggio erano in oltre 600. Studenti, docenti, personalità del mondo accademico, hanno preso parte all’incontro organizzato con il coordinamento scientifico di Michela Costantino dell’Irre, il Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università La Sapienza e l’Adi, sui rapporti tra cinema e letteratura.
Per questa manifestazione conclusiva del ciclo iniziato ai primi di ottobre con i Taviani e Rosi, il regista di «Buongiorno notte» Bellocchio è stato intervistato da Paolo Bertetto, ordinario di filmologia alla Sapienza e docente di Analisi del Film al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma. «Grazie per il profondo senso di liberazione che trasmettono le sue immagini» ha detto una studentessa intervenendo sulla storia delle brigate rosse. Il tema è ancora caldo e l’interesse tra i giovani per quel periodo, è stato confermato dalle richieste e dalle emozioni che il film "non documentario" ha suscitato: «Il mio film non è la storia delle brigate rosse. Ho voluto rappresentare quello che è gran parte della mia vita».
Il regista piacentino indicato da Bertetto «come chi nel cinema non si arrende», ha raccontato di nascere come pittore e pur rivendicando la sua libertà artistica, ha sottolineato l’esperienza ventennale con l’Analisi Collettiva e con lo psichiatra Massimo Fagioli. «Riconosco una posizione di ribellione, di rifiuto - ha ribadito Bellocchio - ma usando strumenti diversi che mi sono venuti attraverso l’approccio complesso con i seminari di analisi collettiva. Nel film arrivo alla rappresentazione di un discorso di libertà e di cambiamento di quest’uomo che passeggia libero per le strade di Roma». Una ricerca complessa che ha portato in aula un clima di grande emozione per gli elementi di riflessione emersi nel corso dell’incontro terminato con una standing ovation.

Marco Bellocchio intervistato sull'Unità di Venerdì 31.10

l'Unità venerdì 31.10.03, pag. 20
Cinema e realtà
BELLOCCHIO L'isola delle Br


I terroristi? Oggi peggio di allora, quando fu ucciso Moro.
«Sono folli e isolati», commenta il regista di «Buongiorno, notte». «Si sono perduti in un deserto buio»

«La fermezza di Bush contro il terrorismo mi ricorda quella mostrata dallo Stato italiano davanti al caso Moro»


di Gabriella Gallozzi


ROMA «Se già le Br di vent'anni fa avevano un rapporto con la realtà difettoso e disumano, quelle di oggi sembrano così scolIegate dal mondo da apparire sperdute nel deserto».
Marco Bellocchio interviene a caldo sulle ultime vicende di cronaca segnate dal «blitz antiterrorismo» che ha portato agli arresti degli esponenti delle cosidette nuove Brigate Rosse.
E lo fa, da regista che ha puntato la sua lente sul caso Moro con Buongiorno, notte, un film che ha spiazzato molti - soprattutto per il finale in cui si immagina un Aldo Moro liberato -, ha ricevuto critiche e commenti entusiasti da destra e sinistra e, soprattutto, si è rivelato un successo al botteghino con oltre tre milioni di euro di incassi. La pellicola di Bellocchio ha inoltre riacceso il dibattito sugli anni di piombo, «occupando» oltre che i media anche le università italiane dove Buongiorno, notte è «invitato» dagli studenti e dai professori per accese discussioni in aul. «Ancora l'altro giorno - racconta il regista - sono stato alla Sapienza di Roma. Nell'aula magna di Lettere sembrava di essere tornati nel '68: tantissimi studenti, una folla incredibile e una discussione tesissima. Segno che il caso Moro è un tema che non. tocca solo la generazione che ha vissuto quegli anni, ma anche i giovani di oggi che allora non erano neanche nati».

Nel suo film, ispirato al romanzo della Braghetti, i brIgatisti più volte dicono di aspettarsi un'insurrezione popolare a seguito dei loro interventi armati. Quali attese si immagina possano avere i brigatisti di oggi?

Beh, ci sono gradi di follia che hanno un loro percorso particolare.
Oggi ho come l'impressione che a livello simbolico i nuovi brigatìsti siano precipitati in un buio profondo. Già vent'anni fa credevano di essere l'avanguardia di un movimento e invece erano gli ultimi.
Ora nel 2003 la loro posizione appare ancor più scollata dalla reaItà, tanto da mostrarli perduti nel deserto. Certo, l'ingiustizía e la diseguaglianza sociali che spinsero una minoranza alla lotta armata esistono ancora. Allora, però, i riferimenti, erano legati alla Resistenza, a tutta una serie di movimenti in corso, dalla rivoluzione culturale cinese alle lotte di liberazione di Che Guevara, un enorme calderone di temi e ideali importanti. È vero che le Br di allora non godevano dell'appoggio dell'opinione pubblica e tantomeno dei sindacati o del Pci, eppure molti giovani, come ha raccontato Mario Moretti, bussavano alle porte delle Br. In certi ambienti ci sono stati persino dei brindisi alla notizia dell'omicidio di Aldo Moro. Il contesto di quegli anni era molto complesso. Il mondo diviso in blocchi, la P2, la Cia. Non so se si sia trattato del grande complotto, ma credo senz'altro che alla base del caso Moro sia pesata l'apertura ai comunisti. Per cui oggi l'isolamento delle nuove Br appare ancora più evidente: gli scenari del presente si sono ampliati e modificati.

Cioè?

Oggi l'orizzonte è dominato dai pericoli della globalizzazione, dagli Stati Uniti che fanno da padroni nel mondo, basta vedere le ultime vicende in Iraq. Ecco, Ia fermezza di Bush l'isolamento delle nuove Br appare mi sembra quella che seguì lo Stato italiano nella vicenda Moro.

La «fermezza» di Bush nella lotta al terrorismo, però, tutti sanno che serve a coprire l'espansione politica ed economica degli Stati Uniti. E la guerra preventiva in Iraq ne è stato l'esempio più illuminante

È vero ma io penso alla parola fermezza, a quel senso di ineluttabilítà che si porta dietro. Per tutti non c'era niente da fare, sia per Moretti, sia per lo Stato. E al centro Aldo Moro come agnello sacrificale. È stata una, strada quella della fermezza che ha lasciato solo perdenti: le Br dopo l'omicidio Moro sono implose e per lo Stato è cominciata la crisi che ha portato poi alla seconda Repubblica.

La cosa che colpisce in questi giorni di fronte agli arresti dei nuovi brigatisti è la strumentalizzazione che ne stanno facendo la destra e il governo colpendo soprattutto il sindacato...

Certo è una strana coincidenza che proprio il giorno dello sciopero generale si compia il bliz antiterrorismo e nella conferenza stampa i massimi vertici dello Stato sottolineino ad uso mediatico la denominazione Comunisti combattenti. Che alcuni di questi, poi, possano essere stati nel sindacato non mi sembra certo una notizia, dovevano forse provenire da Confindustria? Semmai per chi ama la dietrologia mi sembra più interessante la figura di questo Mezzasalma che poteva accedere in qualche modo ad informazioni secretate. Ritroviamo, insomma i servizi segreti nello scenario legato al terrorismo

A giorni il nostro giornale porterà in edicola una serie di film di Silvano Agosti dedicati al decennio '68-'78, quello di tante lotte e battaglie politiche. Gli anni, in qualche modo, che hanno preparato al «mistero» Moro. Che cosa crede sia scaturito da quel decennio?

Il Sessantotto è stato un momento di vitale e allegro spontaneismo, ma già allora si intravedeva quello che successivamente sarebbe stato lo scontro frontale, con l'avversario. In quegli. anni io militavo col gruppo maoista-leninista Servire il Popolo, che, come tanti altri gruppi della sinistra extraparIamentare aveva come obiettivo la realizzazione di una repubblica socialista. Per tutti la fine della società borghese era ineluttabile. Si trattava solo di una questione di tempo. Le Br, imbracciando le armi, pensavano di poterla realizzare subito. Oggi, certo, tutto questo appare assurdo e folle. Così come l'ho mostrato in Buongiorno notte, dove, pur raccontando di allora ho voluto parlare del presente. Quella passeggiata finale di Moro per la città non è solo un'utopia di libertà, ma un desiderio di speranza di fronte ai tempi bui che stiamo vivendo. Bui anche per la politica, tanto che la sinistra si trova a vivere il paradosso di dover compiere una battaglia per difendere le istituzioni, poíché questo governo fa quello che vuole e non ha alcun senso dello Stato.

inoltre, sull'Unità di pochi giorni fa, Piero Sansonetti iniziava così il suo articolo dal titolo "Accuse Contundenti":

«Le Brigate Rosse non c’entrano niente con il movimento sindacale. Non c’entrano con Epifani e Cofferati. C’è bisogno di spiegarlo? No, basta la storia della Cgil e dei suoi dirigenti a rendere chiare certe cose. Da una trentina d’anni la Cgil e i suoi dirigenti sono in prima fila contro le Br. Lo avete visto il film di Bellocchio? Avete visto chi riempì le piazze d’Italia dieci minuti dopo il rapimento di Aldo Moro? Il sindacato, la Cgil.
Quello che parlava dal palco di San Giovanni era Luciano Lama, il maestro di Cofferati: non era Berlusconi.
[...]»

anoressia e bulimia

La Repubblica domenica 2 novembre 2003 Pagina 28 - Cronaca
A Todi il primo centro pubblico per la cura dei disturbi alimentari che accetta minori di quattordici anni. Perché le vittime sono sempre più giovani
La clinica delle baby anoressiche "Così si guarisce dal mal di cibo"
La struttura ha aperto a maggio: dieci posti letto, tre dei quali già occupati da bambine
La terapia dura fino a cinque mesi, in un caso su tre si esce dall´incubo per sempre
dal nostro inviato SILVANA MAZZOCCHI


TODI - Entri e ti arriva un pugno nello stomaco. Eppure la costruzione è di grande bellezza, con stanze luminose e finestre che affacciano su un giardino radioso. Il pugno è nella sofferenza che intuisci, che senti nell'aria, che vedi negli occhi delle ragazze, e delle bambine, che al «Centro per la riabilitazione dei disturbi alimentari» cercano di riprendersi il futuro. Una sofferenza a due facce: anoressia e bulimia, parole di origine greca che significano «completa mancanza d´appetito» l'una e «fame da bue» l'altra. Ma che grondano dolore e rischio e che sono «un cancro dell'anima che colpisce il corpo», come dice la mamma di Gaia, 20 anni, da cinque in preda all´ossessione di diventare sempre più magra perché, anche a 32 chili di peso si vede «così grassa» da non volersi vestire con niente. Una percezione, un'idea di se stesse e del proprio corpo che nulla ha a che fare con la realtà. Lo urla alla psicoterapeuta Giulia, 11 anni, quando davanti a una sua foto di qualche tempo prima che la ritrae sorridente e appena in carne, assicura che «fa schifo» e che «non sarà mai più così». Lei che in ospedale è arrivata con la crescita ossea bloccata, per gravissima malnutrizione.
Il Centro di Todi è la prima struttura pubblica in Italia che accoglie le bambine al di sotto dei 14 anni. Ha aperto nel maggio scorso e già ha ospitato nelle sue stanze tre piccolissime pazienti. «La diffusione di questi disturbi nella preadolescenza è una realtà», conferma Laura Dalla Ragione, psichiatra e responsabile del Centro. «Negli ultimi due anni la proporzione delle giovanissime che soffrono di disturbi dell'alimentazione è molto aumentata e continua ancora a crescere.» Le bambine sono la punta estrema di un fenomeno in continua espansione: due milioni di malati soltanto in Italia, 55.000 nuovi casi l'anno di anoressia e 70.000 di bulimia ogni anno, con esiti di mortalità del 10-15%». Patologie che insidiano soprattutto le donne nella fascia d'età tra i 12 e i 25 anni (il 10%), ma che non escludono i maschi, la cui proporzione è ormai da uno a dieci ed è in costante espansione.
In Umbria, la residenza per le bambine è un segmento, la punta di diamante di un intervento sanitario pubblico modulato in quattro livelli. L'ambulatorio a Perugia, il day hospital e il ricovero ospedaliero a Todi, l'ospitalità a palazzo Francisci, per la riabilitazione. «Inutile negarlo, questo tipo di disturbi (spesso le malate trasmigrano da una patologia all'altra) sono favoriti da una società che impone modelli di corpi magri e scattanti. E il problema è ormai tanto diffuso da poter parlare di epidemia» precisa Dalla Ragione.
Pietro Alleri è pediatra e internista. Offre una possibile lettura dell'insorgenza delle malate-bambine. «È come se il mondo» dice «avesse subìto un'accelerazione improvvisa. Come se le pressioni mediatiche, sempre più prepotenti avessero stravolto il ruolo della famiglia rendendola spesso inadeguata a riequilibrare e a insegnare». E sempre più spesso le famiglie, disperate, sono costrette a rivolgersi alla struttura pubblica. Per chiedere aiuto, per apprendere a gestire la malattia delle figlie e dei figli, per imparare a organizzare i cibi, a somministrarli come fossero medicine. Per trovare la forza di chiudere a chiave dispense e frigoriferi.
Al Centro, dieci posti letto, le ragazze restano da tre a cinque mesi. Seguono un programma, spesso iniziato in ospedale dove in équipe si formula la diagnosi e si studia la cura. Cercano di raggiungere un peso accettabile e di correggere il comportamento patologico. Nel tempo libero seguono corsi di inglese, di artigianato. Anche se la cura resta il fulcro di tutto. E dunque, il cibo, rifiutato o divorato. Tra un pasto e l'altro le cucine vengono chiuse a chiave per evitare le abbuffate. E i bagni rimangono sigillati per due ore, un deterrente per le bulimiche e il vomito indotto.
«I pasti sono assistiti», racconta Giuseppe Passeri, psicologo «e prima di mangiare teniamo dei gruppi di autoaiuto». Serve a diminuire l'ansia e lo stress. L'anoressica spezzetta il cibo, è lentissima e, attraverso il controllo esasperato, cerca di essere sempre più magra. La bulimica ha comportamenti disordinati, non resiste all'impulso di abbuffarsi (in una sola volta può ingerire anche 10.000 calorie), ma poi vomita ed elimina. «E spesso ingoia diuretici e lassativi, fino a farsi male». Interviene Raffaele Ruocco, nutrizionista, colonna del Centro: «L'anoressica ha fame, ma si rafforza con la capacità di controllarsi. È questa la cifra della sua autostima, del suo valore. Anche la bulimica ha il corpo al centro delle sue preoccupazioni. Lei ha un peso normale, non ha i sintomi della fame da digiuno, ma si guadagna l'autostima con il controllo del proprio peso. A tutti i costi».
Di anoressia e di bulimia si può anche morire e spesso il disturbo ritorna o diventa cronico. Ma, ad alimentare la speranza, c'è che, almeno in un caso su tre, se ne può uscire del tutto. «Per me è ormai solo un ricordo, da incubo» conferma Carla, 28 anni, che ce l'ha fatta a liberarsi da una bulimia che l'ha invasa a 16 anni. «Mi rimpinzavo, fino a star male. Poi vomitavo. Ogni volta mi sentivo a terra, uno straccio». Conclude Irene, 24 anni, già avanti nel cammino terapeutico: «Dopo aver vomitato, la disistima di me mi prostrava. Piangevo, mi vergognavo. Ora spero di esserne fuori. Per sempre».

La Repubblica domenica 2 novembre 2003 Pagina 28 - Cronaca
LA STORIA
Le abbuffate di nascosto in cucina, la sensazione di essere tollerata a fatica dalle consorelle. Alla fine l´Ordine l´ha sospesa
Bulimia, il calvario di suor Lucia costretta a lasciare la vita in convento
Ora lavora alla Caritas e segue una psicoterapia. Vuole curarsi e "rinascere"


PERUGIA - Grandi abbuffate nella cucina del convento. Dolci, merendine, i resti delle mense. Tutto ingoiato in fretta e di nascosto e, subito dopo, due dita in bocca e via. Vomitare era un'ansia, uno stress, ma anche uno stimolo incontenibile, una liberazione. E poi, puntuale, quel senso di colpa invasivo e ingovernabile. Per aver messo al centro di se stessa la propria immagine, il suo essere terrena. Lei, una suora, una che aveva preso i voti per scelta e per convinzione, una che aveva scelto la fede e la spiritualità. Suor Lucia riesce a confessarlo soltanto dopo tre mesi di psicoterapia: «Il suo corpo non le piace».
Suor Lucia ha 29 anni ed è bulimica da quando di anni ne aveva ventiquattro. È sottopeso, ma si vede troppo grassa, grazie a quella non percezione reale di sé che accompagna il disturbo. Durante la psicoterapia, Lucia ricorda di quando era ragazza, prima dei voti. Anche allora aveva sofferto di bulimia. In seguito si era sentita in pace, guarita. Mentre «il mostro» era soltanto addormentato. E si risveglia quando l'adolescente di un tempo diventa suor Lucia. Mangia e vomita, si vergogna e si dispera. In comunità c'è una suora delegata a occuparsi dei problemi psicologici delle consorelle. Le sta vicino e la aiuta, ma presto si rende conto di non farcela da sola e decide di rivolgersi alla struttura specialistica.
Suor Lucia arriva in ambulatorio all'inizio dell'anno, accompagnata dalla consorella. E inizia un trattamento integrato. Pasti assistiti e colloqui con lo psicoterapeuta. Il cammino intrapreso è lungo e richiede tempo e impegno. Lei ce la mette tutta, vuole guarire, ma sente che la comunità non accetta il suo disturbo. Capta un atteggiamento ostile, si rende conto che il suo male viene vissuto più come un peccato, come un vizio più che come una patologia. Torna ad abbuffarsi, e a vomitare.
Soffre ma non cede suor Lucia. Continua la cura e tre mesi dopo, finalmente, tira fuori il rospo. Vuole dominare il proprio corpo. E mangia e vomita perché «non si piace grassa» come lei si vede. Ammette con la psicoterapeuta ciò che non aveva mai osato confessare prima, neanche a se stessa. E si sente meglio. Si è tolta un peso, migliora. È intelligente, ha una buona cultura ed è intenzionata a guarire. Il convento è tutto per lei, la sua casa e la sua famiglia. Ma non sono passati cinque mesi dall'inizio della cura che, improvvisamente, viene sospesa dal suo Ordine. Non può più essere una suora nella sua comunità, almeno per il momento. «Una decisione estrema» secondo Laura Della Ragione che di religiosi e religiose con disturbi psichiatrici anche gravi ne ha curati tanti.
Suor Lucia ha dovuto accettare la sospensione dall'Ordine. Ora vive in una grande città del centro Italia e lavora alla Caritas. È stata affidata a psicoterapeuti del luogo. Vuole ancora guarire. Per rinascere. (s.mz.)

L'Unità 30.10.03
Un nuovo centro residenziale per l'anoressia
di Laura Dalla Ragione


I Disturbi del Comportamento Alimentare (Anoressia e Bulimia) rappresentano attualmente in Italia un problema di notevole gravità, con un incremento costante nella fascia compresa tra la prima adolescenza e l'età prepuberale. I dati nazionali di prevalenza di questi disturbi indicano un aumento di questa patologia tra la popolazione femminile tra i 10 e 25 anni, che ha assunto le caratteristiche di una vera e propria epidemia sociale (in questa fascia di età intorno al 10%).
Di fronte ad un problema così complesso la USL 2 della Regione dell'Umbria è la prima in Italia ad avere costruito un percorso assistenziale completo per i Disturbi del comportamento alimentare. Il programma ambulatoriale, parte centrale del trattamento, è svolto a Perugia in un ambulatorio integrato specifico per questi disturbi sorto dalla collaborazione tra l'U.O. Dietetica dell'Azienda Ospedaliera di Perugia e USL2. Presso l'Ospedale di Todi è attivo un servizio di Day Hospital e di degenza ospedaliera per i casi acuti, e sempre nel centro di Todi, è sorta la prima struttura residenziale pubblica italiana per l'anoressia e la bulimia della USL 2.
La struttura si trova all'interno di un antico palazzo di Todi circondato da un parco di alberi secolari dove una equipe di personale specializzato della USL2 (psicologi,pediatri, nutrizionisti psichiatri, fisioterapisti, infermieri, dietiste) svolge un programma integrato che affronta in maniera intensiva la patologia. Tale struttura può rappresentare o il proseguimento terapeutico in ambiente protetto di una degenza ospedaliera acuta o una alternativa al ricovero stesso che, soprattutto per ragazze molto giovani, a volte bambine, può determinare gravi effetti secondari. Accoglie ragazze/i da tutta Italia anche sotto i 14 anni. La durata della degenza varia dai 3 ai 5 mesi ed è tale da consentire un recupero ponderale e la costruzione di una consapevolezza della patologia che possa essere accettata dalla paziente.
Per informazioni rivolgersi a: Residenza Palazzo Francisci USL2 Todi 075-8943302. Posta elettronica: dca.umbria@ausl2.umbria.it