Repubblica 20.10.04
LIMBO
Quella terra dove siamo sospesi
la chiesa cattolica vuole abolirlo
Istituita una commissione teologica per studiarne la soppressione
La storia religiosa e simbolica di una metafora dell'oggi
GIOVANNI FILORAMO
Giovanni Filoramo insegna storia del cristianesimo all´Università di Torino di recente ha pubblicato Che cos´è la religione (Einaudi).
Qualche giorno fa Giovanni Paolo II ha ricevuto la Commissione teologica internazionale e l´ha invitata a ripensare la questione del limbo e dei bambini morti senza battesimo «in nome di una prassi pastorale più illuminata». E può sembrar strano, oggi che a quanto pare la nozione di limbo si appresta ad andare in pensione, che vi sia stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui attorno alla sua natura si accendevano fieri dibattiti teologici, che potevano anche avere, come nel famoso caso del Sinodo di Pistoia del 1786, non irrilevanti ricadute politiche. Come capita con le nozioni-limite (
limbus, in latino, significa "bordo", "limite"), terra di nessuno, zona grigia di confine in cui si stemperano i conflitti senza che con questo essi perdano la loro virulenza, anche il concetto di limbo, tipico della tradizione cattolica, è, per così dire, un luogo residuale, dove sono confluiti i problemi salvifici ed escatologici che non trovavano una soluzione soddisfacente né nel predestinazionismo agostiniano e nella sua peculiare ed elitaria concezione della salvezza né nel suo gemello speculare, il pelagianesimo, con il suo concetto di una natura umana non macchiata fin dalle origini dal peccato e, dunque, aperta a vie salvifiche più universali.
Quale era il destino finale - domanda decisiva in ogni religione di salvezza che si rispetti - di tutti coloro che non avevano potuto conoscere l´annuncio salvifico del Cristo e della sua Chiesa? Interrogativo che, tradotto nel linguaggio di questa particolare economia salvifica, diventava: è possibile salvarsi senza essere battezzati
in re e cioè senza aver potuto avere accesso ai codici di ingresso che la Chiesa cattolica aveva elaborato come fattore decisivo della propria identità? Se era vero che al di fuori della Chiesa non vi era salvezza, quale era allora il destino di tutti coloro, dai bambini morti senza battesimo alla schiera, destinata ad accrescersi in modo incontrollabile in epoca moderna, di tutti coloro che non erano stati raggiunti dal suo annuncio salvifico?
La risposta fu, appunto, il limbo, un luogo non ben precisato nella geografia dell´aldilà, che presentava il vantaggio, nella sua indeterminatezza, di poter essere visto come anticamera dei due luoghi escatologici "forti": l´inferno e il paradiso. Cristo, con la sua passione, morte e risurrezione, aveva sconfitto definitivamente le potenze infernali, anche se, nella prospettiva di storia della salvezza propria del messaggio protocristiano, la realizzazione concreta di questo regno, con il preludio di un interregno millenario, si sarebbe avuta soltanto alla fine dei tempi. Come preannuncio di questa sconfitta, egli era disceso agli inferi dove aveva liberato i giusti dell´antico patto, dai patriarchi ai profeti, che non avevano potuto conoscere direttamente il suo annuncio, ma che, in questo modo, potevano, seppur indirettamente, pregustarne gli esiti finali (ben presto, a questi si aggiunsero i giusti pagani). Nel tentativo teologico decisivo, che sta alla base del costituirsi stesso dell´identità del cristianesimo, di rileggere le scritture ebraiche secondo la prospettiva del compimento, i giusti dell´antico patto si trovarono così collocati, come luogo escatologico, nel "seno di Abramo", considerato un´anticamera del paradiso: una prefigurazione del limbo dei fanciulli inventato da Agostino.
Questo secondo tipo di limbo, anticamera dell´inferno, rispondeva, in un periodo in cui il nemico prevalente di una chiesa ormai imperiale era diventato il nemico interno, l´eretico che ne minacciava l´unità - dai donatisti a Pelagio - a una esigenza intraecclesiale decisiva, che si incontrava, nell´Agostino dottore implacabile di una dottrina della grazia tanto audace quanto impietosa, con l´esigenza di fondare una concezione di chiesa in grado di realizzare il modello disegnato nella Città di Dio, imperniato sulla dottrina del peccato originale e di una salvezza conseguibile soltanto attraverso l´imperscrutabile intervento della grazia divina. A tutela di questo bastione della fede Agostino pose una concezione del battesimo e del suo valore intrinsecamente salvifico, che aveva come inevitabile corollario l´esclusione dalla salvezza e dalla visione beatifica di Dio, che ne costituiva l´essenza, tutti coloro, a partire dai bambini non battezzati, che non avessero potuto conoscere la mediazione salvifica dell´istituzione ecclesiastica.
Sono note le fortune medievali di questo modello, che trovò un´espressione sapiente nella
Summa teologica di Tommaso, per rinascere a nuova vita con la Conquista: il limbo doveva essere un luogo veramente capiente per poter accogliere tutti gli uomini giusti che, non certo per cattiva volontà, erano morti non solo prima di Cristo, ma anche dopo la propagazione di un messaggio che ora si rivelava, di fronte all´estensione dei nuovi mondi, tremendamente circoscritto. Di qui un fiume di disquisizioni teologiche, talora di altissimo livello, che trovarono nuovo alimento nel giansenismo e nelle sue polemiche virulente con tutte quelle posizioni, come quelle dei nuovi ordini missionari, i gesuiti in testa, che concedevano troppo alla natura umana, per di più di popolazioni selvagge, natura irrimediabilmente corrotta dal peccato originale e di per sé incapace di salvarsi.
La storia del limbo cattolico è, dunque, la storia di un luogo teologico in cui si intrecciano, in modo soltanto a prima vista paradossale, più che nel caso dei due luoghi escatologici per antonomasia, il paradiso e l´inferno, nodi e conflitti teologici di grande momento, che investono alla fine la volontà redentrice di Dio e i limiti dell´azione salvifica della Chiesa. Pensato inizialmente come luogo per risolvere le aporie del destino finale di quei giusti, dell´antico patto come del paganesimo precedente all´incarnazione, che non avevano potuto conoscere il Cristo, esteso poi, in seguito al trionfare del dogma del peccato originale, ai bambini morti senza battesimo, come il suo precedente biblico, lo
sheol, esso dovette la sua secolare fortuna al fatto di poter accogliere tutte quelle figure residuali che, come ombre prive ormai di vera realtà teologica, non rientravano nei quadri salvifici saldi e sicuri della Chiesa di tipo costantiniano.
È la crisi di questo tipo di chiesa, manifestata dal Concilio Vaticano II, ad aver in fondo gettato le premesse per l´attuale liquidazione. La volontà salvifica universale di Dio e l´altrettanto universale capacità di mediazione del Cristo rendono obsoleta una nozione che alla fine minaccia la stessa onnipotenza divina e, in particolare, la sua misericordia, come del resto ricorda indirettamente l´unico breve cenno presente nel catechismo della Chiesa cattolica (1261). Priva di evidenti riscontri evangelici e di una sicura tradizione ecclesiastica, la nozione di limbo, col suo esclusivismo religioso, sembra ormai non più in grado di essere difesa con convinzione da una Chiesa che ha fatto dei diritti umani la sua bandiera: non ha, in fondo, ogni uomo in quanto tale, se non è cattolico, il diritto di non essere predestinato al limbo?
Repubblica 20.10.04
STORIA DELL'ALDILÀ
SIAMO UN PAESE A METÀ CHE AI COLORI DECISI PREFERISCE IL PASTELLO
L'ITALIA CHE DEL LIMBO HA FATTO LA SUA FORZA
rischi: Se si abolisse il limbo si finirebbe per abolire noi italiani che ne abbiamo fatto un luogo d'elezione, noi che siamo gli eroi della civiltà dello zero a zero, da sempre sospesi tra pace e guerra
Francesco Merlo
Parigi. Da circa un mese la Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal solito cardinale Ratzinger, sta seriamente studiando l´abolizione del Limbo, una vera rivoluzione per il cielo, ma soprattutto per la terra dove verrebbe infatti cancellato uno dei quadri concettuali più confortevoli per la nostra fragile vita, quello dell´incertezza e del dubbio. Speriamo dunque che anche questa Commissione si impantani, si areni, italianamente si insabbi nel suo limbo perché qui rischiamo d´essere aboliti propri noi italiani che del limbo in terra abbiamo fatto il nostro luogo d´elezione, sempre al di qua delle scelte forti, nette e definitive, noi che siamo gli eroi della civiltà dello zero a zero, e da sempre siam sospesi: tra pace e guerra, tra lotta e governo, tra Inferno e Paradiso.
Per quel che riguarda il cielo, gli alti prelati del Vaticano potrebbero in fondo cavarsela con una maxi sanatoria, una sorta di condono dove l´
una tantum da pagare, non osiamo immaginare in che forma, dovrebbe ovviamente essere uguale per tutte le anime da traslocare in Paradiso: per i bimbi morti senza battesimo, per gli adulti virtuosi che vissero prima di Cristo, come Platone e Virgilio, ma anche per tutte quelle persone per bene decedute sì in epoca cristiana, ma in luoghi lontani da Cristo, come era l´America sino al 1492, prima cioè che vi arrivassero i missionari conquistatori spagnoli.
E però lasciando a Ratzinger e alla sua Commissione tutta la responsabilità di definire questo avanzamento di carriere celesti, su di noi ricadranno le conseguenze terrene dell´abolizione del limbo. Perché eliminare il limbo non significa solo modificare il passato dell´umanità, ma anche il presente. Sparisce o, se preferite, viene messa ad esaurimento, per decisionismo teologale, la figura dell´indeciso, e dunque il momento dell´indecisione, la fase della preparazione della decisione e perciò, alla fine, il ragionamento, che in Italia non significa solo bizantinismo. Il limbo è stato ed è il limite ma anche il pregio di noi italiani, con le nostre virtù cristiane praticate nella dolcezza dei precristiani, noi che non accettiamo i toni accesi del fanatismo ma viviamo naturalmente i valori della religione, noi che vogliamo bene al Crocifisso anche quando non ci crediamo e comunque senza troppe pratiche spagnole, senza celebrazioni ed esibizioni fondamentaliste alla Buttiglione, noi che siamo caritatevoli ma non andiamo a messa, stiamo con la civiltà ebraica occidentale ma flirtiamo con il terzomondismo degli arabi, siamo stati comunisti ma dentro la Nato, a fianco degli americani ma corteggiando Gheddafi, noi atlantici e mediterranei, noi sempre sul lembo del mondo, noi abitanti del limbo.
Abolire il limbo significa abolire l´Italia che al rosso fuoco infernale o al giallo del Paradiso preferisce il pastello, le sfumature tenui la cui forza sta nella durata, nella sobrietà, nella discrezione. Del resto, anche da morti, il limbo ci si addice di più del Paradiso con tutte quelle sue accecanti beatitudini. Sarebbe in fondo molto meglio per noi soggiornare nel limbo, senza troppi eccessi mistici, «sitting on the fence» come dicono gli inglesi, sedendo nel recinto tra due giardini. Beati sì ma con quel tanto di malinconia, di tristezza e "di mancanza", di cui lungamente disquisirono i teologi del Concilio di Trento, una malinconia che sempre ci pare necessaria alla felicità, magari passeggiando con i peripatetici, discutendo di potenza con Aristotele o parlando di Iraq con Pericle o spiegando a Mosé che anche ai suoi tempi c´era già chi attraversava il mare, senza miracoli, con le barche e con le navi, con i remi e con le vele e senza neppure bagnarsi la barba.
Come si sa, i teologi medievali inventarono il limbo, che è appunto il lembo, vale a dire l´orlo dell´Aldilà, la parte più estrema, l´anticamera, non pensando tanto alle anime dei bimbi che morirono quando erano ancora innocentemente infettati dal peccato originale né certamente a quelle dei non-nati, degli aborti, degli embrioni e degli ovuli appena fecondati che oggi preoccupano il ministro Sirchia, il governo Berlusconi, l´onorevole Rutelli e tutti i don Abbondio che hanno paura dei referendum. Come spiega Jeffrey Burton Russel nella sua autorevole
Storia del Paradiso, più ancora che per le anime dei bimbi i teologi medievali erano preoccupati per la sorte «dei loro colleghi filosofi pagani che sembravano aver riconosciuto tante parti di Verità». Insomma l´invenzione del Limbo fu un salvataggio corporativo, un riconoscimento per la categoria dei Professori di Verità. E infatti Dante nel limbo incontra Omero e Orazio, Ovidio e Lucano, e poi Enea, Anchise, Elettra, Ettore, Cesare, la regina delle Amazzoni Pantasilea e, in sereno e signorile isolamento, persino il Saladino, sultano d´Egitto, celebrato per le virtù cavalleresche e per la sua liberalità. Dunque oggi l´abolizione del limbo sarebbe il perfezionamento di quel salvataggio dei Professori di Verità, proprio come vorrebbero fare i sindacati più corporativi all´università: passaggi di carriera senza concorso.
Certo, l´abolizione del limbo creerebbe fenomeni di immigrazione controllata che muterebbero anche la composizione anagrafica del Paradiso, innanzitutto infantilizzandolo, ma anche imbottendolo di dottrina. Perciò il nuovo segretario della Commissione Teologica, padre Luis Ladaria, intervistato domenica scorsa dal quotidiano Avvenire, ha detto che il problema è enorme e che non si possono «anticipare le conclusioni di un lavoro che è appena cominciato, che coinvolge teologi di tutti i continenti e che chiama in causa la Teologia dogmatica, lo studio della Bibbia, la stessa storia della Teologia, al punto che non sarà possibile pronunciarsi prima di due o tre anni».
Qualora davvero abolisse il limbo «come condizione intermedia, senza sofferenze, ma anche senza la gioia della visione beatifica di Dio», la Commissione dovrebbe infatti mettere mano alla ristrutturazione del Paradiso, e non solo innalzandone gli standard di recettività. Il Paradiso, oltre ad essere un luogo fisico sia pure non immaginabile, è anche una sostanza per godere la quale bisogna avere la grazia. Ma l´
ope legis trasporta e non trasforma, promuove ma non surroga competenze. Le anime del limbo passeranno in Paradiso ma «non avendo avuto la grazia di vedere Dio, non possono goderne». Starebbero dunque in Paradiso come beati a metà tra beati completi, proprio come quei professori che sono andati in cattedra per concessione ministeriale e non per scienza comprovata da un concorso superato.
Attenzione: questa volta il problema non è burocratico, né si tratta di un paradosso dell´ironia, è invece un rebus teologico, e non di poco conto. C´è infatti il rischio che il Nuovo Paradiso diventi a più livelli, come uno stadio, con le gradinate e la tribuna vip, un Paradiso insomma un pochino infernale.
Del resto anche in Terra l´Inferno guadagnerebbe terreno. Niente più Limbo in Terra significherebbe infatti l´Inferno per i problematici, l´assimilazione del dubbioso nell´ignavo. Basta con i cacadubbi, con
color che son sospesi. Alla fine dunque sarebbe un beneficio per i morti ma un danno per i vivi le cui scelte sarebbero obbligate e affrettate, e tutti i gattini diventerebbero ciechi. Pensateci: senza limbo muterebbe l´antropologia, si trasformerebbero anche la politica e la geopolitica. Non ci sarebbero più i neutrali e Dio entrerebbe in rotta di collisione con i moderni terzisti, che ci sono particolarmente cari, perché nell´Italia di oggi, pur commettendo tanti errori, occupano il luogo della preparazione della decisione, si sospendono dai luoghi noti e si appendono in quelli ignoti, e non per ignavia ma per formare, sotto traccia, nuovi codici. Nel limbo non ci sono i Né-Né e neppure i pavidi, gli opportunisti e i cerchiobottisti che sono tutti destinati all´Inferno. Nel limbo stanno quelli che si mettono in confidenza con il nuovo, si aprono con curiosità verso dati pregiudicati. Il limbo è il luogo dove si prepara la scelta, dove domina la sfumatura. C´è un bel racconto di Borgese, scritto nel 1921 quando l´Italia era prossima alla guerra civile. Borgese, che sarebbe diventato limpidamente antifascista senza mai darsi al comunismo racconta la storia di Rubè, un giovane avvocato siciliano che assiste con sgomento e con tormento alla lotta di classe, anche lui
sitting on the fence, cercando nel Limbo il suo Virgilio, la guida che vi incontrò Dante. Ebbene per caso a Rubè capita di morire a Milano incidentalmente travolto da una carica della polizia intervenuta a reprimere una rivolta popolare. Rubè morì da eroe. Ma di quale delle due parti opposte?
«Rubè - scrisse poi Borgese nel 1934 quando era in esilio in America - è un mio libro fortunato, nel senso che ebbi senza merito la fortuna di scoprire un mito. Rubé è l´Italia di oggi, è il mondo di oggi, fascista-comunista, con due tessere in tasca...». Borgese nel '21 stava nel limbo, la maniera più pericolosa di stare sopra le macerie delle appartenenze che sotto invece erano (e sono) abitate dai topi. Ed è, quello stare senza starci, la qualità migliore degli intellettuali italiani. Basta pensare a Montanelli, che stava con la sinistra pur essendo di destra, o a Lucio Colletti, che stava con la destra pur essendo di sinistra, o a Norberto Bobbio che stava con i socialisti pur essendo anticraxiano. Lo stare senza starci, la malinconia del Limbo, consente il distacco ma anche l´ironia, l´allegria sapida persino, la libertà della critica acuta e corrosiva più verso il proprio campo che contro quello degli avversari: il limbo come partcepazione civile, ma senza le beatitudini paradisiache del tifo. E´ il Limbo il terzismo teorizzato da Paolo Mieli? Certo è luogo di pensatori e di filosofi. Dante incontra anche Democrito, Anassagora, Eraclito e Zenone nel luogo dei cacadubbi che costretti ad abolirsi probabilmente finirebbero quasi tutti all´Inferno. Forse per questo lavora Ratzinger? Per mandare all´Inferno i nostri poveri terzisti?
Repubblica 20.10.04
INTERVISTA A MARC AUGÉ
COSÌ È NATO IL NON LUOGO
FABIO GAMBARO
Marc Augé, antropologo, è Directeur d´études presso l´École des hautes etudes di Parigi. Tra le sue opere, Nonluoghi (Eletheura) e Rovine e macerie (Bollati Boringhieri).
Parigi. «Nell´immaginario religioso», dice Marc Augé, «l´aldilà è sempre legato a una definizione spaziale con una sua precisa iconografia. Ciò vale soprattutto per l´inferno e per il paradiso, ma anche per il purgatorio. Il limbo invece resta uno spazio indefinito e senza un´identità precisa. E´ uno spazio non rappresentabile».
L´antropologo Marc Augé è il teorico dei "nonluoghi". Quegli spazi sradicati da un contesto, nei quali non v´è nulla che simbolizzi un´identità specifica o una relazione con la storia. Sono gli aeroporti, i supermercati, le stazioni di servizio sempre uguali ai quattro angoli del pianeta. Per Augé, nei nonluoghi gli individui si spogliano della loro identità e della loro storia, restano come sospesi a mezz´aria, svincolati dal passato come dal futuro, senza radici e senza relazioni. Si tratta di una condizione molto particolare, il cui archetipo può essere individuato proprio nell´idea di limbo.
Dante parla di "foresta di spiriti spessi"...
«Sono ombre che tra di loro non comunicano. Il limbo in fondo nasce da un compromesso che permette di salvare dall´inferno gli innocenti non battezzati, i quali però sono condannati all´assenza di paradiso e soprattutto all´assenza di relazioni. Nel cristianesimo essere separati da Dio significa essere separati dagli altri. Quella del limbo quindi è una condizione di solitudine. Da questo punto di vista, esso è certamente un nonluogo in cui si vive una sospensione infinita che allontana per sempre dalla felicità. Purtroppo ciò accade anche nella nostra realtà, all´interno dei limbi sociali».
A cosa si riferisce?
«Attorno a noi vivono persone che, non usufruendo dei diritti elementari, sono di fatto relegate in una sorta di limbo sociale. La loro è una condizione negativa, il cui statuto è definito da una privazione. Sono i non aventi diritto, i senza documenti, i senza fissa dimora. Sono persone, che pur senza essere incolpate di nulla, si trovano in uno stato di emarginazione sociale senza sbocchi».
E di attesa infinita...
«Purtroppo sì. Il trascorrere del tempo è vivibile solo in presenza di un passato e di un futuro. L´attesa indefinita è negazione della temporalità. Queste persone hanno spesso reciso i legami con il loro passato e le loro radici, pur non avendo futuro né speranza. Di conseguenza, nel loro tempo non ci sono più punti di riferimento. L´immigrato che sbarca sulle coste europee, finendo in un centro di accoglienza, vive spesso questa situazione. Spera di essere entrato in un purgatorio, ma poi scopre di essere rinchiuso per sempre in un limbo».
Come accade al protagonista di Terminal, l'ultimo film di Steven Spilberg?
«Esatto. Per altro il film racconta la storia vera di un iraniano bloccato da molti anni all´aeroporto di Parigi, un non luogo per eccellenza dominato dalla desimbolizzazione della vita e dalla desocializzazione delle relazioni. Il legame sociale è un legame simbolico fondamentale, che, se inserito in una dimensione spazio-temporale precisa, ci consente di autorappresentarci la realtà. Se tale legame viene meno, ci troviamo invischiati in un universo incomprensibile e senza contorni, vale a dire in una sorta di limbo moderno».
L´eternità senza tempo del limbo mal si concilia con l´accelerazione spazio-temporale che domina la nostra società, non crede?
«Il nonluogo inteso come limbo è il negativo, in senso fotografico, della realtà in cui viviamo. E´ un presente senza immagini in un mondo dominato dalla spettacolarizzazione. E´ un momento di sospensione, che, se temporaneo, può anche essere paradossalmente positivo».
Nel limbo dei nonluoghi c´è infatti chi prova un senso di libertà. Capita anche a lei?
«Sì, ma a patto che si tratti di un limbo provvisorio. Una parentesi nel flusso continuo della vita. In aereo, ad esempio, mi sento sempre molto bene, perché sono in una condizione d´isolamento, lontano dal mondo e dalle relazioni. Lì, mi riposo dalla fatica della mia identità sociale. E´ una sensazione molto piacevole, ma solo perché è provvisoria».
Il limbo ha anche a che fare con l´oblio?
«Sì. Viviamo in una realtà dominata dalla memoria, ma sappiamo benissimo che non possiamo ricordare tutto, altrimenti rischiamo la saturazione. E´ importante saper dimenticare. E innanzitutto saper dimenticare se stessi, che poi significa dimenticare anche gli altri. Naturalmente, non si tratta di un atteggiamento da adottare sempre. Può però essere una condizione necessaria quando abbiamo bisogno di una di tregua nella battaglia della vita. E naturalmente è molto più facile dimenticare e dimenticarsi quando si è nel limbo dei nonluoghi. Oppure nel limbo del sonno».
Insomma, da un punto di vista metaforico, il limbo è ancora un'idea produttiva...
«Sì. In fondo, quando siamo d´umore uggioso, trasformiamo il mondo in un limbo, procedendo a una sorta di detemporalizzazione della realtà che ci circonda. Il che vale anche sul piano collettivo. Oggi, ad esempio, siamo in una situazione di questo tipo. Parliamo volentieri di fine della storia e delle grandi narrazioni. E ci percepiamo come prigionieri di un mondo senza futuro, anche se l´evoluzione rapidissima della scienza sembrerebbe indicare il contrario. Insomma, abbiamo la sensazione di vivere in un´epoca da cui non ci aspettiamo nulla. Ecco perché la nostra vita ci appare a volte come un limbo quotidiano. Un limbo che non ha più nulla a che fare con la teologia».